INCONTRO DEI PRESBITERI DELLA DIOCESI TUSCOLANA

Villa Campitelli  12 settembre 2001

 

Relazione di S.E. Mons. Vincenzo Apicella, Ausiliare di Roma

 LA PROMOZIONE DEI MINISTERI LAICALI NELLE NOSTRE PARROCCHIE

 

Benedetto Dio, che si offre a noi figli come Padre (Eb.12,7), in Cristo Figlio suo. Mediante Lui ci dona lo Spirito Santo, che ci rende capaci di compiere il ministero di annunciare il suo Amore, di comunicare la sua Vita e di ricondurre a Lui tutto e tutti.  

Questo ministero di cui noi siamo portatori non in modo esclusivo, assoluto, ma in un contesto di un corpo articolato, viene configurato, se vogliamo andare a prendere le radici, le sorgenti, ai documenti del Concilio Vaticano II ed in specie alla Costituzione Lumen Gentium, che rilegge in modo normativo i dati della Scrittura e della Tradizione.

Per delimitare il tema occorre dire che desideriamo trattare dei ministeri, cosiddetti "non ordinati", che non appartengono cioè al Sacramento dell'Ordine Sacro, anche se non sarebbe fuori luogo una riflessione su come, nella nostra Chiesa, si configura il ministero del Vescovo con quello del Presbitero e del Diacono, soprattutto nella fase di transizione che stiamo vivendo. Oggi, infatti, diventa sempre più urgente recepire il dato conciliare, cosa che, per molti versi, rimane ancora tra le buone intenzioni. Si parla di un Concilio chiuso 36 anni fa: ora aspetta di essere capito e vissuto in modo corretto. Né si può parlare di ministeri "laicali" prescindendo totalmente dal loro rapporto con quelli "ordinati".

Occorre anzitutto sempre ricordare che laikos significa membro del laos, il Popolo santo, non in opposizione al clero, bensì in distinzione funzionale col clero solo durante la celebrazione dei misteri, in cui si esercitano funzioni e ruoli diversi e non confusi.

Ora questo laicato comprende in un certo senso anche noi: io vescovo mi sento laico. L'argomento attiene inoltre a quella "pastorale vocazionale", che è stata uno dei punti di forza, per così dire, del programma diocesano, e che non può essere archiviata ora come se fosse un discorso già sentito.

Tra parentesi ritengo importante sottolineare che, almeno a mio avviso, non esiste una pastorale vocazionale, accanto ad altre "pastorali", che, di volta in volta, possono essere "missionarie", "giovanili", "sacramentali", e chi più ne ha più ne metta. La pastorale è una e complessa, come la vita stessa, e quindi può essere considerata, di volta in volta, nelle sue diverse dimensioni e sotto diverse prospettive.

La dimensione vocazionale della pastorale è inscritta nel termine stesso di Ekklesia, che rinvia ad essere "chiamati", "convocati", non in modo generico, ma intimo e personale dal Padre, mediante Cristo, il primo Vocato, nello Spirito Santo.

Questi accenni preliminari trovano la loro giustificazione nella struttura stessa della Lumen Gentium, che, come vi ricordate bene, inizia presentando il Mistero della Chiesa ed i lineamenti comuni a tutto il Popolo di Dio (Capp. I e II) e solo in seguito determina le diverse specificazioni all'interno di questo Popolo, Gerarchia e Laici (Capp. IlI e IV), per tornare poi al Cap. V a parlare della Vocazione Universale alla Santità nella Chiesa. (Giovanni Paolo II nella N.M.I.)

Occorre sottolineare che, in forza del Battesimo e della Cresima, il comune essere Popolo di Dio precede tutte le distinzioni di ministeri, carismi e servizi (un libro del Card. W. Kasper).

Anzi, il servizio ecclesiale non è un diritto o un dovere esclusivo della gerarchia: è compito proprio di tutta la Chiesa in tutti i suoi membri. Tutta la Chiesa con la sua molteplice articolazione è unificata dallo Spirito "nella comunione e nel servizio" (LG. 4). "Uno solo è lo Spirito, che distribuisce i suoi vari doni per l'utilità della Chiesa, a misura della sua ricchezza e alle necessità dei ministeri" (LG. 7). In questo senso non c'è nella Chiesa un servizio prestato solo da una parte di essa, bensì un servizio vicendevole per l'edificazione dell'intera comunità ecclesiale.

Questa edificazione non è un'opera che soggiace a pure esigenze organizzative, (il prete non ce la fa da solo: dove non arrivo io ci arriva un altro, visto che non posso far tutto!) con una distribuzione di compiti affinché la 'macchina' funzioni, possibilmente senza eccessivi attriti, ma attiene alla crescita vitale del Corpo di Cristo, di cui lo Spirito Santo è l'agente principale.

Cristo stesso, per mezzo dello Spirito Santo, "nel suo Corpo che è la Chiesa, continua a dispensare i doni dei ministeri, e da valore a quei servizi che noi ci prestiamo vicendevolmente per la nostra salvezza, affinché, viventi secondo la verità nella carità, abbiamo a crescere in vista di lui che è il nostro Capo" (LG. 7).

