Diego Coletti, vescovo di Livorno: Andiamo alla messa
Livorno, 29 giugno 2002, solennità dei santi Pietro e Paolo.
1. La messa tra storia e attualità
Alle radici della nostra storia di fede
Quando e dove, per la prima volta, alcuni discepoli del Signore Gesù portarono nelle nostre terre l’annuncio della Pasqua del Signore celebrandone la memoria nel pane spezzato e nel calice della nuova ed eterna alleanza?
Non ci è dato di sapere, con esatta certezza, una risposta a questa domanda, ma possiamo essere sicuri che questo avvenne molto presto, forse nei dintorni dell’antico porto pisano, nei pressi del luogo dove in seguito sarebbe stata conservata la memoria della sosta di un certo Simone, figlio di Giona, detto Pietro.1 Mi piace sostare nella penombra di quella splendida chiesa romanica e pensare ai primi cristiani riuniti in una casa di pescatori o all’aperto, vicino alle loro abitazioni semplici e povere da schiavi e lavoratori del porto. Li vedo con la fantasia intorno all’apostolo o a qualcuno dei suoi collaboratori, mentre ascoltano e pregano, spezzano il pane e riconoscono il corpo del Signore, la sua presenza, la rivelazione del suo amore.
Vorrei riportare qui le parole con cui un laico cristiano, vissuto intorno all’anno 150, un grande filosofo e difensore della fede, Giustino, descrive la messa celebrata nella prima comunità. È sorprendente la freschezza e la bellezza del testo, che costituisce una preziosa testimonianza che ci raggiunge dalla Chiesa vivente del secondo secolo! Ecco la sua descrizione rivolta ad un pubblico di pagani, ignari della fede cristiana:
"Gli apostoli, nelle vicende memorabili da essi descritte, che si chiamano "Vangeli", ci tramandano che così è stato loro comandato: Gesù, prendendo il pane e rendendo grazie, disse: Questo è il mio corpo; fate questo in memoria di me. E allo stesso modo, prendendo il calice e rendendo grazie, disse: Questo è il mio sangue. E solamente a essi ne fece prendere parte…
E nel giorno detto del sole,2 tutti coloro che risiedono in città e in campagna si raccolgono in assemblea e vengono lette le memorie lasciate dagli apostoli e gli scritti dei profeti, fino a quando il tempo lo permette. Poi, quando il lettore ha terminato, il presidente con un discorso ammonisce ed esorta all’imitazione di questi stupendi insegnamenti. Poi ci alziamo tutti e insieme eleviamo preghiere. Terminate queste, come abbiamo già detto, viene portato del pane, del vino e dell’acqua; il presidente, allo stesso modo e secondo il potere che egli ha, innalza preghiere, pronuncia il rendimento di grazie3 e il popolo acclama dicendo "amen". Segue poi la divisione e la partecipazione fatta a ciascuno dei cibi su cui si è pronunciato il rendimento di grazie, e per mezzo dei diaconi essi vengono portati a coloro che sono assenti. I ricchi, liberamente e ciascuno secondo la propria decisione, danno quello che vogliono. Quanto viene raccolto è consegnato al presidente che di persona soccorre gli orfani, le vedove, coloro che hanno bisogno per malattia o per qualche altro motivo, i carcerati e gli stranieri di passaggio. Egli insomma è il protettore di tutti coloro che sono nel bisogno.
Tutti quanti insieme ci riuniamo nel giorno del sole perché è il primo giorno nel quale Dio, trasformando le tenebre e la materia, ha creato il mondo, e nel quale Gesù Cristo, nostro salvatore, è risuscitato dai morti. Infatti, crocifisso prima del giorno di saturno è apparso ai suoi apostoli e ai suoi discepoli il giorno dopo quello di saturno, cioè il giorno del sole, e ha lasciato questo stesso insegnamento che ora vi abbiamo esposto".4
Si può dire che da quella lontana epoca, di giorno in giorno, e con particolare solennità da una "dies dominica" a un'altra, la tradizione apostolica ci ha consegnato una preziosa eredità alla quale anche noi oggi attingiamo. Non ne siamo padroni. Non partiamo da zero. Amministriamo un tesoro che ci viene consegnato affinché lo facciamo rivivere nell’oggi, aggiornandone lo stile e le forme espressive, consapevoli della delicatezza e dell’importanza del nostro compito, docili alla Parola che ce ne consegna il segreto, partecipi della comunità che ne vive la memoria, e fedeli all’intenzione di colui che, per primo, ha desiderato ardentemente mangiare questa nuova Pasqua con i suoi discepoli.
Il momento attuale della nostra responsabilità
L’ultima, grande e solenne occasione nella quale la Chiesa ha esercitato questo compito risale a quarant’anni fa. Con il documento sulla sacra liturgia, il concilio Vaticano II ha dato luogo a una grande stagione di riforma e di aggiornamento del rito. Solo chi ha pressappoco la mia età o un'età maggiore della mia può attingere a una memoria personale di quanta strada sia stata percorsa in questo periodo. Una strada non priva di difficoltà e di qualche deviazione, ma anche ricca di frutti e ancora in gran parte da valorizzare e da diffondere nel patrimonio comune delle nostre comunità eucaristiche.
Penso al lungo ministero del mio predecessore, il vescovo Alberto, che copre l’intero arco di questa stagione post-conciliare. Penso al lavoro fatto da lui, negli ultimi anni insieme al suo ausiliare, con la collaborazione del presbiterio, dei diaconi e di tutta la comunità cristiana della diocesi, per attuare con intelligenza e fedeltà le indicazioni del Vaticano II. Ho riletto con attenzione, per esempio, la conferenza da lui tenuta a Milano in occasione del Congresso eucaristico nazionale del 1983,5 ricca di temi teologici e di preziose indicazioni operative, alle quali è possibile far riferimento anche oggi. E penso al cammino ecclesiale che ha portato all'elaborazione del documento finale del Sinodo diocesano del 1984,6 che ho voluto far ristampare proprio perché, su questo tema come su molti altri, contiene pagine di grande lucidità e ricchezza sulle quali faremmo bene a riportare l’attenzione dei singoli, delle comunità e dei vari organismi di partecipazione ecclesiale.
E ora tocca a me, anzi a tutti noi. Siamo depositari di un tesoro preziosissimo per la vita dell’umanità. Cosa ne stiamo facendo? Come lo amministriamo? Che rapporto ha con la nostra vita? Come lo mettiamo a disposizione dei poveri, degli smarriti, dei distratti, dei disperati?
Tempo fa, un sacerdote amico mi diceva, con una punta di umile rammarico: "Il Signore ha messo nelle nostre mani il fuoco divorante del suo corpo spezzato per noi e del suo sangue sparso per noi e ci invita a fare memoria di questo affinché il fuoco divampi e porti luce e calore a tutto il mondo…; e noi invece…. "diciamo la messa"! Che vergogna!".
2. Guardiamo la situazione delle nostre messe
Le nostre autentiche e belle eucaristie
Durante questo primo periodo del mio servizio episcopale alla Chiesa di Livorno mi è capitato di presiedere, ormai, a centinaia di messe, nelle circostanze e nei luoghi più disparati, con comunità diverse e per diversi motivi.
Devo ringraziare il Signore per questa esperienza, nel suo complesso.
Ho vissuto momenti molto belli e significativi, in cattedrale, nelle parrocchie, in piccole cappelle degli istituti religiosi, perfino all’aria aperta con i giovani della commissione handicap o con i miei amici scout. Sono stato edificato dalla fede vissuta con semplicità e profondità, dall’intensità della partecipazione e dalla gioia condivisa, dalla fraternità viva e quasi palpabile di molte celebrazioni. Ho incontrato comunità grandi e piccole capaci di rivivere in modo serio e consapevole la memoria e la ripresentazione attuale ed efficace della Pasqua del Signore. Ho visto la curiosità della fede farsi strada negli occhi dei bimbi e dei giovani, la pace scendere nei cuori degli adulti, la consolazione farsi largo tra le sofferenze e le ansie degli anziani; ho visto la forza del Vangelo entrare in qualche misura nella vita di tutti i membri della comunità celebrante.
Guardando al di là delle forme e dei gesti della liturgia - che pure hanno grande importanza, come vedremo - ho sempre cercato di mantenere viva in me la preoccupazione di rendere bella e significativa la celebrazione nella sua sostanza teologica e spirituale, sulla quale rifletteremo tra poco. E molte volte ho potuto constatare che questo è avvenuto - dove più e dove meno - in tante messe e da parte di tante comunità. È giusto che anzitutto ringrazi il Signore per questo dono che ha voluto fare al mio sacerdozio. Considero la consuetudine della celebrazione quotidiana dell’eucaristia un grande valore della tradizione della Chiesa occidentale, nonostante la possibile ambiguità delle sue motivazioni (sarebbe grave se si celebrasse solo perché c’è un’offerta a suffragio dei defunti!) e il rischio di spegnere tutto nell’abitudine e negli automatismi rituali. Ma questa "messa di ogni giorno" viene conservata nella sua bellezza e nella sua vibrazione di fede solo da una comunità, piccola o grande che sia, che celebra con consapevolezza e adeguato fervore. Non bisogna meravigliarsi del fatto che anche il prete, dopo aver celebrato centinaia, forse migliaia di volte di fronte a persone che hanno tutt’altro nella testa e nel cuore finisca per smarrire lui stesso il senso di quello che sta facendo e il "gusto" spirituale di farlo.
Ebbene: dopo quasi trentasette anni di celebrazione eucaristica quotidiana,7 devo essere grato a una schiera innumerevole di fratelli e di sorelle che hanno contribuito a rendere vere, autentiche, belle ed edificanti le celebrazioni eucaristiche con la testimonianza della loro fede e la qualità della loro partecipazione. Di questa schiera fanno parte, in questi ultimi tempi, tante donne e uomini della Chiesa di Livorno, tante religiose, tanti suoi seminaristi, preti e diaconi, tanti malati e anziani, giovani e bimbi…
È il popolo santo di Dio, che non sarà mai ringraziato abbastanza per il buon esempio che mette a disposizione di chiunque abbia occhi per vedere e cuore per sentire la verità del Vangelo.
