Index scritti di don Armando
Index scritti di don Armando


Discorso d'ingresso
nella parrocchia della Commenda

pronunciato da don Armando Ottoboni
il 20 ottobre 1968

Quando la sera del 19 Agosto 1950, l'immagine di Maria Pellegrina passò per Trecenta, dove da tre anni servivo come cappellano, e dove avevamo messo tutti in fervorosa animazione per una onorevole e degna accoglienza, non avrei mai osato pensare che sulla scia di quel viaggio luminoso e suscitatore di speranze cristiane, a distanza di quasi 20 anni sarei stato condotto per ritrovami qui, ancora con Lei e davanti a Lei, nel tempio, che come ebbe a dire il 1° dicembre 1957, nel discorso di inaugurazione della chiesa, l'allora patriarca di Venezia, card. Giuseppe Roncalli "segna il punto di arrivo del cammino faticoso di tutto un popolo guidato dalla assistenza materna, attraverso molte difficoltà della vita e dove un passato si arresta e un avvenire si inizia".
Faccio ancora mie le parole di papa Giovanni pronunciate in quella memorabile circostanza: "Lasciate che io mi compiaccia con voi, attonito come sono al primo entrare in questo quartiere, dinanzi allo spettacolo miracoloso di questo complesso di edifici, che la vostra pietà e generosità, saviamente sospinte dal vostro degnissimo pastore e infiammate dallo zelo del vostro parroco, hanno saputo creare".
E stato l'amore verso la Madonna che mi ha fatto vincere le remore e le perplessità nell'accettare il pesante incarico e la impegnativa successione allo zelantissimo mons. Lino Dalla Villa, del quale ogni pietra e ogni vostra anima magnificamente parlano.

All'ombra del Santuario della Madonna di Lendinara è sbocciata la mia vocazione, che sotto la sua vigile protezione si è poi sviluppata e confermata. Alla sua guida ho affidato il mio sacerdozio e la mia attività pastorale. Anche se sono stato talvolta poco generoso, Lei la Mamma non mi ha mai deluso, non è venuta meno al suo amore che mi ha sostenuto e incoraggiato. A Lei ancora affido la mia povera vita, il mio gran desiderio di volervi e di farvi del bene.
È stato pure il pensiero che papa Giovanni è passato di qui a infondermi fiducia e generosità. Mi pare che il suo spirito buono e paterno aleggi in questa chiesa, per le strade di questo quartiere.

La fontana che è stata collocata al centro della piazza antistante questo splendido tempio mi fa ricordare un'indovinata espressione giovannea, che rivela il suo inconfondibile stile e vorrei fosse sempre la mia norma: "Il sacerdote è come la fontana pubblica. Alla mia povera fontana si accostano uomini di ogni specie. La mia funzione è quella di dare acqua a tutti...". Proprio a tutti, presenti e assenti, vicini e lontani mi rivolgo per dirvi e per darvi la mia disponibilità, la mia pochezza, il mio modesto servizio.
Con il cardinale parroco Giulio Bevilacqua ripeterò: "Nessun risultato spettacolare, nessun miracolismo, poche sicurezze su linee elementari, moltissimi problemi e moltissimi dubbi. Io non appartengo alla schiera dei felici che hanno in tasca i piani di Dio sul mondo, su ciascuna anima e su ciascun problema. Professo il massimo rispetto per tutte le esperienze che sono state fatte in uno spirito e in una lettera diverse da quelle comunissime che ho fatto io. Porto l'esperienza non solo dei tentativi riusciti, che sono ben poca cosa, ma dei tentativi falliti, perché credo che questi nella vita insegnino per lo meno come i tentativi riusciti".

Provengo anch'io da una "pieve sull'argine", esco da un'esperienza particolare che mi ha impegnato per 18 anni in una parrocchia che non aveva grande 'vitalità cristiana e dove il fatto religioso era piuttosto marginale e da molti considerato superfluo. Ebbene, proprio in questo ambiente refrattario e diffidente ho scoperto la più autentica dimensione del mio sacerdozio, che, prima ancora che il Concilio deliberasse, ha dovuto esplicarsi come servizio a tutti, come disponibilità a tutto; per cui posso dire di aver da Trecenta più ricevuto che dato.
Non potrò pertanto svestirmi da questa forma che ritengo la più rispondente alle reali necessità e sentite esigenze dell'uomo d'oggi. Ho visto così nascere e formarsi lo spirito cristiano, facendo sentire lo stare insieme, come famiglia.
L'avevo sempre sognata cosi la mia parrocchia, fin dal seminario: una grande famiglia "una parola - direbbe Bernanos - che non si può pronunciare senza emozione, che dico! senza una slancio d'amore".

E qui, tra voi, ho trovato la parrocchia-famiglia. Una famiglia formata non da vincoli di sangue ma unita nel vincolo di una fraternità più alta: la carità. Perché la parrocchia non è formata dalle mura della canonica e nemmeno esclusivamente dall'edificio sia pur grandioso della chiesa annessa.