Dal punto di vista del servizio vige nella Chiesa un'essenziale eguaglianza di tutti i membri, in quanto tutti devono contribuire all'edificazione del Corpo di Cristo assolvendo ciascuno il compito affidatogli. Nel servizio reciproco dunque nessun membro può mettersi al di sopra degli altri. "Anche se per volontà divina alcuni sono costituiti dottori, dispensatori dei Misteri e pastori a vantaggio degli altri, tra tutti vige però vera uguaglianza quanto alla dignità e all'azione nell'edificare il Corpo di Cristo, che è comune a tutti quanti i fedeli" (LG. 32).

Su questa base si può superare l'antica distinzione per cui compito dei laici sarebbe quello di occuparsi delle cose del mondo (la consecratio mundi), mentre compito dei membri dell'Ordine sacro sarebbe quello di operare nella Chiesa. Non c'è nessun membro del Popolo di Dio che non possa partecipare alla missione dell'intero corpo (PO. 2). Anche il servizio del Sacro ministero è collegato alla missione di tutta la Chiesa e pertanto "può talora occuparsi di affari secolari d esercitare anche una professione secolare" (LG. 31), (quand’ero parroco passavo il tempo anche a controllare lo scarico dei tubi dell’acqua!) così come, al contrario, i laici, oltre all'apostolato nel mondo e all'ordinamento delle cose del mondo, loro specifico compito per adempiere il quale non è necessario parlare di vocazioni o ministeri in senso stretto, esercitano il loro servizio nella Chiesa e nell'ordinamento delle realtà spirituali. L'insistenza sul servizio al mondo dei laici non può essere inteso come un tentativo di relativizzare il loro ruolo di collaborazione nella costruzione della Chiesa, "a loro resti perciò aperta ogni possibilità, perché anch'essi partecipino attivamente, secondo le loro capacità e le necessità dei tempi, all'opera salvifica della Chiesa" (LG. 33).

A questi testi si può aggiungere un passaggio significativo della PO. "I sacerdoti del NT, anche se in virtù del sacramento dell'Ordine svolgono la funzione eccelsa e necessaria di padre e di maestro nel Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sono tuttavia, insieme a tutti gli altri fedeli, discepoli del Signore, fatti partecipi del suo Regno per la chiamata di Dio. Insieme a tutti coloro che furono rigenerati nell' acqua del Battesimo, i presbiteri sono fratelli tra fratelli, quali membra dello stesso ed unico Corpo di Cristo, la cui edificazione è confidata a tutti"(PO. 9).

Pertanto partecipare all'edificazione della Chiesa da parte dei laici non deriva da una benevola concessione da parte dei ministri sacri. Non si tratta quindi di supplenza, ma di responsabilità fondata sul Battesimo e sulla Cresima, il loro servizio non è giustificato solamente dall'osservazione che senza di essi oggi il presbiterio non potrebbe far fronte a tutte le esigenze delle nostre Parrocchie (una parrocchia di Roma con 40mila abitanti un prete solo, o uno e mezzo, che fa?!) ma appartiene alla struttura stessa della Chiesa, se vogliamo che essa diventi sempre meno massa anonima (ma dove sono le "masse" ?) e sempre più comunità viva. II can.129 § 2 del CIC afferma senza esitazioni che è dovere del parroco "riconoscere e promuovere" il ruolo che hanno i fedeli nella missione della Chiesa. Nel vocabolario giuridico "riconoscere" comporta dichiarare ed ammettere l'esistenza di diritti altrui (A. Montan).

Credo, su questo punto, di sfondare porte aperte, in quanto il problema maggiore che si incontra nella vita parrocchiale, almeno secondo la mia esperienza, è proprio quello di : I) fare uscire il laicato da una comoda e tradizionale situazione di passività, II) di come sia faticoso educare i fedeli a prendersi la propria parte di responsabilità, III) evitando d'altra parte che cadano o rimangano in un clericalismo peggiore del nostro, (capita che dei laici che ci girano attorno sono più clericali di noi! La perpetua: il primo giorno: ho dato a mangiare alle galline del parroco; dopo la prima settimana: ho dato a mangiare alle nostre galline; dopo un mese: le mie galline stanno benissimo!) IV) programmare adeguati itinerari di formazione. A questo proposito desidero annunciare che nel mio Settore abbiamo aperto tre Centri di formazione teologica diocesani all’apostolato, dislocandoli nei punti strategici del Settore di modo che tutte le parrocchie avessero la possibilità di convogliare i più sensibili: proposta di cose serie e non di infarinatura.

In ordine all'educazione delle nostre comunità ad un modo di essere in cui i ministeri siano più valorizzati, non mi sembra inutile promuovere la nascita di ben definiti gruppi di accoliti e lettori, non solo per sottrarre questi servizi ad una possibile improvvisazione, ma anche perché questi Ministeri istituiti con la visibilità dell' istituzione e della continua funzione liturgica, sono un segno della ministerialità più vasta, che riguarda tutta l'ampiezza del triplice munus di insegnare, santificare e servire.

