L´Islam è la seconda religione in Italia. Ma come ci poniamo di fronte
ai musulmani? Quali sono gli aspetti comuni e le differenze con i
cristiani?
di don Pietro Rattin (biblista
trentino)
Che si tratti della fine di Ramadàn, o di qualsiasi altra ricorrenza del
calendario islamico, ogni occasione è propizia alla seconda religione
maggioritaria in Italia per avanzare richieste o rivendicare il
riconoscimento di particolari diritti. L´opinione pubblica, superato il
primo momento di sconcerto, si schiera: chi a favore (non raramente in
modo alquanto irenistico e irresponsabile), chi contro (sovente con
motivazioni più apparentate al pregiudizio che alla riflessione
equilibrata e lungimirante).
Lo Stato, disponibile a un riconoscimento giuridico per la comunità
musulmana in Italia, ha preferito accantonare ipotesi
d´"intesa" e optare per una più generica legge sulla "libertà
religiosa".
Cautela e prudenza si impongono, infatti, per almeno due buoni motivi.
Un arcipelago molto frastagliato
Primo, la situazione di "arcipelago" tipica dell´Islàm in Italia (ma
anche in altri Paesi Europei): tra i fedeli musulmani presenti nel
nostro Paese, appartenenti per la maggioranza al mondo sunnita,
prevalgono attualmente i magrebini (43%), seguiti dagli albanesi (20%),
senegalesi e mediorientali (10,8%), estremo-orientali (7%); per non dire
delle differenze socio-religiose che coinvolgono questo arcipelago in
modo trasversale, sia nelle credenze (strettamente osservanti: 49%,
parzialmente secolarizzati: 23%, critici-non praticanti: 7%), sia nelle
pratiche (cultura e sistema giuridico degli albanesi, ad esempio, sono
agli antipodi delle norme e credenze dei magrebini).
Quale organismo unitario potrebbe, allo stato attuale, rappresentare una
tale complessità? Le associazioni che raggruppano maggior numero di
aderenti sono attualmente l´Unione delle Comunità e delle Organizzazioni
Islamiche in Italia (UCOI, a dirigenza fondamentalista
neo-tradizionalista, che rappresenta in sostanza gli immigrati che
frequentano le moschee), la Lega Musulmana Mondiale (che controlla la
moschea di Roma), l´Associazione Musulmani d´Italia (AMI), la Comunità
Religiosa Islamica Italiana (COREIS).
L´altro buon motivo di cautela è offerto dall´esperienza già realizzata
in altri Paesi Europei: Francia, Spagna, Austria, Belgio. Non di rado
l´avventatezza nell´individuare un interlocutore unico ha avuto quale
effetto l´emergere di soggetti islamici che non accettavano i patti
stipulati.
Anche perché quell´unico interlocutore, sovente portavoce dell´Islàm
delle moschee, rappresenta una minoranza (15%) le cui attese sono spesso
ben diverse da quelle della maggioranza dei musulmani in Europa.
Strategia migliore, per l´esperienza di questi Paesi, sembra quella di
favorire il sorgere di commissioni consultive, che siano espressione di
una sensibilità musulmana differenziata, piuttosto che contare su
rappresentanze perennemente conflittuali al proprio interno.
Non sono pochi gli elementi che, proprio nell´ottica dell´integrazione e
della futura convivenza civile, fanno toccare con mano la diversità
della cultura occidentale rispetto a quella musulmana; si pensi, ad
esempio, al vasto settore del diritto di famiglia… L´opinione pubblica,
tuttavia, sembra prestare attenzione più accalorata a rivendicazioni che
vanno aldilà di quest´ambito (probabilmente perché paiono intaccare più
direttamente l´anima della cultura occidentale). Vediamone qualcuna.
L´insegnamento dell´islam a scuola
In sede locale, ha suscitato sconcerto la richiesta del responsabile
della Comunità musulmana di introdurre l´insegnamento della religione
islamica nella scuola pubblica.
A onor del vero, va detto che tale richiesta era già stata inserita
nella bozza d´intesa presentata allo Stato da parte di due delle già
menzionate associazioni islamiche esistenti in Italia: A.M.I e Co.Re.Is.
