La frazione di Aquino

Dal testo "Famiglie nobili siciliane" di G. De Spucches si apprende che il territorio di Aquino-Molara faceva parte di uno stesso feudo appartenente alla famiglia Amato dei principi di Galati. Fu questa nobile famiglia di origine spagnola, il cui capostipite, un certo Pagano, ottenne dal Re Ludovico il primo feudo con privilegio dell’11 agosto 1296, per servigi prestati.

Un Giovanni De Amato il 3 luglio 1453 divenne il primo possessore del feudo di Galati; nel 1644 Filippo Amato ebbe il privilegio di aver innalzato al titolo di Principato il suo feudo.

Bisogna arrivare al 1705 perché la storia di questa famiglia si intrecci con la storia della famiglia De Spucches, anch’essa di origine spagnola.

Berengario De Spucches il 31 marzo 1296 ottenne concessione del feudo di Calamonaci; con questi inizia l’ascesi economica della famiglia.

I discendenti occuparono posti di prestigio, fra essi ricordiamo un Simone capitano di giustizia nel 1520, un Vespasiano giudice della Corte Pretoriana di Palermo nel 1599, un Biagio De Spucches Corvaja giudice della Corte Pretoriana di Palermo nel 1695 e Presidente del Real Patrimonio nel 1743.

Appartennero alla famiglia anche insigni letterati, fra cui si ricorda Giuseppe De Spucches morto a Palermo il 13 novembre 1884.

Nel 1705 Maria Agata Amato Cirino sposa Biagio De Spucches Lanza, che subentra come donatario di tutti i beni allo zio Biagio De Spucches Corvaja, che per primo si aggiudicò la baronia di Kaggi. In seguito a tale matrimonio la famiglia De Spucches si appropria dei titoli di: Principi di Galati, Duchi di Cacciamo, Duchi di S. Stefano, Conti del Giglio e Baroni di Molara.

Le case Galati, di proprietà della famiglia Amato, in seguito a tale avvenimento presero forma di un casale baronale, (cfr. La città perduta, di Rosario La Duca).

Il Piola nel suo libro, lo descrive come un "casino di delizie", divenuto poi un leggiadrissimo villaggio. Esistono ancora oggi nel territorio del comune di Monreale i resti di un altro casino De Spucches e Caruso, il quale ottenne attestato di nobiltà il 17 febbraio 1776 e che aveva per l’appunto "casena e nobil podere" nella contrada dell’Accia, in quel sito che viene detto "beveratura" (R. La Duca).

Il territorio Aquino-Molara, secondo quanto riferisce il Villabianca nel libro "Palermo d’oggigiorno", era denominato originariame "Pietra della Molara", per le numerose cave di pietra, dalle quali si estraeva il materiale per costruire le macine dei mulini. Successivamente Biagio De Spucches l’appellò "Terra del Giglio", dallo stemma della sua famiglia. (Lo stemma si presenta di colore azzurro con il giglio d’oro e la stella d’argento).

Nel 1740 da questi furono costruiti contemporaneamente tre cartiere; esse funzionavano già nel 1748 ed erano dotate di 29 mortai o pile di pietre, per pestare gli stracci (materia prima per la fabbricazione della carta) e 14 paia di forme per la confezione della carta di vario tipo (fioretto, mezzo fioretto, da stampa, da straccio). L’esecuzione dell’opera era affidata ad operai specializzati fatti venire appositamente da Genova. La filigrana della carta riproduceva il "giglio" dello stemma dei De Spucches. Le cartiere sfruttavano, come del resto i numerosi mulini, l’acqua trasportata dall’acquedotto della Sambuca, o Sabucia, la cui fonte originariamente si chiamava "Aaynizzar".

In un avviso del 1841 si legge che la duchessa di S. Stefano, Vittoria Brancoli in De Spucches, vuole procedere alla gabellazione delle cartiere: "la prima di Aquino, la seconda Cartiera Grande, la terza del Maglio". Forse la denominazione delle cartiere risale al periodo della loro costruzione. Se così fosse si potrebbe azzardare l’ipotesi che la denominazione della cartiera "Aquino" e successivamente della borgata, sia attinente all’abbondanza di acqua nella zona. Ciò potrebbe essere avallato dalla constatazione della toponomastica dei luoghi della zona: "Olio di Lino" perché c’era un arbitrio di olio ; "Cartiera Grande" perché la più grande delle tre; "del Maglio" nell’odierna Villa Maio dove si trovava un torrione seicentesco; "Cavallucci", nome usato in senso dispregiativo, perché vi portavano le carogne dei cavalli.

Secondo il Villabianca la borgata e il sacello, costruzione anteriore alla Chiesa, sorsero dopo la costruzione delle cartiere.

La gente del luogo narra che una notte, un re proveniente da Monreale Stampa antica del postoche si stava dirigendo verso Palermo, per paura di una banda di malfattori che girovagavano per la contrada, si inoltrò per un viottolo anziché seguire la strada già esistente della Rocca. Si fermò a pernottare presso una casa di povera gente che, per riconoscenza, volle chiamare quel luogo "Bagghiu ru Re r’Aquinu".

Di fatto dal 1786 al 1795 fu viceré in Sicilia il Principe di Caramaica Francesco Maria D’Aquino, molto benvoluto dal popolo. La gente del Bagghiu conservò bene il ricordo di quella notte tanto da nominarlo col suo nome.

Inoltre, da una mappa catastale dei primi del 900 si rileva che una Regia Trazzera, corrispondente all’attuale Via Aquino-Olio di Lino, segnava il confine tra il Comune di Palermo e quello di Monreale, modificando l’assetto territoriale dei comuni a favore della Città di Palermo. Infatti, i confini del territorio palermitano precedentemente arrivavano all’attuale Via Aquino-Molara (da Corpo di Guardia verso Piazza Molara) e costituivano gli estremi del mandamento Orto Botanico, chiamato così perché l’ubicazione dello stesso, fino alla seconda metà del 1700 si trovava nei pressi dell’attuale Via Umberto Maddalena e quindi la zona dove sono ubicate le "Case Galati" rientrava nel territorio di Monreale.