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Chiesa
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Parrocchia
   

Storia della Chiesa e convento di San Giovanni in Canale

La chiesa ed il convento di S. Giovanni in Canale sorgono intorno al 1200 per opera di padre Bonviso piacentino dell’ordine dei P.P. Domenicani. Egli è espressamente inviato a Piacenza dal fondatore dell’Ordine per organizzarvi una comunità di cui diviene nel 1227 primo Priore.

Chiesa e convento sono edificati in un’area percorsa da canali provenienti dal torrente Trebbia, nel quartiere sud-ovest della città, tra il canale della Beverora e la Magione dei Templari poi ceduta ai domenicani in seguito alla soppressione dell’ordine.

Nel corso dei secoli il cenobio acquista fama ed influenza essendo anche sede dell’ufficio del Tribunale dell’Inquisizione. Nel contempo all’ampliamento dell’impianto monastico si associano le trasformazioni della chiesa originaria. Questa, sorta a nord del complesso e costruita secondo la regola della “Costituzione primitiva” a pianta rettangolare e a tre navate di uguale altezza, era caratterizzata dalla suddivisione in chiesa esterna (dei fedeli) con copertura a capriate lignee e chiesa interna (dei religiosi) con copertura a crociere sostenute da pilieri cilindrici. Un’abside rettangolare scarsamente aggettante concludeva lo spazio sacro. La facciata monocuspidata in laterizio era dotata di un portale centrale a lieve strombatura e di un soprastante rosone entrambi in marmo bianco. Due finestre acute si aprivano ai lati.

Dal XIV secolo prendono corpo cappelle laterali a nord nell’area esterna e a sud nello spessore del muro. In esse sono sepolte famiglie gentilizie tra le quali primeggia la casata Scotti.

Nel XVI secolo l’area chiesastica e unificata ed è prolungato lo spazio presbiteriale con l’aggiunta di un coro e di un abside semicircolare. Nel 1680 l’originale soffitto a capriate viene celato da volte a botte ribassate ed i pilieri sottostanti incorporati in pilastri quadrangolari di gusto barocco. In facciata il rosone è sostituito con una finestra pseudo serliana e sono aperti ingressi laterali.

Nel frattempo l’area conventuale viene completandosi con l’aggiunta di nuovi ambienti comunitari distribuiti attorno a due chiostri tra i quali si colloca una biblioteca.

Nei primi decenni del XVIII secolo l’area presbiteriale della chiesa viene completamente affrescata e viene costruito un nuovo altare monumentale corredato da balaustre e pavimentazione. Agli inizi del XIX secolo viene rinnovata la Cappella della Madonna del Rosario.

Nel 1810, a seguito dei decreti napoleonici, la comunità monastica è soppressa e la struttura conventuale smembrata ed alienata. La chiesa mantiene il ruolo di parrocchia ed è officiata dal clero secolare.

Nel corso del XIX secolo subisce manomissioni e degrado. Nella prima metà del XX secolo sono avviati lavori di risanamento, restauro e recupero stilistico. Le cappelle della navata destra scompaiono ed alcune della navata sinistra sono demolite o tamponate; sono liberati i pilieri cilindrici e la soprastante copertura a travature lignee.

In facciata sono ripristinati il rosone, le finestre in stile ed abolite le aperture laterali.

Ora l’edificio associa alla caratteristica forma originaria, la presenza degli interventi più significativi del passato rispettati per l’indiscusso valore artistico.


Visita  

Da Via Beverora si scende al sagrato tramite un’ampia gradinata (1897).

La facciata a capanna è scandita da lesene ed aperta dal portale centrale, a lieve strombatura, dal rosone e da finestre acute laterali. In alto corre un cornicione ad archetti pensili; mosaici recenti sono disposti nelle tre monofore cieche.

La facciata
La facciata

All’interno la grande aula, austera e imponente, è scandita da pilastri cilindrici a sostegno degli archi ogivali e della copertura biforme. Pilastri poligonali delimitano le due aree un tempo distinte ed assegnate ai fedeli e ai religiosi.

Emerge nel contesto medioevale il Santuario risalente alla prima metà del XVIII secolo e, nella navata sinistra, tra le cappelle superstiti, quella della Beata Vergine del Rosario del XIX secolo.

