1 incontro di catechesi parrocchiale

 Altiora principia

I GRANDI PRINCIPI DELLA RIFORMA LITURGICA

20 novembre 2006

 Juan Javier Flores, osb

Preside del Pontificio Istituto Liturgico S. Anselmo

Roma

 

            Un’antica leggenda sulle origini del cristianesimo in Russia narra che al Principe Vladimiro di Kiev, che era alla ricerca della vera religione per il suo popolo, si erano presentati l’uno dopo l’altro i rappresentanti dell’Islam provenienti dalla Bulgaria, i rappresentanti del giudaismo e gli invitati del Papa provenienti dalla Germania, che li proponevano ciascuno la loro fede come quella giusta e la migliore di tutte.

Il principe sarebbe però rimasto insoddisfatto di tutte queste proposte.

La decisione sarebbe invece maturata quando i suoi inviati ritornarono da una solenne liturgia, alla quale avevano preso parte nella Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli: “E giungemmo presso i Greci e siamo stati condotti laddove essi celebrano la liturgia per il loro Dio. Non sappiamo se siamo stati in cielo o sulla terra...abbiamo sperimentato che là Dio abita fra gli uomini”.

            Si tratta di una legenda che porta in sé anche un profondo nucleo di verità. Infatti la forza interiore della liturgia ha avuto senza dubbio un ruolo essenziale nella diffusione del cristianesimo.

 Ciò che convinse gli invitati del principe russo della verità della fede celebrata nella liturgia ortodossa, non fu una specie di argomentazione missionaria, ciò che li colpì fu invece il mistero come tale, che proprio andando al di là della discussione fece brillare alla ragione la potenza della verità.

 

Parliamo della bellezza della liturgia. Parliamo della riforma della liturgia. Parliamo quindi della nostra, la vostra liturgia, cioè della liturgia della Chiesa.

 

Quando nel 1959, Giovanni XXIII annunció  il Concilio, non era, certamente, nei Suoi pensieri di trattare il tema liturgico. Tuttavia, tra le prime inchieste e tra le 9.384 proposte, ben 1.855 - ossia circa il 20% - si riferivano alla Liturgia, un segnale inequivo­cabile che esisteva desiderio di rinnovamento. Il gran numero di risposte pervenute alla Segreteria generale della Commissione antepreparatoria era da leggersi come segno dell’interessamento per i temi liturgici diffuso fra i futuri Padri conciliari.

            Nel Motu proprio Rubricarum instructum del 25 luglio 1960 diceva Giovanni XXIII: “dopo aver esaminato per molto tempo la faccenda, l’assunto, abbiamo deciso che nel concilio ecumenico si debbono proporre i grandi principi altiora principia per una riforma liturgica generale”.

 

I GRANDI PRINCIPI DELLA RIFORMA LITURGICA

 

Per la prima volta nella storia della chiesa un concilio ecumenico avrebbe affrontato collegialmente il tema liturgico in generale.

 

Vorrei esaminare questi altiora principia che possiamo dividere in due gruppi:

 

 

Principi orientativi

Principi operativi

 

I principi orientativi sono sei:

 

1.      La liturgia, esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo.

2.      La liturgia, culmine e sorgente della vita della Chiesa.

3.      La partecipazione nella liturgia

4.      La liturgia è la manifestazione della chiesa

5.      Unità sostanziale e non rigida uniformità

6.      Sana tradizione e legittima progressione

 

I principi operativi sono cinque:

 

1.      La lingua della liturgia

2.      La Parola di Dio

3.      Catechesi-Mistagogia

4.      Il canto: «Non cantate durante la Messa,  ma cantate la Messa. Non cantate durante la Messa, ma pregate la Messa» Pio X, Tra le sollecitudini

5.      La riforma liturgica

 

           

1.- La liturgia, esercizio del sacerdozio di Gesu Cristo. La liturgia, culmine e sorgente della vita della Chiesa. La liturgia è per tutti; è la preghiera non di alcune persone ma la preghiera della Chiesa; essa è il campo più largo dell’esperienza religiosa delle anime cattoliche.

·                     Definizioni da respingere (anteriori al Vaticano II)

 

-La liturgia come parte esterna e sensibile del culto cristiano

-La liturgia come la somma delle norme con le quali l’autorità della Chiesa regolava la celebrazione del culto e delle cerimonie.

·                     Definizione di liturgia del Concilio Vaticano II

Sacrosanctum Concilium 7: Giustamente perciò la liturgia è considerata come l'esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell'uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado».

