INCONTRO DEI PRESBITERI
DELLA DIOCESI TUSCOLANA
Villa Campitelli
12 settembre 2001
Relazione di S.E. Mons.
Vincenzo Apicella, Ausiliare di Roma
LA PROMOZIONE DEI MINISTERI
LAICALI NELLE NOSTRE PARROCCHIE
Benedetto Dio, che si offre
a noi figli come Padre (Eb.12,7), in Cristo Figlio suo. Mediante Lui ci dona lo
Spirito Santo, che ci rende capaci di compiere il ministero di annunciare il suo
Amore, di comunicare la sua Vita e di ricondurre a Lui tutto e tutti.
Questo
ministero di cui noi siamo portatori non in modo esclusivo, assoluto, ma in un
contesto di un corpo articolato, viene configurato, se vogliamo andare a
prendere le radici, le sorgenti, ai documenti del Concilio Vaticano II ed in
specie alla Costituzione Lumen Gentium, che rilegge in modo normativo i
dati della Scrittura e della Tradizione.
Per
delimitare il tema occorre dire che desideriamo trattare dei ministeri,
cosiddetti "non ordinati", che non appartengono cioè al Sacramento dell'Ordine
Sacro, anche se non sarebbe fuori luogo una riflessione su come, nella nostra
Chiesa, si configura il ministero del Vescovo con quello del Presbitero e del
Diacono, soprattutto nella fase di transizione che stiamo vivendo. Oggi,
infatti, diventa sempre più urgente recepire il dato conciliare, cosa che, per
molti versi, rimane ancora tra le buone intenzioni. Si parla di un Concilio
chiuso 36 anni fa: ora aspetta di essere capito e vissuto in modo corretto. Né
si può parlare di ministeri "laicali" prescindendo totalmente dal loro rapporto
con quelli "ordinati".
Occorre
anzitutto sempre ricordare che laikos significa membro del laos,
il Popolo santo, non in opposizione al clero, bensì in distinzione
funzionale col clero solo durante la celebrazione dei misteri, in cui si
esercitano funzioni e ruoli diversi e non confusi.
Ora
questo laicato comprende in un certo senso anche noi: io vescovo mi sento
laico.
L'argomento attiene inoltre a quella "pastorale vocazionale", che è stata uno
dei punti di forza, per così dire, del programma diocesano, e che non può essere
archiviata ora come se fosse un discorso già sentito.
Tra
parentesi ritengo importante sottolineare che, almeno a mio avviso, non esiste
una pastorale vocazionale, accanto ad altre "pastorali", che, di volta in volta,
possono essere "missionarie", "giovanili", "sacramentali", e chi più ne ha più
ne metta. La pastorale è una e complessa, come la vita stessa, e quindi può
essere considerata, di volta in volta, nelle sue diverse dimensioni e sotto
diverse prospettive.
La
dimensione vocazionale della pastorale è inscritta nel termine stesso di
Ekklesia, che rinvia ad essere "chiamati", "convocati", non in modo
generico, ma intimo e personale dal Padre, mediante Cristo, il primo Vocato,
nello Spirito Santo.
Questi
accenni preliminari trovano la loro giustificazione nella struttura stessa della
Lumen Gentium, che, come vi ricordate bene, inizia presentando il Mistero
della Chiesa ed i lineamenti comuni a tutto il Popolo di Dio (Capp. I e II) e
solo in seguito determina le diverse specificazioni all'interno di questo
Popolo, Gerarchia e Laici (Capp. IlI e IV), per tornare poi al Cap. V a parlare
della Vocazione Universale alla Santità nella Chiesa. (Giovanni Paolo II nella
N.M.I.)
Occorre
sottolineare che, in forza del Battesimo e della Cresima, il comune essere
Popolo di Dio precede tutte le distinzioni di ministeri, carismi e servizi (un
libro del Card. W. Kasper).
Anzi, il
servizio ecclesiale non è un diritto o un dovere esclusivo della gerarchia: è
compito proprio di tutta la Chiesa in tutti i suoi membri. Tutta la Chiesa con
la sua molteplice articolazione è unificata dallo Spirito "nella comunione e nel
servizio" (LG. 4). "Uno solo è lo Spirito, che distribuisce i suoi vari doni per
l'utilità della Chiesa, a misura della sua ricchezza e alle necessità dei
ministeri" (LG. 7). In questo senso non c'è nella Chiesa un servizio prestato
solo da una parte di essa, bensì un servizio vicendevole per l'edificazione
dell'intera comunità ecclesiale.
Questa
edificazione
non è un'opera che soggiace a pure esigenze organizzative, (il prete non ce la
fa da solo: dove non arrivo io ci arriva un altro, visto che non posso far
tutto!) con una distribuzione di compiti affinché la 'macchina' funzioni,
possibilmente senza eccessivi attriti, ma attiene alla crescita vitale del Corpo
di Cristo, di cui lo Spirito Santo è l'agente principale.
Cristo
stesso, per mezzo dello Spirito Santo, "nel suo Corpo che è la Chiesa, continua
a dispensare i doni dei ministeri, e da valore a quei servizi che noi ci
prestiamo vicendevolmente per la nostra salvezza, affinché, viventi secondo la
verità nella carità, abbiamo a crescere in vista di lui che è il nostro Capo"
(LG. 7).
