San Cono
Il paese dei fichidindia
San Cono
Cenni storici

Il forestiero che arriva per la prima volta a S. Cono, dopo aver lasciato la Nazionale Piazza Armerina - Gela al bivio Gigliotto e inerpicandosi lungo una strada asfaltata fino alla sommità della collina, scorge declinando da essa un paese adagiato ai piedi di monte S. Marco che si estende fino alla pianura, esposto a mezzogiorno come un ampio balcone verso la marina di Gela, circondato da ridenti colline che per la fertilità delle terre, peraltro opportunamente coltivate, dai piedi alla cima altro non presentano che frutti deliziosi di ogni genere. Lo sfondo del monte Formaggio che svetta a picco rende il panorama molto pittoresco.

Il paese di S. Cono, ubicato all’estremità della provincia di Catania da dove dista km 85 e formante quasi una escrescenza erniaria incuneata tra la provincia di Caltanissetta, dove gravita la maggior parte della popolazione agricola, e quella di Enna è tra gli ultimi paesi fondati nel quadro della colonizzazione interna favorita dagli Spagnoli.

La sua nascita risale al 1785 ad opera di Don Ottavio Trigona Bellotti, Marchese di Floresta e di Santo Cono, già Sindaco di Piazza Armerina e personaggio illustre non solo per il casato ma anche per i suoi meriti e le sue capacità in campo civico-amministrativo, animato da molteplici interessi culturali e da sentimenti umanitari e filantropici.

Sin dal suo nascere il paese contava 400 anime(1): uomini provenienti da ogni parte della Sicilia in seguito a un bando del Marchese e allettati da molte facilitazioni ricevendo case e terreni da coltivare a censo.

Già insediati gli abitanti del nuovo centro il Trigona, memore di un antico privilegio, concesso al suo antenato Don Giovanni Maria Trigona, con cui Filippo IV di Spagna e III di Sicilia (1621 - 1665) gli assegnava il titolo di Marchese sulla Baronia di Dainammare e Santo Cono "con la condizione di fabbricare una terra in detto feudo nel corso di un decennio"(2), chiese ed ottenne la "licentia populandi" firmata il 12 febbraio 1785 dal Viceré Marchese Caracciolo a nome di Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia(3) con la seguente lettera indirizzata al Vescovo di Siracusa: " Ecc.mo Signore, si è dato conto al Re della Consulta del Tribunale del Real Patrimonio, che accluse V. E. in sua lettera del 9 dicembre dell’anno passato, concernente al ricorso del Marchese Don Ottavio Trigona in cui avendo esposto il Privilegio ottenuto dai suoi Maggiori di poter elevare in popolazione il Feudo di Santo Cono, ch’Egli possiede con mero e misto impero e di trovarvisi già costruite diverse case e la Chiesa corredata e dotata con esservi un sufficiente numero di abitatori, ha implorato prescriversi di collettarsi e assoggettarsi al pagamento delle Regie Tande e Donativi conforme si corrispondono dalle altre Università del Regno.

Ed informata la M. S. per tutto ciò che ha manifestato il cennato Tribunale, che la Popolazione di cui si tratta trovasi in stato di potersi collettare ed assoggettare al pagamento delle Regie Tande e Donativi nel modo che si soddisfano dalle altre Università del Regno, è venuta in risolvere che V. E. rescriva alla Deputazione del Regno che passi a collettare la nuova Popolazione del Feudo di Santo Cono con incaricarla dei pesi che possono corrisponderli.

E così lo partecipa d’ordine di S. M. a V. E. il Supremo Consiglio di Azienda per l’adempimento. Napoli 12 febbraio 1785.(4)

Aggregazione a S. Michele di Ganzaria e riacquisto dell’autonomia.

 

I primi anni di vita del nuovo paese trascorsero pacificamente essendo tutta gente dedita prevalentemente all’agricoltura estensiva e alla pastorizia.