Che la legge italiana, al momento attuale, non consenta l´accoglimento
di una richiesta di tal genere è un dato di fatto che solo in apparenza
fa problema: si sa benissimo, anche da recenti cronache parlamentari,
che certe leggi possono senz´altro essere modificate. Non solo, anche a
prescindere da eventuali modifiche di legge, è noto che l´elasticità del
sistema scolastico consente ai genitori dei ragazzi musulmani di
chiedere, al Consiglio di Circolo o d´Istituto, d´inserire tra le
attività complementari lo studio del fatto religioso, oppure di tutelare
la lingua e la cultura d´origine mediante l´istituzione d´appositi corsi
(L.286/1998, Testo unico dell´istruzione religiosa, art. 38).
La questione da dibattere è un´altra, e va riconosciuta: è o non è
accettabile un´ipotesi di questo genere? Per quali motivi? In un´ottica
democratica, a minoranze appartenenti a religione diversa, va
riconosciuta o rifiutata la legittimità di una tale richiesta?
Occorre valutarla nel suo significato e nel suo contesto. Quanto al
significato, occorre darne atto: così com´è stata formulata dall´imam di
Trento, dimostra e sottintende se non altro una notevole disponibilità
ad accettare e valorizzare le pubbliche istituzioni, nonché il confronto
culturale che la scuola rappresenta. Il che risalta ancor più se si
guarda al contesto (italiano, appunto): la maggioranza, per non dire la
totalità, degli imam "immigrati" in Italia, rifiuta di cimentarsi con
rivendicazioni che implicano confronto di culture.
Un eventuale diniego, quantunque sopportato da motivazioni serie (che
non siano semplici pregiudizi) dovrà in ogni caso fare i conti con
prospettive future: si voglia o non si voglia, la presenza dei musulmani
tra noi andrà crescendo e, a meno che non si scelga di relegarli
perennemente a cittadini di serie B, sarà giocoforza consentire loro i
canali e gli strumenti in grado di salvaguardare e coltivare la loro
identità religiosa e culturale.
L´ipotesi alternativa a un´offerta dell´insegnamento islamico nella
scuola pubblica potrebbe essere quella di una sua collocazione nell´ambito
di istituzioni private (ipotesi vista inizialmente con favore dalle
Comunità islamiche d´Italia, ma poi accantonata a causa degli alti costi
che avrebbe comportato).
È da credere tuttavia che - visto come vanno le cose in fatto di
politiche scolastiche - non passerà molto tempo che anche i musulmani
potranno disporre di istituti scolastici privati. Ma occorre domandarsi
con tutta franchezza: quale integrazione potrà favorire una tale
soluzione? quale confronto interculturale? o non sarà piuttosto un
contributo ulteriore a una pericolosa ghettizzazione? Chi potrà fare da
arbitro super partes in una tale situazione, e vigilare contro ogni
possibile focolaio di fondamentalismi?
Simboli religiosi? Vanno accostati
È un altro aspetto del confronto culturale che suscita talora aspre
polemiche. È più che ovvio che la furia negatrice di un Adel Smith, tesa
ad eliminare dai luoghi pubblici i simboli cristiani, non riscuota alcun
plauso da parte di molta gente di buon senso (cristiani o musulmani che
siano). Non ne riscuote nemmeno la frettolosa disponibilità di certi
progressisti ad accantonare per amor di pace qualsiasi simbolo
religioso. Né è condivisibile la furia di quei tali che vorrebbero
riportarli ovunque "a furor di popolo" (era l´espressione che ricorreva
in una ben nota trasmissione radiofonica sull´argomento: dalla storia
risulta che l´unico "furor di popolo" nella faccenda del Crocifisso
fosse prerogativa dei crocifissori, non dei devoti del Crocifisso!).
Ben venga il confronto su una tale questione, se avrà l´effetto di
coscientizzare chi si professa cristiano, sul cumulo di significati
esigenti e compromettenti che il Crocifisso incarna e rappresenta. Ma le
battaglie e le crociate, no: non si addicono a chi venera il crocifisso;
sarebbe come andare in guerra recando in mano un ramo d´ulivo, o una
colomba, al posto del mitra: patetici si sarebbe (oltre che ridicoli).
