Bisogna sforzarsi di mostrare la razionalità e la credibilità del Vangelo in rapporto al matrimonio e alla famiglia, riorganizzando il sistema educativo della Chiesa. La spiegazione del matrimonio e della famiglia a partire da una visione antropologica corretta (…) non è soltanto una questione di fede (…) Il problema delle unioni di fatto rappresenta una grande sfida per i cristiani, che devono essere capaci di mostrare l’aspetto razionale della fede, la razionalità profonda del Vangelo del matrimonio e della famiglia. Ogni annuncio di questo Vangelo che non sia in grado di rispondere a tale sfida alla razionalità (…) sarebbe inefficace “( Pontificio Consiglio per la famiglia, Famiglia, matrimonio e - unioni di fatto -, supplemento a L’Osservatore romano n.47, 24 novembre 2000, n. 45 e n. 48).

L’amore coniugale

Innamoramento, amore, monogamia, indissolubilità.

 

In ogni essere umano è presente il desiderio di realizzare un amore perfetto in cui potersi abbandonare totalmente: all'origine di questo desiderio c'è, nell’inconscio , il desiderio di Dio.

L'amore fra l'uomo e la donna è per sua natura limitato e soggetto al fenomeno della delusione: pretendere dalla relazione di coppia un amore senza limiti, senza difetti, senza delusioni in cui potersi abbandonare totalmente, significa non comprendere la necessità dello sforzo quotidiano, dell'impegno, del sacrificio e della responsabilità per la riuscita del rapporto.

La vita di coppia è un habitat privilegiato che favorisce un continuo processo di crescita psicologica ed umana nei partners e nei figli ed è un luogo dove può crescere più facilmente l'amore autentico verso la persona il cui valore viene considerato superiore al valore del piacere.

Questo habitat favorisce e custodisce l'amore verso la persona solo quando costituisce un universo psico - ecologico stabile in cui vivere e relazionarsi con l'altro.

L'origine più profonda del desiderio d'amore

Jurg Willi, direttore della clinica psichiatrica dell'Università di Zurigo e docente di psichiatria e psicoterapia, dice che in ogni essere umano è presente il desiderio di potersi abbandonare nel completo godimento di un eterno abbraccio: si tratta del desiderio di realizzare il perfetto abbandono nell'amore.

Nella vita il perfetto abbandono nell'amore si limita solo ad alcuni momenti di felicità che sono impossibili da prolungare e conservare.

Nel periodo che caratterizza l'innamoramento, per esempio, si crea un clima d'intenso entusiasmo affettivo in cui gli innamorati sperimentano la sensazione momentanea del perfetto abbandono nell'amore, la sensazione di un'accettazione incondizionata e totale al di là dell’io e del tu, del tempo e dello spazio: non si tratta dell'assoluto ma di una finestra da cui si può intravedere la trascendenza.

Questo tipo d'amore, inizialmente, non conosce altro bisogno se non quello di stare insieme, ma si tratta di un periodo che ha una durata limitata e che precede lo sforzo quotidiano per la riuscita del rapporto.

L’innamoramento è il periodo in cui si desidera realizzare con la persona da cui si è attratti un’unione completa, esclusiva, totale e, nello stato nascente di questo movimento che gli innamorati intraprendono verso l’obbiettivo della fusione affettiva, essi sperimentano una sensazione intensa, straordinaria, esaltante.

L’entusiasmo affettivo straordinario che si ha nel periodo dell’innamoramento è uno stato transitorio destinato a diminuire appena inizia l’amore, che consiste nello stare insieme veramente con la realtà e con la totalità della persona dell’altro: amore deriva dalla parola greca ama che significa insieme.

Anche se la scelta del coniuge, che deve essere fatta in base a criteri di affinità e di affidabilità dal punto di vista delle idee e dei progetti di vita, è stata una buona scelta, appena la conoscenza si fa più profonda, attraverso l’unione con tutti gli aspetti della vita dell’altro, ci si rende conto che l’altro è un essere imperfetto come noi: quando si vive veramente insieme con una persona, quando si vivono insieme le costrizioni della vita quotidiana, le preoccupazioni materiali e le responsabilità comuni, diventa sempre più evidente che l’amore fra l’uomo e la donna è per sua natura un amore limitato, soggetto a tensioni, difficoltà, delusioni e non in grado di realizzare le aspettative e le sensazioni esaltanti che accompagnano l’innamoramento.

L’amore fra l’uomo e la donna è un amore in cui non è possibile abbandonarsi completamente nelle braccia dell’altro senza avere più problemi, ma è un amore in cui occorre fare uno sforzo quotidiano per la riuscita del rapporto, cioè occorre l’impegno della volontà e della ragione, il sacrificio, la responsabilità, la capacità di perdonare, la capacità di ricominciare.

La relazione fra l’uomo e la donna non è immune da tensioni e difficoltà ma, al contrario, è sempre insistentemente minacciata e richiede di essere difesa, rinnovata e costruita ogni giorno.

Da dove nasce l’entusiasmo affettivo straordinario degli innamorati che sentono e intravedono la possibilità di potersi abbandonare nel completo godimento di un eterno abbraccio?

Questa sensazione meravigliosa nasce da un’esigenza che è prettamente spirituale. In ogni essere umano è presente la tendenza verso l’assoluto, il bisogno di un bene infinito, assoluto, totale: questo bisogno è in realtà un bisogno di Dio perché nessun bene materiale, nessun amore umano può essere infinito, assoluto, totale.

Per Jurg Willi, l'aspirazione al perfetto abbandono nell'amore ha il carattere archetipico dell'unione mistica: è il desiderio di uno stato originario in cui ci si fonde liberamente in un tutto più vasto, si fa parte di qualcosa che tutto comprende.

Si tratta del desiderio di ritornare a quella situazione paradisiaca in cui lo stato d'isolamento si dissolve e si confluisce in una coscienza trascendente. E', in fondo, una nostalgia religiosa dell'unione mistica con Dio, nella quale ci si svuota di ogni creatura limitata e imperfetta per essere riempiti della Divinità. Nell’inconscio di ogni essere umano, all'origine del desiderio d'amore c'è il desiderio di Dio. In questa vita, infatti, il perfetto abbandono nell'amore si limita ad alcuni momenti impossibili da prolungare e conservare: ogni amore umano è, per sua natura, limitato, imperfetto, soggetto alla delusione, incapace di riempire completamente il cuore dell'uomo.

Tutti gli esseri umani hanno bisogno di sentirsi completi e appagati totalmente, tutti hanno bisogno di questa pienezza, tutti hanno bisogno di essere riempiti da Dio e nessuno è un recipiente con le stesse capacità di un altro: il Paradiso è proprio quella condizione in cui ognuno avrà tutto ciò che basta per lui.

Credere che sia possibile trovare nel coniuge o nell'amante colui o colei che possa soddisfare tutti i nostri bisogni e tutte le nostre aspirazioni costituisce propriamente l'illusione del cosiddetto amore romantico

L'amore romantico è un tentativo di realizzare lo stato paradisiaco in terra attraverso un'esperienza di solidarietà perfetta con un essere umano che viene ritenuto portatore di qualcosa di assoluto e che ci è sempre mancato.

Si tratta di un desiderio verso la totalità, verso la perfezione che dà origine ad una sorta di ossessione della fantasia concentrata sull'immagine della persona amata le cui caratteristiche sembrano avere un fascino speciale.

Gli studiosi di psicologia concordano nel ritenere che, in realtà, l'immagine che seduce negli innamoramenti di tipo romantico - e soprattutto nella fenomenologia del colpo di fulmine - è un'immagine interiore che l'altro è stato capace soltanto di richiamare alla mente: si tratta di una dimensione interna che emerge, l'individuo viene - rapito - non dall'essere che gli sta dinanzi ma da un'idea di cui era inconsciamente portatore, un'idea che viene risvegliata ed evocata dall'incontro.

L'amore romantico non funziona mai perché non appartiene alla realtà dei rapporti umani, esso è il surrogato di un'esigenza religiosa che non ha trovato o che ha smarrito la propria consapevolezza: nasce dal tentativo di attribuire ad una creatura umana un valore di infinità, dal tentativo di concentrare su questa il desiderio insoddisfatto di perfezione e di infinito.

Quando il desiderio di realizzare il perfetto abbandono nell'amore viene cercato non in Dio ma nelle creature, il cuore dell'uomo diventa inquieto e questo può indurre ad una ricerca quasi morbosa di rapporti sentimentali o sessuali che tuttavia non sono in grado di soddisfarlo.