Quando però il paese si stava avviando ad una normale vita organizzata a livello cittadino si verificò nel 1842 un fatto del tutto negativo: l’aggregazione di San Cono al comune di San Michele di Ganzaria dal 1 gennaio 1843 fino al 31 dicembre 1858: "sotto il cui dominio a via d’intrigo ed ingiustizia fummo per più anni soggiogati"(5). E furono anni bui.(6)

Con Real Rescritto del 8 aprile 1858 San Cono veniva elevato nuovamente a Comune a partire dal 1° gennaio 1859. Tutta l’esultanza del popolo si può rilevare nella prima seduta decurionale del 9 novembre 1858: "Assembrandosi per la prima volta il Decurionato del novello Comune di San Cono sotto la presidenza del Sottintendente di questo Distretto Sig. D. Mario Guarnaschelli, ed essendo astanti i notabili tutti, Ecclesiastici e civili del Paese, si è innanzi tutto prorrotto in esclamazioni di somma compiacenza per l’insigne benefizio impartitosi a questa commossa e fedele Popolazione dal migliore dei Re Ferdinando II che Dio conservi. Egli qual Padre che anelante accorre là dove i bisogni di figlio sventurato si fanno più intensi, dall’alto del Real Trono si è benignato esaudire i gemiti di questi abitanti nell’avere alla di loro terra natia accordata un’autonomia propria mediante l’emancipazione dal Comune di S. Michele. Riconoscente adunque il Decurionato per un tanto segnalato benefizio osa umiliare apposito indirizzo di rendimento di grazie, di fedeltà ed ubbidienza al più giusto, al più munificente dei Monarchi e prega il Sig. Intendente della Provincia di far pervenire questo doveroso omaggio a piè del Real Trono qual perenne attestato di sua viva gratitudine".

Primi passi del nuovo Comune

Da questo momento si può seguire passo passo la vita del Comune attraverso delibere consiliari delle varie amministrazioni ben conservate nell’Archivio Comunale.

Da esse si può notare l’impegno organizzativo dei vari amministratori, lo zelo e la tenacia nel mantenere in vita l’autonomia comunale più volte anche in seguito minacciata(7), l’attenzione devota per la Chiesa(8), un palese sentimento e spirito religioso del popolo riflesso negli amministratori, la cura e l’ansia per la salute pubblica soprattutto durante il colera del 1867 in cui un piccolo comune ha scritto pagine quasi epiche per altruismo e, a volte, eroismo(9).

Prime difficoltà

Tuttavia, però, nonostante lo strenuo impegno, gli sforzi qualche volta drammatici degli Amministratori per inserire il novello Comune nella vita socio-economica e commerciale della Provincia, il più delle volte si sono persi tutti gli appuntamenti per sortire tale effetto. Basti citare la strada nazionale Terranova - Piazza Armerina, la strada Mazzarino-Cimia, la Ferrovia Caltagirone-Dittaino, nonché la nuova superstrada Gela-Piazza: strade tutte che avrebbero potuto toccare o attraversare il centro abitato mentre al contrario esse distano qualche chilometro dal paese coi relativi inconvenienti facilmente immaginabili(10).

Per cui San Cono è rimasto tagliato fuori dalle vie di transito più importanti.

Ed è sostanzialmente in questo tipo di isolamento geografico che fonda le sue radici una certa mentalità e cultura di cui ancor oggi si sentono gli effetti.

Il paese dei fichidindia

Certo, oggi San Cono è un paese cresciuto di molto. Ha una popolazione che supera i 3500 abitanti; una classe dirigente culturalmente ben preparata; un numero elevato di diplomati e diversi laureati; una popolazione scolastica numerosa.