Il magistrato Michele di Schiena scriveva su «Avvenire» (se pure a prezzo
di scandalo per molti suoi lettori): «Perché questi crociati dell´ultima
ora non scendono in piazza e non protestano quando il Crocifisso viene
ferito e tormentato sul tragico legno della storia contemporanea, con i
chiodi delle politiche che affamano milioni di uomini e delle guerre
"infinite" che devastano e uccidono?».
È più ragionevole che, nei luoghi pubblici, ogni religione (se
rappresentata nella popolazione che vi accede) trovi espressione
simbolica appropriata, senza alcuna pretesa di esclusivismo.
I simboli religiosi si devono accostare, non elidere a vicenda. Che
questo significhi cedere al relativismo, è cosa che solo certi agnostici
possono pensare (coloro per i quali "le religioni sono tutte eguali"),
oppure quei credenti che si illudono di avere il monopolio del
Trascendente e di doverlo ad ogni costo difendere (cristiani o musulmani
che siano).
In realtà, l´accostamento pacifico dei simboli delle grandi religioni
potrebbe costituire un forte segnale educativo, un vero richiamo a quel
cammino di pace per il quale ognuna di esse ha qualcosa da dire e molto
da condividere con le altre.
Le moschee? Fanno politica
Quella di un´eventuale moschea è tra le rivendicazioni che suscitano
maggiori polemiche. Stranamente, tuttavia (ed è un´ulteriore riprova
della superficialità con cui si interloquisce), finiscono col coagularsi
quasi tutte su un terreno… finanziario («Vogliono la moschea? Se la
costruiscano con i loro soldi… non con quelli dell´Ente pubblico!»).
Ebbene, non è affatto questa l´angolatura esatta da cui affrontare la
questione (non si dimentichi che quello dei finanziamenti da reperire è
un problema solo relativo: la grande Moschea di Roma, infatti, è stata
realizzata a spese dell´Arabia Saudita!). Sono piuttosto d´altro genere
le considerazioni da fare e tutte inducono ad affrontare l´argomento con
serietà e cautela.
Le moschee vere e proprie in Italia sono soltanto quattro (salvo
errore): Roma, Milano, Catania e Palermo. Tutte le altre (più di 200)
sono delle semplici sale adibite per la preghiera. «La moschea - scrive
il gesuita Khalil Samir - non è assimilabile ad una chiesa cristiana, ma
rappresenta qualcosa di completamente e radicalmente diverso… È il luogo
dove la comunità si raduna per affrontare tutto ciò che la riguarda…
Considerarla un luogo di culto è sbagliato e limitativo». «L´Islàm delle
moschee (esordisce Tino Negri sulla rivista "Il Dialogo - al biwàr") è,
salvo eccezioni, di matrice salafita (parola che deriva da salaf e
indica i "pii antenati"). La storia contemporanea dimostra che il
salafismo è la matrice del fondamentalismo e del radicalismo armato,
senza evidentemente identificarli tout-court. Nei paesi islamici la
moschea (jami´a) è un complesso di edifici che comprende un ampio luogo
di culto e di raduno dove un imam è autorizzato a tenere il sermone del
venerdì, di carattere sempre morale e politico. Nelle jami´a statali
predica l´ideologia politica del sovrano, in quelle libere non è raro
che si esprima la voce del contestatore politico. Sarà superfluo
ricordare che tutti i movimenti islamici violenti sono nati e si sono
alimentati spiritualmente in moschea? Chi di noi italiani condivide oggi
una tale visione del culto?».
È accaduto anche in città italiane che musulmani abbiano disertato il
culto del venerdì per non dover sorbire sermoni di carattere prettamente
politico…
Sono considerazioni, queste, che non faranno piacere a molti nostri
interlocutori musulmani, ma il vero confronto, serio e rispettoso, esige
di chiamare "pane il pane e vino il vino".
Nulla da eccepire sul diritto e sulla necessità di reperire sedi
appropriate o più capienti per la preghiera, ma per quanto riguarda le
moschee vere e proprie ci sia consentito esprimere cautela e attendere
maggiore chiarezza.