È qualche cosa di più vivo, più intimo, più umano. Questa atmosfera casalinga, di famiglia che vive unita, è quanto mai presente, qui, alla Commenda, dove - come ebbe a dire Don Lino in una sua pubblicazione -"fede sentita, senso di unità, spirito di famiglia, disposizione ad aiutare, attaccamento forte, umiltà e gentilezza invogliano al lavoro, dove ogni fatica apostolica è gradita e trova rispondenza. Perché?" si domandava il vostro amatissimo Parroco, mio predecessore e rispondeva: "Lo pensiamo e lo diciamo: la fisionomia di una casa, dove governa e domina l'amore di una mamma è inconfondibile".
Sono certo che mi troverò facilmente a mio agio, non per quello che saprò fare, ma per l'affetto, la comprensione che mi riprometto da voi.

Deve essere ben povero il sacerdote che viene a voi, se non gli riesce neppure di farvi delle promesse così che è costretto a mendicare perfin le parole che segnano la strada battuta dai santi, sulla quale egli vorrebbe camminare, se Dio gli dà una mano e voi lo compatite. A tutti i miei parrocchiani della Commenda dirò allora con san Paolo: "Ricordatevi dei vostri sacerdoti che vi hanno annunziato la parola di Dio; considerate la fedeltà con cui si sono diportati e imitate la loro fede" (Eb 13, 7). "Ecco in qual modo mi deve ognuno considerare, come un servitore di Cristo e un amministratore dei Misteri di Dio" (cf I Cor 4, 1).
Quanti siete, in questo momento sì trepido e impegnativo per me, presenti al mio sacrificio e alla offerta che di me faccio a ciascuno di voi, abbiate il saluto più caloroso e l'abbraccio fraterno.

Saluto i nostri Vescovi, nostri comuni pastori, che tanta fiducia mi hanno dato e tanto peso hanno collocato sulle mie povere spalle.
Il mio rispettoso omaggio va a tutte le Autorità cittadine.
Ai cari Confratelli e Amici delle parrocchie della Città stendo la mano perché nel lavoro, che ci mette l'uno a fianco dell'altro, procediamo sempre in salda cordata.

Ai Sacerdoti che da anni danno la loro generosa collaborazione il mio plauso e l'invito a starmi vicino.
Non voglio e non posso dimenticare l'opera provvidenziale e preziosa che sorge nel territorio della Commenda: il Centro Giovanile Don Bosco, che pur svolgendo un'attività a largo raggio, interessante la Città e la Diocesi, espande i suoi benefici anche alla nostra comunità.
Un pensiero alle umili e dinamiche Figlie di Maria Ausiliatrice, della scuola materna "Mamma Margherita", vere ausiliarie in un settore tanto delicato della Parrocchia.
Un saluto agli ammalati, ai sofferenti, ai poveri che sono i veri tesori di ogni parrocchia.

La più grande ricchezza della parrocchia sono anzitutto i suoi malati, perché il povero manca di qualche cosa al di fuori di sé, mentre il malato soffre per qualche cosa che non ha dentro di sé,ed è il valore umano più grande dopo quelli spirituali, la salute. I malati in mezzo agli altri fedeli hanno pressoché la funzione dell'altare al centro della Chiesa: offrono, soffrono, pregano e s'immolano per tutti, per gli indaffarati e i distratti, per gli assenti e gli indifferenti, per i giusti e per i peccatori. Sono essi i pagatori dei nostri debiti con Dio.
Un saluto speciale ai poveri, perché di una ben precisa categoria la umanità non potrà mai fare a meno, quella dei poveri. E ciò in forza del vangelo per il quale "i poveri li avrete sempre con voi" (Mt 26, 11).
"Ci sono i poveri? - si domanda don Primo Mazzolari - La stessa impressione - osserva il parroco di Bozzolo - di quando mi chiedono se Dio c e".
I poveri sono i figli di Dio. Tra i poveri e Dio c'è una stretta somiglianza.
Eppoi siamo tutti poveri. Se vedo me stesso non posso non vedere il povero. Se vedo Gesù non posso non vedere il povero. Ecco allora la parrocchia al servizio dei poveri. "La parrocchia senza poveri cos'è mai? - chiede ancora il Parroco della "pieve sull'argine" - Una casa senza bimbi, forse anche più triste. Purtroppo ci siamo così abituati a case senza bambini e a chiese senza poveri che abbiamo l'impressione di starci bene".
Nessuno pensi che ponendo così il problema della parrocchia si abbiano intenzioni classiste. La parrocchia a servizio dei poveri vuol dire semplicemente amare di più chi ha maggiormente bisogno di essere amato e non lasciare fuori questi o quelli dal nostro amore. L'amore colma i vuoti dell'uomo; dove c'è un vuoto più grande occorre una sovrabbondanza d'amore. Gesù, che pure ci ama, uno ad uno, senza misura, ha la predilezione dei poveri, dei bambini, dei malati, dei peccatori. Dicendo che la parrocchia è al servizio dei poveri non solo non si toglie niente a nessuno, ma si dà o si riconosce, nella comunità parrocchiale, una funzione primaria a coloro che non si credono poveri.