San Cono è un popolo ormai omogeneo e compatto, con un alto senso di solidarietà civica, laborioso, tenace, ricco di iniziative, anche se qualche volta discontinuo e incostante, attento a tutti i problemi sociali e religiosi. Soprattutto nell’agricoltura i Sanconesi, allentando le tradizionali colture cerealicole, peraltro poco redditizie, sono riusciti a fare assurgere il loro paese al primo posto in Sicilia per la coltivazione intensiva e razionale dei fichidindia in qualità pregiate che vengono esportate dappertutto. Per cui a ragione San Cono può chiamarsi il paese dei fichidindia.

La festa patronale

A prima vista, però, a chi arriva per la prima volta è facile cogliere l’impressione di un paese piuttosto sonnolento quando ci si addentra attraverso le strade e stradine peraltro tutte ben ammodernate. Ma chi arriva specialmente tra Aprile e Maggio riceve invece un’impressione del tutto diversa.

La festa del santo Patrono San Cono, che puntualmente dal lontano 1866 si celebra ogni anno la 2ª e 3ª Domenica di Maggio (mentre prima si faceva la 2ª Domenica di Agosto(11)), è come il diapason della vita del paese. A tal proposito è bene far notare che il privilegio di celebrare la festa per la 2ª Domenica di maggio, unitamente a quello di recitare l’Ufficiatura e celebrare la Messa propria del Santo era stato ottenuto dal clero e dai maggiorenti del paese sin dal 1808 con Decreto datato Siracusa 26 marzo 1808. Ciò in conformità a quanto avevano ottenuto in precedenza quelli della città di Naso.

Tuttavia, giacché cominciarono a sorgere controversie tra i Sanconesi e i Trigona in seguito all’abolizione dei diritti feudali, da una parte(12), e la conseguente aggregazione a S. Michele di Ganzaria, dall’altra(13), il Comune poté solo pronunziarsi nel 1866 dopo di aver riorganizzato la macchina dell’amministrazione dal momento in cui si era ottenuta l’emancipazione.

È una festa che si prolunga per venti giorni durante i quali, tutti come elettrizzati, si può notare un insolito movimento di macchine provenienti da ogni parte, un formicolare di uomini e donne, grandi e piccoli, vecchi e bambini. È l’appuntamento annuale attorno al quale gravita tutta la vita del paese. Le luminarie nella piazza centrale e per le strade, il suono festoso delle campane e della banda musicale, lo sparo assordante della moschetteria e dei fuochi d’artificio, i trattenimenti musicali con cantanti di grido, la folla di grandi e piccoli vestiti a nuovo, la ripulitura delle case, le bancarelle di merce varia dislocate nella piazza danno un tono tipico alla festa. I viaggi a piedi scalzi fatti per promessa e il notevole afflusso dei forestieri la rendono molto interessante anche dal lato religioso che ha il suo culmine nella Messa solenne durante la quale si tesse il panegirico del Santo cui si annette moltissima importanza.

Gli aspetti più caratteristici che lasciano senza fiato il forestiero sono in primo luogo l’uscita della statua(14) sulla "Vara" che sosta immediatamente nella piazza antistante la Chiesa durante la quale sosta c’è come una pioggia abbondante di danaro che viene gridato coi nomi degli offerenti tra una folla strabocchevole che risponde ad ogni singola offerta col grido: "Viva Diu e Santu Conu". Dalla intensità più o meno del grido si deduce la consistenza a volte ragguardevole delle offerte.

L’altro aspetto molto singolare per il forestiero è la corsa del simulacro, portato sempre a spalla da diverse squadre di giovani accordatisi in precedenza e in antagonismo tra di loro per pilotare la corsa dimostrando così tutta la loro forza e volontà. Il simulacro percorre ripetutamente in lungo e in largo tutte le strade e le viuzze del paese raccogliendo ancora offerte gridate da un componente della Commissione che se ne sta pure sulla "Vara" fino all’alba del giorno seguente. Tutto ciò si ripete per due Domeniche consecutive.