Passi avanti
da parte nostra
Passo avanti è uno sforzo di "liberazione mentale", anzitutto. Va
riconosciuto che, almeno in buona parte, siamo ancora prigionieri di
stereotipi ideologici, o di schieramenti limitanti. Quegli stessi che,
all´occorrenza, portano a disquisizioni eloquenti e circostanziate, ma
la radice quadrata delle quali è più o meno la seguente: "Sono di
destra, quindi: rifiuto" / "Sono di sinistra, pertanto: apertura". Di
fronte alle reali novità, gli stereotipi servono ben poco, anzi, sono
delle autentiche palle al piede.
Liberazione è necessaria anche da certo retaggio culturale del passato
che, a quanto pare, continua a dominare nel populismo di certi promotori
d´opinione: alludo a quella visuale "caricaturale" dell´Islàm che in
Occidente ha imperversato fin dal Medio Evo. Islàm quale religione di
beduini incolti e selvaggi… povera di valori, incapace di promuovere
cultura e progresso, tendenzialmente priva di autentica spiritualità…
Solo chi ha fatto un´esplicita scelta d´ignoranza può permettersi di
condividere e riproporre visuali di tal genere al giorno d´oggi.
Un terzo legame da infrangere è quello di un pregiudizio, relativamente
giovane e recente, avallato dai drammatici eventi di questi ultimi anni,
quali le stragi operate dal terrorismo e le guerre che presumono di
sradicarlo a livello globale. Un certo modo d´informare (o di non
informare) l´opinione pubblica, una marcata insistenza su certi fatti
più che su certi altri, hanno favorito l´idea del
Bene-tutto-da-una-parte e del Male-tutto-dall´altra. È incredibile
quanto facilmente si possano modificare i parametri etici delle masse,
per convogliarle a pensarla in un certo modo! Eppure non vi è confronto
senza un retroterra di libertà, che è anche capacità di stanziamento, di
critica (e autocritica).
A quest´opera (che è di demolizione in un certo senso), deve seguire uno
sforzo di costruzione: ci è necessario forgiare strumenti che siano
adeguati per il confronto, e perché il dialogo che ne consegue sia
equilibrato e vantaggioso per ambedue gli interlocutori. Tali strumenti
mi pare che possano e debbano essere i seguenti.
Cognizione di causa, anzitutto. In altre parole: occorre conoscere
l´interlocutore, che è il fenomeno Islàm nella sua globalità. La storia
studiata sui libri di scuola non ci ha informati granché al riguardo. È
probabile che d´ora in poi avremo altri stimoli per approfondire quel
variegato e complesso campo di rapporti che sono intercorsi tra
Occidente e Islàm a partire dall´8° secolo in poi. Rapporti che,
conoscendoli, e proprio per la loro complessità, potranno renderci più
cauti nei nostri giudizi. (Quanti, ad esempio, tra gli entusiasti della
modernità dell´Occidente, sono a conoscenza degli apporti, filosofici e
scientifici d´ogni genere, pervenuti a noi dal mondo Arabo, ben prima
che iniziasse la nostra epoca moderna?). L´ignoranza della storia porta
inevitabilmente ad assolutizzare la propria cultura di appartenenza (del
presente, appunto) e, di conseguenza, a pronunciare giudizi quantomeno
parziali e inaffidabili.
Aspetti comuni
e differenze
Cognizione di causa significa anche accostamento al fenomeno Islàm per
conoscerne i valori e i contenuti più squisitamente religiosi. Il
Concilio Vaticano II, a suo tempo, ne ha preso atto con tutto rispetto e
ne ha fornito un elenco interessante (Dichiarazione NOSTRA AETATE, 3).