(cfr Jurg Willi, Che cosa tiene insieme le coppie, Arnoldo Mondadori editore, Milano 1992, traduzione di Paola Massardo e Palma Severi, pp.20-24; cfr Francesco Alberoni, Innamoramento e amore, Garzanti, Milano 1992, pp.21, 57, 62, 77-78; cfr Aldo Carotenuto, Eros e Pathos, Bompiani, Milano 1994, pp.21-25, 41-47; cfr M. Scott Peck, Un’infinita voglia di bene, Frassinelli editore, Como 1995, traduzione di Laura Sgorbati Buosi, pp.224-225 )

S. Agostino, che prima della conversione confessava di non poter dormire in un letto senza una donna, scrive :"Ci hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore sarà irrequieto fin quando non si abbandonerà in Te"( citato in S. Tommaso d’Aquino, Opuscoli teologico-spirituali, ed Paoline, Roma 1976, traduzione di P. Raimondo M. Sorgia o.p., pag. 254 )

La dottrina della Chiesa Cattolica ricorda che il bisogno di un amore assoluto e perfetto troverà soluzione e appagamento soltanto nella vita del mondo che verrà perché solo l'unione con Dio farà nascere nell'uomo un amore di tale profondità in grado di soddisfare ogni bisogno ed in grado di rendere inutile la stessa necessità del matrimonio, la stessa necessità della relazione sessuale: solo la perfetta comunione con Dio realizzerà la perfetta comunione con se stessi e con gli altri. Per questo Nostro Signore Gesù Cristo rivela che: - alla risurrezione.... non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo–(Mt 22,30; cfr Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò, catechesi sull’amore umano, Città nuova editrice e Libreria editrice Vaticana, Roma 1985, capitolo 68 )

Pretendere dalla relazione di coppia un amore senza limiti, senza difetti, senza delusioni significa non comprendere la necessità dell'impegno, del sacrificio, della responsabilità per la riuscita del rapporto.

Psico - ecologia della vita di coppia

Gli orientamenti del pensiero moderno sull'amore pongono l'accento soprattutto sugli aspetti utilitari del rapporto uomo - donna, siano essi di natura sentimentale o sessuale. Si possono comprendere tali orientamenti nel concetto generico di amore libero, da intendersi come antitetico al concetto di amore vero.

La cultura moderna dell'amore libero ha contribuito soprattutto a diffondere la falsa convinzione che i rapporti di coppia debbano donare un clima di intenso entusiasmo affettivo, una grande felicità o un grande piacere, in questo modo gli individui sono ossessionati dal culto idolatrico del grande amore o della sessualità totalmente appagante e i rapporti di coppia sono destinati al fallimento sin dall'inizio a causa delle eccessive pretese di felicità perché l'amore viene concepito in modo astratto, non riferito alla comunione di vita con la totalità della persona del partner, privato dell'impegno e della responsabilità; in molti casi l'amore viene addirittura consegnato al libero mercato della domanda e dell'offerta e ridotto ad un oggetto di consumo.

Si pretende, infatti, dai rapporti di coppia quello che non si pretende da altri rapporti umani come quelli con i genitori o con i figli. Chi non è particolarmente felice con i genitori o con i figli non si affretta a sciogliere il suo rapporto con loro.Dai rapporti di coppia, invece, si pretende un pieno soddisfacimento.

Non si riesce più a concepire il fatto che le sofferenze e le limitazioni nell'ambito di una convivenza, se accettate e vissute positivamente, sono indispensabili aspetti del processo di crescita individuale all'interno del rapporto e quindi viene a mancare la convinzione che, in un rapporto di coppia, sopportare anche delle lunghe crisi possa tornare a vantaggio dell'evoluzione personale. ( cfr J. Willi, op. cit., pag 6, pp.10-11 )

Lo psichiatra svizzero Jurg Willi dice che la vita di coppia deve essere studiata secondo un'ottica – psicoecologica - : cioè nella vita di coppia la persona deve essere vista come - entità relazionale - che si sviluppa con il partner creando con esso un universo psicologico in cui abitare.

Secondo la psicoecologia il rapporto di coppia viene visto come uno degli strumenti fondamentali per rendere più facile all'uomo lo svolgimento del più importante dei suoi doveri esistenziali: la propria crescita psicologica ed umana.

Scrive Willi che "- chi vive con un altra persona è sollecitato a rendersi comprensibile all'altro, e diventa quindi più trasparente anche a se stesso-". ( J. Willi, ibidem, pag 204 )

L'uomo, da solo, con molta difficoltà riesce a prendere coscienza dei propri difetti e delle proprie illusioni. La coppia, invece, è un luogo privilegiato della cura del sentire e del pensare perché luogo dell'intimità, dell'unione fisica e psicologica e quindi luogo dove viene condivisa e messa a nudo la realtà totale.

In questo habitat privilegiato, che è il legame di coppia, è possibile prendere più facilmente coscienza del proprio modo di essere cognitivo - comportamentale e quindi autocriticare e smascherare le proprie idee irrazionali, le illusioni, le fanatizzazioni, le emotivizzazioni, i disordini affettivi ed intellettivi ( che si oppongono ad un'autentica crescita psicologica ) attraverso il confronto diretto con l'altro e con la critica che proviene dall'altro.

Scrive Willi:-"i coniugi si convalidano a vicenda le regole individuali, la concezione del mondo (...) fino ad arrivare agli innumerevoli dettagli della vita quotidiana, di cui sovente essi stessi non erano coscienti finché non sono stati loro segnalati dal partner. La convivenza stimola dunque a prendere continuamente posizione e ad autodefinirsi (...) le regole individuali vengono continuamente verificate e corrette (...) il raccontarsi a vicenda libera da un'ottica unilaterale e soggettiva e ha un'importante funzione di rigenerazione e di compensazione. (...) Abitare in un universo costruito in comune consente di vedere il mondo reale con altri occhi. (...) In ogni caso un rapporto di coppia è un continuo processo di crescita e di cambiamento, nel quale costantemente si soffre, si ridimensionano le aspettative e si ricomincia daccapo"-. ( J. Willi, pp. 202-205, pag 102 )

L’amore fra l’uomo e la donna è un amore in cui non è possibile abbandonarsi completamente nelle braccia dell’altro senza avere problemi, ma è un amore in cui occorre fare uno sforzo quotidiano per la riuscita del rapporto. La vita di coppia, per l’impegno che comporta da parte di tutte le componenti della personalità, sentimento, ragione e volontà, è l’ambiente che favorisce la crescita dell’amore autentico verso la persona e che permette un continuo processo di crescita psicologica nei partners: questi due aspetti sono fondamentali per la formazione psico – affettiva dei figli.

Qual è l’amore autentico? L’amore autentico è quello che cerca prima di tutto il vero bene dell’altro e non il proprio benessere.

L’amore autentico non è fatto solo di belle sensazioni e di bei sentimenti ma è fatto di sacrificio, di perdono, di aiuto reciproco. L’amore autentico è una strada diversa da quella di chi cerca soprattutto il proprio benessere, l’assenza di dispiaceri, delusioni, contraddizioni, è una strada diversa da quella di chi rimane insieme con un’altra persona soltanto fino a quando tutto procede senza problemi.

Quello dell’amore autentico è un percorso faticoso e difficile ma è un percorso che mette al primo posto il bene dell’altro, è un itinerario diametralmente opposto a quello dell’egoismo e che porta a concepire e a vivere un amore sempre più disinteressato, simile a quello di Dio, un amore che mette al primo posto il valore della persona e non il valore del piacere.

Insegna Giovanni Paolo II che “- (…) l’amor coniugalis non è solo né soprattutto sentimento; è invece essenzialmente un impegno verso l’altra persona, impegno che si assume con un preciso atto di volontà “-( Giovanni Paolo II, Discorso al tribunale della Rota Romana, 21- 1- 1999 ).

Stare insieme stabilmente con una persona comporta un impegno totale e il rapporto a due favorisce la crescita psicologica perché, chi vive con un altro, è costretto a conoscere meglio se stesso: per rendersi comprensibile all’altro, infatti, deve rendersi comprensibile a se stesso, deve mettersi in discussione, deve cercare ciò che è giusto oggettivamente al di fuori delle proprie visioni unilaterali e soggettive.

Nella vita di coppia si diventa più facilmente consapevoli della soggettività delle proprie interpretazioni attraverso il confronto con la continua critica che viene dall’altro.

Secondo la – psicoecologia – il rapporto di coppia stabile rappresenta una fonte naturale e preziosa di psicoterapia.