Le varie impennate verso l’alto, gli sbalzi violenti ora a destra ora a sinistra, lo stridio delle ruote ai piedi della "Vara" sui ciottoli delle strade, i piegamenti quasi orizzontali, gli urtoni inevitabili, le grida e gli schiamazzi della folla, le apparizioni e le scomparse quasi improvvise, il repentino tornare indietro dalla stessa strada: tutto lascia col fiato sospeso il forestiero. Senza tuttavia trascurare la conta del danaro raccolto che vien fatta all’alba del nuovo giorno alla presenza di tutti appollaiati nella piazza, stanchi morti ma felici.

Si tratta senza dubbio di un aspetto folkloristico e spettacolare.

Come si sia organizzata la festa in questa maniera; quali le motivazioni profonde di un simile comportamento collettivo, che per molti versi è disdicevole tra i portatori della "Vara" non però tra il popolo che corre ma osanna al Santo; chi abbia introdotto per la prima volta tale slancio esaltante che sa qualche volta di fanatismo non è dato, purtroppo, sapere. Si sa soltanto che la festa si è svolta sempre così, almeno a memoria d’uomo.

Dal punto di vista religioso possiamo affermare che alla radice di tutto c’è una fede profonda e cieca per il Santo, c’è una forte carica emotiva a sfondo religioso che non si scorge facilmente altrove.

Prova ne sia l’ardenza con cui il Santo viene invocato anche al di fuori della festa, la commozione e le lacrime, la generosità illimitata. Ma naturalmente si tratta di una fede di tipo popolare, a livello di emotività con tutta la ricchezza dei sentimenti di cui l’uomo è capace e non di una fede razionalizzata al punto da coinvolgere il cristiano in ogni sua manifestazione pubblica o privata, collettiva o individuale. Chiaramente, però, questo duplice aspetto può, anzi deve coesistere. La fede infatti a livello razionale deve orientare i sentimenti umani operando in tal modo sia pure lentamente e a fatica una maturazione e un miglioramento nella vita e nei costumi: sapere, credere ed agire con coerenza. Ma questo è un problema di coscienza che riguarda tutti gli uomini e non soltanto quelli di San Cono.

Approfondendo questo concetto, il professor Vittorio Malfa(15) analizza la festa del Santo globalmente dal punto di vista antropologico e folklorico affondando le sue radici nella mentalità sincretistica del popolo. Un popolo che ha conservato "integralmente fino ai nostri giorni il senso della memoria storica coagulatasi attorno a un nucleo affettivo".

Lo svolgimento "sui generis" della festa "trova la sua spiegazione in sé, cioè nella capacità di ricreazione di un fatto emotivo, religioso che ha la sua motivazione del suo essere proprio in ciò che sprigiona a livello emotivo e religioso ancora oggi".(16)

Dal punto di vista sociologico forse è più facile dare sia pure cautamente qualche spiegazione ad un simile comportamento.

San Cono, come si sa, è un paese geograficamente isolato.

In esso non esiste un cinema, non vi è una biblioteca, non esistono circoli culturali pienamente gratificanti se si eccettua la "Pro Loco" e la Società sportiva, anch’essa pressoché estinte, non c’è l’abitudine del passeggio e della evasione se non la frequenza al bar non peraltro da tutti praticata, non esistono strutture idonee per il tempo libero se si eccettua il campo sportivo e il campetto polivalente nel cortile scolastico.

In tale contesto è facile immaginare che la festa patronale rappresenta l’unica grande evasione per tutti, grandi e piccoli.

È come dare sfogo a degli impulsi repressi per tutto un anno, è come scaricare tutta la tensione di una vita circoscritta, quasi incolore che di solito si trascorre.

E i mezzi di comunicazione sociale, che sono pure qui diffusissimi, non sono sufficienti a scaricare la propria tensione ed allargare gli orizzonti di una vita angusta.