Vorrei sottolineare che in questi ultimi tempi a Roma, e non solo, emerge la necessità di individuare, preparare e promuovere tutta una nuova gamma di ministeri che non siano funzionali solamente alla vita interna delle nostre comunità (ministeri liturgici istituiti e non, catechisti, operatori caritas ecc.), ma che diano corpo alla funzione missionaria della Chiesa (a Roma ci stiamo riempiendo la bocca di Missione!): animatori di centri di ascolto, persone impegnate nella pastorale d'ambiente, gente capace di entrare in dialogo con la cultura ed il territorio.

Non è possibile pensare ad una parrocchia missionaria senza passare ad una articolazione meno "feudale" e più "partecipata" della nostra Chiesa, a tutti i livelli, non fosse altro che per rendere più significativo il Segno che per volontà di Cristo noi già siamo e siamo chiamati a diventare nella nostra città "secolare", come sale della terra e luce del mondo per la Gloria del Padre. (Mt 5,13-16).

In questo modo il ministero ordinato e i ministeri laicali trovano quel!' integrazione che il Concilio indica, anche se in modo forse ancora non del tutto chiaro, in LG 10, in cui si afferma che "il sacerdozio comune dei fedeli ed il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano di essenza e non soltanto di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, ambedue infatti, ognuno nel suo modo proprio, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo". Essere al servizio della missione universale di salvezza propria di tutto il Popolo di Dio, renderla possibile efficacemente anche dal punto di vista strutturale e conservarla viva: questa è la missione del sacerdozio speciale nella Chiesa; vengono poi menzionati i modi "propri di ciascuno" di questa partecipazione al sacerdozio di Cristo, senza alcun ordine gerarchico o subordinazione. (Kehl)

II sacerdozio ordinato, dice il Concilio "efformat ac regit "forma e dirige il Popolo sacerdotale", dove "forma" non può voler dire altro che conformazione a Cristo, e "dirige" rimanda alla realtà del "Buon Pastore" che dà la vita per il suo gregge, in altri paragrafi esplicitata.

In questo modo occorre superare l'altra quanto mai equivoca distinzione, diffusa soprattutto nei primi tempi del post-concilio, tra istituzione e carisma, struttura e soffio dello Spirito Santo, Chiesa gerarchica o petrina e Chiesa pneumatica o paolina.

E' evidente che il ministero gerarchico nostro deriva dallo stesso Spirito Santo che distribuisce i carismi (ICor. 12) ed è quindi anch'esso "carismatico", e che i carismi ed i ministeri laicali debbono essere anch'essi "strutturati" in quanto contribuiscono all'edificazione dell'unico e ben compaginato Corpo di Cristo.

Per passare ad alcune considerazioni pratiche, che possano più concretamente esemplificare quanto si sta dicendo, ed anche per rendere più gradevole il discorso, vorrei sottoporvi una fotocopia che mi è stata passata l'anno scorso in una riunione di prefettura e che trovate allegata come ultima pagina.

Nelle sei vignette sono esemplificate sei situazioni in cui le nostre comunità possono venire a trovarsi, magari successivamente o contemporaneamente. Cerco di dare una lettura delle sei vignette, anche se, chiaramente, vi possono essere altre interpretazioni possibili.

I protagonisti sono un prete e un gruppo di laici, che possiamo considerare come i collaboratori che dovrebbero aiutare il parroco a portare il peso della parrocchia, i ministeri laicali di cui stiamo parlando.

1 - Il prete solleva sulle sue braccia la "chiesa" tenendola bene a distanza da quelle dei laici, si nota da parte di alcuni laici lo sforzo per allungare le mani sulla "chiesa", mentre altri stanno a guardare in modo perplesso, ma sostanzialmente passivo, la situazione; c'è da chiedersi per quanto tempo il prete resisterà in quella posizione o chi potrà sostituirlo.

2 - I laici hanno "preso la mano" al prete, il quale è impegnato in una rincorsa affannosa ; è chiaro però che il prete non porta nessun peso; la gente sembra correre in avanti, ma non si sa se va veramente avanti. A volte si può dare la situazione contraria, che è la gente ad inseguire, ma il risultato è lo stesso.

3 - II prete porta il peso insieme ai laici ed è in prima posizione; tutti stanno sudando, ma c'è qualcuno che sembra fare il furbo, facendo finta di collaborare e cercando di defilarsi. C'è da chiedersi anche se è stanco o se nessuno si è mai volto indietro per vedere che cosa succede alle proprie spalle.

4 - E' la situazione più drammatica, di quando ci si sente soli e abbandonati da tutti. La chiesa è a terra, immobile e la porta sembra chiusa. La gente ci abbandona e sul terreno sembrano rimanere dei ciottoli, segno di una sassaiola precedente. La situazione forse non arriva mai a tali punti estremi, visti i numeri delle nostre parrocchie. L'elemento positivo è dato dal punto interrogativo posto sulla testa del prete, che, oltre la meraviglia, può indicare la provvidenziale domanda : che cosa non è andato, o in che cosa ho sbagliato. Forse semplicemente nel permettere che la gente portasse sassi da tirare e magari nell'essere diventato anch'io protagonista e parte dello scontro.