Innamoramento e amore

L’innamoramento è propriamente il desiderio di stare insieme con l’altro e cioè il movimento verso l’altro determinato dall’attrazione verso i suoi valori, oppure determinato dall’attrazione verso l’idea che ci si è fatta dell’altra persona – ripiegamento sul proprio sentimento -: mentre la pura e semplice attrazione è uno stato passeggero, l’innamoramento è un’attrazione che tende a perdurare nel tempo, diventando uno – stato affettivo – ( cfr Massimo Introvigne, Le domande dell’uomo, Cirone, Torino 1984, p. 117 ). Il periodo dell’innamoramento può andare avanti anche qualche anno ma resta sempre un periodo relativamente breve perché le emozioni alte che costituiscono il meccanismo psicologico dell’attrazione sono destinate a cessare appena la convivenza diventa più ravvicinata e il contatto con la realtà trasforma l’oggetto del desiderio in una persona concreta e imperfetta come noi.

Scrive lo psicanalista Piero Bellanova, segretario nazionale della società psicoanalitica italiana, che il periodo dell’innamoramento “- (…) è il momento che nella vita di un individuo suscita le maggiori emozioni, fa riaffiorare aspetti adolescenziali e infantili con tutta una serie di comunicazioni che non fanno parte normalmente dell’età adulta.

Le emozioni sono più risonanti, più coinvolgenti (…) sono comunque tali da far sì che l’individuo colpito esca dalla routine abituale della sua vita e cominci a viverne un’altra. E’ come se uomini e donne si staccassero di colpo dal comune senso di realtà proponendosi l’uno all’altro in modi che sfiorano la patologia. (…) Il periodo dell’innamoramento è sempre relativamente breve perché si scontra presto - appena la convivenza diventa più ravvicinata – con la realtà, che non è mai quella utopizzata. Le piccole cose quotidiane, anche se non sempre avviliscono l’amore, lo rendono molto più – banale -. Così l’innamoramento sfuma in un sentimento che apparentemente sembra aver dimenticato le punte alte e gli eccessi, per dedicarsi semmai alla formazione di un’unione approfondita e costante. Quelle emozioni che l’innamoramento ha dato sembrano cessare, o quanto meno sfioccarsi, pronte magari a riaffiorare in circostanze cruciali della vita a due”- ( Piero Bellanova, L’innamoramento, l’amore, in Dieci Psicoanalisti spiegano i temi centrali della vita, a cura di Stefania Rossini, Rizzoli, Milano 1987, pp. 77 –78 ).

Nel caso degli amanti – termine usato per indicare prevalentemente rapporti illeciti e segreti -, l’innamoramento è destinato a prolungarsi per un periodo maggiore a causa della mancanza di una piena comunione di vita. Al di fuori delle costrizioni della vita quotidiana a due, delle preoccupazioni materiali e delle responsabilità comuni, ognuno dà il meglio di sé e la speranza di una – perfezione – del rapporto, l’illusione di una – intimità speciale – possono durare più a lungo.

Solo gli amanti possono mantenere in vita per più tempo il – mito dell’anima gemella –, ma il loro entusiasmo affettivo è destinato a diminuire appena il desiderio di stare insieme diventa più concreto e pretende di essere verificato. In genere possono realizzarsi due condizioni fondamentali: gli amanti possono cercare di rendere effettivo il loro desiderio di essere insieme e la convivenza ravvicinata mostrerà progressivamente che la realtà non è mai quella sperata e utopizzata.

L’altra condizione consiste nel fatto che uno dei due amanti, prima o poi, porrà all’altro il problema di vivere insieme: - se ci amiamo veramente dobbiamo vivere insieme -., - se mi ami veramente devi rinunciare a tua moglie o a tuo marito - . La non disponibilità di uno dei due di assumere un impegno effettivo con l’altro, dimostrerà la natura illusoria e la sostanziale falsità dell’idealizzazione romantica dell’amore.

Scrive il sociologo Massimo Introvigne che “- (…) l’innamoramento non è ancora vero amore: l’innamoramento offre materiali, mattoni per una costruzione che è successiva”- ( Massimo Introvigne, op. cit., p.118 ).

L’amore, che consiste nello stare insieme veramente con la totalità della persona dell’altro, implica un giudizio razionale sul materiale offerto con l’innamoramento e sul tipo di rapporto giusto che si intende costruire con l’altro.

Il giudizio razionale fa giustizia di molte illusioni perché cerca di capire com’è veramente l’altra persona – i suoi criteri di giudizio, i suoi valori di riferimento, la sua prospettiva religiosa, i suoi interessi, i suoi difetti, la sua disponibilità ad autocriticarsi e correggersi ecc. – e si rende conto che non tutto è facile e che una convivenza esige sacrifici.

Nella vita di coppia non si vive insieme con un desiderio, un entusiasmo, un sentimento ma con una persona concreta.

Al giudizio razionale segue l’impegno della volontà di donarsi interamente all’altro e questo impegno presuppone la reciprocità. L’innamoramento è un fatto passionale legato ai sentimenti, cioè alle sensazioni e alla sensibilità, mentre l’amore riguarda anche la ragione e la volontà.

Nell’amore di coppia - amore coniugale – vengono impegnate tutte le componenti della personalità ed esso richiede la capacità di integrare queste componenti: sentimenti, sensibilità, ragione e volontà ( cfr Massimo Introvigne, ibidem, pp. 117-121 ).

Dopo il giudizio razionale sul materiale offerto con l’innamoramento, occorre riflettere sul tipo di rapporto giusto che si deve costruire con l’altro. Qual’è il tipo di rapporto giusto che si deve costruire con l’altro? L’esperienza psico – biologica dell’innamoramento rivela che alla base di questo processo c’è il bisogno di unicità o – monogamia -. La genesi dell’amore avviene nella primissima infanzia ed è l’amore fra la madre e il figlio: la madre che china sul volto del figlio, fino ad allora immerso in una vita opaca e indistinta, vi fa nascere il miracolo del primo sorriso ( cfr C. Jamont, Bruxelles, La libertà comincia in due, in Enciclopedia della sessualità, a cura di A. Willy e C. Jamont, trad. italiana, ed. Borla, Bologna 1974, p.634 ).

Il bisogno di unicità fa nascere il processo dell’innamoramento, anzi, questo bisogno di unicità viene potenziato soprattutto durante l’innamoramento. Ogni essere umano sa di essere portatore di un’inconfondibile specificità: noi vogliamo essere amati in quanto esseri unici, insostituibili, assolutamente noi stessi. Scrive il sociologo Alberoni:”- vogliamo essere vissuti come unici, straordinari, indispensabili da chi è unico, straordinario ed indispensabile. Per questo l’innamoramento è monogamico e non può che essere monogamico (…).

Noi, ogni singola persona, siamo diversi da tutti gli altri e lo sappiamo, ma è solo nell’innamoramento che questa nostra individualità irriducibile viene colta e apprezzata in modo totale. Un segno sicuro ed inconfondibile dell’amore è questo apprezzamento della specificità e unicità dell’altro. L’apprezzamento che sentiamo venire da lui ci consente di apprezzare noi stessi, di dare sostanza di valore al nostro io” ( F. Alberoni, op. cit., pp.41 – 42 ).

Nello stato nascente dell’amore, gli innamorati promettono di essere, l’uno per l’altro, l’unico uomo e l’unica donna ma promettono anche di amarsi per tutta la durata della vita: nell’innamoramento emerge una realtà che è inscritta nella natura umana, un bisogno specificamente umano di amore unico – cioè monogamico – e stabile – cioè indissolubile -.

Ognuno di noi vuole poter essere amato come persona unica ed insostituibile e amato per tutta la durata della sua vita: nessuno di noi vuole essere amato soltanto per qualche aspetto della sua persona, ma ognuno di noi ha bisogno di essere amato per quello che è il centro e il cuore della sua personalità, cioè l’io spirituale fatto di coscienza e volontà. Rientra nella logica dell’autentico amore coniugale il promettersi di essere, l’uno per l’altro, l’unico uomo e l’unica donna: questa verità può essere offuscata e dimenticata nel corso delle difficoltà coniugali, nel contrasto inevitabile fra le passioni e la ragione ma essa è presente nel subconscio spirituale dell’essere umano. La ragione, guidata e sostenuta dalla fede, è in grado di poter conoscere le verità che devono essere poste alla base di un giusto rapporto di coppia: queste verità consistono nella monogamia e nell’indissolubilità. Dopo l’innamoramento, solo un legame di coppia monogamico e indissolubile permette di costruire un habitat in cui il valore della persona sia considerato superiore al valore del piacere. Divorzio e poligamia sono le facce di una stessa medaglia: esse sono unicamente o prima di tutto delle istituzioni atte a permettere la realizzazione del godimento sessuale dell’uomo e della donna ma non l’unione completa delle persone ( cfr. Carlo Wojtyla, Amore e responsabilità, Marietti, trad. italiana, Casale 1979, pp.30- 34, pp.197- 211 ).