Soprattutto per chi ragiona dalla prospettiva dell´appartenenza
cristiana, si tratterà di prendere coscienza degli aspetti comuni
anzitutto ("prima ciò che unisce" soleva dire Papa Giovanni), e poi -
senza reticenze o irenismi - delle differenze, che non sono né poche né
irrilevanti. Perché "il dialogo non è ricerca di un´unità impossibile,
ma confronto, aiuto reciproco ad essere credenti, ciascuno nella propria
religione. Dialogo è aiuto a purificarci dagli elementi spuri, che non
c´entrano con la religione. Dialogo è cammino verso l´Assoluto che ci
trascende tutti" (G.Dal Ferro). Un dialogo che, in ogni caso (ed è
quello che insegnano le Chiese abituate a convivere con maggioranze
islamiche) dovrà svolgersi nella vita, condivisa e vissuta fianco a
fianco, più che sul fronte delle rispettive teologie.
Anche la pretesa di ogni religione ad essere l´unica e definitiva via di
salvezza, richiede strumenti per essere capita in modo nuovo, senza
venire perciò stesso tradita: se sul piano della logica puramente
razionale è semplicemente assurdo e insostenibile che possano esistere
molteplici "uniche vie giuste", sull´orizzonte del Trascendente una tale
visuale trova tutta la sua legittimazione. Perché l´Assoluto (sia che lo
si chiami Dio, oppure Allàh) è tutt´altro che una località turistica da
raggiungere o un obiettivo da conquistare: è il Trascendente che tutti
attrae senza diventare monopolio di nessuno. La certezza, da parte di
ogni credente, di essere su "l´unica strada giusta", va coniugata con la
disponibilità a che l´altro, la cui Fede è diversa, possa dire la stessa
cosa: ecco il modo umano - povero, forse, ma sincero - di rendere
ragione e testimonianza dell´inesauribile trascendenza dell´Assoluto.
Strumento adeguato per un positivo confronto potrà essere anche un
utilizzo più politico e più globale del criterio di reciprocità: è
decisamente poco serio, oltre che sterile, motivare i dinieghi a
rivendicazioni dei musulmani che sono tra noi con la scusa che "quando
si potranno costruire le chiese in Arabia saudita…allora permetteremo
l´erezione di moschee nei nostri Paesi occidentali". È ad altri livelli,
piuttosto, che occorre urgere per l´attuazione del criterio di
reciprocità: tocca ai responsabili della Politica, spetta all´Unione
europea quantomeno, farsi responsabili e promotori di diritti umani
delle minoranze nei Paesi islamici, dando a una tale sensibilità piena
cittadinanza in quel fascio di rapporti internazionali che, altrimenti,
si ridurrebbero a contenuti esclusivamente… mercantili.
Passi avanti
dai musulmani
È fin troppo facile pretendere cambiamenti dagli altri, ma è fuori
dubbio che un passo avanti lo debbano e lo possano fare anche i nostri
interlocutori. Quello sforzo di "liberazione mentale" di cui si diceva,
probabilmente spetta anche ai musulmani oltre che a noi.
Una liberazione come presa di coscienza, anzitutto, sul fatto che se è
vero che Allàh ha creato l´Islàm, sono gli uomini ad aver prodotto
l´Islamismo. In altri termini: la disponibilità a riconoscere nella
propria cultura la presenza d´incrostazioni e di prassi comportamentali
che sono opera degli uomini, più che espressione della rivelazione
originaria del Corano; disponibilità ad accettare che, se dagli uomini
sono state aggiunte, dagli uomini possano essere rivedute e corrette.
La "liberazione mentale" riguarda anche un certo modo d´intendere i
rapporti tra la dimensione religiosa e la sfera pubblica: la storia
stessa dell´Islàm attesta che tale rapporto non necessariamente dev´essere
di coincidenza, o di prevaricazione della prima sulla seconda (come
pretendono i fondamentalisti), e che le epoche più feconde (sia per la
convivenza, come per la produzione culturale) sono quelle nelle quali
tale rapporto è gestito con maggiore equilibrio. Se certe
interpretazioni "moderniste" della shar´ia, in ambito islamico sono
percepite troppo sovente come eresie, in ambito europeo è ora di
domandarsi - e proprio da parte dei musulmani - se non vadano prese in
seria considerazione.
Vi sono, da parte occidentale, pregiudiziali difficili da superare; in
parte perché si tratta di stereotipi dai quali è faticoso prescindere,
in parte perché le riprove che offre il mondo islamico continua ad
accreditarle. Si pensi al ruolo della donna, ad esempio, o a certo
"diritto familiare" che a noi appare lesivo della sua dignità.