5 - I portatori vanno in direzioni diverse, col risultato che la chiesa non solo resta ferma, ma sulle sue mura appaiono profonde crepe. Il prete sta al centro, ma questo non modifica la situazione e tutto lascia supporre che si arriverà presto alla situazione di cui al n.4.

6 - II prete si lascia sollevare, ben seduto sul tetto della chiesa, la quale non si muove, perché tutti, pur facendo un certo sforzo per reggere il peso, sono rivolti gli uni verso gli altri e molti sembrano avere la testa in alto per contemplare il prete, che ha la faccia compunta e meditativa, o forse sta solo dormendo. Tipico esempio di una comunità gerarchicamente corretta, con un discreto numero di ministeri, ma totalmente autoreferente e immobile.

La provocatoria domanda posta in mezzo al foglio lascia il tempo che trova perché spesso chi si trova al centro della vignetta non può o non ha tempo o non ha modo di guardarla nel suo insieme o la osserva solamente dal suo punto di vista.

Il discorso non è per nulla ozioso o faceto, perché come Presbiterio noi abbiamo anche il preciso compito di aiutarci e sostenerci reciprocamente, e le sorti di una comunità parrocchiale riguardano non solo i diretti interessati ma tutto il Popolo di Dio, tutta la Chiesa locale.

Vorrei concludere ricordando con enorme affetto e riconoscenza la figura di un grande prete romano, che l’anno scorso ha concluso vittoriosamente la sua battaglia e ha terminato la sua corsa: don Nicolino Barra.

Il suo "pallino" fisso era quello di ritrovare nella "normale" Eucarestia domenicale della sua Parrocchia il punto di partenza, di arrivo e di verifica di tutto il lavoro pastorale.

Cosi egli scriveva nel giugno '79, presentando il lavoro della Parrocchia di S. Agapito al clero del suo settore:

"Ogni sforzo è rivolto alla Messa della domenica e tutto il popolo deve camminare insieme al passo dei più piccoli. Ogni cristiano è consacrato col Battesimo e la Cresima come membro vivo del Corpo di Cristo, come figlio di Dio, e partecipa della missione sacerdotale, regale e profetica per la salvezza del mondo. Per questo abbiamo evitato di costruire in parrocchia un mondo alternativo, quasi come riserva per fauna protetta, ma tutta la predicazione ed il catechismo sono orientali alla missione e al servizio del mondo. "Voi siete il sale, la luce, il lievito" roba da mischiare nel mondo.

Anche noi preti cerchiamo di essere buoni cristiani; per questo non ci rivolgiamo al quartiere come preti, ma viviamo nel quartiere come cristiani; abbiamo scelto di lavorare, di abitare fiori dal recinto sacro con i più poveri: i baraccati e gli zingari. Questo non per secolarizzarci nel senso di essere uguali al mondo, cioè senza fede, ma per vivere la nostra vera consacrazione e la nostra missione di servizio al mondo e insieme di guida nella Chiesa.

Tutti i cristiani battezzati e cresimati sono ugualmente consacrati. Se c'è tra essi distinzione non è di dignità, ma è funzionale ed in ordine al servizio della Chiesa.

A S. Agapito per ora ci sono questi ministeri: il Vescovo (per le cresime e nel Canone della Messa), i preti, "i diaconi" per i poveri, i catechisti, gli amministratori, i ministri dell'Eucarestia, i fabbricieri (cioè gli addetti alla cura del fabbricato), le pulitrici, gli ostiari.

Abbiamo scelto la strada dei ministeri per promuovere una maggiore partecipazione e impegno di tutta l'assemblea. Tutti questi collaboratori una volta al mese si riuniscono e trattano le questioni pastorali della parrocchia.

Guardando verso il 2000, alcuni dati sono certi: l'estendersi della diocesi, la dispersione dei cristiani in una città, che sempre più fa a meno di Dio, il diminuire del numero dei preti, la difficoltà di costruire e mantenere parrocchie come le attuali. Quali le prospettive?

A - Prospettiva clericale: continuare ad assicurare ad ogni costo "l'essenziale": Messa e Sacramenti. Per risparmiare i preti, sempre più preziosi, si dovranno distribuire sacramenti sempre più sbrigativi e messe sempre più di massa. Si dovrà ricorrere alla messa per TV, un super prete per ogni rete TV, o si dovranno importare preti dal terzo mondo.

B - Prospettiva del Corpo mistico: preoccuparsi piuttosto della vitalità della Chiesa, dell'autenticità di ogni cristiano e di ogni sacramento, valorizzare i doni, moltiplicare i ministeri, decentrare le responsabilità, moltiplicare le parrocchie e le assemblee domenicali magari anche senza prete, ma comunità locali di cristiani, membra vive di Cristo che in quel luogo si è incarnato. Allora i ministeri, oltre che rendere viva la Chiesa, saranno la fonte dei preti, cioè il seminario del 2000, perché la funzione crea l'organo" (in La Tenda n. 100, anno XI n.8-9).