Come impedire che l’uomo e la donna si strumentalizzino reciprocamente senza amarsi veramente, come impedire che il sesso diventi il fine, anche se non sempre consapevole, delle relazioni fra l’uomo e la donna, invece di essere ciò che deve essere e cioè segno e strumento di reciproca e totale donazione fra due persone di sesso complementare ?

Per impedire questo, bisogna che entrambi i partners abbiano un bene comune e oggettivo da amare e a cui subordinare ogni altro bene soggettivo, utile o piacevole che sia. Nel matrimonio questo bene comune e oggettivo è la discendenza, la famiglia e la crescente maturità nei rapporti delle due persone su tutti i piani della comunità coniugale ( cfr Carlo Wojtyla, ivi, p.21 ).

Solo nei confronti di una persona – cioè solo all’interno di una scelta monogamica e indissolubile - sarà possibile assumere un impegno esclusivo e totale finalizzato alla piena comunione interpersonale, al reciproco perfezionamento e all’educazione dei figli: educazione che deve avvenire nella stabilità e nella continuità di quell’unione da cui i figli stessi sono nati.

I coniugi non devono cercare in un’altra donna o in un altro uomo ciò che devono costruire e realizzare con il proprio partner. Ogni sforzo che venisse indirizzato dai coniugi verso un’altra persona di sesso complementare, allo scopo di costruire con lei un’unione psicologica, affettiva o sessuale, sottrarrebbe – energie – all’amore coniugale: questo bloccherebbe la crescita e il perfezionamento della vita di coppia, provocando una – lacerazione – profonda nella relazione stessa. Non bisogna dimenticare che l’amore coniugale è un’opera che nasce soprattutto dall’impegno della volontà e della ragione verso una persona e all’interno di un ordine morale oggettivo: l’amore coniugale è soggetto a un continuo processo di sviluppo e di rinnovamento e deve essere sempre nutrito, curato, difeso.

Scrive Guido Gatti che “- istinto e sentimento, lasciati a se stessi, verrebbero travolti da crisi e difficoltà ricorrenti se non fossero sorretti dalla decisione spirituale di appartenenza reciproca. Le stesse istituzioni giuridiche possono svolgere, in questo, solo un compito sussidiario di sostegno.

Ci si può chiedere fino a che punto sia autentico un amore che sembra a volte ridotto alla sola volontà di essere fedeli a qualcosa che non si sente più, fino a che punto l’uomo in questo caso scelga liberamente e fino a che punto resti schiavo di una scelta passata e non più condivisa.

Certo la realtà psicologica può essere complessa e diversissima da caso a caso e si può effettivamente dare anche questa situazione – limite in cui l’amore sembra ridursi a una forma di volontarismo disumano.

Bisogna però ammettere l’esistenza di una libertà dello spirito capace di sovrapporsi alla spontaneità della carne: in fondo solo le decisioni spirituali sono veramente libere. Del resto, se è vero che l’amore non può restare a lungo privo delle sue basi d’istinto e di sentimento, resta anche vero che sotto la guida di una volontà sincera, simpatia e tenerezza possono superare facilmente momenti di crisi e riemergere più forti e non meno sinceri –“ ( Guido Gatti, Morale sessuale educazione dell’amore, Elle Di Ci, Torino 1987, pp. 36 –37 ).

Il Concilio Vaticano II dice che per tenere fede agli impegni dell’amore coniugale occorre “- (…) una virtù fuori del comune(…)”- ( Costituzione pastorale Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo del 7 dicembre 1965, n. 49 ) e questo accade perché le esigenze dei sentimenti, che accompagnano l’attrazione fra l’uomo e la donna, esercitano una speciale e particolarissima violenza contro la ragione e la volontà: “- l’amore è un tipo d’esperienza in cui l’affermazione della razionalità si trova di fronte a spinte contrapposte, quasi a una certa resistenza del senso e del sentimento che sembrano volere affermarsi autonomamente, far valere le loro – ragioni – anche contro la ragione -“ ( Massimo Introvigne, op. cit., p.124 ).

Il Catechismo della Chiesa cattolica ricorda che il peccato originale ha avuto come prima conseguenza la rottura della comunione fra l’uomo e la donna: da allora la loro unione è sempre minacciata dalla discordia, dallo spirito di dominio, dall’infedeltà, dalla gelosia e da conflitti che possono arrivare fino all’odio. Questo disordine ha un carattere universale e senza l’aiuto della grazia l’uomo e la donna non possono giungere a realizzare l’unione delle loro vite ( cfr Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1606, 1607 1608 ).

Cultura dell'amore libero e instabilità della vita di coppia

Solo un rapporto di coppia stabile può favorire un processo di crescita e di maturazione: la cultura dell'amore libero, invece, trasforma il rapporto di coppia in un rapporto soltanto di tipo utilitario: secondo questa visione esclusivamente utilitaria si rimane insieme soltanto fino a quando si è in grado di ricavare dalla relazione un utile, cioè un benessere fisico e/o affettivo.

Il rapporto di tipo utilitario, però, è destinato a mantenere e ad alimentare il narcisismo dei partners ed i loro disordini affettivi ed intellettivi: in questo senso la cultura dell'amore libero, che si concretizza nelle avventure sessuali, nell'adulterio, nel divorzio o nella convivenza, contribuisce a determinare un habitat psico - ecologico disordinato ed instabile che non fa crescere l'amore autentico verso l'altra persona, l'amore che cerca prima di tutto il vero bene dell'altro, ma favorisce l'egoismo, il narcisismo e la ricerca predominante o esclusiva del proprio benessere.

Le esperienze dell’amore libero creano un ambiente instabile un ambiente in cui si rimane insieme solo fino a quando si è in grado di ricavare dalla relazione un utile, un ambiente in cui il valore del piacere viene considerato superiore al valore della persona.

La verginità ed il celibato nella vita consacrata non contraddicono l'itinerario di crescita e di maturazione dell’amore autentico che si ha nella vita di coppia stabile perché anche essi costituiscono un legame con Dio e con la comunità verso i quali il consacrato deve mettersi al servizio in maniera completa, esclusiva totale, libera da ogni vincolo e interesse. ( cfr 1 Cor 7,25-40 )

Anche queste scelte, quando sono vissute nella coerenza, creano un tipo di vita dove è più facile mettere al primo posto il vero bene degli altri: il religioso, infatti, attraverso il sacrificio della sessualità e della famiglia, conserva con minore difficoltà la consapevolezza che solo in Dio è possibile trovare un amore perfetto e totale e può imparare ad amare le persone in maniera disinteressata, al di fuori della ricerca predominante del proprio piacere: il religioso ha la possibilità di farsi dei figli e dei fratelli mediante la misericordia e la carità.

Solo la stabilità della convivenza può costruire un habitat che offre sicurezza e intimità ai partners e solo nel rapporto a lungo termine l'amore per la persona, il cui valore viene considerato superiore al valore del piacere, può diventare la condizione di base dell'habitat psicoecologico in modo da dare luogo ad un continuo processo di crescita nel quale costantemente si soffre, si ridimensionano le aspettative e si ricomincia daccapo "- (...) nella vita dell'adulto la più profonda e personale esperienza di relazione è il rapporto amoroso . (...) Un più frequente cambiamento di partner è legato alla mancanza di uno stabile senso di sicurezza, ripetuti scioglimenti di unioni comportano uno smembramento dell'habitat spirituale e materiale, frequenti interruzioni di un percorso comune sottraggono continuità alla propria storia e la libertà dai legami definitivi rende difficile diventare fecondi"- ( J. Willi, ibidem, pp. 263-265 e ivi cfr pp. 76-78 )

Amore, abbiamo detto, deriva dal greco ama che significa insieme: la vita di coppia monogamica ed indissolubile è l'unica condizione che rende possibile all'uomo e alla donna di essere - insieme - in una maniera totale, senza riserve e calcoli egoistici.

Willi non giunge a formulare queste verità definitive sull'amore umano e cioè non giunge a concepire la verità e la necessità della monogamia e dell'indissolubilità.