Le difficoltà e i problemi che dobbiamo affrontare
Non dobbiamo dimenticare, tuttavia, che sulla celebrazione delle messe, sulla partecipazione attiva e consapevole all’eucaristia, grava tutta una serie di problemi8 che affliggono anche la nostra Chiesa diocesana.
In primo luogo, s’impone una considerazione sul fatto che pochi vanno a messa regolarmente. Si registra uno scarto veramente grande tra il numero dei battezzati e la percentuale di essi che frequenta la messa domenicale. In molti casi l’assenza non è giustificata da motivi coscienti e riflessi, ma dal diffuso pregiudizio che ritiene la partecipazione fedele alla messa domenicale come cosa di scarsa importanza. Si può farne a meno senza problemi. Ci si va quando c’è qualche motivo speciale o quando se ne sente un’urgenza particolare. Mi sembra di poter dire che siano scarse le quote percentuali di persone che hanno maturato motivi forti e personali per non andare a messa. I più vi rinunciano solo perché hanno qualcosa di meglio da fare altrove. Basti pensare al calo della presenza dei giovani (e non solo dei giovani) in concomitanza con l’arrivo della bella stagione e l’affollamento delle spiagge e degli scogli.
Molto scarsa è anche la partecipazione alla messa quotidiana. Anche questo è un segnale importante da tenere presente, proprio perché chi frequenta la messa feriale lo fa in mancanza di ciò che potrebbe essere percepito come un "dovere". E questa scelta potrebbe così mettere in luce l’atteggiamento gratuito di un cuore generoso che desidera rendere più frequente l’incontro con l’eucaristia. Il tempo a nostra disposizione fuori dagli impegni d’obbligo (penso soprattutto ai pensionati, ma anche ad alcune categorie di lavoratori e di casalinghe) dovrebbe aumentare… ma la disponibilità alla preghiera, oltre che al volontariato, sembra invece diminuire! Forse, se contassimo le ore che passiamo davanti alla TV potremmo avere motivo di riflessione a questo proposito.
Mi pare anche necessario chiederci: qual è il livello della qualità della partecipazione? In altri termini: chi viene a messa si rende conto sufficientemente di ciò che fa e di ciò che riceve? Cercheremo più avanti di capire meglio i motivi di una partecipazione spesso superficiale, distratta e perfino equivoca. Per ora mi basta segnalare il problema. Quando mancano i motivi veri e adeguati per andare a messa, è inevitabile che la partecipazione si svuoti di significato, diventi abitudinaria e ripetitiva, mal sopportata, connotata da un forte individualismo (vado alla "mia" messa), a volte velata da pensieri di superstizione, se non di vera e propria magia.
Conseguenza di una partecipazione scarsa e in qualche misura poco consapevole è quella che potremmo chiamare la sterilità di tante nostre messe, nel senso che esse non producono quello che dovrebbero, cioè un incremento della vita cristiana. Anche a questo proposito rinvio alle riflessioni che faremo nella quarta parte di questa lettera. Ma vale la pena di dire subito che questo è il segnale più grave e preoccupante. Perché è stato messo nelle nostre mani un tesoro infuocato e fiammeggiante - di cui vedremo la bellezza e la preziosità - e noi invece rischiamo di trovarci intorno a una pozza di acqua tiepida. Non c’è niente che brucia, illumina e riscalda. C’è soltanto un lieve tepore che non può far altro che raffreddarsi del tutto.
Ci si potrebbe consolare al pensiero che queste situazioni sono sempre state presenti nella comunità cristiana. Il problema, tuttavia, diventa ancora più grave perché la messa mal vissuta non solo diventa sterile ma si manifesta come dannosa e fonte di malessere. Lo stesso san Paolo rimprovera la prima comunità dei cristiani di Corinto, perché il loro "non è più un mangiare la cena del Signore". E questo perché, tra l’altro, ci sono divisioni e inimicizie nella comunità, e sono ancora evidenti i segni dell’ingiusta distribuzione delle risorse, così che alcuni hanno fame e sete e altri sono ipernutriti e ubriachi. In tale situazione, l’abitudine di continuare a radunarsi per quella che dovrebbe essere la cena del Signore fa vergognare i poveri e getta discredito sulla Chiesa di Dio. San Paolo non usa sfumature o frasi gentili e dice, senza mezzi termini, che mangiare il pane eucaristico e bere il vino della nuova alleanza senza riconoscere il corpo del Signore vuol dire mangiare e bere la propria condanna. Per questo, conclude, molti credenti e "praticanti" sono malati nello spirito e nel cuore e molti di essi sono come morti alla fede.9
E così il cerchio si chiude: una partecipazione scarsa e imprecisa rende sterile, se non addirittura pericolosa, la presenza alla messa; e questa sterilità rende sempre più scarsa e superficiale la partecipazione.
3. Le cause del bene e del male
La tradizione apostolica consegnata all’oggi di Dio nella Chiesa
Quale forza regge e sostiene la nostra fedeltà alla missione che il Signore ci ha affidata quando ci ha detto: "fate questo in memoria di me"?
Non dimentichiamo di essere membra di una chiesa che si definisce "una, santa, cattolica e apostolica". La tradizione apostolica, la testimonianza di coloro che sono stati mandati da Gesù con un preciso incarico è alla radice delle nostre celebrazioni. La testimonianza dei Vangeli sinottici, in particolare di san Luca, è chiara in questo senso.10 Così si esprime san Paolo scrivendo ai Corinti:
"Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane e dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo che è per voi. Fate questo in memoria di me…".11
Il fondamento ultimo e insostituibile è la persona di Gesù Cristo. Nessuno può mettere al suo posto un altro fondamento:12 egli è la pietra angolare sulla quale tutta la costruzione spirituale della Chiesa poggia e si edifica. Ma di questo fondamento, ancorato sulla pietra angolare che è Cristo, fanno parte anche gli "apostoli e i profeti".13
Per questo motivo la celebrazione eucaristica non può essere sostenuta da un semplice consenso comunitario. Il ministero della presidenza svolto da un successore degli apostoli è assolutamente necessario al suo stesso costituirsi. Il servizio del vescovo, e del suo primo collaboratore, il presbitero, ordinati proprio in vista anche di questa funzione di presidenza, è indispensabile a significare che il sacramento si riceve "dall’alto" della grazia di Dio e non si determina per consenso "dal basso", in forza del semplice convenire dei credenti.
Il servizio della presidenza eucaristica è uno dei momenti in cui si percepisce più chiaramente il senso del mandato apostolico e la struttura appunto apostolica della Chiesa. Come discepoli del Signore, anche gli apostoli e i loro successori non cessano mai di far parte del popolo di Dio, di essere anche loro fratelli in mezzo a fratelli credenti. Ma come inviati14 dal Signore essi non sono soltanto dentro ma anche "di fronte" alla comunità, per essere segno visibile e costante del fatto essenziale che la Chiesa non si costruisce per forza autonoma, ma sempre e solo "riceve se stessa" dalla grazia di Dio.15
Questo non vuol dire che la messa sia proprietà privata del vescovo o del sacerdote celebrante. Qui c’è una mentalità purtroppo diffusa da correggere: la messa non è mai "mia", qualunque sia il soggetto di questo pronome possessivo. Infatti vescovi e presbiteri semplicemente presiedono un rito sacramentale che propriamente è celebrato da tutti ed è un dono divino al quale tutti partecipano attivamente. Dire che la presidenza apostolica è indispensabile al costituirsi del sacramento non vuol dire affermare di conseguenza che la messa è un "affare del prete". Egli presiede, appunto, un atto comunitario nel quale è impegnata tutta l’assemblea. Bisogna educarsi ed educare alla comprensione di questo equilibrio essenziale al mantenimento della fedeltà della Chiesa all’idea che Cristo ha avuto della comunità dei suoi discepoli.
Siamo dunque coscienti del fatto che, pur essendo posta nelle nostre mani, l’eucaristia non è una realtà di cui possiamo disporre a nostro piacimento. Ne siamo tutti responsabili, ma dentro l’orizzonte della condivisione fraterna e dell’obbedienza ecclesiale. Dovremmo sempre accoglierla come un dono, rispettarla come un tesoro, ma insieme svolgerla come un compito, conservarne e svilupparne il valore come un deposito che deve fruttare, difenderla da ogni indebita appropriazione, metterla a disposizione di tutti come un rimedio "salvavita".
Per svolgere bene questo incarico che lo Spirito Santo di Gesù e del Padre affida a ogni generazione di cristiani è necessario elaborare insieme, come comunità ecclesiale e con la guida dei successori degli apostoli, il continuo necessario aggiornamento degli stili e delle forme espressive della memoria eucaristica.16 Per questo la Chiesa, con grande delicatezza e rispetto della tradizione, si china pazientemente sulla storia spirituale e liturgica della celebrazione della messa, nell’intento di non perdere nulla della ricchezza tramandataci dai padri e, nello stesso tempo, di adottare gli elementi di rilettura del passato e di costante aggiornamento, che consentono a quella memoria di raggiungere in modo significativo ed efficace gli uomini e le donne di ogni generazione, nel corso della storia.17
La messa infatti non è un vago ricordo del passato, quale potrebbe esserci offerto dalla visita a un museo, né un’occasione per fissarci una volta per tutte in abitudini consolidate, per quanto care e romantiche per la sensibilità di alcuni "utenti". Essa contiene certamente degli elementi immutabili ai quali dobbiamo restare assolutamente fedeli, ma ripresenta (proprio nel senso di rendere di nuovo "presente") il sacrificio pasquale del Figlio di Dio e la nuova alleanza che ne scaturisce. È quindi nell’oggi di Dio che viene celebrata ogni eucaristia. In questo "oggi" essa deve risuonare come appello significativo e comprensibile rivolto alla libertà della creatura umana, perché accolga il dono di grazia e si converta e viva.
In questo senso è consegnata a ogni generazione di cristiani una grande responsabilità: e oggi dobbiamo assumerla insieme come Chiesa diocesana.
Il bene, l’aspetto positivo ed edificante delle nostre celebrazioni eucaristiche è fondato sulla grazia di Dio e insieme affidato alla nostra libertà e alla nostra intelligenza di fede.
Vorrei che questa lettera fosse per tutti noi un’occasione in più per riflettere seriamente su tale responsabilità: il corpo e il sangue di Cristo sono posti nelle nostre mani.