Dal
punto di vista del servizio vige nella Chiesa un'essenziale eguaglianza di tutti
i membri, in quanto tutti devono contribuire all'edificazione del Corpo di
Cristo assolvendo ciascuno il compito affidatogli. Nel servizio reciproco dunque
nessun membro può mettersi al di sopra degli altri. "Anche se per volontà divina
alcuni sono costituiti dottori, dispensatori dei Misteri e pastori a vantaggio
degli altri, tra tutti vige però vera uguaglianza quanto alla dignità e
all'azione nell'edificare il Corpo di Cristo, che è comune a tutti quanti i
fedeli" (LG. 32).
Su
questa base si può superare l'antica distinzione per cui compito dei laici
sarebbe quello di occuparsi delle cose del mondo (la consecratio mundi),
mentre compito dei membri dell'Ordine sacro sarebbe quello di operare nella
Chiesa. Non c'è nessun membro del Popolo di Dio che non possa partecipare alla
missione dell'intero corpo (PO. 2). Anche il servizio del Sacro ministero è
collegato alla missione di tutta la Chiesa e pertanto "può talora occuparsi di
affari secolari d esercitare anche una professione secolare" (LG. 31),
(quand’ero parroco passavo il tempo anche a controllare lo scarico dei tubi
dell’acqua!) così come, al contrario, i laici, oltre all'apostolato nel mondo e
all'ordinamento delle cose del mondo, loro specifico compito per adempiere il
quale non è necessario parlare di vocazioni o ministeri in senso stretto,
esercitano il loro servizio nella Chiesa e nell'ordinamento delle realtà
spirituali. L'insistenza sul servizio al mondo dei laici non può essere inteso
come un tentativo di relativizzare il loro ruolo di collaborazione nella
costruzione della Chiesa, "a loro resti perciò aperta ogni possibilità, perché
anch'essi partecipino attivamente, secondo le loro capacità e le necessità dei
tempi, all'opera salvifica della Chiesa" (LG. 33).
A questi
testi si può aggiungere un passaggio significativo della PO. "I sacerdoti del
NT, anche se in virtù del sacramento dell'Ordine svolgono la funzione eccelsa e
necessaria di padre e di maestro nel Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sono
tuttavia, insieme a tutti gli altri fedeli, discepoli del Signore, fatti
partecipi del suo Regno per la chiamata di Dio. Insieme a tutti coloro che
furono rigenerati nell' acqua del Battesimo, i presbiteri sono fratelli tra
fratelli, quali membra dello stesso ed unico Corpo di Cristo, la cui
edificazione è confidata a tutti"(PO. 9).
Pertanto
partecipare all'edificazione della Chiesa da parte dei laici non deriva da una
benevola concessione da parte dei ministri sacri. Non si tratta quindi di
supplenza, ma di responsabilità fondata sul Battesimo e sulla Cresima, il loro
servizio non è giustificato solamente dall'osservazione che senza di essi oggi
il presbiterio non potrebbe far fronte a tutte le esigenze delle nostre
Parrocchie (una parrocchia di Roma con 40mila abitanti un prete solo, o uno e
mezzo, che fa?!) ma appartiene alla struttura stessa della Chiesa, se vogliamo
che essa diventi sempre meno massa anonima (ma dove sono le "masse" ?) e sempre
più comunità viva. II can.129 § 2 del CIC afferma senza esitazioni che è dovere
del parroco "riconoscere e promuovere" il ruolo che hanno i fedeli nella
missione della Chiesa. Nel vocabolario giuridico "riconoscere" comporta
dichiarare ed ammettere l'esistenza di diritti altrui (A. Montan).
Credo,
su questo punto, di sfondare porte aperte, in quanto il problema maggiore che si
incontra nella vita parrocchiale, almeno secondo la mia esperienza, è proprio
quello di : I) fare uscire il laicato da una comoda e tradizionale situazione di
passività, II) di come sia faticoso educare i fedeli a prendersi la propria
parte di responsabilità, III) evitando d'altra parte che cadano o rimangano in
un clericalismo peggiore del nostro, (capita che dei laici che ci girano attorno
sono più clericali di noi! La perpetua: il primo giorno: ho dato a mangiare alle
galline del parroco; dopo la prima settimana: ho dato a mangiare alle nostre
galline; dopo un mese: le mie galline stanno benissimo!) IV) programmare
adeguati itinerari di formazione. A questo proposito desidero annunciare che nel
mio Settore abbiamo aperto tre Centri di formazione teologica diocesani
all’apostolato, dislocandoli nei punti strategici del Settore di modo che tutte
le parrocchie avessero la possibilità di convogliare i più sensibili: proposta
di cose serie e non di infarinatura.
In
ordine all'educazione delle nostre comunità ad un modo di essere in cui i
ministeri siano più valorizzati, non mi sembra inutile promuovere la nascita di
ben definiti gruppi di accoliti e lettori, non solo per sottrarre
questi servizi ad una possibile improvvisazione, ma anche perché questi
Ministeri istituiti con la visibilità dell' istituzione e della continua
funzione liturgica, sono un segno della ministerialità più vasta, che riguarda
tutta l'ampiezza del triplice munus di insegnare, santificare e
servire.