Ciò non deve meravigliare considerando il fatto che la ragione umana non è una facoltà dotata dell'infallibilità: la ragione può sbagliarsi nei suoi giudizi sia per difetto di conoscenza e sia perché il conflitto fra le passioni disordinate e la volontà può confondere l'itinerario della ragione facendoci ritenere falso o quantomeno dubbio ciò che non vorremmo fosse vero: questo contrasto fra le passioni e la volontà e fra la volontà e la ragione è particolarmente presente nelle relazioni fra l'uomo e la donna perché in questo tipo d'esperienza il sentimento spesso fa valere le sue - ragioni - contro quelle della ragione stessa.

Nell'amore fra l'uomo e la donna ciò che è vero e giusto entra facilmente e drammaticamente in conflitto con le esigenze momentanee del piacere, dell'attrazione, della sensibilità, del sentimento.( cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 37 )

Tuttavia le ricerche di Jurg Willi e quelle di altri sociologi e psicologi sono preziose quando gli elementi di verità, come tessere di un mosaico, vengono sistemati secondo una sequenza logica ed unitaria all'interno di un quadro organico e più ampio.

Questo lavoro di sistemazione può essere svolto in maniera più spedita quando la ragione opera all'interno dell'orizzonte fornito dalla fede, la quale fornisce le coordinate, i punti cardinali, la direzione di marcia, consentendo di purificare gli elementi di verità, di elevarli ed inserirli lungo la direzione indicata dalla verità sostanziale rivelata.

Nella Chiesa esiste il deposito della verità: questo deposito è costituito dalla verità rivelata sostanziale ma la Rivelazione non è offerta già esplicitata e richiede uno sviluppo di conoscenze che non esime dalla ricerche e dalle fatiche umane.

La Rivelazione è la parola definitiva e completa di Dio ma questa parola è come un giacimento, una miniera che contiene tutti i tesori della sapienza e della scienza i quali devono essere pazientemente conosciuti ed estratti: “- (…) anche se la Rivelazione è compiuta, non è però completamente esplicitata: toccherà alla fede cristiana coglierne gradualmente tutta la portata nel corso dei secoli –“ ( Catechismo della Chiesa Cattolica n. 66 )

Ogni comandamento, ad esempio, è una verità sostanziale di natura morale, una indicazione generale che racchiude al suo interno un numero infinito di verità morali da conoscere e da approfondire.

L’annuncio della fede è “ (…) certamente conservatore nel senso che custodisce e conserva le radici dell’uomo. Proprio in questo, però, tale annuncio è al tempo stesso creativo perché così offre all’uomo la possibilità di crescere e di progredire, possibilità che non può darsi senza l’indicazione di una direzione in cui muoversi ”.( Joseph Ratzinger, Collaboratori della verità, San Paolo, Torino 1994, traduzione di Annarita Torti pp. 270-271 )

Il progresso, nella Chiesa, non riguarda il deposito dove è custodita la verità sostanziale rivelata ma riguarda la comprensione soggettiva della verità contenuta nel deposito, nel senso che viene reso esplicito ciò che è implicito e viene dedotto ciò che è deducibile e le cose nuove che vengono comprese e spiegate non sono in antitesi con le antiche precedentemente spiegate ma sono in perfetta continuità e servono per approfondirle e svilupparle: l’intelligenza o comprensione, tanto della realtà quanto delle parole, contenute nel deposito della fede, progredisce nella vita della Chiesa. (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 94). Scrive il pensatore cattolico Gomez Davila che, nella Chiesa cattolica, “ per rinnovare non è necessario contraddire, basta approfondire.”(cfr Giovanni Cantoni, Gomez Davila il conservatore, Dizionario del pensiero forte, a cura dell’istituto per la dottrina e l’informazione sociale )

Giovanni Paolo II ricorda che la ragione non deve essere separata dalla fede ma deve trovare nella fede un alleato prezioso: quando il lavoro della ragione viene inserito nell'orizzonte della fede, allora la ragione può percorrere la sua strada in maniera spedita, senza ostacoli e fino alla fine. (cfr Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, lettera enciclica circa i rapporti tra fede e ragione, San Paolo, Milano 1998, n.16 )

Per quanto riguarda l'indissolubilità, le ricerche scientifiche e gli studi più recenti confermano che il divorzio rappresenta uno dei più seri pericoli per la salute – psicosociale - : il divorzio non risolve i problemi della persona ma ne crea di nuovi.

Si è visto statisticamente che i separati in generale corrono maggiori pericoli di cadere nell'alcolismo e in altre dipendenze, di commettere suicidio e ammalarsi di disturbi fisici e psichici: la percentuale di decessi fra i divorziati è più del doppio rispetto agli uomini sposati.

Gli studi sulle conseguenze del divorzio nei figli hanno dimostrato che i danni psicologici che vengono prodotti diventano più gravi nel tempo e permangono in età adulta. ( cfr J. Willi, op. cit., pp. 7 –11 )

La sociologa Judith Wallerstein, che ha pubblicato i risultati di un'ampia ricerca sociologica, dimostra che i figli dei divorziati portano quasi tutti cicatrici emotive così profonde che li rendono incapaci di avere relazioni stabili da adulti.

Anche la Joseph Rowntree Foundation ha compiuto uno studio sui danni psicologici che il divorzio provoca nei figli. Il dottor John Tripp dell'università di Exter, in Inghilterra, ha tenuto sotto osservazione centinaia di bambini appartenenti a due campioni di studio: i figli delle famiglie rimaste integre, pur fra litigi e incomprensioni, e i figli dei divorziati che hanno uno dei genitori che si è risposato. Lo studio ha dimostrato che la guerra in casa è meglio del divorzio e che i figli dei divorziati soffrono di più e presentano danni psicologici più gravi.

Gli individui del primo campione (quelli con la guerra in casa) mostrano la capacità di superare con relativa semplicità i traumi provocati dai litigi mentre i secondi si trovano in una condizione oggettivamente peggiore: presentano segni di una maggiore sofferenza psicologica, scarsa stima di se stessi, difficoltà di relazione ma soprattutto presentano una profonda incapacità di superare le difficoltà inerenti alla vita di coppia e quindi una disposizione all'intolleranza verso il proprio coniuge: i figli dei divorziati non hanno conosciuto, attraverso i modelli parentali, la possibilità del perdono e quindi i dinamismi comportamentali che portano al pentimento ed alla riconciliazione ( cfr J. Willi, ibidem; Paolo Filo Della Torre, la guerra in casa meglio del divorzio, uno studio: i figli dei divisi soffrono di più, La Repubblica 8 febbraio 1994, pag 21; cfr Vittorio Zucconi, legge e divorzio, la ricerca sociologica di Judith Wallerstein, La Repubblica 4 giugno 1997; cfr Joseph Rowntree Foundation, Children living re-ordered families, Social Policy Research findings N° 45, february 1994, Published by the Joseph Rowntree Foundation The Homestead 40 Water End York YO3 6LP )

Questo studio fa riflettere sul fatto che, nei casi di grave conflittualità familiare, la soluzione estrema per i mali estremi non è il divorzio ma la separazione perché questa non comporta l'abbandono del partner e la formazione di una nuova famiglia e quindi lascia aperta la porta ad una futura riconciliazione.

La dissoluzione del rapporto di coppia danneggia gravemente i figli, nei quali giunge, perfino, a provocare una cronica incapacità di vivere in comunione con l'altro, di sopportare e superare le difficoltà, di riconciliarsi, di saper perdonare e ricominciare.

Il dottor C. Haffter, dell'Università di Basilea, nota che la dissoluzione familiare, quando nella generazione dei nonni la cifra dei divorzi supera la media, è un trauma profondo che danneggia i figli rendendoli incapaci di avere legami stabili di coppia, dando luogo con maggiore probabilità ad un effetto a catena che può propagarsi per almeno tre generazioni. Questa sorta di - ereditarietà - dell'infelicità coniugale dipende in gran parte da una anormale evoluzione di tipo nevrotico. ( cfr C. Haffter, Il divorzio e la sorte dei figli, in Enciclopedia della sessualità, a cura di A. Willy e C. Jamont, edizioni Borla, Bologna 1974, pp. 355-356, op. cit. )

Anche il sociologo M. Barbagli sottolinea il fatto che il divorzio è un processo che si auto -alimenta e si auto - rafforza: i figli dei divorziati hanno maggiore probabilità di divorziare rispetto a coloro che provengono da relazioni stabili. ( cfr Donata Francescato, Quando l’amore finisce, Il Mulino, Bologna 1992, pag 55 )

Il divorzio danneggia i figli ferendoli gravemente nella volontà, nell'intelligenza, nella memoria, negli affetti. La restaurazione di un abito virtuoso capace di sopportare, di sacrificarsi, di rinunciare, di perdonare, di ricominciare, richiede da parte dell'individuo, ferito dalle colpe dei genitori, uno sforzo maggiore, uno sforzo eroico ed un percorso più lento e tutto in salita.