La radice del bene: il seme cade in terra, muore e porta molto frutto
Se continuiamo a parlare della responsabilità della comunità cristiana non è perché la verità e l’efficacia dell’eucaristia vengano fuori dai suoi sforzi organizzativi e celebrativi.
A volte si ha la sensazione che questo equivoco sia presente nell’affanno con il quale cerchiamo di dare solennità esteriore e sofisticata complessità alle nostre celebrazioni. Riprenderemo tra poco qualche considerazione speciale in proposito. Fin d’ora ritengo importante, però, richiamare alla semplicità, quasi all’essenziale povertà, della messa. Una scelta così grande e divina come l’opera della salvezza del mondo passa attraverso la "kénosi",18 la condiscendenza di Dio che si fa uomo, servo, vittima sacrificale per prendere su di sé e togliere di mezzo il peccato del mondo. Si dovrebbe percepire questa sproporzione rispetto a tutto ciò che gratifica la nostra voglia di trionfo e il nostro gusto fantasioso per le guerre stellari.
Non sarà dato a questa generazione di discepoli, come a ogni generazione, altro segno se non quello di Giona: come il profeta nel ventre del pesce, così il seme cadrà nella nuda terra, e questo semplice cadere nella morte aprirà i sigilli e scatenerà la sua forza, facendogli portare molto frutto.19
Quando celebriamo decentemente la messa, proprio di questo dovremmo occuparci. E di questo stare contenti. La verità di questo pensiero ci riconcilia con tante nostre povertà celebrative, ci toglie l’ansia del perfezionismo, ci riporta a ciò che veramente conta, ci rende attenti a non porre altrove l’accento della nostra attenzione. Questo, ovviamente, non è un invito alla trascuratezza e alla sciatteria, ma alla pace della fede e all’esercizio della speranza teologale che devono confermarci nella persuasione che una buona celebrazione porta frutto nell’apparente povertà del segno e nell'evidente sproporzione tra la nostra attenzione, anche la migliore, e la forza divina che l’attenzione amorevole di Dio incanala nei nostri poveri gesti, memoria viva e attualizzante del suo supremo sacrificio pasquale d’amore, e nelle nostre semplici parole, risonanza umile e grata della sua decisiva e consolante Parola di salvezza.
Alla ricerca delle radici del male
Se quanto abbiamo cercato di considerare fin qui può riguardare la fonte della buona celebrazione della messa, mi pare altrettanto importante che ci interroghiamo sulla radici di quelli che abbiamo più sopra elencato come i problemi e le difficoltà di cui soffre, anche nella nostra diocesi, la celebrazione eucaristica.
Perché tanti celebrano così male l’eucaristia? Perché molti l’abbandonano, senza accorgersi di quello che perdono? Perché tanta superficialità e distrazione?
Le cause di questi fenomeni possono essere molte e diverse.20
Vorrei metterne in evidenza soltanto qualcuna tra le più importanti e tra quelle che più di altre ci possono suggerire quali rimedi mettere in campo per migliorare la situazione. Svolgerò questa riflessione come se dialogassi con alcune persone che hanno smesso di frequentare la messa o che la frequentano per ragioni futili, senza convinzione, o per abitudine, in modo saltuario e distratto.
Spero che nessuno si offenda. Al di là dei sette esempi che sto per fare credo che ci siano anche tante persone che hanno pensato seriamente ai motivi in base ai quali hanno deciso di partecipare o di non partecipare alla messa. Mi piacerebbe dialogare soprattutto con loro: credo di avere molto da imparare e forse qualcosa di interessante da dire. È sempre utile il dialogo e il confronto con chi è in ricerca e affronta volentieri la fatica d’interrogare, d’interrogarsi e di pensare. La comunità cristiana dovrebbe occuparsi di questa categoria di persone molto di più di quanto non faccia di già. Sia i credenti consapevoli e motivati secondo il Vangelo, sia i non credenti o non praticanti altrettanto consapevoli e dotati di serie motivazioni non possono che trarre giovamento da un confronto e da un’amicizia franca e rispettosa, tra persone in serena e onesta ricerca della verità possibile…
Tentiamo però, a questo punto, di dirigere l’attenzione verso altre persone, senza volerle giudicare, ma semplicemente cercando di indicare le radici di comportamenti immotivati o del tutto erronei a riguardo della partecipazione alla messa. Ci fermiamo a sette esempi.
1. Se non vieni a messa per ignoranza: sei forse il caso statisticamente più frequente. Forse semplicemente non sai nulla di tutta questa faccenda del cristianesimo. Oggi la tua situazione, se è questa, sta diventando sempre più frequente. E forse non è del tutto un male. Ma anche se sei stato battezzato, ti è successo quando non ne sapevi nulla; e quando ti hanno portato a fare il catechismo per la prima comunione e la cresima hai sopportato pazientemente, cercando di pagare il minimo indispensabile e di imparare il meno possibile (ammesso che ti abbiano detto qualcosa di interessante). Quello che hai dimenticato nel frattempo, vuol dire che non era importante. Se ti sei sposato in chiesa hai accettato di partecipare a qualche incontro di preparazione. Male non ti ha fatto: tanto sapevi già cosa vuol dire imbarcarsi in un matrimonio. E finalmente hai deciso che "andare in chiesa" non rivestiva per te alcun interesse. A che scopo continuare a fare dei gesti che non significano assolutamente nulla per la tua vita? Meglio fare qualcosa di utile o di più divertente. Dalla tua hai almeno il vantaggio della coerenza. Ma è un vantaggio magro: come la coerenza di chi passeggia su un tesoro nascosto in un campo, e non sapendo della sua esistenza, non perde tempo a scavare una fossa che è, a suo modo di vedere, assolutamente inutile.
2. Se vieni semplicemente per abitudine:21 forse sei di quelli che vengono a messa senza farsi alcuna domanda e senza proporsi alcuno scopo. Vieni semplicemente e basta. Non hai di meglio da fare. Venire non ti disturba più di tanto. Solo non capisci perché ci sia sempre qualcuno che si affanna a farti delle domande. Come se fosse necessario avere sempre dei motivi per fare le cose. Si fanno e basta. Ci siamo abituati. A messa ci venivano i tuoi genitori e i tuoi antenati, con qualche eccezione trascurabile. Perché non dovresti andarci tu? In certi ambienti andare a messa è ancora percepito come un segno di riconoscimento delle persone perbene. Non c’è niente di male ad accreditare un’immagine positiva di sé e della propria famiglia. E poi hai una prozia suora: come potresti non andare a messa?
3. Se vieni solo per senso del dovere: sei convinto che, probabilmente, esiste Dio. E capisci al volo che, se c’è, conviene tenerlo buono e avere con lui i conti in regola. È logico che lui comandi e noi si debba obbedire. In fondo non ti chiede troppo: una tassa settimanale di un’oretta scarsa (e poi sono sempre possibili degli sconti) non è un’aliquota esosa. Si può pagare. L’interesse è alto, sperando che ci sia, come dicono i preti. Non si sa mai. E poi, quando sei andato a messa ti senti più sollevato: hai fatto il tuo dovere, e fino alla prossima settimana, o alla prossima occasione, non ci pensi più. La tua motivazione si arricchisce se al dovere verso Dio si aggiunge anche la doverosa attenzione a qualche consuetudine sociale. Devi per esempio fare rappresentanza alla cerimonia… oppure devi accontentare chi insiste o chi soffrirebbe troppo della tua assenza (moglie, marito, nonna o suocera che sia), oppure devi dare il buon esempio ai figli…
4. Se vieni per ottenere un vantaggio: Dio, si dice, è onnipotente. Certo non lascerà mancare i suoi favori a coloro che lo frequentano. Ed è altrettanto probabile che non tralasci di creare qualche guaio a chi lo trascura. Quindi vai a messa con la segreta intenzione di procurarti qualche vantaggio. Tant’è vero che la tua frequenza aumenta soprattutto in connessione con qualche grazia particolare da chiedere o con qualche preghiera di suffragio da offrire per la buonanima dei parenti. Ti ricordi che in occasione dell’ultima biopsia sei andato perfino a una messa feriale? Dio è un onesto galantuomo e non lascerà senza ricompensa chi ricorre a lui con tanto sacrificio di tempo e di energie.
5. Se vieni per fare una bella esperienza spirituale: un giorno mi hai detto: "guardi, reverendo, se mi tolgono la messa, io mi sento privato di uno dei momenti più belli della mia settimana. I canti, meglio se in gregoriano, la solennità della liturgia, l’atmosfera spirituale sono l’occasione di poter finalmente pensare alle vicende della mia vita. Tutto questo ha un influsso calmante sullo stress della mia settimana lavorativa. Vado a cercare la messa più garantita e più ricca di stimoli da questo punto di vista. Mi ci immergo come in un concerto di musica classica e ne emergo riposato e rinnovato. Il conforto che mi dà la messa non lo trovo in occasione di nessun altra esperienza estetica o culturale. La religione è veramente un grande balsamo dello spirito". E ti ho visto andare via contento senza avere il coraggio di inquietare una coscienza così incantevole, ma così lontana dal vero!
6. Se vieni per far festa con gli amici: perché se non c’è il mio gruppo con le chitarre, che messa è? La messa conviviale e giovanile (ma piace anche alla tua vecchia zia) al mattino; il bagno in mare al pomeriggio e la pizzata in gruppo alla sera: questa è la festa dei bravi giovani cristiani. Il resto lo lasciamo ai bacchettoni e allo stress dell’azione cattolica. Da quando hai scoperto che la messa è un’ottima occasione per stare insieme, per condividere, per sperimentare qualche emozione un po’ diversa, ma sì, anche per pregare in modo "nostro", il dovere di santificare la festa non ti pesa più come prima. Non è forse una cena tra amici? Non ci diamo forse un gran daffare per scambiarci la pace a più non posso prima di andare a ricevere la particola e concludere il rito? Le messe inamidate e compassate non le sopporti più. La vita ti chiede già tante altre cose serie e impegnative. Che sia possibile almeno la domenica alla messa fare un poco di festa tra amici!