Vorrei
sottolineare che in questi ultimi tempi a Roma, e non solo, emerge la necessità
di individuare, preparare e promuovere tutta una nuova gamma di ministeri che
non siano funzionali solamente alla vita interna delle nostre comunità
(ministeri liturgici istituiti e non, catechisti, operatori caritas ecc.), ma
che diano corpo alla funzione missionaria della Chiesa (a Roma ci stiamo
riempiendo la bocca di Missione!): animatori di centri di ascolto, persone
impegnate nella pastorale d'ambiente, gente capace di entrare in dialogo con la
cultura ed il territorio.
Non è
possibile pensare ad una parrocchia missionaria senza passare ad una
articolazione meno "feudale" e più "partecipata" della nostra Chiesa, a tutti i
livelli, non fosse altro che per rendere più significativo il Segno che per
volontà di Cristo noi già siamo e siamo chiamati a diventare nella nostra città
"secolare", come sale della terra e luce del mondo per la Gloria del Padre. (Mt
5,13-16).
In
questo modo il ministero ordinato e i ministeri laicali trovano quel!'
integrazione che il Concilio indica, anche se in modo forse ancora non del tutto
chiaro, in LG 10, in cui si afferma che "il sacerdozio comune dei fedeli ed il
sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano di essenza e non
soltanto di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, ambedue infatti,
ognuno nel suo modo proprio, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo". Essere
al servizio della missione universale di salvezza propria di tutto il Popolo di
Dio, renderla possibile efficacemente anche dal punto di vista strutturale e
conservarla viva: questa è la missione del sacerdozio speciale nella Chiesa;
vengono poi menzionati i modi "propri di ciascuno" di questa partecipazione al
sacerdozio di Cristo, senza alcun ordine gerarchico o subordinazione.
(Kehl)
II
sacerdozio ordinato, dice il Concilio "efformat ac regit "forma e dirige
il Popolo sacerdotale", dove "forma" non può voler dire altro che conformazione
a Cristo, e "dirige" rimanda alla realtà del "Buon Pastore" che dà la vita per
il suo gregge, in altri paragrafi esplicitata.
In
questo modo occorre superare l'altra quanto mai equivoca distinzione, diffusa
soprattutto nei primi tempi del post-concilio, tra istituzione e carisma,
struttura e soffio dello Spirito Santo, Chiesa gerarchica o petrina e Chiesa
pneumatica o paolina.
E'
evidente che il ministero gerarchico nostro deriva dallo stesso Spirito Santo
che distribuisce i carismi (ICor. 12) ed è quindi anch'esso "carismatico", e che
i carismi ed i ministeri laicali debbono essere anch'essi "strutturati" in
quanto contribuiscono all'edificazione dell'unico e ben compaginato Corpo di
Cristo.
Per
passare ad alcune considerazioni pratiche, che possano più concretamente
esemplificare quanto si sta dicendo, ed anche per rendere più gradevole il
discorso, vorrei sottoporvi una fotocopia che mi è stata passata l'anno scorso
in una riunione di prefettura e che trovate allegata come ultima
pagina.
Nelle
sei vignette sono esemplificate sei situazioni in cui le nostre comunità possono
venire a trovarsi, magari successivamente o contemporaneamente. Cerco di dare
una lettura delle sei vignette, anche se, chiaramente, vi possono essere altre
interpretazioni possibili.
I
protagonisti sono un prete e un gruppo di laici, che possiamo considerare come i
collaboratori che dovrebbero aiutare il parroco a portare il peso della
parrocchia, i ministeri laicali di cui stiamo parlando.
1 - Il
prete solleva sulle sue braccia la "chiesa" tenendola bene a distanza da quelle
dei laici, si nota da parte di alcuni laici lo sforzo per allungare le mani
sulla "chiesa", mentre altri stanno a guardare in modo perplesso, ma
sostanzialmente passivo, la situazione; c'è da chiedersi per quanto tempo il
prete resisterà in quella posizione o chi potrà sostituirlo.
2 - I
laici hanno "preso la mano" al prete, il quale è impegnato in una rincorsa
affannosa ; è chiaro però che il prete non porta nessun peso; la gente sembra
correre in avanti, ma non si sa se va veramente avanti. A volte si può dare la
situazione contraria, che è la gente ad inseguire, ma il risultato è lo
stesso.
3 - II
prete porta il peso insieme ai laici ed è in prima posizione; tutti stanno
sudando, ma c'è qualcuno che sembra fare il furbo, facendo finta di collaborare
e cercando di defilarsi. C'è da chiedersi anche se è stanco o se nessuno si è
mai volto indietro per vedere che cosa succede alle proprie spalle.
4 - E'
la situazione più drammatica, di quando ci si sente soli e abbandonati da tutti.
La chiesa è a terra, immobile e la porta sembra chiusa. La gente ci abbandona e
sul terreno sembrano rimanere dei ciottoli, segno di una sassaiola precedente.
La situazione forse non arriva mai a tali punti estremi, visti i numeri delle
nostre parrocchie. L'elemento positivo è dato dal punto interrogativo posto
sulla testa del prete, che, oltre la meraviglia, può indicare la provvidenziale
domanda : che cosa non è andato, o in che cosa ho sbagliato. Forse semplicemente
nel permettere che la gente portasse sassi da tirare e magari nell'essere
diventato anch'io protagonista e parte dello scontro.