Infatti, Gesù Cristo, come sommo sacerdote, per mezzo della sua parola e dei Sacramenti, continua ad essere in mezzo agli uomini che formano la sua Chiesa.

Seguendo il n. 7, arriviamo a quella che potremmo considerare una definizione di liturgia. Non è stata intenzione della Costituzione dirimere la questione discussa tra i liturgisti circa la definizione tecnica, strettamente detta, della liturgia. Si accontenta, solo, di darne una descrizione: la liturgia è quel modo di esercizio del sacerdozio di Cristo nel quale, per mezzo dei segni sensibili, viene significata e, in modo ad ognuno di essi proprio, viene realizzata la santificazione dell'uomo e viene esercitato dal Corpo mistico di Cristo, capo e membra, il culto pubblico integrale.  Una casa è da notare in questa nozione:

Si vede il fatto che la liturgia, in quanto strutturata in un complesso di segni, si riferisce non solo al culto che rende a Dio, ma anche alla santificazione che Dio, per mezzo di Cristo, opera nell'uomo. Il doppio movimento che avviene nella liturgia, quello di discesa di Dio, verso l'uomo, per santificarlo e quello di ascesa dell'uomo, verso Dio, per rendergli il suo culto, sono, indissolubilmente, uniti nella stessa nozione.

 

 

2.- La liturgia, culmine e sorgente della vita della Chiesa

 

La Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia è stato il primo documento, frutto del Concilio, auspicato da Giovanni XXIII, approvato dai padri conciliari e promulgato da Paolo VI il 4 dicembre 1963 a conclusione dei lavori della seconda sessione conciliare. In quell’occasione il nostro amato predecessore proponeva una scala di valori e doveri riguardanti la vita liturgica della Chiesa. Egli   sottolineava come la liturgia fosse la prima fonte della vita a noi comunicata; prima scuola della nostra vita spirituale, dalla quale ogni cristiano deve attingere e trarre profitto per la propria crescita nella via della santità; primo dono che noi possiamo fare al popolo cristiano, aiutandolo ad entrare in maniera più profonda all’interno del mistero celebrato. Da ciò scaturisce un  accorato «invito al mondo perché sciolga in preghiera beata e verace la muta sua lingua e senta l’ineffabile potenza rigeneratrice del cantare con noi le lodi divine e le speranze umane, per Cristo Signore e nello Spirito Santo» (Paolo VI, Discorso alla termine della seconda sessione del Concilio, 4 dicembre 1963). Da queste parole si intravede quella che si presentava come una delle preoccupazioni maggiori del Concilio: «incrementare ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli; di meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti; di favorire ciò che può contribuire all’unione di tutti i credenti in Cristo; di rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa» (SC 1).

 

3.- La partecipazione nella liturgia

 

            Non c’è nessun dubbio che il Motu proprio Tra le sollecitudini del Papa Pío X, con la festa  del 22 de novembre de 1903, fu un un punto de partenza nella questione della la partecipazione liturgica.  Sentiamo le parole del Papa: «Essendo Nostro vivissimo desiderio che il vero spirito cristiano rifiorisca per ogni modo e si mantenga nei fedeli tutti, è necessario provvedere prima di ogni altra cosa alla santità e dignità del tempio, dove appunto i fedeli si radunano per attingere tale spirito dalla sua prima e indispensabile fonte, che è la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa». Adesso leggiamo sacrosanctum Concilium nº 14.

 

 

 

La liturgia è la manifestazione della chiesa

           

La prima e inderogabile componente della Liturgia è questa azione cultuale della Chiesa, nella sua complessa realtá di “Corpo di Cristo”.  A tale riguardo, Marsili afferma solennemente: «La Chiesa è liturgica per intima costituzione». Questo concetto viene proposto anche da SC 2 e SC 26 dove si presenta, appunto, la Liturgia come rivelatrice della vera natura della Chiesa.  Adesso si capisce meglio SC 10: La liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tuttaa la sua virtù.

Fons è il termine classico per proporre e designare, l’influenza dell’Eucaristia nella vita della Chiesa. Tale pensiero si trova anche nel Catechismo di Trento, nel Motu Proprio Tra le sollecitudini e nella Mediator Dei. Ma adesso è tutta la liturgia, il cui centro è l’Eucaristia, che viene presentata come la sorgente della vita della Chiesa.

