I libri storici
Altro
gruppo di libri dell’Antico Testamento sono
i “libri storici”.
Fanno
parte di questo gruppo i seguenti scritti: Giosué, Giudici, Rut, 2 di Samuele,
2 di Re, 2 delle Cronache, Tobia, Giuditta, Ester. Esdra, Neemia,
2 dei Maccabei. A questi scritti bisognerebbe aggiungere anche: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio.
Questi
ultimi 5 libri però non sono stati mai considerati libri storici, né dai
cristiani, né dal popolo ebraico. Essi erano considerati parte a se stante
rispetto agli altri libri, anzi, erano “La
Legge”. Tra le norme e condizioni poste dai rabbini per riconoscere se
un libro era da ritenersi sacro o meno, vi era questa: se il suo contenuto
fosse stato conforme a quello della Legge, e cioé ai
primi cinque libri della Bibbia, che essi consideravano come uno solo, anche se
diviso in cinque parti.
Scopriamo
perché questi scritti vengono denominati anche “della fedeltà divina”. In essi effettivamente si parla di una storia: storia reale,
vissuta, sofferta, la storia della fedeltà di Dio alle proprie promesse e, di
contro, della infedeltà del popolo che egli aveva eletto per Sé.
Questi
libri ci narrano lo sforzo di Dio per mantenere il popolo sulla retta via,
ricorrendo a tutti i mezzi validi, dall’attrattiva dell’amore, ai richiami, ai
castighi, in un susseguirsi palpitante e a volte
angoscioso, sino a quando sull’orizzonte non spunterà Colui che in Sé
ricapitolerà tutti e tutto, che sarà l’oggetto della compiacenza di Dio,
l’Amato, il Prediletto, Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo. Per tale motivo questi libri si possono definire “della fedeltà di
Dio”.
Che cosa
intendevano gli Ebrei per storia?
Il
concetto di storia degli Ebrei, come del resto di tutti i popoli antichi, non è
uguale a quello che abbiamo noi oggi. Esaminando l’umanità,
nella sua storia possiamo distinguere quattro periodi:
*
il primo è essenzialmente teocratico,
basato su leggende e credenze accettate e non discusse, di un governo della
divinità, o con un suo intervento diretto, o per mezzo di
rappresentanti prima e discendenti poi;
*
a questo segue un secondo periodo
dove alla divinità si sostituisce l’uomo, con autorità assoluta. Per intenderci
siamo all’epoca degli imperatori e dei re assoluti;
*
a questi succede un terzo periodo in
cui ad un solo padrone (= monos arché) con tutti i poteri, si uniscono altri che ne
dividono il potere, diminuendolo in parte, fino a
ridurre il monarca ad una figura più o meno importante;
*
il quarto periodo, già in atto ma
ancora in evoluzione, è quello moderno, della repubblica in tutte le sue forme
(la
democrazia), in cui l’autorità detenuta dal popolo, viene
conferita da esso a pochi rappresentanti che devono curare i suoi interessi.
Ci
rendiamo conto così che da un solo uomo con poteri e autorità insindacabile, si
arriva a molti delegati con autorità, che però sono
temporanei e sindacabilissimi.
Inoltre,
oggi noi consideriamo la storia come una scienza. Per gli Israeliti era una
religione con principio, fondamento e fine nella religione stessa. Noi
cerchiamo nella storia le cause remote e prossime, gli sviluppi delle persone e
delle cose, gli scopi consci e inconsci, gli effetti e le ragioni nascoste e
palesi; per gli Iasraeliti tutto ciò era inutile
poiché esiste già uno schema, una forma secondo cui si narra e si giudica: si tratta della Legge
di Javhé a cui tutto si riferisce. Per noi la storia
è ricerca e documentazione, per gli Israeliti confronto
e giudizio.
Certamente
stiamo parlando della storia biblica, ma gli Ebrei non ne avevano
altra, perché la Bibbia regolava tutta la loro vita e racconta della loro vita
senza fare riferimento ad altri popoli. Se qualche riferimento viene fatto è perché quel popolo è venuto in qualche modo a
contatto con gli Ebrei e in particolare, con il loro Dio.
Ci
troviamo dunque dinanzi ad una Storia religiosa in cui lo storico sacro
intendeva impartire ai suoi lettori delle lezioni morali e religiose in relazione alla loro vita.
Con quale metodo sono stati redatti i
libri storici?
Vari
sono i metodi di stesura utilizzati dagli scrittori dei libri storici: alcune
volte è stata usata una narrazione concisa, piena di numeri e di genealogie;
altre volte quella pastorale, esortativa o liturgica; altre volte ancora quella
di carattere popolare là dove viene utilizzato un
linguaggio semplice. Tutti gli scrittori hanno utilizzato fonti scritte o orali.
Una
radice profonda però li accomuna: l’azione di Dio nella storia dell’uomo, in
particolare del popolo eletto.
La
storia biblica è un mezzo per arrivare a Dio, non un fine. Il racconto dei fati
non è fine a se stesso, ma deve portare a Dio. Per tale motivo alcuni
avvenimenti vengono raccontati, altri no perché non
considerati importanti per la salvezza.