5 - I
portatori vanno in direzioni diverse, col risultato che la chiesa non solo resta
ferma, ma sulle sue mura appaiono profonde crepe. Il prete sta al centro, ma
questo non modifica la situazione e tutto lascia supporre che si arriverà presto
alla situazione di cui al n.4.
6 - II
prete si lascia sollevare, ben seduto sul tetto della chiesa, la quale non si
muove, perché tutti, pur facendo un certo sforzo per reggere il peso, sono
rivolti gli uni verso gli altri e molti sembrano avere la testa in alto per
contemplare il prete, che ha la faccia compunta e meditativa, o forse sta solo
dormendo. Tipico esempio di una comunità gerarchicamente corretta, con un
discreto numero di ministeri, ma totalmente autoreferente e
immobile.
La
provocatoria domanda posta in mezzo al foglio lascia il tempo che trova perché
spesso chi si trova al centro della vignetta non può o non ha tempo o non ha
modo di guardarla nel suo insieme o la osserva solamente dal suo punto di
vista.
Il
discorso non è per nulla ozioso o faceto, perché come Presbiterio noi abbiamo
anche il preciso compito di aiutarci e sostenerci reciprocamente, e le sorti di
una comunità parrocchiale riguardano non solo i diretti interessati ma tutto il
Popolo di Dio, tutta la Chiesa locale.
Vorrei
concludere ricordando con enorme affetto e riconoscenza la figura di un grande
prete romano, che l’anno scorso ha concluso vittoriosamente la sua battaglia e
ha terminato la sua corsa: don Nicolino Barra.
Il suo
"pallino" fisso era quello di ritrovare nella "normale" Eucarestia domenicale
della sua Parrocchia il punto di partenza, di arrivo e di verifica di tutto il
lavoro pastorale.
Cosi
egli scriveva nel giugno '79, presentando il lavoro della Parrocchia di S.
Agapito al clero del suo settore:
"Ogni
sforzo è rivolto alla Messa della domenica e tutto il popolo deve camminare
insieme al passo dei più piccoli. Ogni cristiano è consacrato
col Battesimo e la Cresima come membro vivo del Corpo di Cristo, come
figlio di Dio, e partecipa della missione sacerdotale, regale e profetica per la
salvezza del mondo. Per questo abbiamo evitato di costruire in parrocchia un
mondo alternativo, quasi come riserva per fauna protetta, ma tutta la
predicazione ed il catechismo sono orientali alla missione e al servizio del
mondo. "Voi siete il sale, la luce, il lievito" roba da mischiare nel
mondo.
Anche
noi preti cerchiamo di essere buoni cristiani; per questo non ci rivolgiamo al
quartiere come preti, ma viviamo nel quartiere come cristiani; abbiamo scelto di
lavorare, di abitare fiori dal recinto sacro con i più poveri: i baraccati e gli
zingari. Questo non per secolarizzarci nel senso di essere uguali al mondo, cioè
senza fede, ma per vivere la nostra vera consacrazione e la nostra missione di
servizio al mondo e insieme di guida nella Chiesa.
Tutti i
cristiani battezzati e cresimati sono ugualmente consacrati. Se c'è tra essi
distinzione non è di dignità, ma è funzionale ed in ordine al servizio della
Chiesa.
A S.
Agapito per ora ci sono questi ministeri: il Vescovo (per le cresime e nel
Canone della Messa), i preti, "i diaconi" per i poveri, i catechisti, gli
amministratori, i ministri dell'Eucarestia, i fabbricieri (cioè gli addetti alla
cura del fabbricato), le pulitrici, gli ostiari.
Abbiamo
scelto la strada dei ministeri per promuovere una maggiore partecipazione e
impegno di tutta l'assemblea. Tutti questi collaboratori una volta al mese si
riuniscono e trattano le questioni pastorali della parrocchia.
Guardando verso il 2000,
alcuni dati sono certi: l'estendersi della diocesi, la dispersione dei cristiani
in una città, che sempre più fa a meno di Dio, il diminuire del numero dei
preti, la difficoltà di costruire e mantenere parrocchie come le attuali. Quali
le prospettive?
A -
Prospettiva clericale: continuare ad assicurare ad ogni costo "l'essenziale":
Messa e Sacramenti. Per risparmiare i preti, sempre più preziosi, si dovranno
distribuire sacramenti sempre più sbrigativi e messe sempre più di massa. Si
dovrà ricorrere alla messa per TV, un super prete per ogni rete TV, o si
dovranno importare preti dal terzo mondo.
B -
Prospettiva del Corpo mistico: preoccuparsi piuttosto della vitalità della
Chiesa, dell'autenticità di ogni cristiano e di ogni sacramento, valorizzare i
doni, moltiplicare i ministeri, decentrare le responsabilità, moltiplicare le
parrocchie e le assemblee domenicali magari anche senza prete, ma comunità
locali di cristiani, membra vive di Cristo che in quel luogo si è incarnato.