Le esperienze traumatiche della dissoluzione familiare determinano degli effetti che perdurano nel tempo condizionando il comportamento della persona, lasciando un'impronta nel suo temperamento, un ricordo che rende più difficile il controllo delle proprie reazioni.

Il sociologo G. Campanini fa notare che l'introduzione del divorzio ha determinato in alcune componenti della popolazione un atteggiamento di minore responsabilità nei confronti dell'impegno coniugale che viene preso: questo dimostra come la legge divorzista, che non protegge l'istituto familiare dalla dissoluzione, comporta la perdita della consapevolezza sociale del bene rappresentato dalla integrità familiare e quindi influisce negativamente sulla famiglia stessa perché contribuisce a - deformare - il comportamento delle persone. ( cfr Donata Francescato, ibidem, pag 56 )

Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice che il divorzio determina gravi danni nei coniugi, nei figli e nella società: il suo effetto contagioso lo rende una vera piaga sociale (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2385 )

I disordini affettivi ed intellettivi spingono verso la strada dell'amore libero e l'amore libero mantiene, consolida, sviluppa e propaga tali disordini.

I disordini affettivi ed intellettivi che portano all'amore libero possono essere compresi all'interno di quattro cause fondamentali:, il bisogno di conquista, la tendenza umana verso l'assoluto che viene fissata su qualcosa di relativo, la perdita dell'identità di genere e quindi la fine della complementarietà fra l'uomo e la donna, la tendenza a gustare il frutto proibito

Queste cause in realtà non presentano confini ben delimitati, ma sono variamente associate, sfociano l’una nell’altra e solo per esigenze descrittive abbiamo cercato di catalogarle.

La tendenza umana verso l’assoluto che viene fissata su qualcosa di relativo

Abbiamo già scritto ( p.3 ) che l’amore romantico è un tentativo di realizzare lo stato paradisiaco in terra attraverso un’esperienza di solidarietà perfetta con un essere umano che viene ritenuto portatore di qualcosa di assoluto che ci è sempre mancato. Quando il desiderio di realizzare il perfetto abbandono nell’amore viene cercato non in Dio ma in un essere umano, il cuore dell’uomo diventa inquieto e questo può indurre ad una ricerca quasi morbosa di rapporti sentimentali o sessuali che tuttavia non sono in grado di soddisfarlo. Una nuova relazione, con il periodo iniziale dell’innamoramento, permette di proiettare nell’altro il desiderio di una felicità assoluta e totale. Il nuovo, in quanto ignoto, si presta a questa proiezione: si tratta della costruzione di un Paradiso artificiale momentaneo. La comunione di vita implica la conoscenza della realtà della persona e ogni conoscenza rivela difetti e imperfezioni delle creature e anche il fatto che esse sono soggette alla legge del mutamento: tutto cambia, la bellezza e la giovinezza sfioriscono ma anche il carattere è soggetto al cambiamento.

Lo psichiatra americano M. Scott Peck – che ha diretto l’istituto di igiene mentale al New Milford hospital, nel Connecticut – scrive che l’amore romantico è una delle più grandi illusioni.

“- Il grande ideale americano di amore romantico crede che sia possibile per Cenerentola cavalcare col principe verso un tramonto di orgasmi infiniti “-. Chiunque crede “- (…) che in un rapporto l’amore romantico non debba finire mai è destinato a una delusione dopo l’altra. Ritengo infatti che uno dei maggiori problemi di questa e di altre culture sia la ricerca di Dio nell’ambito dei rapporti di amore romantico tra umani.

Quel che facciamo è guardare al coniuge o all’amante come a un dio. Cerchiamo nel coniuge o nell’amante colui o colei che possa soddisfare tutti i nostri bisogni e tutte le nostre aspirazioni, che ci porti a un durevole Paradiso in terra.

E non funziona mai. Tra i motivi per cui non funziona – che si sia consapevoli o meno di ciò che si fa – c’è la violazione del primo comandamento che afferma:- Io sono il Signore Dio tuo, e non avrai altro Dio all’infuori di me -. Tuttavia è molto naturale fare così. E’ naturale voler avere un Dio tangibile, qualcuno che non solo possiamo vedere e toccare ma che possiamo anche afferrare, abbracciare, con cui possiamo dormire e che forse possiamo persino possedere. Così continuiamo a cercare nel coniuge o nell’amante un dio e facendolo dimentichiamo il vero Dio-“. (M. Scott Peck, Un’infinita voglia di bene, trad. italiana, Frassinelli, Como1995, pp. 224-225).

La nostra citazione di Peck non vuole assolutamente essere un’approvazione di certe idee relativistiche di questo autore che, secondo il sociologo Massimo Introvigne, può essere considerato il precursore dell’attuale Next Age, anche se il suo recente percorso culturale lo avrebbe portato dal buddismo zen e da una posizione strettamente individualistica verso un cristianesimo non ben definito ( cfr Massimo Introvigne, New Age e Next Age, Piemme, Casale Monferrato ( AL) 2000, pp.18-20 ).

Il bisogno di conquista

Il sesso al di fuori di un’unione totale e indissolubile – e già questa non preserva da abusi e disordini – viene vissuto in modo narcisistico e può essere anche la conseguenza di motivazioni inconsce che nascono da strategie difensive nevrotiche e quindi sbagliate che cercano di compensare, attraverso la relazione sessuale, problemi conflittuali interiori.

Un’approfondita indagine clinica ha evidenziato vari disturbi nevrotici che si nascondono dietro la motivazione sessuale: tra queste motivazioni non autentiche, che nascono da problemi profondi non risolti, ci sono i rapporti sessuali che vengono cercati come tentativo di difendere la stima di se stessi, per essere confermati, per sentirsi importanti e anche come prova di potere-dominio su un’altra persona perché si vuole dimostrare a se stessi di essere attraenti, capaci di attirare un’altra persona. Spesso il soggetto è spinto alla ricerca del rapporto sessuale dal bisogno di essere rassicurato sulla propria mascolinità o femminilità perché non si sente normale o adeguato: questo bisogno è forte negli adolescenti, ma può continuare ad essere presente anche negli adulti che non hanno superato i propri complessi d’inferiorità. Altra motivazione nevrotica che può nascondersi dietro il desiderio sessuale è quella di cercare attraverso la relazione un momentaneo sollievo dall’ansia: si abusa del sesso come dell’alcol, si cerca nel sesso una sensazione passeggera di benessere anche per evitare stati d’animo spiacevoli, come la solitudine o la paura della morte, della malattia. ( cfr Friederich Mary-Anna, Motivations for Coitus in Clinical Obstetrics and Gynecology, 3 (1970 ), pp.691-700).

La perdita dell’identità di genere

Una causa che porta alla dissoluzione familiare può essere trovata nella perdita dell’identità di genere e quindi nella fine della complementarietà fra l’uomo e la donna. L’habitat psico-ecologico della coppia, per poter esistere, presuppone la differenza e la complementarietà dei soggetti che lo costituiscono. La famiglia è una realtà costituita da una certa unione, da un certo focolare, da una certa divisione dei compiti che nasce dalla paternità e dalla maternità e quindi da una certa gerarchia: è evidente e logico che questo habitat non possa avere un’esistenza reale se vengono a mancare questi tratti fondamentali ( cfr Louis Salleron, L’avvenire della famiglia, in Cristianità, anno I, n.2, Piacenza, novembre-dicembre 1973 ).

Ulrich Beck, uno dei maggiori sociologi viventi, dice che la famiglia è ormai una categoria zombie, specie da quando le donne sono entrate nel mondo del lavoro. Da un punto di vista sociologico non si riesce più a dare una definizione di unità di base della società e Beck ricorre alla definizione del sociologo francese Claude Kaufmann: la coppia nasce quando due persone comprano una lavatrice insieme ( cfr Giancarlo Bosetti, Beck il rischio globale della seconda modernità, Corriere Della Sera, 5 gennaio 2001, p.31; cfr http//www.caffeeuropa.it, attualità del 12-01-01, La coppia? E’ comprare una lavatrice insieme ).

  Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che la famiglia è una realtà sociale la cui esistenza dipende dalla differenza dei compiti fra l’uomo e la donna: l’uomo e la donna devono riconoscere e accettare la propria identità perché la vita familiare, l’armonia della coppia e della società dipendono dal modo in cui si vivono e si sviluppano le differenze e le complementarietà fra l’uomo e la donna ( cfr Catechismo della Chiesa Cattolica n.372,2333, 2203 ).