Possiamo comunque concludere con la frase che Nicolino aveva scritto e installato sul suo tornio di fabbro: "Non si fanno lavori urgenti".

 

SECONDA RELAZIONE DI MONS. APICELLA

Dalla seconda lettura dell’ufficio di oggi (13 settembre) S. Giovanni Crisostomo. “Molti marosi e minacciose tempeste ci sovrastano”.

Abbiamo avuto sempre a che fare con tempeste e marosi, quando sembra che i marinai abbiano perso tutti la capoccia.

La lettura termina con queste parole: “Cristo è con me: di chi avrò paura? Dove sono io, là ci siete anche voi. Dove siete voi, ci sono anch’io. Noi siamo un solo corpo e non si separa il capo dal corpo, né il corpo dal capo. Neppure la morte ci può separare. Voi siete i miei concittadini, i miei genitori, i miei fratelli, i miei figli, le mie membra, il mio corpo, la mia luce, più amabile della luce del giorno. Il raggio mi è utile nella vita presente, ma la vostra carità mi intreccia la corona per la vita futura”.

Il discorso della carità, dell’unione, del legame – qui si parla del vescovo e del popolo, possiamo parlare anche del presbitero col popolo – perché la carità è circolare, non può andare a segmenti.

Il discorso della carità ci porta proprio al tema di oggi per saper lavorare insieme: si voleva parlare delle unità pastorali, della necessità di collaborazione, lavoro comune, ecc.

Mi rifaccio al Concilio:

LG 28: costituzione fondamentale del nostro essere preti insieme con il vescovo e insieme tra di noi: questo è un punto fermo. Cosa significa e come lo possiamo vivere concretamente forse siamo sempre in cammino.

“I sacerdoti… col loro Vescovo un unico corpo sacerdotale sebbene destinati a diversi uffici… rendono presente il Vescovo”.

A Roma c’è la battuta: parroco nell’urbe, vescovo nell’orbe! Ogni parroco di Roma si sente vescovo: qualche parrocchia ha 40 mila abitanti.

Io dico ai parroci miei: voi non siete un vescovo, voi siete “il” vescovo. Il parroco nella parrocchia è la presenza del vescovo, nel senso che il vescovo esercita il suo sacerdozio attraverso di voi – vi ha affidato la parrocchia perché si fida di voi - e quindi bisogna essere in comunione con lui.

Quando sono diventato vescovo, d. Nicolino Barra, di cui vi ho parlato ieri, mi ha detto: Vedi, Vincenzo, tu scendevi in chiesa e dicevi messa per la gente della parrocchia tua; da oggi a chi celebri L’eucaristia? Quale altare hai? Quella della cattedrale ha il parroco suo! Quale comunità hai? Mi ha aperto la mente: la tua è quella che passa attraverso l’eucaristia di tutti i parroci del tuo settore, di tutti i presbiteri del tuo settore. Don Giuseppe in pratica celebra la sua eucaristia attraverso le mani di ciascuno di voi, attraverso la capoccia di ciascuno di voi su cui ha messo le mani sue o i suoi predecessori.

Essi rendono visibile in quel luogo la chiesa universale: dove sta la chiesa universale? Sta dove c’è un prete che sotto la comunione col suo vescovo celebra l’eucaristia con il suo popolo. Questa è la chiesa universale resa visibile sulla faccia della terra, anche sul più sperduto paesetto della montagna: quella è la chiesa universale resa presente in modo concreto e visibile, sulla faccia della terra.

A questo fa riferimento il Sacrosantum Conc. 41 e 42.  Non solo in ogni parrocchietta si lavora per l’edificazione di tutto il corpo di Cristo, ma in tutta la diocesi.

E questo si basa non su un discorso di efficienza e efficacia, ma su un discorso sacramentale e teologico: “In virtù della comune sacra ordinazione…lavoro e carità” (LG 28) (Questa unione si deve manifestare poi concretamente, perché è chiaro che i poveri in spirito sono tanto belli, ma i poveri nel portafoglio… I nuovi consigli evangelici sono: la povertà spirituale, la castità periodica e l’obbedienza concordata: sono i nuovi voti che vengono fatti nei consigli evangelici!…)

Il Concilio aggiunge:

“Siccome oggigiorno l’umanità… famiglia di Dio”: siamo presenti nella globalizzazione di cui nessuno può tirarsi fuori, siamo tutti legati uno all’altro, per cui se casca uno caschiamo tutti. Siamo in un’epoca c’è una interdipendenza (“dispersione”: come le acqua dell’acquedotto della Sicilia che partono dalle montagne piena d’acqua e arrivano a Palermo come colabrodo, perché l’acqua non c’è più) LG 28.

 

Le stesse cose si trovano su Christus Dominus n. 30 in cui si parla di tanti modi collaborare per i quali nemmeno i parroci ci arrivano: pastorale d’ambiente, pastorale del lavoro, alla pastorale delle carceri, ospedali, scuola: e questo sono cose grosse.