Allora i ministeri, oltre che rendere viva la Chiesa, saranno la fonte dei
preti, cioè il seminario del 2000, perché la funzione crea l'organo" (in La
Tenda n. 100, anno XI n.8-9).
Possiamo
comunque concludere con la frase che Nicolino aveva scritto e installato
sul suo tornio di fabbro: "Non si fanno lavori urgenti".
SECONDA
RELAZIONE DI MONS. APICELLA
Dalla
seconda lettura dell’ufficio di oggi (13 settembre) S. Giovanni Crisostomo.
“Molti marosi e minacciose tempeste ci sovrastano”.
Abbiamo
avuto sempre a che fare con tempeste e marosi, quando sembra che i marinai
abbiano perso tutti la capoccia.
La
lettura termina con queste parole: “Cristo è con me: di chi avrò paura? Dove
sono io, là ci siete anche voi. Dove siete voi, ci sono anch’io. Noi siamo un
solo corpo e non si separa il capo dal corpo, né il corpo dal capo. Neppure la
morte ci può separare. Voi siete i miei concittadini, i miei genitori, i miei
fratelli, i miei figli, le mie membra, il mio corpo, la mia luce, più amabile
della luce del giorno. Il raggio mi è utile nella vita presente, ma la vostra
carità mi intreccia la corona per la vita futura”.
Il
discorso della carità, dell’unione, del legame – qui si parla del vescovo e del
popolo, possiamo parlare anche del presbitero col popolo – perché la carità è
circolare, non può andare a segmenti.
Il
discorso della carità ci porta proprio al tema di oggi per saper lavorare
insieme: si voleva parlare delle unità pastorali, della necessità di
collaborazione, lavoro comune, ecc.
Mi
rifaccio al Concilio:
LG
28:
costituzione fondamentale del nostro essere preti insieme con il vescovo e
insieme tra di noi: questo è un punto fermo. Cosa significa e come lo possiamo
vivere concretamente forse siamo sempre in cammino.
“I
sacerdoti… col loro Vescovo un unico corpo sacerdotale sebbene destinati a
diversi uffici… rendono presente il Vescovo”.
A Roma
c’è la battuta: parroco nell’urbe, vescovo nell’orbe! Ogni parroco di Roma si
sente vescovo: qualche parrocchia ha 40 mila abitanti.
Io dico
ai parroci miei: voi non siete un vescovo, voi siete “il” vescovo. Il parroco
nella parrocchia è la presenza del vescovo, nel senso che il vescovo esercita il
suo sacerdozio attraverso di voi – vi ha affidato la parrocchia perché si fida
di voi - e quindi bisogna essere in comunione con lui.
Quando
sono diventato vescovo, d. Nicolino Barra, di cui vi ho parlato ieri, mi ha
detto: Vedi, Vincenzo, tu scendevi in chiesa e dicevi messa per la gente della
parrocchia tua; da oggi a chi celebri L’eucaristia? Quale altare hai? Quella
della cattedrale ha il parroco suo! Quale comunità hai? Mi ha aperto la mente:
la tua è quella che passa attraverso l’eucaristia di tutti i parroci del tuo
settore, di tutti i presbiteri del tuo settore. Don Giuseppe in pratica celebra
la sua eucaristia attraverso le mani di ciascuno di voi, attraverso la capoccia
di ciascuno di voi su cui ha messo le mani sue o i suoi predecessori.
Essi
rendono visibile in quel luogo la chiesa universale: dove sta la chiesa
universale? Sta dove c’è un prete che sotto la comunione col suo vescovo celebra
l’eucaristia con il suo popolo. Questa è la chiesa universale resa visibile
sulla faccia della terra, anche sul più sperduto paesetto della montagna: quella
è la chiesa universale resa presente in modo concreto e visibile, sulla faccia
della terra.
A questo
fa riferimento il Sacrosantum Conc. 41 e 42. Non solo in ogni parrocchietta si lavora
per l’edificazione di tutto il corpo di Cristo, ma in tutta la diocesi.
E questo
si basa non su un discorso di efficienza e efficacia, ma su un discorso
sacramentale e teologico: “In virtù della comune sacra ordinazione…lavoro e
carità” (LG 28) (Questa unione si deve manifestare poi concretamente, perché è
chiaro che i poveri in spirito sono tanto belli, ma i poveri nel portafoglio… I
nuovi consigli evangelici sono: la povertà spirituale, la castità periodica e
l’obbedienza concordata: sono i nuovi voti che vengono fatti nei consigli
evangelici!…)
Il
Concilio aggiunge:
“Siccome
oggigiorno l’umanità… famiglia di Dio”: siamo presenti nella globalizzazione di
cui nessuno può tirarsi fuori, siamo tutti legati uno all’altro, per cui se
casca uno caschiamo tutti. Siamo in un’epoca c’è una interdipendenza
(“dispersione”: come le acqua dell’acquedotto della Sicilia che partono dalle
montagne piena d’acqua e arrivano a Palermo come colabrodo, perché l’acqua non
c’è più) LG 28.
Le
stesse cose si trovano su Christus Dominus n. 30 in cui si parla di tanti
modi collaborare per i quali nemmeno i parroci ci arrivano: pastorale
d’ambiente, pastorale del lavoro, alla pastorale delle carceri, ospedali,
scuola: e questo sono cose grosse.