Mi rivolgo anche ai “lontani” per dir loro che sono qui anche per loro, che son tanto vicini al mio cuore anche se resteranno estranei. Ne ho conosciuti di questi fratelli, e spesso ci siamo ben capiti! I lontani: quelli che non credono più, che non frequentano, che sono ostili o indifferenti, atei o laicisti. I lontani: quelli che tra i fratelli sono i più bisognosi, i più indigenti; prodighi forse, da noi trascurati, non invitati; sopra tutto forse più rimproverati e meno amati. I lontani: un mistero che si perde nell'infinito disegno salvifico di Dio e si nasconde nelle profondità interiori della libertà umana. Lontani che possono essere vicini a Dio, presenti all'anima della Chiesa; vicini che possono essere lontani da Dio, assenti dall'anima della Chiesa. La carità allarga continuamente lo sguardo, conta i posti vuoti nella casa comune e pensa ai figli che non sono più suoi, pensa ai figli che non sono ancora suoi.

A voi Ragazzi e Ragazze mi rivolgo, amichevolmente, con le parole del Concilio: "Siete voi che vi accingete a ricevere la fiaccola dalle mani dei vostri maggiori e a vivere nel mondo nel momento delle più gigantesche trasformazioni della sua storia. Siete voi che, raccogliendo il meglio dell'esempio e dell'insegnamento dei vostri genitori e dei vostri maestri vi preparate a formare la società di domani... Lottate contro ogni egoismo... Siate generosi, puri, rispettosi, sinceri. E costruite nell'entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!" (Dal "Messaggio ai giovani", 8 dicembre 1965).
"La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore... Guardatela e troverete in lei il volto del Cristo, il vero eroe, umile e saggio, il profeta dell'amore e della verità, il compagno e l'amico dei giovani". "Noi siamo per la gioventù - ha detto il Papa - per la gioventù che aspira a fare del mondo una casa per tutti". La sua parola è colma di ottimismo e di speranza. E della sua parola intende farsi portavoce il vostro parroco.

È un po' complicato parlare a voi Papà e Mamme. Voi siete spesso dimenticati. Ma le mamme e i papà sono come i terrapieni che reggono le strade, come i fondamenti che stanno sotto le case. Tutti guardano questa bella Chiesa. Ma chi pensa ai fondamenti che stanno sotto? Si calpestano, si mettono sotto, e questa è la sorte dei papà e delle mamme.
Accanto a voi nell'opera sempre più difficile dell'educazione c'è il parroco. I vostri terribili tesori sono anche suoi.

A coloro che liberamente intendono stringersi accanto al parroco per consentirgli di agire in larghezza e profondità, Associati di tutti i movimenti, il saluto, l'augurio, la gratitudine.

Questa Chiesa-Santuario e questa Parrocchia sono sorte sul grande prato verde della fiera. Fino al 1860 si potevano scorgere gli avanzi di un antico ospedale, che costruito nel 1184 e dedicato a San Giovanni, passò in Commenda, in assegnazione, ai Cavalieri di Malta con i territori circostanti. Su quel lembo di Rovigo che fu terra di dolore e di solitudine ora si stende un grande velo d'amore e di fraternità. Sul luogo di tanta miseria è calata tanta misericordia. Carità e pietà si sono fuse assieme, provocando questo grande complesso di opere e la grande catena di spiriti che è la vostra e ora mia parrocchia.

Su questo binomio di amore ai fratelli e a Dio che ha caratterizzato questi primi lustri di vita comunitaria religiosa, dovrebbe continuare la storia silenziosa, faticosa, gloriosa di questo carissimo popolo della Commenda.

Ancora Papa Giovanni mi suggerisce la Parola conclusiva: "Occorre guardare il tempio e le monumentali costruzioni che lo circondano e gli fanno onore. Questa della Commenda è la "Civitas Dei", perenne richiamo di elevazione e di santa esaltazione verso l'esercizio delle opere di misericordia, le quali sono la più preziosa formulazione della "religio immaculata", che è, a sua volta, il più perfetto ornamento della verace civiltà, che da Cristo prende nome e splendore. Questo tempio nuovo, questo mirabile complesso di costruzioni adiacenti, sono un invito a tenervi sempre vigili e pronti al compimento del vostro dovere cristiano".
Queste sante e profetiche parole del Papa buono, che ha inaugurato una nuova era nella storia della Chiesa, voi le avete amabilmente accolte e fedelmente realizzate. Aiutate me ad esserne degno!
Che pure io le viva con voi e per voi!

don Armando Ottoboni