Ben venga quindi la festa patronale che serva non solo come momento di felice e civile evasione nel rispetto dello spirito religioso e del Santo della cui devozione ci nutriamo ogni giorno, ma anche come momento di incontro e unità di tutto il popolo Sanconese con la presenza anche dei suoi figli emigrati, e che segni una graduale ma decisa crescita del paese.

 

Rocco Zito

Capitolo II

La Città di Naso in provincia di Messina

Non si può parlare del paese di San Cono né dell’omonimo Santo Protettore senza parlare della cittadina di Naso(1) in Provincia di Messina.
San Cono e Naso sono due paesi appartenenti a due Provincie diverse e paesi distanti fra loro, con storia e cultura diversa ma peraltro molto simili aventi uno stesso comune denominatore: S. Cono Abate.
Il paese di Naso perché ne è la patria avendogli dato i natali, il paese di San Cono perché ne porta il nome e lo acclama da sempre Patrono.
Chi da Randazzo, città ai piedi dell’Etna sul versante Nord del vulcano, percorre la Strada Statale n. 116 che collega la città etnea a Capo d’Orlando, superato il ponte dell’Alcantara ammira mano a mano che sale con larghe volute un panorama fantastico di colline ricoperte di ginestre che in inverno coprendosi di neve danno l’impressione di un paesaggio fiabesco.
Si arriva al Comune più alto della Sicilia, Floresta (1275 mt s. l. m.), e da qui scendendo dopo di avere attraversato Ucria si arriva finalmente a Naso che dista circa 9 km da Capo d’Orlando.
Naso è un paese antico, interessante per la sua posizione geografica, per la sua storia antica, per le sue tradizioni popolari e per il culto verso il grande Santo, cittadino Nasitano, S. Cono o Conone Navacita.
Il paese è costruito sopra un’altura circondato da una fitta vegetazione, quasi un’isola in mezzo al verde.
Nella piazza Garibaldi c’è un belvedere da cui si può ammirare la cima dell’Etna. Da un altro lato c’è il grande belvedere da dove, se il cielo è sereno, si possono ammirare le isole Eolie oltre che un’immensa vallata di verde sottostante.
In epoca anteriore a Cristo, Naso era un piccolo villaggio in mezzo a folti boschi, abitato da gente raccogliticcia e dedita alla pastorizia, superstite di Agatirso, città di origine siceliota, e di Naxida, città di origine greca, in seguito a incursioni barbariche.
La nuova città prosperò man mano e si sviluppò rapidamente.
In essa stabilirono la loro dimora Romani, Saraceni ed anche Ebrei, che ben presto però furono cacciati via.
In epoca Normanna il paese fu dominio di Ruggero II il quale a ricordo di una vittoria sui Saraceni fece edificare un monastero che affidò ai Padri Basiliani.
Molti Baroni prima, si susseguirono nel periodo Feudale, e Conti dopo, fino al dominio di Diego Sandoval, il quale per la sua inflessibilità e per la sua spavalderia fu cacciato dalla città in seguito ad una unanime cospirazione cittadina.
Altre famiglie si sono succedute in seguito fino ai nostri giorni, con un buon incremento culturale anche se in tempi assai recenti se ne sia allentato l’interesse.