Ognuno
ha la sua parrocchietta, i suoi ragazzi, i suoi malati, ma ci sono anche servizi
in una diocesi che non sono semplicemente quelli parrocchiali, però i parroci
devono stare attenti pure a questi servizi sapendo che ci stanno, per quanto è
possibile incoraggiando e dando una mano e quelli che esercitano questi servizi
devono pure ricordarsi che ci stanno i parroci.
Ma
cerchiamo di fare quello che si può!
Ci sono
vari ministeri CD n. 30:
1) vita comune che
offre ai fedeli esempi di carità e unità. Se non diamo esempi di carità e unità,
che andiamo a raccontare! Può succedere anche in parrocchia: la vecchietta: il
parroco quella ha salutato, me non ha salutato: quante cose possono succedere!
Anche tra i preti stessi ci può essere concorrenza! Anche tra parroci succede e
tutti abbiamo fatto esperienze sulla nostra pelle: io pure ho dovuto fare un
certo sforzo su di me. E’ inevitabile. Arriva il viceparroco giovane, simpatico
e tutti gli vanno appresso: porca miseria eppure è più scemo di me!
Soltanto
la testimonianza della unità e della carità tra di noi funziona: posso essere un
teologo super raffinato, uno scienziato della scrittura o della liturgia: ma se
poi non lavoro con gli altri, se poi non dimostro la carità e l’unità, il mio
lavoro non serve a niente. C’è poco da fare!
Il Card.
Ruini ha detto nell’ultimo convegno di giugno della diocesi: le strutture di
comunione non servono a niente se non c’è lo spirito di comunione. Diventano una
mascherata.
Spirito
di comunione è amare ciò quello fanno gli altri: di solito noi amiamo ciò che
facciamo noi e su quello che fanno gli altri abbiamo sempre da ridere qualcosa.
Io avrei fatto meglio!
Questo
risolverebbe tanti problemi, anche a livello più generale. Pensiamo per esempio
alla concorrenza anche tra movimenti e religiosi.
Ultimo
testo da citare, quello più forte e più diretto: P.O. n. 7 e 8: le
relazioni tra vescovo e presbiteri e presbiteri tra di loro.
La P.O.
riporta la radice teologica dell’unione tra vescovi e presbiteri nell’eucaristia
espressa in modo liturgico e visibile nella concelebrazione (fino al Concilio
ogni chiesa aveva tanti altari e tante Messe contemporanee!).
La P.O.
mette l’accento su un gesto che abbiamo fatto parecchie volte: nell’ordinazione
di un prete dopo l’imposizione delle mani del vescovo, c’è l’imposizione delle
mani di tutto il presbiterio: è un gesto importante, in cui il nuovo sacerdote
viene accolto nell’unico presbiterio, viene accolto da coloro con i quali avrà
da spartire la cura e lo zelo per il popolo di Dio.
“Tutti i
presbiteri… n.8”.
Come
applicazione di questi tre passi vi dico la mia esperienza, della diocesi e mia
personale.
A Roma
la collaborazione tra presbiteri si esercita in quelle che a Roma si chiamano
prefetture.
Per me
essere parroco era anche avere responsabilità sul presbiterio; ma se non c’è
amicizia, se non c’è capacità di raccontarti una barzelletta, di andarsi a
prendere un caffè insieme… che progetti pastorali volete fare?
Questa è
la mia esperienza: l’amicizia è indispensabile perché la cosa funzioni,
altrimenti la prefettura diventa un guscio vuoto.
A Roma
cominciò il 1986 con l’inizio del Sinodo: ci si incontrava e si conosceva e si
stabiliva un certo stile di lavorare insieme.
Poi la
missione cittadina: programmare e lavorare insieme.
I
movimenti che fanno vita a parte, i gruppi che a volte non si conoscono l’uno
con l’altro, qualche catechista non conosceva quegli degli altri gruppi. L’anno
più bello della missione è stato l’anno preparatorio, perché ci si vedeva una
volta al mese.
Poi il
Giubileo: io ho 8 prefetture con i quali mi vedo una volta al mese.
Lavorare
insieme.
Quali
sono le prospettive? Lavorare insieme nella stessa prefettura, perché il
malessere che si respira è a che serve?! Se il lavoro in comune è visto come un
lavoro in più è fallito in partenza! Il lavoro in comune dovrebbe servire per
lavorare di meno: se tu fai una cosa non la faccio pure io; io ne faccio
un’altra. In prefettura ci si comunica i corsi in preparazione matrimonio,
cresima agli adulti….
Se serve
per distribuire il lavoro, funziona; se serve per mettere altra carne sul fuoco
si brucia tutto. Questa è l’esperienza che vivo nelle mie prefetture.
Questo
si chiama principio di sussidiarietà. Quindi necessità di comunione, di
coordinamento e programmazione comune. Per fare questo si sta lavorando per
arrivare a un consiglio pastorale di prefettura e che questo stile di comunione
passi anche fra i laici, perché i problemi della zona sono comuni.
Una
parrocchia deve unirsi con un'altra, anche se il prete è abituato a stare da
solo.