Culmen, è il termine che indica anche la liturgia come culmine, benché questa parola non sembra sia stata adoperata prima del Vaticano II. Dal momento, però, che la liturgia è stata considerata l’attività della Chiesa nella prospettiva della economia salutis, si può dire che essa è veramente il culmine di tutta l’azione della Chiesa stessa.

La missione data agli Apostoli, dopo la risurrezione, ci fa capire la liturgia anche come termine o meta di un lavoro missionario e anche come punto di partenza di un lavoro pastorale.  Dunque, la liturgia è veramente culmen ad quod actio Ecclesia tendit e, nello stesso tempo, impegna e coinvolge integralmente la vita dell’uomo che fa esperienza di Dio. In quest’ ottica si esprime e si rivela come fonte di salvezza, la cui dimensione primaria è proprio la celebrazione della fede nel suo contenuto di mistero.

Bisognerebbe, allora, rileggere di nuovo  S C 22: «la Sacra Liturgia compete unicamente all’autorità della Chiesa, che risiede nella Sede Apostolica e, a norma del diritto, nel Vescovo». Questo testo non è solo una semplice dichiarazione dei principi, ma ha delle conseguenze importanti per la vita della Chiesa. Ciò lo si capisce in rapporto con tutta la liturgia e non soltanto con l’Eucaristia, come si può intuire dalla lettura dei numeri 5-8, dove la medesima opera della nostra salvezza viene realizzata da Cristo e continuata dalla Chiesa la quale è: «veluti Christi sacerdotalis muneris exercitatio» (SC 7).

In questo senso, la liturgia è la prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possano attingere il genuino spirito cristiano, e perciò i pastori d’anime, in tutta la loto attività pastorale, devono sforzarsi di ottenerla attraverso una adeguata formazione. La liturgia è il termine più alto (culmen) cui tende l’azione della Chiesa e insieme come la sorgente (fons) dove a questa derivano tutte le sue energie (SC 10).

Allora, l’Eucaristia fa la Chiesa, perché è il sacramento con il quale la Chiesa si fa comunità. E’ un assioma che richiama ad una celebre affermazione dei Padri della Chiesa: «L’Eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucaristia». In questo senso, la Chiesa appare come il soggetto-oggetto del culto. E’ qui noto il pensiero di Sant’Agostino in quanto «il sacrificio dei cristiani consiste nell'essere tutti un unico corpo in Cristo».. La Chiesa offre il proprio culto a Dio nel suo “essere corpo di Cristo”, ossia nel realizzarsi, attraverso la santità della vita, come continuazione concreta della vita vissuta da Cristo nel suo corpo umano. La Chiesa, nel pensiero agostiniano, si fa corpo di Cristo facendo il corpo di Cristo. La conseguenza chiara e inequivocabile di tutto questo è una sola: la Chiesa è una comunità cultuale liturgica nell’unità sacramentale con il corpo di Cristo.

Riprendendo un pensiero di Karl Rahner, possiamo dire che «vi è l’Eucaristia perché vi è la Chiesa, ma anche vi è la Chiesa perché vi è l’Eucaristia».. La liturgia è, dunque, celebrazione ed attualizzazione del Mistero Pasquale mediante l’Eucaristia ed i Sacramenti, che sono il centro della vita della Chiesa.

 

Unità sostanziale e non rigida uniformità  SC nº 38.


Sana tradizione e legittima progressione:.

 

El concilio parlerà di “tradizione e progresso”. Conservare la sana tradizione e aprire nondimeno la via ad un legittimo progresso. La liturgia secondo una felice espressione di Pio XII, è qualcosa di durevole e vivo, qualcosa cioè che conserva una tradizione, ma si inserisce nello stesso tempo nel vivo delle successive età della Chiesa. Ma fare in modo che la liturgia sia viva non significa cambiarla continuamente per il gusto di cambiarla, riprendendo elementi del passato solo perché fioriti in un determinando periodo storico o eliminandone altri solo perché nati in altro tempo. Una sana opera di restauro di questo elemento vivo della chiesa conserva la tradizione senza divenire schiava, e quindi, mentre volge lo sguardo al passato, tiene conto del presente e, nei limiti del possibile, anche del futuro.

            Leggere SC  23.

 

 PRINCIPI OPERATIVI SONO CINQUE:

 

6.      La lingua della liturgia:  

7.      La Parola di Dio: Sinodo sulla Parola di Dio.

            SC nº 35.1.