LEGGENDA 

Era una giornata assolata di Agosto. Il Marchese Ottavio Trigona Bellotti se ne stava seduto all’ombra di un frondoso olmo nei pressi della masseria del Feudo Santo Cono soprano.
Stanco e imperlato di sudore, ma pienamente soddisfatto, guardava attorno i suoi poderi e soprattutto pensava come risolvere al meglio i non pochi problemi economici dato l’abbondante raccolto di quell’anno.
Ad un tratto ha visto delinearsi in lontananza una figura umana la quale man mano che si avvicinava si configurava meglio dal caratteristico saio monacale cavalcante una giumenta baia, seguito da altre bestie. "Sarà un monaco di cerca" pensò il Marchese, uno dei tanti che erano soliti alternarsi nelle varie masserie o sulle aie ricolme di frumento in cerca di aiuti per il convento.
Dopo i convenevoli saluti il forestiero si presentò col suo carico di richiesta: "Vengo da lontano, da molto lontano, dal paese di Naso in quel di Messina. Ho bisogno di una notevole quantità di frumento per sfamare non una sola famiglia ma un intero paese dato l’imperversare di una paurosa carestia".
Il Marchese, tentennante all’inizio, non si fece ulteriormente pregare data anche la più che sufficiente possibilità di farlo e la non trascurabile prospettiva di incassare denaro ed onorare così eventuali impegni.
In pieno accordo ambedue hanno pattuito sia la quantità che l’ammontare del tutto .
Con l’aiuto del "fattore" e di altri contadini si sono riempite le bisacce caricandole sui muli.
Al momento, però, di consegnare il denaro, ecco l’imprevisto: il forestiero era sfornito di denaro.
Alla sorpresa del Marchese, che probabilmente avrà anche sentito una vampata di rabbia e certamente di disappunto, è subentrata la calma attraverso le buone maniere del forestiero il quale pregando e supplicando, promettendo sulla sua parola d’onore e con cuore alla mano che avrebbe pagato non appena possibile, lasciò come pegno un prezioso anello che portava al dito.
Il Marchese s’intenerì e, consapevole di aver fatto un’opera meritevole, lasciò che il forestiero ripartisse alla volta del suo lontano paese.
Passano i giorni. Passano i mesi. Passò molto tempo. Del monaco non si seppe più nulla.
Piuttosto stupito e irritato per l’accaduto e credendo di essere stato abilmente raggirato, un giorno col coraggio in mano partì anche lui alla volta di Naso, dopo aver dato opportune disposizioni al suo fattore e ai suoi garzoni.
Dopo un lungo viaggio, pieno di disagi e di insidie, giunse finalmente in quel paese.
Gira e rigira, chiede informazioni, spiega le sue ragioni, espone i fatti circostanziati, le promesse, la fiducia, ma nessuno sa dirgli qualcosa. Come se quel monaco non ci fosse mai stato e come se a Naso non si conoscesse bisogno e carestia.
Quale non fu la sorpresa del Marchese Trigona quando, dopo un’amara delusione, fissò lo sguardo su un quadro appeso in una delle tante chiese che aveva visitato, scoprendo con certezza che le sembianze colà raffigurate non erano che di quel monaco cui aveva consegnato la quantità di frumento e di cui conservava l’anello.
Era il quadro di San Cono Abate, cittadino di Naso, ma morto e sepolto da diversi secoli.
Allora il Marchese con gli astanti gridarono al miracolo.
Quindi il Trigona ritornò al suo feudo senza danaro ma con il cuore gonfio di emozioni e col proposito maturato lungo la strada di realizzare qualcosa che ricordasse tale evento.
Fu così che nella mente del Marchese Trigona si concretizzò l’idea di fondare un paese e chiamarlo San Cono.
Questa è una leggenda che abbiamo cercato di descrivere verosimilmente e dalla quale partiamo per delineare la figura del Santo.

(1)VITO AMICO, Dizionario topografico, Vol. I, p. 350.

(2)Tale privilegio fu dato a Madrid il 27 maggio 1662 "da imporsi sopra la Baronia di Dainammare e Santo Cono; e ciò per se, suoi eredi e successori, con la condizione di fabbricare una Terra ( cioè un paese, n. d. r.) in detto feudo nel corso di un decennio, e colla facoltà di potere trasferire il titolo sopra altro feudo popolato previo il permesso del governo". (Vedi S. MARTINO DE SPUCCHES, Storia dei feudi e dei titoli di Sicilia dalla loro origine ai nostri giorni, Palermo, 1923 Vol. III, q 325, p.150.

(3) che divenne Ferdinando I delle due Sicilie (1816- 1824).