7. Se vieni per stare con il "tuo" Gesù: di per sé, preferiresti l’atmosfera mistica di una chiesa deserta. Spesso mi hai detto che preghi meglio così. Vai in chiesa quando non c’è nessuno. Tanto quelli che vanno sempre a messa non sono migliori degli altri. Anzi. Però qualche volta ci vai. Allora speri che ti lascino godere il tuo rapporto intimo e personale con il tuo Gesù (forse sarebbe più vero dire con il tuo generico "Signore") e ti disturbino il meno possibile con amplificazioni invadenti, prediche roboanti e canti sguaiati. La messa è cornice adatta a propiziare il tuo rapporto individuale con quello che chiami il tuo Dio. La religione è infatti per te questo pio affetto del cuore che va coltivato in momenti particolari della vita, lasciando tutto il resto sotto l’influsso della logica pagana imperante in questo mondo. Nel quale non si sta poi così male. L’incontro con Dio c’è sempre tempo per renderlo definitivo: per ora ti accontenti di qualche assaggio domenicale che non costa più di tanto.
Altri esempi potrebbero essere inventati. Ma si tratta solo di fantasia? Le radici delle deviazioni e degli equivoci che allontanano dalla verità della messa e del Vangelo sono davvero molteplici e spesso si combinano tra loro dando luogo a comportamenti religiosi di cui diventa sempre più difficile fare una diagnosi accurata e stabilire una cura efficace.
Quelle che abbiamo esemplificato dovrebbero essere sufficienti a suggerire una rinnovata attenzione catechistica e pastorale alla situazione della nostra gente in rapporto alla partecipazione alla messa. Sarebbe utile, credo, che tutti noi facessimo uno sforzo per capire quanto e come questi e altri possibili malintesi possono essere conosciuti nelle loro radici e affrontati e risolti nella loro ambiguità. Per capire quanto e come dobbiamo aiutare fratelli e sorelle a liberarsi da questi equivoci e far loro sperimentare la gioia autentica del Vangelo, la verità della fede e la bellezza della partecipazione genuina, attiva e consapevole alla messa, fonte e culmine di tutta la vita cristiana.
4. Andiamo alla messa: come e perché
Cosa veramente succede durante la messa
La messa non è un insieme di preghiere e di riti, di intercessioni e di gesti liturgici, pur essendo accompagnata e, per così dire, espressa da tutto questo. La messa non entra nella categoria dell’orazione, ma in quella dell’azione. La messa è un evento. Qualcosa succede in essa. Si richiede e si determina una reale partecipazione a qualcosa che realmente avviene.
Andare a messa senza rendersi conto di questa elementare verità significa rimanere fuori dalla sua logica, estranei al suo linguaggio, incapaci di ricevere il dono che essa porta con sé.
Andiamo a rileggere alcune pagine luminose della prima costituzione del concilio Vaticano II, quella sulla liturgia: vi troviamo delle espressioni di grande significato e attualità per la nostra fede di oggi, e purtroppo largamente sconosciute.
Faccio solo due esempi: il Concilio ricorda che nel divino sacrificio dell’eucaristia si attua l’opera della nostra redenzione,22 e si contribuisce nel modo più efficace a far sì che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa. Indicando poi la liturgia come fonte e culmine della vita cristiana, come luogo in cui si esprime e si alimenta la sua forza redentrice e la sua bellezza, il testo del Concilio prosegue dicendo che nella messa si rinnova l’alleanza del Signore con l’umanità e si accende nei fedeli il fuoco dell’amore di Cristo, in modo che in essi prenda forma l’annuncio e l’offerta della salvezza rivolta al mondo intero:
"Dalla liturgia, dunque, particolarmente dall’eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo verso la quale convergono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa".23
In questi testi autorevoli è già espresso il centro vitale di tutto quello che c’è da sapere e da vivere andando alla messa. Di qui potrebbero partire tanti approfondimenti di tipo teologico e spirituale. Ma non mi pare possibile svolgere in questa sede un discorso completo, sia quanto a profondità teologica sia quanto a descrizione analitica a livello di catechesi e di liturgia, sulla messa e più in genere sull’eucaristia.24 Questa è soltanto la lettera di un amico vescovo, indirizzata a suoi amici, fratelli e sorelle nella fede, e a tutti gli uomini e donne a cui piace pensare e cercare di capire.
Mi accontento quindi di elencare, con il linguaggio semplice e familiare che ho cercato di usare fin qui, sette buoni motivi per deciderci ad andare a messa, sette atteggiamenti della mente e del cuore, dell’intelligenza e della volontà che possono sostenere una partecipazione al sacrificio eucaristico degna di persone adulte e responsabili. Una partecipazione che, secondo l’espressione del Vaticano II, dovrebbe avere tre caratteristiche. Dovrebbe essere cioè "consapevole, attiva e fruttuosa".25
Non posso, infatti, negare l’impressione che a volte ricevo, guardando verso la comunità mentre celebro all’altare, soprattutto in occasione di qualche ricorrenza particolarmente solenne, di trovarmi di fronte a un’assemblea in parte imbarazzata e quasi spaesata. Come se molti si trovassero costretti ad assistere alla partita di uno strano sport esotico di cui non si conosce neppure il più elementare regolamento. Credo che nessuno avrebbe il coraggio di portare i propri figli allo stadio a vedere una partita senza saper spiegare loro cosa succede in campo. Avremmo troppa vergogna. Invece continuiamo a portarli a fare la prima comunione e la cresima, ma ci teniamo a distanza di sicurezza (qualcuno coerentemente non entra neppure in chiesa) da ogni coinvolgimento che possa esporci al rischio di sentirci chiedere da uno dei nostri bimbi: "Babbo, mamma, perché si fa così…, perché si dice questo…?".
Quanti adolescenti, passata la cresima, smettono di andare a messa senza che nessuno degli adulti - genitori, parenti e amici - riesca a ricordare o ad offrire loro un motivo decente e ragionevole per far loro capire che sarebbe meglio invece continuare ad andarci!
Le riflessioni che seguono vorrebbero aiutare tutti ad avere delle buone ragioni e dei motivi validi per andare a messa. Non solo. Potrebbero essere anche utili per rispondere, appunto, ai nostri figli, ai nostri amici e vicini di casa, ai nostri compagni di lavoro e a chiunque ci dovesse chiedere ragione della speranza che è in noi cristiani. Qual è l’ultima volta che abbiamo invitato qualcuno dicendogli "Andiamo a messa! Vieni a messa con me!" e gli abbiamo spiegato in modo persuasivo e convincente il senso del nostro invito?
La speranza che ci è stata affidata con la fede ha "ragioni" in sovrabbondanza, che vanno offerte a tutti con dolcezza e rispetto, con umiltà e semplicità di cuore, ma anche con la fiera consapevolezza di essere portatori di una ricchezza che non è nostra, che non viene da noi, ma che è stata deposta nelle nostre mani perché ne facciamo dono a tutti coloro che incontriamo.
Sette buone ragioni per andare a messa
1. Andiamo a messa perché siamo invitati
In primo luogo dobbiamo essere persuasi che non si tratta di una nostra iniziativa, di una nostra scelta spontanea. Noi rispondiamo a un invito. Quante volte il Signore ha paragonato il regno dei cieli a un banchetto festoso delle nozze del figlio del re al quale il padre invita tutti! L’iniziativa è sua. Nostra responsabilità è solo quella di renderci disponibili a ricevere un dono. Non sanno cosa si perdono quelli che accampano scuse e corrono dietro ad altre voci e ad altre urgenze!26
Il desiderio di Dio non è quello di aver le chiese piene, ma di condividere con i suoi amici l’impegnativa bellezza della vita.
Quando andiamo a messa, ricordiamo quel versetto stupendo del Vangelo di Luca che costituisce una delle rare occasioni di penetrare nell’intimità dei sentimenti di Gesù. Il Maestro così si esprime: "Ho desiderato ardentemente di mangiare questa pasqua con voi, prima della mia passione".27 La messa è frutto, dunque, di un ardente desiderio di Dio che aspetta me, che aspetta ciascuno di noi: il gruppo dei suoi amici, tutti insieme. Ancora prima di sapere che cosa ci accadrà, prima di chiedermi come mi dovrò comportare, è questo invito che mi muove e mi interpella. So che viene da un Amico, da un Dio che si è fatto vicino e che dice di amarmi. Che desidera ardentemente incontrare proprio me, proprio noi. La mia assenza non gli è indifferente. Non è vero che non cambia nulla, sia che noi siamo presenti sia che non ci siamo.
Già in questo primo punto cominciamo a capovolgere la mentalità pagana della "religione del buon senso": al centro non c’è il mio interesse, ma il suo desiderio; non la mia tassa spirituale, ma la sua voglia di condividere qualcosa di importante con me; non le mie stanche abitudini di perbenismo religioso, ma la sua sconvolgente iniziativa che annuncia grandi novità per la mia vita.
2. Andiamo a messa spinti dall'affetto per il Signore
Se la Chiesa ha dovuto rassegnarsi ad annoverare tra i suoi massimi precetti quello della partecipazione alla messa domenicale, facendo eco e traducendo in concreto il terzo comandamento dell’antica legge,28 lo ha fatto per la durezza del nostro cuore. E ci conviene accettare con umiltà anche questo nella profonda consapevolezza della meschinità della nostra risposta all’amore di Dio.
Ma come sarebbe bello se la Chiesa dovesse dire: "Non esageriamo! Andiamo a messa anche solo la domenica, perché il nostro affetto per il Signore è così grande che ci sentiremmo trascinati ad andarci ogni momento, a moltiplicarne a dismisura le occasioni!" Mi rendo conto del paradosso. Ma serve a dire che l’unico orizzonte adeguato nel quale si vede bene il profilo della messa è quello dell’amore, dell’affetto sincero e gratuito per il Signore, considerato che - come vedremo tra poco - proprio di questo si tratta in fin dei conti: di fare un’esperienza di amore.
La partecipazione alla messa dovrebbe essere un bisogno del cuore che trova riposo e pienezza di vita soltanto di fronte all’amore nella sua perfetta forma espressiva e nella sua massima efficacia trasformante. In questo senso sant’Agostino diceva che Dio ha fatto il nostro cuore per lui e il nostro cuore resta inquieto fino a che non riposa in lui.
Chi di noi potrebbe dire con sincerità: vado a messa perché Gesù mi è simpatico, perché gli voglio bene? E mi basta questo motivo! Non ho altri interessi da accampare. A chi mi chiedesse se ci vado per cavarne un qualsiasi vantaggio risponderei con la stessa indignazione di un figlio che desse un bacio alla mamma o di un marito innamorato che avvolgesse di un tenero abbraccio la sua sposa, ai quali venisse chiesto: "Cosa ci guadagni con questo gesto? Quale profitto ne ricavi? Quale senso del dovere ti spinge a fare ciò?".