Quali
sono gli ambiti privilegiati di un lavoro insieme? Ne elenco alcuni: la carità
(quanti poveri bussano le parrocchie una dopo l’altra), per es. il volontariato
insieme; pastorale giovanile: nessuno più dei giovani gusta il fatto di trovarsi
insieme (Tor Vergata); la formazione: quante parrocchie hanno la possibilità di
mettere un corso di formazione serio per conto proprio, fatto di persone
competenti: da soli no, insieme; pastorale d’ambiente, ecumenismo; la conoscenza
delle realtà sociali e culturali; i rapporti con gli enti civili.
Gli
ambiti possono essere tantissimi. Ma il punto centrale, finale a cui tutto si
riconduce è sempre l’eucaristia che è il punto di partenza di arrivo, la
comunione con il vescovo, con i preti, con i laici con la gente: l’unità non la
facciamo soltanto noi ma la fa Lui mediante lo Spirito che ci viene dato.
RIFLESSIONE DELLA I
GIORNATA
(Mercoledì 12/9)
VICARIA DI ROCCA PRIORA
Rispondendo alle domande
proposte ed agli stimoli della relazione di Mons. Apicella ci siamo interrogati
sul rapporto di noi parroci e collaboratori con i laici ed il lavoro pastorale
effettuato con loro. Le nostre considerazioni nascono da un confronto che ci ha
visti in linea di massima tutti d'accordo. Qui portiamo solamente le nostre
osservazione negative, come d'altronde ci obbliga un po' la relazione di Mons.
Apicella e le vignette da lui proposte, non per non riconoscere quanto di
positivo c'è nelle nostre parrocchie, ma per esprimere una critica costruttiva
che ci porti a fare meglio e di più.
1. I
nostri laici collaboratori ci sono sembrati in diversi casi poco motivati e
convinti spiritualmente, poco formati e preparati, il loro operato è spesso
occasionale, spinto dall'emozione, dall'affermazione di se stessi ed dalla
propria realizzazione, più che da un valore ed un ideale evangelico, mancando di
un senso ecclesiale di comunione che in alcuni casi porta loro a prendere la
mano arrivando ad escludere anche il parroco dalle loro iniziative e scelte.
Altre volte mancano di senso missionario e costanza nel portare avanti il loro
operato.
2. Tutto
questo - ci siamo chiesti - da che cosa dipende? Le ragioni sono tante e
sarebbe lungo enumerarle tutte; ne abbiamo però scelto una che riguarda
particolarmente noi pastori per riconoscere anche le nostre responsabilità per
una critica costruttiva come dicevamo sopra. Il lavoro pastorale che portiamo
avanti nelle nostre parrocchie è molto condizionato dai risultati che dobbiamo
ottenere per quanto riguarda i "numeri" e le formalità che t'impone più che
altro la "massa ecclesiale", il tanto da fare, i risultati da ottenere e le
varie occupazioni (di quante cose si occupa oggi un prete) ci toglie la
possibilità di formare bene i nostri laici, anzi , sarebbe meglio dire, di
compiere un cammino con loro (quanti di noi fanno ogni anno gli esercizi
spirituali) che porta alla formazione di una vera comunità con i valori
evangelici ad essa inerenti.
Dando
uno sguardo alla vita di Gesù nei vangeli, scorgiamo invece che egli ha curato
se non di più (a parer nostro di più), senz' altro in modo particolare il gruppo
apostolico dei discepoli rispetto alle masse o quantomeno non era affatto
condizionato da queste. . . .e grazie proprio alla formazione di questi
discepoli, i quali non erano perfetti anzi tutt'altro, e proprio da questi (v.
Pentecoste) che è poi nata la chiesa che ha portato il vangelo in tutto il
mondo, a moltiplicare i doni spirituali ricevuti.
Come
risolvere il problema vista anche la solitudine spirituale che viviamo nelle
nostre parrocchie?
Unendoci
e collaborando insieme, sia per aiutarci, ma soprattutto per essere un segno di
comunione a cui coinvolgere i nostri laici, comunione in Cristo (dove due o tre
sono riuniti nel mio nome...) che diventa il più idoneo bacino spirituale per
l'azione dello Spirito Santo per la nostro cammino da fare insieme per la
scoperta e maturazione dei carismi ecclesiali per la costruzione del Regno si
Dio in mezzo a noi.
Seguendo
poi le indicazioni del papa nella sua nuova lettera, troveremo una via sicura da
seguire alla scoperta di quella “tavola imbandita” di Mons. Apicella alla quale
abbiamo voltato le spalle per cercare nella spazzatura delle nostre inversioni
pastorali, compromessi con il mondo, apparati senz’anima che tali e quali
risultati hanno dato…? Non c’è nulla da inventare.
3. E
perché questa comunione sia veramente ecclesiale, perché sia un segno per gli
altri (sale della terra e luce . . . ), perché gli altri ci vedano uniti e la
nostra comunione possa esprimere "simpatia" come la prima comunità degli Atti
. . , ci vuole anche e soprattutto la condivisione e l'apporto del nostro
vescovo.
VICARIA DI
FRASCATI
Il contributo di mons.