            OLM 2 

8.      Catechesi-Mistagogia

 

            Nella Lettera Apostolica Mane nobiscum Domine, Giovanni Paolo II come primo aspetto del mistero eucaristico, mette a fuoco «l’Eucaristia mistero di luce», mistero inesauribile, sul quale l’approfondimento teologico è sempre lontano da giungere a termine.

Soprattutto della quarta sezione. «I Pastori si impegnino in quella catechesimistagogica”, tanto cara ai Padri della Chiesa, che aiuta a scoprire le valenze dei gesti e delle parole della Liturgia, aiutando i fedeli a passare dai segni al mistero e a coinvolgere in esso l’intera loro esistenza». Dai segni al mistero coinvolgendo la vita. Ecco tre elementi che dovremmo esaminare attentamente.         Dato che parliamo della mistagogia come modo di accostarci alla celebrazione eucaristica, sembra importante partire dal modo di interpretare il dato liturgico proposto dai Padri della Chiesa e dai primi autori, i quali hanno commentato l’Eucaristia sia in riferimento al rito che alla stessa dottrina. Seguendo questo cammino potremmo arrivare all’ oggi.. La mistagogia raduna un complesso di catechesi, sia pre-battesimali che post-battesimali, atte ad approfondire la fede. Questo periodo di splendore alla fine del quarto secolo, per quanto riguarda le catechesi mistagogiche, non ha termini di confronto nelle epoche precedenti e, tanto meno, in quelle seguenti.

Un argomento importante di Ambrogio, per cui le mistagogie vengono fatte dopo, è perchè il fedele non venga deluso dalla celebrazione dei sacramenti. E’ un argomento psicologico, per il quale la spiegazione del sacramento può andare incontro ad una delusione al momento della celebrazione. Ambrogio non vuole che il fedele abbia delle aspettative troppo grandi nei confronti dei sacramenti. Si tratta, comunque, di un argomento pastorale che oggi è ancora valido. Nel nostro caso vedremo gli autori che svilupperanno un ciclo di omelie, legate l’una all’altra. Esse hanno per oggetto i sacramenti dell’iniziazione cristiana (Battesimo, Confermazione ed Eucaristia). Se queste omelie si fanno dopo i sacramenti, ed essi si celebrano nella veglia pasquale, allora la mistagogia si fa nella settimana dopo Pasqua.

Dopo Agostino, inizierà una nuova tradizione, secondo la quale la settimana dopo Pasqua verrà dedicata proprio alle opere di carità. In sostanza, è l’ultimo erede della mistagogia, dal momento che in Occidente, quello che è il senso del mistero, viene “eticizzato”. Dunque, diventa un impegno morale ed etico. Quello che riguarda il senso del mistero viene tradotto allora in comportamento morale. In questo caso, si nota il rapporto tra Liturgia e Vita. Proprio i tre elementi che la Mane nobiscum Domine sottolinea parlando dell’eucaristia.

Nelle omelie mistagogiche ci sono tre elementi che le caratterizzano: la preghiera (il Padre Nostro) ; il Battesimo; l’Eucaristia.

L’omelia mistagogica deve occuparsi anche della Sacra Scrittura letta in quel giorno, per cui deve avere le letture bibliche adatte per attuare la mistagogia.

Il metodo della mistagogia comprende diverse tappe:

 a) il punto di partenza è il rito (o una sotto-unità rituale) che, poiché esiste, deve avere una funzione ed una efficacia coerente con la natura dell’azione liturgica;

 b) di qui si risale ad un episodio, narrato dalla Scrittura, che abbia una certa analogia con il rito in questione;

 c) narrato l’episodio, si elabora una teologia che metta in luce il valore salvifico di quel determinato evento biblico, così come è narrato dalla Scrittura;

 d) quanto è stato ricavato per l’evento biblico viene predicato del rito, nel quale, dunque, avviene la stessa salvezza dell’evento biblico;

 e) da ultimo, abbiamo l’elaborazione del vocabolario della sacramentalità che svolge la funzione di conclusione di tutto il procedimento; il vocabolario della sacramentalità, infatti, non rende superflui i punti precedenti, ma serve ad inquadrarli in unità e a dare una visione sintetica sia dell’intero procedimento, sia del rapporto che lega i singoli punti tra loro.