Com’è possibile che per qualcuno l’andare a messa alla domenica sia ancora semplicemente un gesto "per soddisfare il precetto"? Penso che il Signore non abbia alcun interesse a procurarsi dipendenti solerti e schiavi irreprensibili nelle osservanze delle leggi e dei regolamenti. Egli ci ha parlato di un Dio che vuole figli e amici, e un tale Dio è stato ed è per noi rivelazione piena e definitiva.
3. Andiamo a messa per gratitudine
Credo che tutti sappiano ormai, giacché lo si dice così spesso anche nella predicazione, che la parola "eucaristia" viene dalla lingua greca nella quale vuol dire "ringraziamento". È interessante notare che i Vangeli e gli altri testi del Nuovo Testamento riportano questa parola e i suoi derivati quasi sessanta volte, nei contesti più diversi. Ma essa ritorna nella memoria apostolica dell’ultima cena, quando Gesù prende il pane e il calice del vino e "rende grazie".29
Quando la prima comunità cristiana ha cominciato a elaborare lentamente il nuovo linguaggio della fede, dando i nomi appropriati alle nuove realtà portate dal Vangelo del Signore, non si è accontentata di chiamare "santa cena", "sinassi" o "santa assemblea" (o tanto meno "servizio divino") la memoria viva del corpo e del sangue del Signore. Ha scelto e progressivamente messo al centro del suo linguaggio la parola "eucaristia" per significare che l’atteggiamento della riconoscenza, del "grazie" di fronte alla gratuità della grazia di Dio, è fondamentale nella celebrazione della messa.30
Anche i testi della liturgia ci invitano a mettere al centro della nostra attenzione questo atteggiamento quando, per esempio, all’inizio di quasi ogni prefazio troviamo l’affermazione che "è veramente cosa buona e giusta… rendere grazie a te, Signore…".
Gesù, dunque, in quell’ultima cena, prende il pane e "rende grazie": dal cuore del Figlio scaturisce spontaneo il sentimento di gratitudine nei confronti del Padre suo. Mentre spezza il pane egli lo mostra a noi perché ci mettiamo in sintonia con questo stesso sentimento, che si rivela per noi quasi complementare, e per così dire correttivo, rispetto a quello che abbiamo descritto nel punto precedente. Infatti il nostro affetto, come abbiamo visto, è una risposta. Non ha mai l’iniziativa assoluta. È sempre anticipato dall’affetto del Signore. Tutta la nostra obbedienza di fede, quell’obbedienza che noi dobbiamo garantire al Signore nei confronti della sua volontà e di tutti i derivati della sua volontà, compresi i precetti e le leggi che egli non è venuto ad abolire ma a portare a compimento, deve essere vissuta nella forma della gratitudine. Tutta la vita del cristiano dovrebbe essere vissuta come un grande atto di riconoscenza, come un continuo "grazie" rivolto al Signore in modo gratuito, senza badare a ciò che da questo grazie può derivare di buono "per me".
Ciò vuol dire che non andremo mai a messa per pura e semplice paura del castigo dell’inferno; oppure dopo aver calcolato che, tutto sommato e sottratto, in fondo ci conviene per guadagnare altri meriti in vista del premio del nostro personale paradiso. La paura e l’interesse personale sono le due forme dell’obbedienza tipiche dello schiavo, del dipendente. E il Signore non sa che farsene. O meglio: sa che non è questo il modo nostro di essere felici e di trovare la nostra verità di figli di Dio e la pienezza della vita.
Andiamo a messa per dire grazie a Dio. Perché è giusto e bello così. Solo se affrontiamo la messa con questo atteggiamento di fondo potranno "funzionare" i suoi effetti benefici. Come se dovessimo raccogliere in un recipiente l’acqua viva che ci è necessaria per non morire di sete: potremmo essere anche sotto le cascate del Niagara e avere in mano un recipiente enorme, ma se il recipiente è girato dalla parte sbagliata neppure una goccia sarà trattenuta per noi. Solo se esso è girato dalla parte giusta potremo raccogliere qualcosa.
L’infinita sovrabbondanza della grazia di Dio scorre sopra gli schiavi come l’acqua sul vetro di una vasca capovolta. Non lascia traccia. Solo l’umile gratitudine dei figli è aperta e accogliente come un solco di buona terra per trattenerne la giusta misura che feconda, fa nascere, nutre e disseta la vita.
4. Andiamo a messa per lasciarci trasformare dal fuoco dello Spirito
Qui siamo giunti a quello che potrebbe essere considerato il centro del nostro discorso e il motivo fondamentale del nostro andare a messa. Ricordo però che non può essere l’unico: perché la logica salvifica e trasformante del sacramento funziona bene solo se sono presenti in misura sufficiente tutti e sette i motivi che stiamo elencando.
Se andiamo a messa sul serio ne usciamo sempre diversi, e molto diversi, da come siamo entrati. La stessa affermazione può valere, fatte le debite proporzioni, anche a proposito del battesimo. Un testo del Vangelo mi pare molto significativo al riguardo. Dice il Signore:
"Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere e come sono angosciato finché non sia compiuto!".31
La duplice allusione - al fuoco e al battesimo - si riferisce a un unico evento: quello della sua passione, morte e resurrezione. È la Pasqua del Signore, è la nuova ed eterna alleanza, che accende il fuoco dello Spirito e inaugura l’immersione (questo è il significato della parola "battesimo" nella lingua greca) dell’umanità nel fuoco dell’amore di Dio.
Lo Spirito Santo, moltissime volte invocato durante la celebrazione eucaristica, svolge appunto questo compito: siamo immersi attraverso di lui nel fuoco purificante e trasformante della dedizione di Dio per la salvezza dell’umanità, nel fuoco dell’amore di Gesù Cristo per il Padre e per i peccatori, cioè per tutti noi. Tale trasformazione avviene, durante il rito, in modi e forme diverse. Ne ricordiamo qui soltanto quattro, le principali.
- All’inizio siamo accolti per essere purificati, liberati dal peccato, perdonati, trasformati dall'infinita misericordia di Dio. Dobbiamo ricordarci che noi non siamo soltanto degli invitati senza alcun merito previo, senza alcun titolo adeguato nei confronti del dono che ci è offerto. Dobbiamo riconoscere qualcosa di molto più profondo: dobbiamo sapere cioè che non partiamo da zero ma siamo ampiamente sotto zero di fronte all’amore di Dio. Riconoscere il nostro peccato vuol dire metterci nella condizione di capire la profondità abissale dell’amore di Dio per noi: "A stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi".32 Così scrive san Paolo ai Romani. Il momento iniziale della messa ha questa grande importanza. Mette le cose al loro giusto posto: noi invitati, non solo immeritevoli ma indegni; il Signore accogliente, non solo generoso ma ricco di misericordia perché pronto a piegarsi con amore sulle nostre miserie e i nostri peccati. Tutto questo, evidentemente, non vuol dire che dobbiamo rimanere passivi e tranquilli nei nostri peccati. Già san Paolo doveva difendersi dall’accusa derivata da questo possibile equivoco.33 Veniamo perdonati e trasformati dalla misericordia di Dio. Veniamo messi in grado di continuare la nostra lotta contro il peccato, disposti a resistere contro il peccato fino all’effusione del sangue se necessario, con la grazia di Dio. L’incontro con lui ci trasforma e ci purifica perché camminiamo in una vita nuova.
- Un secondo momento "trasformante" è dato dall’ascolto della Parola. Non si tratta soltanto di accogliere un insegnamento o di imparare qualcosa. Si tratta di incontrare una persona e di entrare in una sempre nuova e più profonda intimità con questa persona. Secondo il suggerimento di Gesù stesso, dovremmo "abitare" la sua parola per entrare nella verità che ci fa liberi.34 Un ascolto fatto con il cuore trasforma il nostro modo di pensare e di agire, di essere e di vivere. Anche nel caso delle relazioni tra persone umane, è soltanto per una lunga consuetudine con le parole di un interlocutore reale che noi possiamo avere accesso al suo intimo, alle intenzioni del suo cuore, al senso che egli sta dando alla sua vita. La Parola proclamata nella liturgia è il grande mezzo che comunica le intenzioni di Dio, che ci consente di conoscerlo personalmente e di entrare in sintonia con il suo Spirito. Ed è infatti lo Spirito che ci guida verso tutta la verità: "Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto".35 Lo Spirito Santo apre la nostra intelligenza alla comprensione delle Scritture e di tutto ciò che in esse riguarda Gesù e la buona notizia della sua morte e resurrezione.36 L’ascolto della Parola non è un rito vuoto al quale ci si può accontentare di assistere passivamente e distrattamente. La parola di Dio letta e, si spera, adeguatamente commentata, dovrebbe lasciare un segno nella memoria, nell’intelligenza e nel cuore del credente che così si familiarizza sempre di più con la verità di Dio stesso e delle sue intenzioni sul mondo e sulla storia. Si arriva così a conoscere il contenuto e il senso della volontà di Dio. Essa non è un enigma indecifrabile. Non è il frutto di un bizzarro e imprevedibile potere del divino padrone. La Parola ci conduce a conoscere la volontà di Dio e a entrare in sintonia con essa: la volontà di Dio finalmente svelata dallo Spirito nella vicenda umano-divina di Gesù di Nazaret: ricapitolare tutto in Cristo, fare di Cristo il cuore del mondo.37 Si entra alla messa forse con tanti altri progetti e desideri nel cuore. Si dovrebbe uscirne trasformati e "unificati" intorno all’unico progetto di Dio.