Ognuno ha la sua parrocchietta, i suoi ragazzi, i suoi malati, ma ci sono anche servizi in una diocesi che non sono semplicemente quelli parrocchiali, però i parroci devono stare attenti pure a questi servizi sapendo che ci stanno, per quanto è possibile incoraggiando e dando una mano e quelli che esercitano questi servizi devono pure ricordarsi che ci stanno i parroci.

Ma cerchiamo di fare quello che si può!

Ci sono vari ministeri CD n. 30:

1)    vita comune che offre ai fedeli esempi di carità e unità. Se non diamo esempi di carità e unità, che andiamo a raccontare! Può succedere anche in parrocchia: la vecchietta: il parroco quella ha salutato, me non ha salutato: quante cose possono succedere! Anche tra i preti stessi ci può essere concorrenza! Anche tra parroci succede e tutti abbiamo fatto esperienze sulla nostra pelle: io pure ho dovuto fare un certo sforzo su di me. E’ inevitabile. Arriva il viceparroco giovane, simpatico e tutti gli vanno appresso: porca miseria eppure è più scemo di me!

Soltanto la testimonianza della unità e della carità tra di noi funziona: posso essere un teologo super raffinato, uno scienziato della scrittura o della liturgia: ma se poi non lavoro con gli altri, se poi non dimostro la carità e l’unità, il mio lavoro non serve a niente. C’è poco da fare!

Il Card. Ruini ha detto nell’ultimo convegno di giugno della diocesi: le strutture di comunione non servono a niente se non c’è lo spirito di comunione. Diventano una mascherata.

Spirito di comunione è amare ciò quello fanno gli altri: di solito noi amiamo ciò che facciamo noi e su quello che fanno gli altri abbiamo sempre da ridere qualcosa. Io avrei fatto meglio!

Questo risolverebbe tanti problemi, anche a livello più generale. Pensiamo per esempio alla concorrenza anche tra movimenti e religiosi.

 

Ultimo testo da citare, quello più forte e più diretto: P.O. n. 7 e 8: le relazioni tra vescovo e presbiteri e presbiteri tra di loro.

La P.O. riporta la radice teologica dell’unione tra vescovi e presbiteri nell’eucaristia espressa in modo liturgico e visibile nella concelebrazione (fino al Concilio ogni chiesa aveva tanti altari e tante Messe contemporanee!).

La P.O. mette l’accento su un gesto che abbiamo fatto parecchie volte: nell’ordinazione di un prete dopo l’imposizione delle mani del vescovo, c’è l’imposizione delle mani di tutto il presbiterio: è un gesto importante, in cui il nuovo sacerdote viene accolto nell’unico presbiterio, viene accolto da coloro con i quali avrà da spartire la cura e lo zelo per il popolo di Dio.

“Tutti i presbiteri… n.8”.

 

Come applicazione di questi tre passi vi dico la mia esperienza, della diocesi e mia personale.

A Roma la collaborazione tra presbiteri si esercita in quelle che a Roma si chiamano prefetture.

Per me essere parroco era anche avere responsabilità sul presbiterio; ma se non c’è amicizia, se non c’è capacità di raccontarti una barzelletta, di andarsi a prendere un caffè insieme… che progetti pastorali volete fare?

Questa è la mia esperienza: l’amicizia è indispensabile perché la cosa funzioni, altrimenti la prefettura diventa un guscio vuoto.

A Roma cominciò il 1986 con l’inizio del Sinodo: ci si incontrava e si conosceva e si stabiliva un certo stile di lavorare insieme.

Poi la missione cittadina: programmare e lavorare insieme.

I movimenti che fanno vita a parte, i gruppi che a volte non si conoscono l’uno con l’altro, qualche catechista non conosceva quegli degli altri gruppi. L’anno più bello della missione è stato l’anno preparatorio, perché ci si vedeva una volta al mese.

Poi il Giubileo: io ho 8 prefetture con i quali mi vedo una volta al mese.

Lavorare insieme.

Quali sono le prospettive? Lavorare insieme nella stessa prefettura, perché il malessere che si respira è a che serve?! Se il lavoro in comune è visto come un lavoro in più è fallito in partenza! Il lavoro in comune dovrebbe servire per lavorare di meno: se tu fai una cosa non la faccio pure io; io ne faccio un’altra. In prefettura ci si comunica i corsi in preparazione matrimonio, cresima agli adulti….

Se serve per distribuire il lavoro, funziona; se serve per mettere altra carne sul fuoco si brucia tutto. Questa è l’esperienza che vivo nelle mie prefetture.

Questo si chiama principio di sussidiarietà. Quindi necessità di comunione, di coordinamento e programmazione comune. Per fare questo si sta lavorando per arrivare a un consiglio pastorale di prefettura e che questo stile di comunione passi anche fra i laici, perché i problemi della zona sono comuni.

Una parrocchia deve unirsi con un'altra, anche se il prete è abituato a stare da solo.