Applicato all’Eucaristia, questo metodo ci permette di conoscere il rito penetrando nel mistero. Procedendo in questo modo, la mistagogia - catechesi sul mistero-, diventa iniziazione al mistero celebrato e passaggio e transito per un’assimilazione interiore che faccia spiritualità o vissuto spirituale. Anche questa tappa della storia della mistagogia ha avuto la sua eco nell’oggi; infatti l’Istruzione La formazione liturgica nei seminari presenta la formazione liturgica dei seminaristi come una mistagogia. Dopo aver detto il valore della liturgia, il documento aggiunge che «il diligente esercizio e lo studio di essa [la liturgia] offrirà ai futuri sacerdoti una più solida conoscenza e un rafforzamento nella fede, e aprirà loro un’esperienza viva della chiesa. Ogni genuina formazione liturgica richiede non solo la teoria ma anche la prassi. In quanto formazione “mistagogica”, essa si raggiunge principalmente per mezzo della vita liturgica degli alunni, alla quale gli stessi vengono guidati con crescente profondità, per mezzo delle celebrazioni liturgiche comunitarie. Questa accurata iniziazione pratica è inoltre premessa di un ulteriore studio».

Torniamo di nuovo al documento papale che chiede ai pastori un impegno per una catechesi mistagogica che «aiuti a scoprire le valenze dei gesti e delle parole della Liturgia, aiutando i fedeli a passare dai segni al mistero e a coinvolgere in esso l’intera loro esistenza».  Penso di non sbagliare percependo in queste parole il desiderio per arrivare al senso di mistero totale. A tale proposito l’Institutio Generalis Missalis Romani nella sua Editio Typica Tertia al numero 20 dice:  «Poiché inoltre la celebrazione dell’Eucaristia, come tutta la Liturgia, si compie per mezzo di segni sensibili, mediante i quali la fede si alimenta, s’irrobustisce e si esprime, si deve avere la massima cura nello scegliere e nel disporre quelle forme e quegli elementi che la chiesa propone, e, considerate le circostanze di persone e di luoghi, possono favorire più intensamente la partecipazione attiva e piena, e rispondere più adeguatamente al bene spirituale dei fedeli».

Tutto un programma per aiutare a penetrare nel mistero stesso che l’Eucaristia fornisce. Mediante i segni, la fede si alimenta; proprio quello che la Mane nobiscum Domine  chiede di fare il passaggio dai segni al mistero.

Il valore dei segni nella celebrazione eucaristica permette inoltre di entrare nel mistero celebrato, come lo abbiamo imparato dei padri, veri mistagoghi delle loro comunità. Il capitolo VI dell’ Institutio Generalis Missalis Romani,  che tratta delle cose necessarie per la celebrazione della Messa, presenta il pane e il vino «per celebrare la Cena del Signore» e aggiunge che «la natura del segno esige che la materia della celebrazione eucaristica si presenti veramente come cibo. Conviene quindi che il pane eucaristico, sebbene azzimo e confezionato nella forma tradizionale, sia fatto in modo che il sacerdote nella Messa celebrata con il popolo possa spezzare davvero l’ostia in più parti e distribuirle almeno ad alcuni fedeli».....e più avanti aggiunge:«Il gesto della frazione del pane, con cui l’Eucaristia veniva semplicemente designata nel tempo apostolico, manifesterà sempre più la forza e l’importanza del segno dell’unità di tutti in un unico pane e del segno della carità, per il fatto che un unico pane è distribuito tra i fratelli». Lo stesso dice del vino per la celebrazione eucaristica che «deve essere tratto dal frutto della vite (Cf. Lc 22,19), naturale e genuino, cioè non misto a sostanze estranee».

E parlando più avanti dei libri liturgici, lo stesso documento esorta affinché «si curi in modo particolare che i libri liturgici, specialmente l’Evangeliario e il Lezionario, che sono destinati alla proclamazione della parola di Dio e quindi meritano una particolare venerazione, nell’azione liturgica siano davvero segni e simboli delle realtà soprannaturali, siano quindi degni, ornati e belli».

I segni devono parlare, devono comunicare, anzi devono trasmettere la salvezza lì contenuta; partendo dunque dal rito e dai suoi segni (pane e vino) si risale all’episodio fondante, narrato dalla Scrittura, cioè la cena pasquale e si elabora una teologia che metta in luce il valore salvifico e si avviene alla stessa salvezza contenuta. In questo modo l’Eucaristia diventa il sacramento del mistero di Cristo; mistero pasquale che racchiude nella morte e risurrezione il suo zenit.