Prassi come quella del ripudio unilaterale, dell´impedimento
matrimoniale tra donna musulmana e marito non musulmano, o della stessa
poligamia, appaiono totalmente inconciliabili con i valori etici dai
quali scaturisce il nostro "diritto di famiglia".
Sappiamo peraltro che anche nei Paesi islamici si levano voci critiche a
tale riguardo (dall´ambito femminile, ma non solo), e non crediamo
affatto che coloro che le fanno risuonare siano meno credenti di altri.
Quanto al fatto che tali prassi siano legittimate come concessioni dalla
stessa rivelazione coranica, probabilmente non è un buon motivo per
giustificare la loro intangibilità: le rivelazioni autentiche, infatti,
non hanno lo scopo di avallare l´esistente, quanto quello di provocare a
cambiare in meglio. È un settore nel quale, da parte dei musulmani che
sono tra noi, gradiremmo sentire prese di posizione più esplicite e
vedere atteggiamenti davvero più autocritici e innovativi.
Esattamente come nel campo del cambiamento o del passaggio da una Fede
ad un´altra, «non ci sentiamo defraudati quando, con tutta tranquillità e
fierezza, un cittadino italiano proclama la sua conversione all´Islàm,
ma siamo defraudati, persino a casa nostra, perché la stessa
tranquillità è negata ai musulmani che cambiano religione» (T.Negri).
Mal sopportiamo che paesi quali l´Arabia Saudita, il Pakistan, l´Iran,
il Sudan, continuino ad applicare la pena di morte in tali casi, e che
gli altri Paesi islamici condannino quantomeno alla carcerazione…
Non ci basta sentir dire che "da noi non sarà così": nel caso di Nura,
donna maghrebina convertita al cristianesimo, che chiede rassicurazioni
in tal senso (vedi Corriere della Sera, 3 settembre 2003), nessun imam
italiano è intervenuto a prendere posizione, a quanto pare.
Sappiamo che il Corano afferma: "Non c´è costrizione nella religione. La
retta via si distingue dall´errore" (2,256); e ancora: "Se Allah avesse
voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Vi ha voluto però
provare con quel che vi ha dato. Gareggiate in opere buone" (5,48).
Vorremmo che i musulmani che sono tra noi si liberassero da certe
interpretazioni restrittive della loro rivelazione, e preferissero
evocare questi riferimenti, parziali sì, ma importanti.
Gradiremmo, infine, assistere a più decise ed esplicite prese di
posizione, frequenti quanto le loro rivendicazioni, su quei casi di
misconoscimento dei diritti umani che vedono come destinatari-vittime le
minoranze cristiane di non pochi Paesi islamici. Siamo a conoscenza di
persecuzioni e di vessazioni nei loro confronti, perpetrate (senz´altro
da fondamentalisti, ma anche da poteri statali) in Sudan, nell´alto
Egitto, in Pakistan, in Indonesia, in Arabia Saudita. È una realtà che,
da parte dei musulmani che sono tra noi, attende di essere riconosciuta
e condannata. «Saperlo fare, affermando la propria lealtà alla legalità
degli Stati in cui si vive, è il primo passo per mostrare la volontà di
un dialogo e di una convivenza tra culture diverse»
Alma, Lila
e il loro velo
Certo, non è né corto né facile il passo che dovranno compiere (anche
perché le esemplificazioni sin qui fatte sono tutt´altro che complete).
Attenzione però: non è da vedere in tutto ciò una mera strategia, o un
pedaggio da pagare, ai fini di un´integrazione nella società
occidentale. La posta in gioco ha un valore molto più elevato, ci pare,
perché si tratta anzitutto di un´inedita opportunità, sia per
l´Occidente sia per l´Islam: quella di "inventare" una laicità, nuova
per l´Islam e, per l´Occidente, più matura e più equilibrata di quella
sperimentata finora. Se l´Occidente infatti ha rischiato, e rischia
tuttora, una laicità fin troppo "emancipata" da riferimenti religiosi
(salvo poi a dover fare i conti con un patrimonio etico che è
discutibile risultato di sondaggi d´opinione), l´Islam ha sperimentato
l´estremo opposto: un´interferenza indebita della componente religiosa,
che avvilisce l´uomo, perché lo esime dalla responsabilità di pensare e
di confrontarsi con i suoi simili. Ebbene, è ora di "inventare" una
laicità più equilibrata: per il futuro di tutti.