Nell’edificio si conservano opere di notevole valore storico ed artistico. Tra i manufatti scultorei si segnalano, oltre alle numerose pietre tombali, sepolcri marmorei appartenenti alle famiglie nobiliari cui era affidato il giuspatronato delle relative cappelle. Il più antico sepolcreto appartiene alla famiglia Scotti e risale ai primi anni del XIV secolo. 


Il Sarcofago Scotti

Il sarcofago, in breccia di Verona con copertura a falde, presenta sul fronte sui lati sulla lastra di copertura e sugli acroteri raffigurazioni a rilievo tra le quali una Madonna con Bambino e Santi. Il monumento che ora si trova nella navata destra era in origine nella cappella Scotti Anguissola (ultima della navata sinistra).

Un altro monumento attribuibile al XIV secolo è il sepolcro Arcelli a destra nel retrofacciata; a sinistra è il sepolcro Scotti Gonzaga del XVI secolo proveniente dalla cappella Scotti Anguissola. 

Nella cappella d S. Caterina (Scotti di Sarmato e Montalo) si trova il monumento funebre di Orazio Scotti del XVII secolo, nel quale oltre la complessa organizzazione architettonica si apprezzano i due putti laterali ed il busto dello Scotti attribuiti ad Alessandro Algardi.


Orazio Scotti

 

Nella cappella Maggiore campeggia il monumentale altare del XVIII secolo con le statue dei pontefici domenicani S.Pio V e Benedetto XI. L’insieme comprendente altare, balaustra e pavimentazione è opera di Giuliano Mozani.

Altre opere scultoree degne di segnalazione si trovano nel chiostro della porteria: il monumento della famiglia Guadagnabene in marmo rosa di Verona del 1365 ed il rilievo sepolcrale in arenaria del chirurgo Guglielmo da Saliceto del XVI secolo.


Monumento Guadagnabene

 

Tra le opere pittoriche primeggiano gli affreschi settecenteschi della cappella Maggiore, opere dei pittori Sebastiano Galeotti e Bartolomeo Rusca per le parti figurative, di Francesco e Giovambattista Natali per le quadrature. Tra esuberanti e dinamiche organizzazioni architettoniche si leggono: nella volta del presbiterio la “Gloria di S. Giovanni Battista”, nella volta del coro la “SS. Trinità” e nel catino absidale la “Gloria di S. Domenico”. Alle pareti del presbiterio sono affrescate storie domenicane. 


Apparizione della Vergine
 a San GIacinto

Altri affreschi più antichi compaiono lungo la navata destra. Al XIV secolo si fanno risalire quelli strappati dal chiostro della Porteria, tra i quali una “Madonna della misericordia” di Bartolomeo e Iacopino da Reggio. Al XV secolo appartengono altri affreschi in fondo alla navata tra i quali quello riproducente “Antonio Scotti danti al Beato Marcolino da Forlì” di Gherardo Garatoli.

Tra le numerose tele conservate alle pareti, un tempo pale d’altare, emergono opere di Paolo Borroni, Giuseppe Marchesi detto il Sansone, Luigi Crespi, Gervasio Gatti detto il Somaro e Giovan Battista trotti detto il Molosso. Due grandi dipinti se trovano nella cappella del Rosario. Rifatta in epoca neoclassica su progetto di Antonio Tomba (1810), la cappella ospita a sinistra la “Salita al Calvario” di Gaspare Landi e a destra la “Presentazione al tempio” o “Purificazione della Vergine” di Vincenzo Camuccini dove le immagini si dispongono nell’atrio di un tempio al di qua di poderose colonne tortili che rimandano al linguaggio di Giulio Romano; più squillante nei toni coloristici e più coinvolgente nell’atmosfera drammatica dell’azione è il dipinto del Landi dominato dall’immagine trascendentale del Cristo condotto al Calvario.


Salita al Calvario



 Presentazione di Gesù al Tempio

Dell’antico convento si possono ancora leggere, al piano terra, l’originale sacrestia, tracce della sala capitolare ed il lato nord del chiostro della porteria; al piano superiore parte del dormitorio e le stanze superstiti dell’Ufficio dell’Inquisizione ora archivio Parrocchiale.

Prof.ssa Natalia Bianchini


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