Apicella sulla ministerialità laicale ha sollecitato diverse
considerazioni:
Nelle
comunità parrocchiali la presa di coscienza del proprio ministero particolare da
parte del clero e dei laici, non sempre corrisponde ad una reale comunione tra i
diversi ministeri. Antichi "muri" o comunque ruoli cementati più dalla
consuetudine che dalla tradizione, non sono facili da far crollare. Da qui la
necessità per tutti di ritornare alle radici ed individuare un nuovo punto di
partenza che permetta delle relazioni più autentiche : è urgente da parte di
sacerdoti e laicato una riscoperta graduale delle radici del proprio essere
cristiani, in quanto "chiamati" all'edificazione dell' unica Chiesa in. virtù
dei sacramenti del Battesimo e della Cresima, per far emergere con chiarezza
anche la "specificità" del proprio carisma di servizio. In questo modo potranno
essere visibili i doni particolari del proprio ministero specifico ( in
particolare quelli arrecati dai sacramenti dell'ordine e del matrimonio) e far
crescere i frutti di grazia in tutta la comunità. Tale riscoperta, fondata sulla
centralità dell'Eucarestia e sulla preghiera, permetterà di ridisegnare la
fisionomia della Chiesa secondo la prospettiva del Concilio vaticano II di
popolo in cammino verso la santità nel reciproco servizio di ogni sua
componente.
Il
servizio ecclesiale deve dare una gioia che sarà tanto più intensa se nascerà
dall'aver saputo accettare l'invito di Cristo a portare la sua croce e dall'aver
sperimentato nella propria vita l'annuncio della sua Resurrezione. Per questo
occorre ribadire che ogni servizio ecclesiale per essere significativo e non
estemporaneo o autoreferenziale deve scaturire come conseguenza dell'incontro
personale con Gesù nella propria vita. Ai sacerdoti si chiede in maniera
particolare di favorire questo incontro, di mostrare attraverso una presenza
costante, soprattutto nelle parrocchie ma anche negli ambienti di vita, il volto
di un Cristo paziente e premuroso capace di accogliere, di attendere, di
richiamare ma soprattutto di ascoltare.
La
dimensione dell'ascolto è la base di ogni dialogo: occorre farsi interpellare
non soltanto dalle parole ma soprattutto dalle situazioni vissute ogni giorno
nelle nostre comunità parrocchiali: le chiese semideserte, la riluttanza di
moltissime persone alla confessione, la sempre minore presenza dei giovani, la
scarsa sensibilità nei confronti di certi argomenti... Vincere la paura di
affrontare la crisi, di indagare sui propri errori e aprirsi all'azione dello
Spirito di Dio, lasciarlo agire nella propria vita personale e nella comunità.
Una pastorale che nasca dall'ascolto può essere la via per rigenerare la
partecipazione dei cristiani alla vita ecclesiale.
VICARIA DI
GROTTAFERRATA
Ci
troviamo nella società pluralista che vive le sue molteplici realtà, piene delle
nuove caratteristiche ed esigenze. Anche la vita della Chiesa da queste viene
toccata ed interpellata (le parrocchie che si svuotano nelle vacanze). Il
sacerdote è chiamato di uscire dal vecchio per affrontare il nuovo. Ciò comporta
il cambiamento di noi stessi e di ciò che fino a poco fa era una sicurezza. La
solita vita dei sacerdoti deve evolvere per poter aiutare efficacemente la gente
che vive in un contesto nuovo. Si parlava dell'uscire verso la
gente.
Si
accennava come oggi il laicato ha delle esigenze diverse. Non si parla più
dell'aticlericalismo, anzi oggi la società ha bisogno non solo dei sacramenti,
che non cessano d'essere il momento più importante nella vita della chiesa, ma
soprattutto dei valori che, presenti nella chiesa, non ci sono più nella società
d'oggi.
Cosa
fare?
La
risposta non è facile. Oggi gli stessi laici che devono essere aiutati sono
spesso passivi. Dopo aver la chiesa trattato il laico per tanto tempo come colui
che solo ascolta, quel modello del laicato è impresso nella mente della gente.
Il laico trova difficoltà ad uscire ed impegnarsi. Dall'altra parte la chiesa
deve scongiurare il pericolo d'organizzare tanti piccoli gruppi, circoli chiusi,
dove gli altri possono entrare con l'estrema difficoltà.
I
modi
Puntare
di coinvolgere nella carità, collaborazione pratica, tutto al fine di conoscere
meglio le povertà del proprio ambiente, famiglie in difficoltà, gli extra
comunitari. Aiutare ad uscire dal proprio egoismo e dalla propria casa, saper
coinvolgere, un'attività pratica da fare immediatamente nel proprio ambiente.
Oggi appare molto problematico sfidare le altre proposte che coinvolgono la
massa (attività sportive). Ma la chiesa ha a disposizione un'arma importante da
sfruttare - saper ascoltare, diventate un punto di riferimento umano,
coinvolgere i giovani nell'organizzazione di una missione popolare insieme ai
religiosi.
Sottolineare la dimensione
diocesana dello sforzo pastorale.
Organizzare un week-end di
preparazione per laici, farsi conoscere e conoscere.
Di
fronte alle molte ed impegnative cose da fare c'è sempre un motivo per stare
sereni - la gente ha bisogno della chiesa e vuole avvicinarsi alla
chiesa.
Far
capire ai laici che sono della chiesa e sono importanti per la
chiesa.