E questo mistero viene continuamente ritualizzato nella Chiesa che mai tralasciò di riunirsi in assemblea per celebrare il mistero pasquale, mediante la lettura di quanto nella Scrittura la riguardava (Lc 24,27), mediante la celebrazione dell’Eucaristia, nella quale il Mistero arriva alla sua pienezza.

Ogni singolo uomo giunge a partecipare vivamente alla realtà della salvezza attraverso l’azione sacramentale della stessa Chiesa. La funzione essenziale del sacramento non si limita a rappresentare e raffigurare la realtà, cioè l’opera salvifica, ma la contiene effettivamente e la traspone realmente nello spazio e nel tempo, senza naturalmente mutarla nel suo essere trascendente o addirittura ripeterla.

Nel sacramento l’azione salvifica non viene né nuovamente eseguita né ripetuta; lo stesso evento che si è verificato una volta nel passato storico è presente sotto il velo del simbolo cultuale come evento reale in atto di svolgimento. Adottando un’ idea molto caseliana, noi veniamo liberati dai nostri vincoli spazio-temporali e resi presenti all’azione salvifica, per poter essere inseriti in essa. Il potere anamnetico, memoriale dell’ azione liturgica permette proprio questo salto o passaggio. Il sacramento non é altro che l’opera salvifica di Cristo-attuatasi una volta nella storia-resa presente tra gli uomini e per gli uomini in manifestazione. Tutta l’azione salvifica è contenuta nell’ evento sacramentale. Il nucleo essenziale dell’opera salvifica è la Pasqua, il passaggio di Cristo attraverso la morte per giungere alla trasfigurazione, perchè così il modo di esistenza terreno-carnale di Gesù fu trasformato in quello celeste pneumatico del Kyrios glorificato. Questa pasqua si è sì verificata storicamente solo una volta, cioè in quella comparizione esteriore ormai da lungo tempo passata. Ma tale azione unica di Cristo, a motivo del suo carattere di kairós, supera la sfera temporale e quindi i limiti del tempo, sicché nel suo vero e proprio accadere è oggettivamente presente e accessibile a tutti i tempi.

I fedeli entrano nel mistero  e addirittura il Mistero, meglio, la celebrazione del Mistero, deve suscitare commozione nel nostro spirito; dovrebbe farci commensali con Cristo, nell’eucaristia, oranti con Cristo nella preghiera, sacramenti con Cristo nei sacramenti.

 

9.      Il canto: «Non cantate durante la Messa,  ma cantate la Messa. Non cantate durante la Messa, ma pregate la Messa» Pio X, Tra le sollecitudini

 

10.  La riforma liturgica:

«Ci ricordiamo di aver visitato con una carovana di turisti la sontuosa chiesa di San Marco di Venezia. In questa visita rapida e veloce la basilica ci era apparsa come un insieme grandioso ed un po’ fantastico, coi suoi colonnati innumerevoli, il suo nartece all’antica, le sue brillanti cupole, i suoi marmi policromi, i suoi ricchi mosaici, tutto il suo splendore bizantino. Ma di questa visione rapida e superficiale, non ci rimaneva che un impressione confusa, un vago ricordo, senza unità veruna. Ed il nostro cicerone, col solito fare della sua classe, non era riuscito ad entusiasmarci. Però, questa prima visita ci mise nel cuore il desiderio di tornare a contemplare con comodo questa meravigliosa opera appena intraveduta.

Più tardi ci è stato dato di ammirare per parecchie ore questa costruzione incomparabile, tutta palpitante di fede e di amore. Già da lontano una turba di profeti, apostoli e santi scolpiti nel marmo, nel porfido, invita il cristiano all’adorazione ed alla preghiera. Ed appena costui penetra nell’edificio, il suo occhio meravigliato scopre un nuovo corteo più fervoroso, più sontuoso ancora, le cui maestose teorie sfilano sulle colonne e le volte dei portici, nell’oro dei mosaici, sopra i bassorilievi delle porte di bronzo, lungo le balaustre e gli stalli, e fin sopra il pavimento che si calpesta, svolgendo nel suo cammino tutta la storia della creazione e della umanità, e continuando questo omaggio universale fino al centro di tutti questi splendori, l’altare maggiore, più ricco, più scintillante di tutto il rimanente sotto il suo baldacchino di porfido, le sue spessissime lastre d’oro, la sua pala d’oro, ornata di numerosissime gemme. E quante ricchezze e tesori di infinito valore, sconosciuto dai visitatori profani, e nascosti nelle sue sacrestie e nei suoi musei.