I
libri storici sono stati composti nell’arco di 10 secoli e narrano le vicende
storiche del popolo di Israele dalla conquista della
terra promessa (sec. XIII a.C.), fino all’ascesa al trono di Giovanni Ircano
(134 a.C.).
Questo
corpo storico di libri comprende 4 serie di opere:
a. I libri di Giosuè, Giudici, 1-2 Samuele e 1-2 Re,
chiamati dagli Ebrei profeti anteriori e dagli studiosi moderni storia deuteronomistica. Questi libri comprendono circa 700 anni
di storia.
b. Il complesso 1-2 Cronache-Esdra-Neemia,
che costituisce la storia cronistica. Questi libri
contengono la storia che va da Adamo fino al V secolo a.C.
c. I
libri di Tobia, Giuditta ed Ester, ai quali è da aggiungere il libro di Rut
(posto come appendice al libro dei Giudici). Questi libri costituiscono un
gruppo letterario a parte con caratteristiche proprie (già esaminate).
d.
I libri 1 e 2 Maccabei che ci informano sulla storia
del popolo di Dio in epoca ellenistica e che, abbracciano 50 anni di storia
palestinese del sec. II a.C.
Questi
4 gruppi di libri si distinguono tra loro per il vario modo con cui furono
composti, per le fonti usate, per i generi letterari impiegati, per lo scopo per cui furono scritti, e per l’attendibilità storica dei
fatti riportati.
La
storia deuteronomistica
La
prima elaborazione dei libri di Giosuè, dei Giudici, di 1-2 Samuele e di 1-2
Re, risale ai tempi del re Giosia (sec. VI a.C.). Gli
scrittori di questi libri erano a favore della riforma religiosa del re Giosia; essi, quindi, raccolsero e riunirono le antiche
tradizioni tramandate nel nord e nel sud del paese, relative alla conquista
della Palestina, alle vicende delle varie tribù entrate nella terra promessa
dopo il deserto del Sinai, ai primi capi cari-smatici (Samuele, Saul e Davide).
Le tradizioni orali e scritte raccolte, diverse per età e carattere,
contenevano delle narrazioni popolari, epiche, cronache di re, cicli profetici,
inventari e rapporti provenienti da archivi reali, biografie raccolte da
testimoni oculari.
Tutto
questo materiale non venne riunito in un unico libro,
ma fu raccolto in blocchi e disposto spesso secondo un criterio voluto dallo
scopo educativo degli scrittori. Tale raccolta costituì il primo nucleo degli
attuali libri di Giosuè, Giudici e Samuele. Solo dopo furono aggiunte le
tradizioni che riguardavano il re Salomone e i sovrani, sia del regno del Nord
che del Sud.
Durante
l’esilio babilonese, uomini molto devoti, elaborarono
tale materiale per trarre da essi lezioni di vita pratica per i loro
contemporanei che erano stati testimoni della rovina del tempio e della
monarchia, e si interrogavano sulla fedeltà di Dio alle sue promesse
salvifiche. Si parlò dunque di fedeltà di Dio e di infedeltà
del popolo e dei re.
Il
libro di Giosuè dimostrò che Dio diede veramente la terra promessa al suo
popolo; il libro dei Giudici sottolineò le continue
apostasie del popolo eletto; I libri di Samuele e dei Re fecero conoscere la
crisi dell’ideale monastico e teocratico.
Sebbene
alcuni re come Davide, Ezechia e Giosia avessero regnato
bene, tuttavia la teocrazia crollò sotto i colpi dei babilonesi (586 a.C.). Fu
a causa dell’infedeltà del popolo che il tempio e la monarchia vennero distrutti.
L’opera
del Cronista
I
libri delle Cronache, di Esdra e di Neemia sono stati scritti da un unico autore. Questi visse
intorno al 330 a.C. e fu un “Cronista” appartenente all’ordine dei leviti . Il suo obiettivo era quello di infervorare la comunità
giudaica del suo tempo, diventata indifferente. Per tale motivo egli rilancia
la centralità del tempio di Gerusalemme, si appoggia sulla figura del re Davide
e sui suoi legittimi discendenti, rivaluta il culto e la musica nella funzione
dei leviti.
Per
raggiungere questo obiettivo il Cronista compone una
nuova storia del popolo eletto iniziando dalla creazione e giungendo fin quasi
alla sua epoca.
Scrittore
molto abile, usa fonti ancora esistente e fonti ormai
perdute selezionando, omettendo, aggiungendo, rielaborando con l’intento di
raggiungere il proprio fine teologico. Riesce magistralmente a proiettare nel
passato le istituzioni presenti, idealizzando le figure del re Davide e di
Salomone, nonché dei loro discendenti i quali
continuavano ad avere una certa rilevanza tra gli ebrei sottomessi ai persiani.
Il
Cronista vuol allora comunicare che il popolo di Dio deve essere una comunità
di fede, di preghiera e di adorazione, stretta intorno
al Dio di Abramo, che ha scelto un discendente di Davide come suo “unto”, cioé il suo Messia. Questa comunità deve nutrirsi delle
tradizioni passate e deve vivere intorno al tempio di Gerusalemme osservando il
culto le feste e la purità rutuale ed etnica. Essa
può ricevere protezione divina se è capace di ascoltare la Parola di Dio che i
profeti e i sacerdoti fanno risuonare nelle pubbliche piazze.