Il libro di Giuditta
Il
libro di Giuditta, facente parte dei libri deuterocanonici dell'Antico
Testamento, narra di una giovane vedova e devota ebrea di Betulia (città di ignota identificazione) che, grazie alla sua fede, alla
sua bellezza e alla sua astuzia, salva la sua città dall'assedio in cui l'ha
cinta Oloferne, generale di Nabucodonosor "re d'Assiria".
Contenuto del libro
Un
giorno il paese di Giuditta fu attaccato dall'esercito di Oloferne,
generale di Nabucodonosor, che lo tenne in stato di assedio. Oloferne infatti aveva ricevuto l'incarico di sottomettere tutto e
tutti al re, e di distruggere ogni culto che non fosse stato quello di
Nabucodonosor stesso divinizzato.
Per
spezzare il lungo assedio della città, Giuditta si rivestì dei suoi abiti più
belli e si recò nell'accampamento assiro, dichiarando di voler tradire la sua
gente (svelando importanti segreti militari) in cambio della salvezza personale
e del favore del generale Oloferne. Giuditta si trovava da tre giorni nel campo
assiro quando Oloferne la invitò ad un banchetto. La donna incominciò a
mangiare e a bere davanti al generale che si deliziò della sua presenza così da
bere tanto vino quanto non ne aveva mai bevuto. Quando si fece buio i due rimasero soli. Giuditta,
avvicinatasi alla colonna del letto, staccò la scimitarra che l’uomo aveva con
sé, poi, accostatasi al letto gli afferrò il capo per
i capelli... e con tutta la forza di cui era capace lo colpì due volte al collo
staccandogli la testa
Tale
azione provocò lo smarrimento e la fuga degli assiri e di conseguenza, la
liberazione di Betulia. Giuditta e tutto il popolo lodarono
Dio per la liberazione.
Dopo
la vittoria molti furono i pretendenti di Giuditta.
Lei però preferì rimanere vedova piuttosto che passare a seconde nozze (fatto insolito
questo per la concezione veterotestamentaria).
Caratteristiche del testo
Il
testo originariamente è stato scritto in ebraico, ma è stato conservato
soltanto in greco ed è stato pubblicato verso la fine del
II sec. a.C., al tempo dell'epopea maccabeica.
La
narrazione è distribuita in tre parti: Nella
prima, 1-3 è esposta la minaccia che grava sul popolo giudaico da parte
dell'esercito assiro che è a servizio dell'empio re Nabucodonosor. La seconda parte, 4-8 descrive
l'oppressione alla quale furono sottoposti i giudei che, stremati dalle forze,
chiedono la capitolazione della città. Di contro Giuditta li esorta a
continuare la resistenza. Nella terza
parte, 9-16, viene narrata la liberazione ottenuta
con l'ardito intervento di Giuditta, che recide la testa di Oloferne.
Il
libro di Giuditta, come del resto quello di Tobia e quello di
Ester, tratta con molta libertà i dati della storia e della geografia.
Il racconto è situato sotto Nabucodonosor, che regnò sugli assiri a Ninive (Gdt 1,1). In
realtà Nabucodonosor fu re di Babilonia e Ninive era già
stata distrutta da suo padre Nabopolassar. Gli studiosi ritengono che
l'autore sacro abbia moltiplicato volutamente le distorsioni e gli errori per
sviare l'attenzione da un contesto storico preciso e
attirare invece tutto l'interesse sul dramma religioso e sul suo epilogo.
Anche
i nomi non sono tipicamente ebraici: Giuditta significa "giudea" ed è un nome che veniva dato agli stranieri; Oloferne e Bagoa (suo
maggiordomo), portano nomi persiani.
Oltretutto,
Oloferne viene identificato con le forze del male;
Giuditta, che debella l'oppressore pagano con la fede, la preghiera e il
digiuno, personifica invece l'ideale del popolo fedele al Signore. Dunque due campi ostili si trovano in lotta: quello di Dio e
quello dei suoi nemici.
I
luoghi attraversati dall'esercito di Oloferne e, la stessa località di Betulia, sono luoghi
immaginari. Betulia, il cui significato è "casa di Dio", fa pensare alla città santa di Giuda.
Fatti,
tempi e ambienti diversi sono fusi insieme in un unico racconto, che non ha una
cornice storica ben precisa.
Sebbene
dunque il racconto di Giuditta sia una storia fittizia, tuttavia intende
offrire una lezione edificante esaltando la fierezza religiosa del popolo di
Dio al cospetto dei suoi nemici; inoltre, il fatto che a salvare Betulia e i
suoi abitanti sia stata una donna, sottolinea le
risorse della divina provvidenza che si serve, per le sue grandi opere, di
umili e inadatti strumenti (cfr. c.
9).
Dio
offre a tutti coloro che non hanno alcuna umana
speranza la sua protezione. L'unica condizione richiesta è la fede in Dio e
l'osservanza della legge. La superbia umana che pretende sostituirsi a Dio è
una follia, perché Dio umilia gli orgogliosi che attentano alla sua gloria.