La teologia dell’Amen
La preghiera presidenziale, in genere, e le intercessioni della preghiera eucaristica, in particolare si chiudono su una formula di lode iniziale, avviata dal prefazio e che tecnicamente è detta dossologia finale.
A questa lode solenne l’assemblea risponde in maniera solenne ed impegnativa: AMEN!
La parola ebraica Amen traduce un’affermazione e rispondendo Amen l’assemblea grida a Dio Padre: "E’ così!" "E’ vero quanto ha detto il sacerdote che presiede la celebrazione!" "E’ stato la nostra voce!".
Per Giustino, in base alla traduzione greca da lui attestata, l’espressione Amen più che ad un valore affermativo, equivale ad un augurio. Nelle sue due narrazioni della liturgia eucaristica precisa che il termine ebraico Amen significa "Sia così!". "Possa realizzarsi quanto il sacerdote ha appena detto, cioé la richiesta che a nome nostro ha fatto!". Quindi l’Amen pronunciato alla fine di un formulario liturgico, oscilla tra l’originale connotazione affermativa: "E’ così!" e la successiva connotazione augurale: "Sia così!". La comunità cultuale rispondendo Amen sia in maniera affermativa che augurale, si associa senza riserve al discorso orante del suo presidente.
Da ciò si nota come pronunciare l’Amen sia altrettanto impegnativo come pronunciare la preghiera che esso viene a confermare. Di questo erano ben coscienti i mistagoghi antichi, ossia i Padri della Sinagoga, quei maestri che amavano guidare i fedeli alla comprensione del Mistero attraverso la liturgia. Essi nei loro insegnamenti ricordavano come l’Amen fosse un’adesione responsabile alla preghiera precedentemente fatta. L’Amen finale non è quindi una parola da pronunciare alla leggera, in modo frettoloso e distratto, per chiudere meccanicamente un testo altrimenti sospeso, perché tale negligenza è la dimostrazione palese della mancata attenzione alla preghiera.
Dal Talmùd di Babilonia, la raccolta degli insegnamenti dei rabbini sulla Toràh, si evince come questi ultimi catechizzavano alla dizione corretta del termine e ad una tensione relazionale alla preghiera che lo genera. Essi per evitare che l’Amen si pronunciasse senza partecipazione insegnavano: "Chiunque risponde
*un Amen orfano, cioé che manca di tensione relazionale con la preghiera che lo ha generato, che i suoi figli siano orfani!
* un Amen furtivo, quando viene rubata parte della prima vocale e così da Amen diventa Emen, che siano furtivi i suoi giorni!
* un Amen strappato, che siano strappati i suoi giorni!
* ma chiunque prolunga l’Amén, siano prolungati a lui i suoi giorni e i suoi anni!"
Siccome nessuno poteva desiderare che i propri figli fossero orfani, né che i propri giorni fossero furtivi o strappati, tutti si affrettavano a prolungare la proclamazione responsabile dell’Amen. In tale modo i fedeli erano dissuasi dal pronunciare l’Amen in modo frettoloso o distratto.
Anche i Padri della Chiesa affermano l’importanza che la Chiesa dei primi secoli ha riconosciuto alla proclamazione corale dell’Amen. In una lettera al Papa Sisto II, conservataci da Eusebio, il mittente, Dionigi d’Alessandria dice che la pronuncia dell’Amen avviene solo dopo che il fedele ha ascoltato e compreso la preghiera eucaristica. Degna di attenzione è l’esegesi che l’Ambrosiaster, un anonimo del sec. IV , fa di I Cor 14, 16. Egli dice che la pronuncia dell’Amen rappresenta un atto altamente responsabile, a conferma che tutto ciò che è stato detto risulta vero nelle menti di coloro che ascoltano. Quindi lo si pronuncia soltanto quando, ascoltando si comprende, si conosce la conclusione della preghiera e si conferma la benedizione.
Per Sant’Agostino dire Amen è come apporre la firma ad un documento, infatti un atto notarile non ha valore se non è convalidato dalla firma dell’interessato.
San Gerolamo nel suo Elogio della fede del popolo romano, in riferimento a Rm 1, 12 esclama: "A Roma si corre alle chiese, con tanto desiderio e assiduità e la pronuncia dell’Amen rimbomba come un tuono dal cielo. Eppure i romani hanno la stessa fede di tutti i fedeli di Cristo, ma ciò si verifica, perché in esse la devozione è maggiore come maggiore è la semplicità per credere".
Senza negare ai romani il merito di una convinta partecipazione alla preghiera liturgica, così come ci testimonia S. Gerolamo, grande merito dobbiamo riconoscere ai sacerdoti, pastori-guida nelle chiese e Parrocchie, perché sanno, con adeguate catechesi, sensibilizzare i fedeli sull’importanza di questa adesione consapevole e responsabile di tutta l’assemblea.