- Ecco dunque il realizzarsi concreto del cuore palpitante di questo progetto: il Verbo si è fatto carne, è venuto ad abitare in mezzo a noi, e ha spezzato il suo corpo e sparso il suo sangue in remissione dei peccati come nuova e ultima alleanza tra Dio e l’umanità, come rivelazione suprema e definitiva della verità e della bellezza dell’amore: "li amò sino al compimento…" e dall’alto della croce: "tutto è compiuto".38 Questo gesto d’amore, vero e autentico sacrificio del Figlio di Dio, viene reso presente nel segno reale ed efficace del suo corpo e del suo sangue, dati come nutrimento della vita dei discepoli e offerti come modello e fonte della loro stessa forza di amare: "fate questo in memoria di me". "Questo" non si riferisce solo alla ripetizione rituale, ma anche alla memoria viva dell’amore di Dio rivelatoci e donatoci da Gesù Cristo crocifisso, che il credente deve portare nel mondo, traducendolo, in mille occasioni e sotto mille forme diverse, nella testimonianza di una vita redenta e capace di inserire nella storia il flusso vivificante dello Spirito Santo, la logica nuova e sorprendente di una dedizione incondizionata di sé. Contemplare questo amore che traspare dalla croce, dal corpo spezzato e dal sangue sparso, è l’occasione della nostra rigenerazione come figli adottivi di Dio sul modello del Figlio unigenito. Tutte le varie forme di devozione e di culto eucaristico trovano qui la loro sorgente e il loro senso. Essere presenti e partecipi nella fede (e non solo spettatori passivi) del supremo sacrificio della croce trasforma la nostra vita perché è lì, in questa circostanza, che riceviamo direttamente il dono di un’assimilazione alla forma generale della vita divina. La messa non potrà mai essere ridotta a una cena festosa tra amici, vissuta nel vago ricordo di un lontano sacrificio. Anche nelle sue forme espressive (parole, gesti, canti…) è necessario che mantenga la sua caratteristica di momento solenne e drammatico. Aperto alla certezza della divina conferma della vittoria dell’amore crocifisso che è data dalla resurrezione. Aperto quindi alla gioia della speranza cristiana e alla certezza della fedeltà di Dio alle sue promesse. Ma sempre rispettoso della forma estremamente solenne e seria di questo gesto sacrificale rispetto al quale siamo chiamati a lasciar trasformare la nostra vita dallo Spirito Santo di Dio.
- "Prendete e mangiate… prendete e bevetene tutti": ecco l’ultimo dei quattro momenti sui quali voglio attirare l’attenzione. Necessario compimento della nostra partecipazione alla messa è la comunione con il corpo e il sangue del Signore. Essa non è un premio per i buoni: certamente non lo è per coloro che si ritengono tali e se ne compiacciono. Essa è l’offerta del cibo necessario perché un popolo di peccatori possa riprendere il cammino verso il suo Signore. Certo è necessario, per nutrirsi, avere un minimo di vita. I morti non mangiano e non bevono. E ciascuno deve esaminare a fondo se stesso e solo dopo questo onesto esame, se trova in se stesso, per grazia di Dio, un minimo di vita coerente con la fede, accedere al corpo e al sangue del Signore. Abbiamo forse giustamente abbandonato un regime troppo rigoroso che, tra digiuni dalla mezzanotte ed elenchi spropositati di peccati mortali, rendeva molto difficile superare questo necessario esame. Ma la mia impressione è che in molti casi siamo caduti nell’eccesso opposto. Si corre il rischio di fare la comunione senza alcuna verifica sul proprio stato di vita spirituale, senza rendersi conto del significato e della solennità del gesto, senza assumersi alcuna responsabilità di conversione del cuore, senza mettersi in grado di ricevere il dono trasformante dello Spirito. La comunione con il corpo e il sangue del Signore dovrebbe incendiare la nostra vita e renderla luminosa come sopra un candelabro, farla lievitare come un buon pane per la vita del mondo, renderla capace di offrire, come un buon sale, gusto nuovo alla vita di tutti coloro che incontriamo. Dovrebbe renderci quasi un prolungamento, se così posso dire, dell’offerta sacrificale di Gesù sulla croce. In comunione con lui: dovremmo uscire dalla messa con questo segno impresso nella nostra esistenza di uomini e donne redenti e trasformati in figli di Dio.
5. Andiamo a messa per entrare nel corpo di Cristo che è la Chiesa
"Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me":39 con queste parole Gesù indica la funzione aggregante e incorporante della celebrazione eucaristica. Essa non si riduce a un’offerta rivolta a singole persone, a loro individuale vantaggio e per il loro personale consumo. Partecipare alla messa vuol dire farsi introdurre sempre più in una nuova rete di relazioni, nella quale diventiamo gli uni membra degli altri, e tutti insieme parti vitali dell’unico corpo di Cristo che è la Chiesa. Non esistono messe "private" né celebrazioni eucaristiche riservate ai soli soci paganti.
"Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane":40 così san Paolo scrive ai cristiani di Corinto. Alle sue parole fa eco un testo antichissimo della Chiesa del secondo secolo41 che riporta alcune preghiere da recitare durante la messa:
"Come questo pane spezzato era sparso sui colli / e raccolto divenne una cosa sola / così la tua Chiesa si raccolga dai confini della terra nel tuo regno / poiché tua è la gloria e la potenza, per Gesù cristo, nei secoli… / Ricordati, Signore, della tua Chiesa / liberala da ogni male / rendila perfetta nel tuo amore / e, santificata, raccoglila dai quattro venti nel tuo regno / che ad essa preparasti / perché tua è la potenza e la gloria nei secoli"
Nella celebrazione della messa viene compaginato il corpo di Cristo e ben due volte, nella preghiera eucaristica, è chiamato in causa lo Spirito Santo: la prima "perché questo pane diventi il corpo di Cristo" e la seconda "perché noi tutti che mangiamo di questo pane diventiamo un solo corpo in Cristo".
Con un’espressione che ci può sembrare alquanto strana, una certa tradizione teologica parlava della messa come "fabrica corporis Christi". Sì, proprio così: la fabbrica del corpo di Cristo. Nella messa si da vita al corpo eucaristico e anche al corpo mistico di Cristo che è la Chiesa!
Non possiamo partecipare alla messa senza assecondare questa operazione dello Spirito Santo che ci incorpora alla comunità ecclesiale. Se è vero, come vedremo tra poco, che il frutto della celebrazione dovrebbe essere proprio la nuova capacità di amare come Cristo ci amati, la prima conseguenza della messa dovrebbe essere il consolidamento di questo amore - sempre e comunque aperto e accogliente verso tutti - tra coloro che hanno condiviso tale celebrazione.
E vale anche il contrario: quando dalla messa non si dovesse uscire più capaci di amarci tra noi, più allergici alle divisioni, alle ripicche, alle critiche malevole e ai giudizi impietosi che tanto spesso abitano il nostro cuore, non siamo andati a messa, abbiamo solo perso del tempo. Se non si dovesse uscire per lo meno con il desiderio sincero di essere più buoni, più capaci di perdonare, di sopportare, di amare non a parole ma con i fatti e nella verità, una cosa è sicura: quello che si è fatto non ha nulla a che vedere con il cristianesimo e con la fede cristiana.
Non dobbiamo mai perderci di coraggio quando ci accorgiamo di non riuscire a volerci bene, nonostante tutti i nostri buoni propositi: la via della fraternità e dell’amore ecclesiale è lunga, stretta e difficile. Quello che conta è orientarci verso la meta sulla strada che il Signore ci indica con il suo corpo spezzato e il suo sangue sparso. Questa direzione va imboccata con chiarezza e determinazione. E poi bisogna continuare a camminare e rialzarci in piedi, con la grazia dello Spirito Santo dopo ogni caduta.
Del resto non è forse anche per questo motivo che ci piace tornare, almeno ogni sette giorni, a farci compaginare e riconciliare dall’amore di Cristo nella bellezza della fraternità ecclesiale?
6. Andiamo a messa per continuare a camminare nella vita rinnovati dalla comunione con il Signore
Al termine della messa non si esce di chiesa automaticamente più buoni. Si esce soltanto più responsabili. Abbiamo chiesto perdono, abbiamo ascoltato Gesù e dialogato con lui, abbiamo fissato il nostro sguardo e centrata l’attenzione del nostro cuore sulla sua gloriosa morte in croce e sulla resurrezione che ci ha dato la conferma divina della vittoria di quella morte sul peccato e su tutte le sue conseguenze, abbiamo fatto comunione con il corpo e il sangue di Gesù. E ora?
Non possiamo dire di aver fatto il nostro dovere di buoni cristiani. Semplicemente perché il nostro dovere comincia proprio quando la messa finisce. Il comandamento nuovo, quello che non abolisce, ma orienta e porta al compimento tutta la Legge ("amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi") è stato posto davanti ai nostri occhi e sulle nostre mani. Abbiamo potuto vedere e capire "come" Dio ci ha amati e ci ama nella croce del suo Figlio. Questo amore ci è stato consegnato dal loro Santo Spirito. E ora tocca a noi: in un certo senso la messa non finisce mai, essa continua nella vita della Chiesa e di ciascuno dei suoi membri come compito e come sfida. Di fronte alla mentalità atea e pagana che tutto calcola in termini di profitto e di interesse personale e di gruppo, la Chiesa di Gesù e i suoi membri sono impegnati a dare invece testimonianza a quell’amore "più grande", che è follia per i sapienti e scandalo per i benpensanti. Quell’amore che essi hanno visto sul volto del Figlio Dio, morto per i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione.
Ecco che cosa dovrebbe "produrre" una buona celebrazione eucaristica: una vita umana rinnovata nell’amore secondo lo stile di Gesù. Amatevi l’un l’altro come io vi ho amato: dentro nelle pieghe più quotidiane della vita di ciascuno, in famiglia, nel vicinato, con gli amici, nelle piccole scelte concrete che determinano lo stile dell’esistenza di ogni persona. E dentro le grandi scelte sociali e politiche della comunità umana nella quale i cristiani, nutriti dal cibo eucaristico, nuova manna per il cammino di libertà del nuovo popolo di Dio, sono compagni di viaggio solidali e onesti, generosi e sinceri costruttori di giustizia e di pace.
Quando avremo finito di celebrare la nostra ultima messa, non ci verrà chiesto altro per valutare seriamente la qualità della nostra vita: "Hai amato gratuitamente? Hai contribuito, anche quando non rientrava nel tuo interesse personale e di gruppo, alla crescita di un mondo più umano e solidale? Hai dato senza aspettare nulla in cambio? Ti sei chinato sui più piccoli, i più poveri, gli smarriti, i condannati…?".