E mentre i nostri occhi stupiti ammiravano queste bellezze, un pensiero occupava la nostra mente, e rendeva ancor più interessanti tutti questi tesori d’arte: Pio X viveva ancora per noi nella sua amata basilica, l’eco della sua voce vi si faceva sentire; la sua grande anima l’animava sempre; tutti questi splendori il grande Pontefice li aveva conosciuti ed amati; egli ne aveva, meglio di ogni altro, compreso il linguaggio, e questo ricordo ce li rendeva più cari e più sacri.

Terminando queste pagine troppo superficiali, ove la liturgia appare come a volo di uccello, il lettore deplorerà l’andatura veloce e la troppo breve informazione del suo cicerone, cercherà invano di fissare nel suo ricordo un piano stabile, e conserverà l’impressione di una cosa intraveduta ed indovinata. Possa egli almeno avere da questa lettura la convinzione che dei tesori di vita soprannaturali e di rinnovazione cristiana, sono contenuti nella liturgia, e tornarvi spesso, spessissimo, guidato da maestri

La pietà della Chiesa, di cui S. Marco di Venezia non era che il simbolo, gli si mostrerà in tutta la sua potente unità di dottrina, di vita. Anche qui tutto ci conduce verso il focolare centrale dei misteri eucaristici; tutto, letture, inni, canti, orazioni, salmodie, antifone, sacramentali e benedizioni, tutto conduce le anime a Gesù Cristo, le fa vivere e le immola a Lui a gloria della SS.ma Trinità.

Anche qui, e soprattutto, tutti questi beni ci vengono dal Pontefice Romano, da Pio X: ed essi sarebbero senza valore ai nostri occhi, se non ricevessero dall’autorità del Vicario di Gesù Cristo, il solo Pontefice, questa suprema consacrazione.

Simile alla meravigliosa basilica di san Marco di Venezia, la liturgia tiene in serbo per tutte le anime e per tutte le condizioni delle ricchezze e degli splendori di infinita varietà. Si! Che i predicatori la commentino, che gli educatori le insegnino, che i teologi la consultino, che gli uomini di opere la propaghino, che le madri la facciano conoscere ai loro bimbi: gli asceti impareranno a conoscere il sacrificio, i cristiani la fraternità e l’obbedienza, gli uomini la vera uguaglianza, la società la concordia. Che essa sia la contemplazione del mistico, la pace del monaco, la meditazione del sacerdote, l’ispirazione dell’artista, l’attrattiva del prodigo. Che tutti i cristiani la vivano pienamente, vengano ad attingere il vero spirito cristiano a questa sorgente prima e indispensabile e realizzino, colla liturgia vissuta, l’orazione delle prime messe del Grande Sacerdote eterno ut sint unum: supremo augurio e suprema speranza! Il movimento liturgico non desidera altro. “Ut in omnibus glorificetur Deus”».

 

Conclusione

Assimilare e vivere il mistero di Cristo

 a partire della stessa celebrazione eucaristica

 

La centralità dell’Eucaristia esige un notevole sforzo di penetrazione di tutta la comunità, poiché è il paradigma di un’azione celebrativa che costituisce la vita della comunità nello spazio e nel tempo, nel passato e nell’oggi, dai primi secoli fino al momento attuale.

Nell’Eucaristia si realizza ogni Chiesa diocesana e particolare: in essa ogni comunità cristiana diventa universale, aperta alle dimensioni missionaria e contemplativa. Nella celebrazione eucaristica troviamo realizzata in grado massimo la presenza del Signore e della sua opera salvifica. Il passo dalla celebrazione alla vita è fondamentale. La commozione profonda incomincia quando la comunità eucaristica diventa una sola cosa con la celebrazione. Un’espressione di San Giovanni Crisostomo denota questa simbiosi: «Noi non vogliamo solamente aderire a Cristo, ma vogliamo anche unirci a Lui, perché se ci separiamo da Lui periremo»..

 Nella celebrazione eucaristica, facendoci commensali della mensa di Cristo, ci introduciamo nel medesimo mistero eucaristico nel quale comunichiamo. La partecipazione alla vita gloriosa del Dio fatto Uomo, Gesù Cristo, ci è concessa già in forma di banchetto in questo mondo, come anticipo del banchetto escatologico, dal momento che l’eternità opera già tra il tempo e la pienezza di Cristo, sino ad arrivare a noi.