Quali sono gli ambiti privilegiati di un lavoro insieme? Ne elenco alcuni: la carità (quanti poveri bussano le parrocchie una dopo l’altra), per es. il volontariato insieme; pastorale giovanile: nessuno più dei giovani gusta il fatto di trovarsi insieme (Tor Vergata); la formazione: quante parrocchie hanno la possibilità di mettere un corso di formazione serio per conto proprio, fatto di persone competenti: da soli no, insieme; pastorale d’ambiente, ecumenismo; la conoscenza delle realtà sociali e culturali; i rapporti con gli enti civili.

Gli ambiti possono essere tantissimi. Ma il punto centrale, finale a cui tutto si riconduce è sempre l’eucaristia che è il punto di partenza di arrivo, la comunione con il vescovo, con i preti, con i laici con la gente: l’unità non la facciamo soltanto noi ma la fa Lui mediante lo Spirito che ci viene dato.  


 

RIFLESSIONE DELLA I GIORNATA

(Mercoledì 12/9) 

VICARIA DI ROCCA PRIORA

Rispondendo alle domande proposte ed agli stimoli della relazione di Mons. Apicella ci siamo interrogati sul rapporto di noi parroci e collaboratori con i laici ed il lavoro pastorale effettuato con loro. Le nostre considerazioni nascono da un confronto che ci ha visti in linea di massima tutti d'accordo. Qui portiamo solamente le nostre osservazione negative, come d'altronde ci obbliga un po' la relazione di Mons. Apicella e le vignette da lui proposte, non per non riconoscere quanto di positivo c'è nelle nostre parrocchie, ma per esprimere una critica costruttiva che ci porti a fare meglio e di più.

1. I nostri laici collaboratori ci sono sembrati in diversi casi poco motivati e convinti spiritualmente, poco formati e preparati, il loro operato è spesso occasionale, spinto dall'emozione, dall'affermazione di se stessi ed dalla propria realizzazione, più che da un valore ed un ideale evangelico, mancando di un senso ecclesiale di comunione che in alcuni casi porta loro a prendere la mano arrivando ad escludere anche il parroco dalle loro iniziative e scelte. Altre volte mancano di senso missionario e costanza nel portare avanti il loro operato.

2. Tutto questo - ci siamo chiesti - da che cosa dipende? Le ragioni sono tante e sarebbe lungo enumerarle tutte; ne abbiamo però scelto una che riguarda particolarmente noi pastori per riconoscere anche le nostre responsabilità per una critica costruttiva come dicevamo sopra. Il lavoro pastorale che portiamo avanti nelle nostre parrocchie è molto condizionato dai risultati che dobbiamo ottenere per quanto riguarda i "numeri" e le formalità che t'impone più che altro la "massa ecclesiale", il tanto da fare, i risultati da ottenere e le varie occupazioni (di quante cose si occupa oggi un prete) ci toglie la possibilità di formare bene i nostri laici, anzi , sarebbe meglio dire, di compiere un cammino con loro (quanti di noi fanno ogni anno gli esercizi spirituali) che porta alla formazione di una vera comunità con i valori evangelici ad essa inerenti.

Dando uno sguardo alla vita di Gesù nei vangeli, scorgiamo invece che egli ha curato se non di più (a parer nostro di più), senz' altro in modo particolare il gruppo apostolico dei discepoli rispetto alle masse o quantomeno non era affatto condizionato da queste. . . .e grazie proprio alla formazione di questi discepoli, i quali non erano perfetti anzi tutt'altro, e proprio da questi (v. Pentecoste) che è poi nata la chiesa che ha portato il vangelo in tutto il mondo, a moltiplicare i doni spirituali ricevuti.

Come risolvere il problema vista anche la solitudine spirituale che viviamo nelle nostre parrocchie?

Unendoci e collaborando insieme, sia per aiutarci, ma soprattutto per essere un segno di comunione a cui coinvolgere i nostri laici, comunione in Cristo (dove due o tre sono riuniti nel mio nome...) che diventa il più idoneo bacino spirituale per l'azione dello Spirito Santo per la nostro cammino da fare insieme per la scoperta e maturazione dei carismi ecclesiali per la costruzione del Regno si Dio in mezzo a noi.

Seguendo poi le indicazioni del papa nella sua nuova lettera, troveremo una via sicura da seguire alla scoperta di quella “tavola imbandita” di Mons. Apicella alla quale abbiamo voltato le spalle per cercare nella spazzatura delle nostre inversioni pastorali, compromessi con il mondo, apparati senz’anima che tali e quali risultati hanno dato…? Non c’è nulla da inventare.

3. E perché questa comunione sia veramente ecclesiale, perché sia un segno per gli altri (sale della terra e luce . . . ), perché gli altri ci vedano uniti e la nostra comunione possa esprimere "simpatia" come la prima comunità degli Atti .  . , ci vuole anche e soprattutto la condivisione e l'apporto del nostro vescovo.