(4) Archivio di Stato, Enna, Atti Not.Versano Luigi , Vol. 4749, p. 425.

(5) Archivio Comunale di San Cono: Del. n. 32 del 18 novembre 1862.
C’è da ricordare che il Duca Gravina di S. Michele a suo tempo si era fortemente opposto per l’erezione del paese di S. Cono (Cfr. Archivio di Stato, Catania, Fondo Trigona, Vol. 156, p.61.).

(6)Cfr. R. ZITO, San Cono: genesi e vita di un Comune, ISCRE, Catania, 1985, pp. 63-71.

(7) Nel 1865 gli amministratori furono sollecitati a scegliere un Comune vicino cui aggregarsi. Data l’esperienza negativa precedente, nessuno degli amministratori volle arrendersi a questa nuova situazione. Si cercò allora, e fortunatamente si trovò un Consigliere Provinciale, già Sindaco di Mirabella, nella persona del Dr. Domenico Garano Barbagallo che seppe, questa volta, risolvere positivamente la questione: San Cono rimase Comune indipendente. (Cfr. R. ZITO, op. cit., pp. 74-78).

(8) Il Comune si era fatto carico di finanziare ogni anno un Predicatore per il Quaresimale e per gli Esercizi al popolo. Ciò risulta da molte delibere. Nel vol. 175 del Fondo Trigona presso l’Archivio di Stato di Catania, vengono citati di anno in anno i nominativi dei Predicatori. Solo il 10/10/1888 con Del. della Giunta Municipale venne soppresso l’onorario per il Predicatore "per ragione di economia".

(9) Cfr. Del. n.34 del 10 novembre 1867.

(10) Cfr. Archivio Comunale di San Cono: Del. 9 ottobre 1859; 21 ottobre 1891. Notizie più ampie si trovano in : R. ZITO, op. cit., pp. 95ss

(11) Cfr. Archivio Comunale di San Cono: Del. n. 20 del 29 aprile 1866. Diversi anni dopo il Consiglio Comunale fece un’altra delibera con la quale "essendosi da parecchi anni trasportata nella seconda Domenica del mese di maggio la festa di questo Patrono San Cono, che allora aveva luogo nella seconda Domenica di agosto, da molti cittadini è stato chiesto il trasferimento della fiera..." trasferì detta fiera il Sabato precedente alla 2ª Domenica di maggio. (Cfr. Del. n. 5 p. 2 del 14/3/1897).

(12 ) Cfr. R. ZITO, op. Cit., pp. 58 - 63.

(13) ad opera di "alcuni capricciosi", compreso il "capriccioso" Decurionato, e di alcuni notabili di S. Michele. ( Cfr. Del. 24/2/1866 n. 2).

(14) Esistono n. 2 statue di S. Cono. Una troneggia sull’altare della Chiesetta omonima di autore ignoto e di epoca imprecisata. Molto probabilmente sarà stata acquistata in concomitanza al sorgere del paese. Infatti nel Vol. 175 del Fondo Trigona presso l’Archivio di stato di Catania, a p. 7, si trova il primo inventario degli Arredi Sacri della chiesa nel quale risulta tra l’altro: "Statua del Santo Patrono con anello e croce, brocchieri per l’appoggio della Bara del Santo Patrono e chiodi con l’impanatura per fermare detta Bara". L’altra statua, invece, di recente acquisto, viene conservata assieme alla "Vara" e ad alcune campane vecchie, nella casa privata ove solitamente si riunisce il Comitato della Festa.

(15) V. MALFA, Note antropologiche sulla festa di San Cono in Sicilia. Amministrazione Comunale di San Cono, 1990, p. 11.

(16) Ibidem, p. 38.

CAPITOLO II

(1) Notizie più dettagliate sulla città di Naso si possono trovare in:
C. INCUDINE, Naso illustrata, a cura di G. BUTTÀ, GIUFFRÈ, Milano, 1975

 

 

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