            Ciò che diciamo dell’Eucaristia lo possiamo dire della preghiera, cioè della liturgia della lode. Dovremmo ripetere come i discepoli di Emmaus: «Non ardeva forse il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture». Nella celebrazione del Mistero, nell’Eucaristia, nella celebrazione della lode di Dio, nella celebrazione dei sacramenti e sacramentali, Cristo stesso ci parla, conversa con noi, anzi lui ci spiega le Scritture. Lo dice il Concilio Vaticano II nella costituzione sulla liturgia: «Per l’attuazione di quest’opera Cristo é sempre presente alla sua Chiesa, specialmente nel compimento della Liturgia. Egli è presente nel Sacrificio della Messa, tanto nella persona del ministro, quanto, soprattutto, sotto le specie eucaristiche...........é presente con la sua potenza nei sacramenti.........é presente nella sua parola..........é presente quando la Chiesa prega e canta.....(SC 7).

            La presenza di Cristo produce commozione, stupore, a volte anche timore; ma é sempre una presenza salvifica. «Non temete» (Mt. 28, 10) dice il Risorto perchè i discepoli avevano paura. Lo stesso dovrebbe succedere anche a noi quando stiamo celebrando, quando partecipiamo ai divini misteri; quando entriamo in chiesa e ci troviamo nel tempio santo, quando celebriamo e quando dopo torniamo al quotidiano.

            La commozione, lo stupore ci porta all’incontro con Cristo che é presente nella sacra liturgia e dunque viene fuori l’esperienza. Quello che manca oggi nelle nostre celebrazioni non è tanto un rito adatto ad esprimere i sentimenti dell’uomo moderno, né un simbolismo religioso-liturgico evidente ed eloquente, né tanto meno un linguaggio adeguato all’evoluzione del costume. Quello che manca oggi è l’incontro con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, un’incontro personale che riempia la vita del fedele, un incontro che prima di realizzarsi nella comunità unita nella celebrazione liturgica, deve avvenire nel profondo del cuore.

            Ciò che manca oggi è la riscoperta della celebrazione con i suoi inalienabili connotati di intervento misterico di Dio e di fatto comunitario, umano, festività, partecipazione attiva, gestualità e multiforme espressione vocale, che ha inciso molto sulla liturgia e l’ha certamente resa vivace sul piano esterno. Ma se non si aggiunge lo stupore, la commozione e dunque l’esperienza personale a partire della stessa celebrazione, può essere soltanto un vuoto, una festa, un happening. L’esperienza implica l’evento liturgico quale epifania di Dio che rivelandosi irrompe nella vita dell’uomo e lo converte a Sé afferrandolo nel profondo dell’esistenza.

            Quest’esperienza ci fa entrare, penetrare nel mistero o più ancora fa penetrare il mistero in noi. L’esperienza ecclesiale è innanzitutto presenza di Dio, ed è su questo piano che l’uomo é raggiunto dalla liturgia. Non si tratta dunque, nella Chiesa, di contemplare esteriormente i misteri di Cristo, ma é Cristo stesso che raggiunge il cristiano e lo fa entrare nei suoi misteri, dandogliene l’esperienza. È nel “sacramento” dell’anno cristiano, e soprattutto nei sacramenti propriamente detti, che si situa l’ esperienza cristiana. Vi è qui un’ obiettività dell’ esperienza cristiana che la contrappone ad ogni psicologismo e ad ogni introspezione eretta a metodo. É il mistero, rivelato, manifestato, celebrato e vissuto che entra in noi attraverso la santa liturgia, la vivente liturgia; é il mistero che entra in noi e dunque noi diventiamo uomini del mistero; anzi diventiamo mistero.          

Noi penetriamo nel Mistero ma anche il Mistero penetra in noi. Anche noi dovremmo sperimentare una grandissima gioia ogni volta che ci raduniamo per celebrare la santa e divina liturgia nella quale Cristo si fa presente, ci fa commensali della sua mensa e dunque ci fa coopartecipi del suo Mistero eterno.

 E noi, eterni ricercatori di questo Mistero, lo sperimentiamo con stupore, con commozione. In questo senso l’intera esistenza cristiana viene coinvolta nell’unico mistero di Cristo a partire dei segni celebrativi, cioè della celebrazione liturgica.

 

 

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Ultimo aggiornamento: 01-12-06