Donata Francescato, che insegna psicologia di comunità nell’università di Roma, ha effettuato un’ampia ricerca sociologica sui motivi della dissoluzione familiare. Il fattore che maggiormente ricorre nella dinamica delle separazioni è la perdita del ruolo tradizionale della donna all’interno della famiglia: dove è maggiormente mutato il ruolo della donna, dove la donna è più interessata all’ambiente extrafamiliare, lì è più elevato il tasso delle separazioni ( cfr Donata Francescato, Quando l’amore finisce, Il Mulino, Bologna 1992, p.157 ).

In tutti i paesi occidentali l’impennata del numero dei divorzi si è avuta nel periodo in cui è avvenuto un forte aumento dell’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e il tasso di divorzio resta direttamente proporzionale al tasso di lavoro extrafamiliare svolto dalle donne ( cfr ivi, p.55).

Ciò che incide maggiormente nella disgregazione familiare è, dopo la mancanza di interessi comuni, la perdita del ruolo tradizionale della donna all’interno della famiglia ( cfr ivi, p.57 ).

Da un punto di vista psicologico, la fine della divisione dei compiti fra l’uomo e la donna comporta la fine della complementarietà e questa la fine del bisogno dell’altro come soggetto complementare di una relazione esistenziale che vada oltre il semplice e momentaneo incontro di tipo genitale. L’identità nasce dalla consapevolezza fra ciò che in noi è uguale agli altri e ciò che è diverso dagli altri. L’amore nasce dalla giusta disuguaglianza fra persone equivalenti cioè di uguale valore: ogni individuo, infatti, si dirige verso l’individuo diverso da lui per completarsi. Tanto maggiori sono le differenze, tanto più investono tutti i livelli della persona, tanto maggiore sarà il bisogno vicendevole di relazionarsi, di completarsi e di aiutarsi: come nel magnetismo, tanto più i poli sono diversi, tanto più essi si attraggono. Possiamo dare e ricevere solo ciò che abbiamo di diverso e specifico: nessuno ha bisogno di ricevere ciò che già possiede. L’incontro tra due persone uguali, per la costruzione di una società comune, produce soltanto conflittualità e competizione: l’amore e la fecondità hanno bisogno di armonia e l’armonia è l’unità nella diversità.

La perdita dei ruoli determina con il tempo una perdita dell’identità di genere: sono fenomeni interdipendenti, l’uno provoca l’altro. Da ricerche sociologiche recenti sono emersi fenomeni sociali crescenti di androginia e di indifferenziazione ( cfr Donata Francescato, op.cit., p.158).

Il bisogno di identità non è una tendenza indotta dall’ambiente ma un bisogno cognitivo fondamentale il quale, se non viene soddisfatto, genera disagio e alienazione, aumentando i conflitti familiari e sociali ( cfr Irenaus Eibl-Eibesfeldt, Etologia Umana, le basi biologiche e culturali del comportamento, Bollati-Boringhieri, Torino,1998, p.410 ).

La tendenza a gustare il frutto proibito

Una delle cause che spinge l’essere umano verso la strada dell’amore libero è la tendenza a gustare il frutto proibito. Il poeta pagano Ovidio, nato nel 43 avanti Cristo, che fu l’idolo della gioventù aristocratica romana, di cui interpretava le esigenze edonistiche, descrive il fascino particolare del proibito nelle relazioni sessuali:- tendiamo sempre verso ciò che è proibito e desideriamo soprattutto quello che ci è negato (…) ciò che è lecito non dà piacere, quello che è proibito infiamma (…) spesso l’amore appagato si muta in noia e procura fastidio, come un cibo troppo dolce”- ( Publio Ovidio Nasone, La saggezza degli antichi, a cura di Federico Roncoroni, Milano 1993, pp.335-336 ).

Che cos’è propriamente il proibito? Il proibito - da pro habere – è ciò che abbiamo davanti e quindi ciò che è lontano da noi. Tutto quello che è lontano dalla nostra esperienza e dalla nostra conoscenza può essere più facilmente trasformato in un oggetto del desiderio: la lontananza permette di proiettare nell’altro i nostri sogni, le nostre fantasie, i nostri desideri illusori. In questi casi l’attrazione non avviene nei confronti di un individuo reale del quale condividiamo tutti gli aspetti della vita e della personalità, con i suoi difetti, le sue esigenze, le sue sofferenze, ma l’attrazione è determinata soprattutto da un’idea che ci siamo fatti di una data persona: questa idea preconcetta, dettata dal bisogno e dalla speranza, trasforma e nasconde la realtà dell’altro grazie alla lontananza, trasforma l’altro in un – contenitore - delle nostre fantasie sessuali e / o sentimentali.

Questo gusto del proibito nasce da una separazione o frattura psicologica che si produce fra il sesso – inteso in senso lato come sensibilità, sentimento, passione – e l’amore, che è lo stare insieme con la realtà e la totalità della persona dell’altro: si tratta di una separazione che origina dalla tendenza umana al piacere momentaneo e disordinato.

Questa situazione di disordine e di separazione fra le passioni e l’amore e la difficoltà ad unire le diverse componenti psicologiche, presente in ogni essere umano, può essere potenziata e aggravata da alcune situazioni particolari: l’aver ricevuto un’educazione cosiddetta – asessuale -, una problematica conflittuale non risolta con il genitore dello stesso sesso – che possiamo comprendere nella nozione generica detta complesso di Edipo -, i rapporti pre-matrimoniali, le convivenze e i cosiddetti matrimoni per esperimento. Prima di parlare dettagliatamente di queste situazioni occorre capire che cos’è il piacere disordinato

Piaceri e felicità

Felicità deriva da fertile ed una pianta per essere fertile, per dare frutto, presuppone un itinerario, un processo: la semina, la coltivazione, lo sviluppo, la potatura e la raccolta.

Per un uomo essere fertile significa vivere in armonia con le leggi fondamentali della realtà e con la propria natura: cioè in armonia con tutte le componenti della propria personalità. Questo presuppone un cammino perfettibile e mai perfetto attraverso il quale l’uomo cerca di conoscere sempre meglio la verità e di metterla in pratica e presuppone un itinerario attraverso il quale la persona cerca di riportare ad unità e secondo un ordinamento gerarchico le potenze dell’anima che sono entrate in conflitto a causa del peccato originale: in ogni uomo c’è il bisogno di integrare e coordinare le passioni con la volontà, la volontà con la ragione e la ragione con la verità e da questo processo, che intende ordinare tutte le potenze dell’anima fra di loro e nei confronti della verità, nasce propriamente la condizione che chiamiamo felicità. San Tommaso d’Aquino spiega che la felicità consiste primariamente nell’attività intellettuale - che è propria dell’essere umano - e risulta soprattutto dalla contemplazione della verità: secondariamente la felicità ha carattere affettivo perché rendendo l’uomo felice in ciò che gli è essenziale, tutto l’uomo diventa felice in ogni sua dimensione ed attività ( cfr San Tommaso d’Aquino, II Sent. d. 4, q. 1, a. 1; Summa Teologica I- II, q. 3, a. 4).

La felicità – fertilità è dunque uno stato, una condizione incipiente e perfettibile fondata su un processo che si concluderà in Paradiso, con uno stato di felicità perfetta.

I piaceri sono buoni solo quando sono il risultato e la conseguenza della realizzazione di obbiettivi giusti ed adeguati: il piacere ed il desiderio sono fattori da ordinare e da vivere all’interno di un processo che intende integrare e coordinare gerarchicamente le potenze dell’anima fra di loro e nei confronti della verità.

Il piacere disordinato è il piacere momentaneo di una facoltà che entra in contrasto con le altre componenti della personalità, con i bisogni di natura spirituale che, nell’uomo, si trovano sempre mescolati con forme inferiori e biologiche di bisogni ed entra in conflitto con le leggi fondamentali della natura che l’uomo è in grado di conoscere mediante la sua ragione (vedi paragrafo su istinti e bisogni umani ).

Giuseppe Cesari, ordinario di psicologia clinica all’università di San Diego in California, dice che l’aspetto specifico della natura umana è il bisogno di significato e introduce in psicologia il concetto di fecondità che è analogo a quello di felicità: felice è il termine corradicale di fecondo. Secondo Cesari, ad esempio, nel campo sessuale la genitalità risulta pienamente soddisfacente solo se è vissuta all’interno di un’autentica relazione d’amore perché, altrimenti, rimane inappagato quel bisogno fondamentale, vero – basic need – che consiste nell’essere in una vera relazione con l’altro (cfr Giuseppe Cesari, in Giuseppe Cesari e Maria Luisa Di Pietro, L’educazione della sessualità, La Scuola, Brescia 1996, pp. 27-38 e 46-50 ).