La filantropia pagana non basta. Ecco perché vogliamo andare a messa. E vogliamo farlo fedelmente e frequentemente: perché solo da lì possiamo attingere l’amore "più grande", solo da lì possiamo continuare ad alimentare la nostra fede e la nostra speranza, così da diventare capaci di riconoscere l’amore secondo lo stile e la forza di Dio. Solo fedeli alla partecipazione attiva, consapevole e fruttuosa alla messa sapremo promuovere l’amore vero con l’energia che ci viene dallo Spirito Santo perché si allarghino sempre più gli spazi di una carità consapevole e cristianamente ispirata. Saremo anzi sempre preoccupati di non far venir meno questo segno di speranza per il mondo. Non per difendere spazi di privilegio o vantaggi ecclesiali a spese di altri. Ma perché non possiamo fare a meno di alimentare la nostra vita alla sorgente di acqua viva che scaturisce dal Vangelo e abbiamo un grande desiderio di farla gustare anche ad altri, al numero più grande possibile di uomini e donne che si riconoscano figli di Dio, che scoprano la bellezza del suo amore.
Ma sapremo anche riconoscere questo amore "cristiano" dovunque esso si manifesti, anche dove non è consapevole e manca dell’etichetta ecclesiale, per valorizzarlo e liberarlo, per condividerlo e accoglierlo con gratitudine e con gioia. Per metterlo alla base di una convivenza rispettosa e carica di gratitudine per tutti coloro che, consapevoli o no, sono toccati dalla grazia dello Spirito Santo e hanno a essa risposto di sì.
7. Andiamo a messa perché avvertiamo, nel mondo che ci circonda, la fame e la sete di te, Signore
Dovrebbe essere ormai chiaro per tutti a questo punto: non possiamo andare a messa per mangiare il nostro panino consacrato. San Paolo dice con severità ai fedeli di Corinto che se uno viene alla cena del Signore perché ha fame, mangi pure a casa sua, per evitare che la comunità si raduni "a propria condanna"!42
Andiamo a messa non perché abbiamo fame, ma per imparare da Gesù a farci carico della fame e della sete degli altri: fame e sete che si riferiscono certamente anche al cibo materiale, alla giustizia, alla dignità della persona, alla promozione umana sotto tanti aspetti economici e sociali. Di tutto questo, in nome di Gesù e con la forza dell’eucaristia assimilata e vissuta, il cristiano si farà carico con generosità e impegno. Ma non dovremo mai dimenticare che il vero male, la vera sciagura dell’umanità, si annida nel cuore. Dal cuore parte la fame più vera, quella ultima e primordiale insieme. La fame e la sete di accoglienza, di perdono, di considerazione, di affetto, di amore vero.43
Un’umanità che sia orientata e quasi costretta a dimenticare questa fame e questa sete (e non c’è dubbio che l’operazione sia in corso, nel tentativo di risolvere tutto in termini di produzione, profitto e consumo, riservando alla "religione" solo un vago compito consolatorio per persone dalla psicologia un poco fragile) potrebbe al massimo raggiungere uno standard di vita sazio e disperato. Questa sazietà, anche qualora si riuscisse a raggiungerla, rivelerà infatti ben presto il suo volto disumano perché sarà pur sempre la sazietà, il benessere e la "giustizia" protetta di una minoranza più e meno grande di benestanti, di fronte alla miseria, alla sofferenza e alla ingiustizia subite da una maggioranza di poveri.
La fame del mondo si sazia nel cuore.
Con buona pace di certi centri di potere che giudicano questa riflessione di fede uno sterile e alienante "filosofismo".44 Solo cercando di guarire il cuore dall’egoismo e dalla paura, dall’accumulo di beni e dall’insaziabile avidità si potrà fare qualcosa di veramente nuovo e liberante per il mondo intero: non esportando un benessere malato e inquinante, come quello tipico del mondo occidentale, ma diffondendo l’inaudita e meravigliosa logica dell’amore incondizionato che riconosce nel più povero e comunque nel fratello e nella sorella qualcuno che è "più importante di me". Ogni altra considerazione di giustizia distributiva nella quale siamo tutti eguali (cioè rimaniamo tutti così diversi come siamo adesso, perché lo decido io che sto meglio di te), non porta da nessuna parte.
Solo la rivoluzione cristiana potrà permettere all’umanità qualche passo avanti nella ricerca di un umanesimo integrale e di un’integrale promozione umana.
Cibo e bevanda per questa pacifica rivoluzione continueremo ad attingerli alla loro fonte autentica… andando a messa. Se ci andiamo sapendo e volendo quello che là, in quella messa, veramente succede.
La Chiesa di Dio in Livorno continua il suo cammino incontro al Signore con rinnovata coscienza del dono che quotidianamente riceve nelle tante celebrazioni eucaristiche che hanno luogo nel suo territorio. Essa esce dalla messa domenicale "adorna per il suo Sposo" e cerca di essergli fedele nel servizio al regno di Dio e nell’annuncio della verità del Vangelo rivolto a tutti gli uomini e le donne che la incontrano e, in diverse misure, si confrontano con la sua testimonianza.
"La messa è finita": ma in un certo senso la messa non finisce mai. Prima, durante e dopo la liturgia eucaristica, la vita della comunità e dei singoli credenti esprime il proprio amore al Signore e l’obbedienza della fede alla sua volontà.
Vorrei collegare queste note a quanto stiamo pensando per questo cammino ecclesiale nei prossimi tre anni. Lo faccio attraverso tre domande.
- Quale catechesi e quale iniziazione ai santi misteri si rivela oggi necessaria e urgente per coloro che già partecipano alla messa con fedeltà, e quale invece per coloro che l’hanno abbandonata da tempo e magari si riaffacciano a essa dopo anni di assenza? Cosa proporre e come proporlo a chi non vediamo mai nelle nostra comunità? La messa non è un punto di partenza, ma un punto di arrivo e di continuo rilancio della vita di fede: come farla capire e proporla con argomenti belli e persuasivi, convincenti e anche un poco entusiasmanti?
- La messa è un evento di relazione interpersonale con il Signore e dei discepoli tra di loro. Nulla può aiutare la manifestazione di questo aspetto della messa come la valorizzazione della dimensione famigliare della partecipazione al rito. Come coinvolgere le famiglie come tali nella celebrazione? Come valorizzare la famiglia in tante sue ricorrenze e memorie nella grande memoria della Pasqua di Cristo? Come rendere la messa significativa ed efficace nel sostegno alle famiglie in difficoltà, alle coppie in crisi, ai problemi gravi dei rapporti tra genitori e figli, alle persone sole che hanno perso per anzianità o per altri motivi la dimensione famigliare della loro esistenza?
- Alla messa si deve portare la vita reale: quella della storia palpitante e concreta dei singoli e delle comunità civili e sociali. Come far sì che questa vita venga consapevolmente offerta in unione al sacrificio di Cristo perché venga trasfigurata dalla presenza salvifica e divinizzante dello Spirito Santo? Dalla messa deve scaturire la forza, il senso e lo stile di un impegno dei cristiani, singoli e diversamente associati, nel campo civile, professionale, sociale, culturale e politico. Come rendere sempre più trasparente questa efficacia del rito e questa destinazione della sua fecondità spirituale?
La messa è finita: nel nome di Cristo andate in pace
Quando siamo andati alla messa domenicale e torniamo a casa o ci godiamo il resto della giornata festiva, non dovremmo essere accompagnati dalla coscienza un poco farisaica di aver fatto il nostro dovere, e tanto meno non dovremmo essere compiaciuti nella certezza di essere diventati automaticamente dei cristiani migliori o più meritevoli di fronte a Dio.
Veniamo fuori dalla messa forse più buoni e cresciuti nella fede, ma certamente più responsabili.
Nella logica evangelica dei talenti ricevuti.
È come se il Signore ci dicesse: "Ti ho dato il mio corpo e il mio sangue. Ti ho fatto partecipe della mia libera e suprema decisione di amarti fino alla fine, di andare a morire per te. Ebbene: che ne hai fatto di questo tesoro prezioso? Quanto amore è nato da questo incontro? Quanta disponibilità effettiva e concreta a metterti al servizio della fame e della sete di amore, di perdono, di servizio, di prossimità, che ti circonda? Ti ho dato in sovrabbondanza il dono del mio Santo Spirito proprio perché tu potessi donare, con la mia grazia, il tuo corpo e il tuo sangue per la vita del mondo! Che cosa ne hai fatto?".
Come cristiani sappiamo che lo scopo della vita è quello di diventare sempre più conformi a Gesù e amare lui e gli altri come lui ci ha amato, costi quel che costi. Ma se lo scopo della vita fosse quello di salvarsi l’anima spendendo il meno possibile, con la minore fatica e a prezzo scontato, meglio sarebbe non andare a messa.
Purtroppo il gioco al ribasso di chi cerca questa svendita della salvezza a buon prezzo funziona solo per coloro che, senza colpa personale, "non sanno" quello che fanno e quello che dovrebbero fare. Se hai letto questa lettera fin qui… orami non puoi più far parte di questa categoria.45 Sei un discepolo che sa la volontà del suo maestro. Non hai più scuse. Devi rispondere.
A questo punto, se ti riesce, "va in pace"!
5. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta
San Paolo conclude la parte della sua prima lettera indirizzata alla comunità di Corinto riguardante la celebrazione eucaristica con le parole che ho scelto come titolo di questo ultime righe delle mie riflessioni per voi: "Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta".46
Non ci è dato di sapere quali siano queste "altre cose" e come san Paolo le abbia sistemate.
L’Apostolo è cosciente di avere una certa autorità sulla celebrazione e la esercita con forza e spirito di servizio, per edificare e non per distruggere.47 Egli è consapevole di entrare in un campo nel quale le discussioni e le scelte possibili sono quasi infinite. È il vasto campo dell’opinabile, nel quale - una volta salvaguardato l’essenziale - ognuno rischia di fare come gli pare. E questo non va bene. Tanto che san Paolo taglia corto e si appella alla consuetudine consolidata delle Chiese, domandando a tutti un poco di umiltà e di obbedienza (sta parlando del velo in testa alle donne) anche in cose di per se stesse provvisorie e secondarie: "Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine e neanche le Chiese di Dio!".48
In questo senso, anch’io, nella piccola misura della mia responsabilità apostolica nei confronti della celebrazione eucaristica in diocesi di Livorno, desidero elencare alcune "consuetudini" che vorrei fossero rispettate da tutti. Si tratta di mettere in pratica quanto abbiamo sentito e discusso durante il Convegno diocesano dello scorso novembre, quando si affermava la necessità di concentrare il più possibile le energie pastorali intorno all’essenziale della celebrazione della messa domenicale.