 

 VICARIA DI FRASCATI

Il contributo di mons. Apicella sulla ministerialità laicale ha sollecitato diverse considerazioni:

Nelle comunità parrocchiali la presa di coscienza del proprio ministero particolare da parte del clero e dei laici, non sempre corrisponde ad una reale comunione tra i diversi ministeri. Antichi "muri" o comunque ruoli cementati più dalla consuetudine che dalla tradizione, non sono facili da far crollare. Da qui la necessità per tutti di ritornare alle radici ed individuare un nuovo punto di partenza che permetta delle relazioni più autentiche : è urgente da parte di sacerdoti e laicato una riscoperta graduale delle radici del proprio essere cristiani, in quanto "chiamati" all'edificazione dell' unica Chiesa in. virtù dei sacramenti del Battesimo e della Cresima, per far emergere con chiarezza anche la "specificità" del proprio carisma di servizio. In questo modo potranno essere visibili i doni particolari del proprio ministero specifico ( in particolare quelli arrecati dai sacramenti dell'ordine e del matrimonio) e far crescere i frutti di grazia in tutta la comunità. Tale riscoperta, fondata sulla centralità dell'Eucarestia e sulla preghiera, permetterà di ridisegnare la fisionomia della Chiesa secondo la prospettiva del Concilio vaticano II di popolo in cammino verso la santità nel reciproco servizio di ogni sua componente.

Il servizio ecclesiale deve dare una gioia che sarà tanto più intensa se nascerà dall'aver saputo accettare l'invito di Cristo a portare la sua croce e dall'aver sperimentato nella propria vita l'annuncio della sua Resurrezione. Per questo occorre ribadire che ogni servizio ecclesiale per essere significativo e non estemporaneo o autoreferenziale deve scaturire come conseguenza dell'incontro personale con Gesù nella propria vita. Ai sacerdoti si chiede in maniera particolare di favorire questo incontro, di mostrare attraverso una presenza costante, soprattutto nelle parrocchie ma anche negli ambienti di vita, il volto di un Cristo paziente e premuroso capace di accogliere, di attendere, di richiamare ma soprattutto di ascoltare.

La dimensione dell'ascolto è la base di ogni dialogo: occorre farsi interpellare non soltanto dalle parole ma soprattutto dalle situazioni vissute ogni giorno nelle nostre comunità parrocchiali: le chiese semideserte, la riluttanza di moltissime persone alla confessione, la sempre minore presenza dei giovani, la scarsa sensibilità nei confronti di certi argomenti... Vincere la paura di affrontare la crisi, di indagare sui propri errori e aprirsi all'azione dello Spirito di Dio, lasciarlo agire nella propria vita personale e nella comunità. Una pastorale che nasca dall'ascolto può essere la via per rigenerare la partecipazione dei cristiani alla vita ecclesiale.

 

VICARIA DI GROTTAFERRATA  

Ci troviamo nella società pluralista che vive le sue molteplici realtà, piene delle nuove caratteristiche ed esigenze. Anche la vita della Chiesa da queste viene toccata ed interpellata (le parrocchie che si svuotano nelle vacanze). Il sacerdote è chiamato di uscire dal vecchio per affrontare il nuovo. Ciò comporta il cambiamento di noi stessi e di ciò che fino a poco fa era una sicurezza. La solita vita dei sacerdoti deve evolvere per poter aiutare efficacemente la gente che vive in un contesto nuovo. Si parlava dell'uscire verso la gente.

Si accennava come oggi il laicato ha delle esigenze diverse. Non si parla più dell'aticlericalismo, anzi oggi la società ha bisogno non solo dei sacramenti, che non cessano d'essere il momento più importante nella vita della chiesa, ma soprattutto dei valori che, presenti nella chiesa, non ci sono più nella società d'oggi.

Cosa fare?

La risposta non è facile. Oggi gli stessi laici che devono essere aiutati sono spesso passivi. Dopo aver la chiesa trattato il laico per tanto tempo come colui che solo ascolta, quel modello del laicato è impresso nella mente della gente. Il laico trova difficoltà ad uscire ed impegnarsi. Dall'altra parte la chiesa deve scongiurare il pericolo d'organizzare tanti piccoli gruppi, circoli chiusi, dove gli altri possono entrare con l'estrema difficoltà.

I modi

Puntare di coinvolgere nella carità, collaborazione pratica, tutto al fine di conoscere meglio le povertà del proprio ambiente, famiglie in difficoltà, gli extra comunitari. Aiutare ad uscire dal proprio egoismo e dalla propria casa, saper coinvolgere, un'attività pratica da fare immediatamente nel proprio ambiente. Oggi appare molto problematico sfidare le altre proposte che coinvolgono la massa (attività sportive). Ma la chiesa ha a disposizione un'arma importante da sfruttare - saper ascoltare, diventate un punto di riferimento umano, coinvolgere i giovani nell'organizzazione di una missione popolare insieme ai religiosi.

Sottolineare la dimensione diocesana dello sforzo pastorale.

Organizzare un week-end di preparazione per laici, farsi conoscere e conoscere.

Di fronte alle molte ed impegnative cose da fare c'è sempre un motivo per stare sereni - la gente ha bisogno della chiesa e vuole avvicinarsi alla chiesa.

Far capire ai laici che sono della chiesa e sono importanti per la chiesa.