Alma e Lila sono due ragazze musulmane la cui iniziativa, alcuni mesi or
sono, ha messo a rumore la Francia. Studentesse in un liceo di Parigi,
un giorno si presentano a scuola indossando il velo. Polemiche e prese
di posizione a non finire. I genitori, pur non condividendo la scelta
delle figlie, le difendono. La nonna commenta: «Nel vuoto di valori che
caratterizza la società, Alma e Lila si sono rifugiate nella religione
più visibile».
Ecco la posta in gioco che richiede coraggiosi passi avanti da parte di
ogni interlocutore, cristiano o musulmano che sia: il vuoto di valori,
cui le religioni devono potersi contrapporre con proposte non marginali
ma essenziali. Se non vogliono finire esse stesse fagocitate, proprio da
quel vuoto.
don Piero Rattin - Trento
LETTERA
A RADIO MARIA DI UNA DONNA SPOSATA CON UN MUSULMANO
Caro P. Livio,
..... Sono cristiana
sposata in chiesa con un musulmano che milita nei “fratelli
musulmani”. Tra di noi c’è affetto, anche se lui ha cercato troppe
volte e con insistenza di farmi aderire all’islam, perché non vuole che
finisca all’inferno. Discussioni a non finire sulla religione.
Impossibile il dialogo! Troppa sofferenza nella mia vita per la diversità
di fede e cultura.
Più
approfondisco lo studio e la conoscenza dell’islam, più si fa roccia la
mia fede in Gesù, Figlio di Dio e cresce il mio immenso grazie a Dio per
il dono del battesimo! Mio marito ha imposto al figlio l’islam. Lo
minaccia che se non segue la sua religione, non è suo figlio. Ma lui non
pratica. Finge, e vive il dramma dei genitori con due fedi diverse. E
intanto né studia, né lavora. È dipendente da internet e dai
videogiochi. Un vero tormento quotidiano per me.
Da quando è nato prego con gemiti, lacrime, suppliche, pellegrinaggi,
per la salvezza eterna delle nostre anime: di noi tre. Mi rifugio nella
tenerezza e nella misericordia infinita del Padre nostro, e cerco di
andare avanti come un piccolo niente nelle sue mani. E a volte mi scopro a
gridare con il cuore: «Oh Dio, mio Papà, anche se mi uccidesse il
dolore, io credo al tuo amore per noi tre, e so che ci salverai! Ma
quando? Ecco, questo non si sa. Ma Lui già opera!
Prego, soffro,
grido, amo! Poi mi rifugio sotto il manto della Regina della Pace. Sto
aggrappata a Lei, Madre e Regina di casa mia. Persona viva, amica, mia
luce, mia speranza, mio paradiso! Lei è la tutta bella! Lei è la mia
stella!
Gli anni
avanzano. Tengo gli occhi puntati al cielo. Bramo il volto di Dio,
la Trinità Santissima
, la vita eterna! Ma ciò non toglie le difficoltà del presente.
È un tempo difficile in cui mi chiedo perché ho sposato un musulmano.
Lo amavo e non ho pensato ad altro. Si, più conosco l’islam, più
vorrei gridare al mondo intero che
il cristianesimo è l'unica religione vera. Poi mi trovo impotente in casa mia a farlo capire. Sembra un fallimento
la mia vita! Ma chissà, forse Dio, quando lo vorrà Lui, farà
germogliare qualcosa di bello: acqua zampillante di grazia nel cuore di
mio figlio e mio marito, che amo e voglio felici per l’eternità.
...
Una sua
ascoltatrice…
PER
CONCLUDERE
Sono vivamente
sconsigliate le unioni matrimoniali di cristiani con musulmani. Infatti le
difficoltà a cui si va incontro sono veramente notevoli.
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