Il livello del discorso qui diventa molto diverso da quello delle altre parti della presente lettera. Non per questo va considerato facoltativo o irrilevante. Spero comunque che questa parte delle mie riflessioni non sia la sola a suscitare qualche discussione o l’unica a portare qualche frutto.
Svolgo alcune considerazioni intorno a dieci tematiche concrete, senza pretesa di completezza e senza metterle in ordine d’importanza.
1. Vorrei che imparassimo tutti a custodire e promuovere il decoro degli strumenti liturgici. Pulizia e ordine nell’aula delle celebrazioni, proprietà e bellezza dell’altare tenuto sgombro da ogni suppellettile, perché simbolo di Cristo e non credenza porta oggetti, non ridotto a deposito di microfoni, foglietti, tessuti polverosi, fiori finti e candelieri. E analogamente: cura dei libri liturgici, se non rinnovati almeno risistemati e tali che si possano sfogliare senza doversi lavare le mani subito dopo… Non desidero ricercatezza, lusso od orpelli di alcun genere. Ma la dignitosa proprietà e bellezza delle cose alle quali riserviamo stima e importanza perché esprimono il nostro amore e il nostro rispetto per il Signore, come il profumo prezioso che era contenuto nel vasetto di alabastro, "sprecato" per onorare il corpo del Signore.49
2. Un discorso a parte merita il luogo della riserva eucaristica, quello comunemente chiamato "tabernacolo". È necessario che sia segno di una presenza, e quale presenza! Nella lettera non ho sviluppato il discorso dell’adorazione eucaristica, che meriterebbe una riflessione apposita che faremo forse in seguito. Ma fin da ora mi pare necessario richiamare la dignità del tabernacolo, la necessità di metterlo in evidenza, di educare la gente al riconoscimento della ricchezza del suo significato cristologico, di educare all’adorazione e alla preghiera "faccia a faccia" con Gesù presente nell’eucaristia. Se "alla mia venuta" dovessi aprire i tabernacoli di chiese parrocchiali e sussidiarie, di conventi e di comunità… troverei sempre un luogo decoroso e adatto a custodire il corpo del Signore?
3. La celebrazione della messa deve essere partecipata attivamente dal numero maggiore possibile di persone, distribuendo i ministeri e preparando adeguatamente nei vari ruoli previsti dal rito. Non è accettabile che, di fronte a una comunità fatta anche solo di qualche decina di persone, si faccia leggere tutto a un solo lettore, non si distingua il lettore dal salmista (dovrebbero essere sempre due persone diverse!), non ci siano ministranti, chi presiede legga da solo anche le intercessioni, e via dicendo. Se si distribuiscono con oculatezza e attenzione i diversi ministeri liturgici si può "muovere" attivamente intorno alla celebrazione della messa un buon numero di persone.
4. Ritengo sia importante l’adeguata preparazione dei lettori, accompagnata da un doveroso segno di rispetto della Parola, costituito, tra l’altro, da un lezionario ed evangeliario dignitosi e magari ornati, e da un ambone ben collocato e messo in evidenza, che non venga usato per altre proclamazioni che nulla hanno a che fare con la parola di Dio e l’omelia. Per la proclamazione liturgica della parola di Dio non vengano mai usati foglietti e ciclostilati, ma venga sempre usato il libro liturgico appropriato. Ma torniamo ai lettori: che siano possibilmente adulti e testimoni coerenti di vita cristiana; che conoscano sufficientemente la Scrittura nel suo insieme, o almeno desiderino farlo e siano in cammino su questa strada; che si preparino leggendo in anticipo la lettura, sicuri di averla capita prima loro stessi, e magari facendola oggetto di qualche momento di preghiera personale, prima di proclamarla dall’altare. In particolare: non è consentito che, durante la celebrazione dei sacramenti, le letture vengano proclamate da comunicandi, cresimandi o nubendi, perché in quel momento essi sono i primi destinatari della Parola che sono chiamati ad ascoltare.
5. Raccomando una cura particolare a tutti i momenti di creatività liturgica consentiti e perfino suggeriti dalle rubriche. Nessuno agisca al di fuori e contro le rubriche! La liturgia, e soprattutto quella eucaristica, non è un affare privato. Là dove è richiesta un poco di creatività, si eserciti questo compito con intelligenza e con il giusto stile. Penso alla scelta dei canti, sia quanto a testi sia quanto a melodie. Mi riferisco soprattutto alle intenzioni della preghiera d’intercessione e alla scelta delle offerte nella processione offertoriale. Le prime vanno preparate, possibilmente per iscritto, brevi, in forma d’invocazione e coordinate di norma prima della celebrazione per evitare ripetizioni e vistose dimenticanze. La scelta delle offerte eviti gli allegorismi fuori luogo. Ciò che si offre all’altare deve essere la materia del sacramento, cioè il pane e il vino, e tutt’al più qualcosa di raccolto e di donato per i poveri. Il resto è da evitare o almeno da ricondurre a misure estremamente ridotte. L’offertorio della messa non è comunque il momento per fare scorrere davanti all’altare simboli delle più diverse fattezze e significati.
6. Ritengo che uno dei ministeri più importanti e più dimenticati, o poco sperimentati, sia quello dell’accoglienza. Proporrei di cominciare a fare qualche esperienza in proposito, possibilmente utilizzando dove c’è il sagrato della chiesa o la piazza antistante. Collegato con questo ruolo liturgico mi pare sia quello, troppo dimenticato, di una discreta e preparata voce guida che aiuti la comprensione delle letture con una piccola e sobria introduzione, chieda per esempio il silenzio e la preparazione del cuore alla preghiera almeno cinque minuti prima dell’inizio della celebrazione (ho l’impressione che ci sia un lavoro paziente e prezioso da fare per ridare alla gente il gusto di momenti di silenzio e di rispetto della preghiera personale, anche in chiesa, subito prima e subito dopo le celebrazioni: è anche questa un’educazione preziosa e largamente carente per una dimensione così importante per la vita cristiana), indichi le modalità di distribuzione della comunione, ecc.
7. Raccomando che vengano usate tutte le preghiere eucaristiche che la liturgia ci mette a disposizione. Non vorrei che la prevalenza della seconda fosse motivata dalla necessità di recuperare il tempo sovrabbondante dell’omelia o di altri cerimoniali secondari. È bene che la comunità si familiarizzi con la grande ricchezza e varietà dei testi liturgici che possiamo usare, quando possiamo farlo.
8. Per quanto riguarda le modalità dell’accesso alla comunione si prenda atto di quanto le rubriche del nuovo Messale rendono possibile in tema di comunione sotto le due specie e si dia adeguata istruzione al riguardo. Si cerchi di educare il fedele che riceve il pane eucaristico in mano a farlo in modo appropriato, comunicandosi subito, a lato del ministro che gli ha dato l’eucaristia, prima di voltarsi e di tornare al proprio posto. Il gesto deve esprimere l’atteggiamento di chi accoglie un dono e non di chi "prende qualcosa al volo".
9. I ministri straordinari dell’eucaristia svolgono un ruolo molto significativo e importante, che risale a un'antichissima tradizione,50 sia nel distribuire la comunione durante la messa, sia soprattutto nel portare la comunione ai malati, ai disabili e agli anziani che non possono venire alla chiesa. Essi vanno adeguatamente preparati, e il loro ruolo è così delicato che ritengo necessario che ricevano un mandato esplicito annuale da parte del vescovo, dietro presentazione del parroco, nelle modalità che verranno comunicate a suo tempo.
10. Ricordo infine che la messa, fonte e culmine di tutta la vita cristiana, non è tutto. Non va quindi riempita di tutto, né usata per condecorare e abbellire ogni cosa. È bene che la comunità si raduni anche per altre forme di preghiera, che scopra la bellezza di altre modalità di scambio, discussione e partecipazione nella fede, che sappia celebrare altri momenti di festa, di memoria o di dolore senza tirare sempre in ballo, più a torto che a ragion veduta, la celebrazione eucaristica. La moltiplicazione ingiustificata delle messe non è un buon segno di fede e di fervore eucaristico. È solo motivo di inflazione e sorgente di pigrizia mentale e liturgica. Nessuno dovrà sentirsi allontanato o messo ai margini. Ma agli infanti si dà il latte non il cibo solido per adulti. In altri termini: anche in riferimento alla maturità minima indispensabile per l’accesso ai sacramenti, sarà bene inventare qualcosa di diverso e di edificante prima di coinvolgere nella celebrazione della messa. L’annuncio della fede è per tutti, e gratis. Il sacramento è per i discepoli che camminano decentemente nella fede.51
6. Una preghiera per ringraziare
Al termine delle nostre considerazioni, ridiamo voce alla grande e santa tradizione liturgica della Chiesa e facciamo nostra la preghiera con la quale la Didachè invita a rendere grazie dopo aver consumato il sacrificio eucaristico:52
"Dopo aver mangiato, ringraziate così: / Ti ringraziamo Padre santo, / per ilo tuo santo nome / che hai fatto abitare nei nostri cuori / e per l’amore, la fede e l’immortalità, / che ci hai rivelato per mezzo / di Gesù, tuo Servo. / A Te gloria nei secoli!
Tu, Signore onnipotente, / hai creato l’universo a gloria del tuo nome; / hai dato cibo e bevanda agli uomini, / perché possano goderne / e così ti rendano grazie. / Ma a noi hai dato un cibo / e bevanda spirituali / e la vita eterna / per mezzo del tuo Servo. / Ti ringraziamo, soprattutto, / perché sei la nostra forza. / A Te gloria nei secoli!
Ricordati, Signore, della tua Chiesa, / liberala dal male / e rendila perfetta nel tuo amore; / purificata, raccoglila insieme / dai quattro venti nel Regno, / che per lei hai preparato. / Poiché tua è la potenza / e la gloria nei secoli!
Passi questo mondo di violenza / e venga la tua grazia! / Osanna al Figlio di Davide! / Chi è santo, si avvicini: / chi non lo è si converta. / Maranà tha: vieni, o Signore! / Amen"