Il piacere è propriamente la quiete che si ha nel raggiungere e possedere l’obbiettivo del proprio desiderio, mentre il desiderio è il movimento verso un obbiettivo.

Quando l’oggetto del proprio desiderio è inadeguato – in quanto non naturale e non conforme alla giustizia – il possesso è imperfetto rispetto alle aspettative per colpa della inadeguatezza della cosa posseduta nei confronti delle esigenze più profonde della persona, il piacere momentaneo viene frustrato perché l’uomo si sente insoddisfatto e diviso, contemporaneamente schiavo del male fatto e deluso dal piacere ottenuto: il movimento del desiderio non cessa ma diventa ossessivo e non si ha il vero piacere che è la quiete di tutte le facoltà nel bene amato. Dal movimento ossessivo del desiderio nasce il – culto – della novità e del cambiamento perché quando la realtà, con il suo ordine e le sue finalità, viene sostituita e deformata dall’immaginazione, l’intelligenza, privata dell’oggetto suo proprio, non è mai sazia del nutrimento inconsistente che le viene offerto e ne reclama subito un altro perché finché si viaggia verso un falso obbiettivo si può continuare a sognare ma quando ci si ferma per possederlo esso delude le aspettative. Nel caso della genitalità, ad esempio, quando il sesso viene privato del suo ordine e della sua finalità, quando viene separato dall’amore autentico e dalla tenerezza, gli atti sessuali – disordinati – producono assuefazione ma non attenuano il bisogno sessuale il quale, ad ogni ripetizione, viene esaltato: l’innalzamento della soglia richiede l’aumento continuo dello stimolo sessuale, la ricerca della novità e del cambiamento, la ricerca di nuove perversioni per ottenere lo stesso effetto.

Emblematico è il libro dello psicoterapeuta americano Jack Morin che, nella ricerca di nuove perversioni da giustificare e propagandare, introduce alla pratica del – fisting - . Per chi è ormai abituato all’uso sessuale contro natura dell’ano e del retto, ora è il colon che sta diventando oggetto di interessi particolari. La pratica del fisting consiste nell’introdurre gradualmente - l’autore parla di molte ore di pratica - la mano intera e lo stesso avambraccio attraverso l’ano per raggiungere il colon. Morin, che segue i meccanismi di un desiderio ormai separato dalla ragione e dalla realtà, dice che, chi mette in atto questa forma di perversione, resta affascinato dalla sensazione che dà l’esplorazione all’interno del corpo del partner e afferma che alcuni descrivono questa esperienza come una forma di meditazione ( cfr Jack Morin, Il piacere negato, fisiologia del rapporto anale, trad.it.,editori riuniti, Roma 1994, pp. 111-112 ).

Tra l’uomo e le passioni disordinate, tra l’uomo e le cattive abitudini si può venire a creare un rapporto e si può attivare un meccanismo analogo a quello che s’instaura nel caso delle tossicodipendenze: ogni abitudine sbagliata, anche se impedisce la felicità dell’individuo, ne determina uno stato di schiavitù, un circolo vizioso fatto di delusioni e di ricerca ossessiva di piaceri momentanei ottenuti aumentando la – dose – o attraverso la ricerca di nuovi oggetti di – perversione -.

Rollo May, il padre della psicologia esistenzialista americana, spiega che ogni atteggiamento sbagliato porta con sé la sua sofferenza e la sua delusione ma, quando si instaura una forma di dipendenza, la persona non riesce più ad utilizzare la sofferenza e la delusione in modo costruttivo e cioè mettendole in relazione con l’atteggiamento sbagliato ma, a causa dell’abitudine e dell’illusione, finisce per trasformarle in un circolo vizioso ( cfr Rollo May, L’arte del counseling, il consiglio, la guida, la supervisione, trad. it., casa editrice Astrolabio-Ubaldini, Roma 1991, pp 98-102 ).

Una psicoterapia ancorata alla realtà dovrebbe tenere conto del fatto che in ogni essere umano è presente un conflitto fra la tendenza al piacere disordinato e la tendenza alla giustizia. Esiste un'esperienza fondamentale che facciamo tutti: in certi casi vediamo con certezza che dovremmo fare una certa cosa che riconosciamo essere buona per noi e tralasciare un'altra che riconosciamo essere cattiva ma dalla quale possiamo ricavare un piacere momentaneo e disordinato.

In questa situazione la scelta giusta e conveniente implica uno sforzo perché dobbiamo superare la nostra repulsione di fronte a qualcosa che sul momento non ci piace e ci costa fatica.

Questa situazione di conflitto ci fa soffrire e da essa nasce lo sforzo necessario e quotidiano per mettere ordine fra le componenti della personalità.

La necessità che gli uomini hanno di mettere ordine dentro se stessi, lo sforzo quotidiano che devono fare per comandare se stessi testimoniano l'esistenza di una situazione di disordine che è presente all'interno di ogni essere umano, di una ferita che tutti abbiamo al nostro interno.

Una ferita è sempre una situazione di lacerazione, di disordine che si è prodotto fra gli elementi di un tessuto che era originariamente integro e quindi ordinato: l'esistenza di una ferita presuppone sempre l'esistenza di uno stato di ordine che c'era ed è stato perso.

Il conflitto fra la tendenza al piacere momentaneo e disordinato e la tendenza alla giustizia e quindi il conflitto fra le passioni e la volontà, tra la volontà e la ragione è un conflitto che è presente all'interno di ogni uomo ed è il risultato di una misteriosa ferita originale dell'umanità.

Ignorare che l’uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi “ ( Catechismo della Chiesa Cattolica n. 407).

Omero, che è uno dei primi autori pagani che ci sono pervenuti, presenta in tutte le sue opere il più vistoso dei conflitti che assillano l’uomo: la lotta fra la mente e il cuore, cioè fra la ragione e le passioni. Questo conflitto all’interno dell’uomo spinge gli eroi omerici all’instabilità psichica. Così, nel libro XXII dell’Odissea, Odisseo “ rimproverò il suo cuore con il ragionamento “.

L’episodio che meglio mostra questo conflitto che c’è nell’interno dell’uomo e il tentativo di unificare le componenti psichiche in lotta, è quello delle sirene. Odisseo prevede con la mente la possibilità che il proprio impulso, passando accanto alle sirene, venga allettato dal loro canto in modo da disubbidire alla ragione e andare incontro alla morte accecato dalla passione. Odisseo previene il pericolo facendosi in anticipo legare dai marinai a cui ha accuratamente turato le orecchie con la cera affinché non siano sedotti dal loro canto.

In questo caso la passione viene ridotta all’obbedienza con la previsione e la coercizione. Ma il collegamento fra la mente e il cuore per funzionare stabilmente, e non solo momentaneamente con l’uso continuo di quella che Omero chiama l’accortezza – pinytés -, è una sorta di talento che viene dall’alto e che solo alcuni personaggi come Achille possiedono in maniera eccezionale. Achille è un eroe che ha quel fortunato stato psichico di unione stabile fra la mente e il cuore che Omero indica con il termine di risolutezza – ménos -, per cui riesce ad agire senza essere messo in crisi dalle passioni come ad esempio la pigrizia o la paura. Ma l’uomo, con la sua sola volontà, non è in grado di procurarsi questa stabile padronanza al suo interno per cui ad Omero non resta che attribuire l’origine della risolutezza a qualche divinità ( cfr Armano Plebe, Storia del pensiero, vol 1, ed. Ubaldini, Roma 1970, pp.12-15 ).

Queste riflessioni fondamentali fanno di Omero un precursore del cristianesimo: ha ragione il pensatore cattolico Gòmez Dàvila quando scrive che – tanto dopo come prima di Cristo, vi è un paganesimo di precursori e un paganesimo di avversari – (cfr Giovanni Cantoni, Gòmez Devila, certosino dell’altopiano, in Percorsi , anno IV, febbraio 2000, p48 ).

L'uomo, da solo, non riesce a lottare durevolmente contro tutte le proprie passioni disordinate, non riesce, da solo, a superare le difficoltà più gravi, le illusioni, i condizionamenti, gli attaccamenti disordinati a cose o persone che determinano quella che, con linguaggio psicanalitico, viene denominata l'angoscia della separazione.

Il Concilio Vaticano II ricorda che l’uomo non può perseverare nello sforzo di combattere contro le proprie passioni disordinate senza compiere grandi sforzi e senza l’aiuto della grazia ( cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo del 7 dicembre 1965, n.25 ).

Il problema degli istinti e dei bisogni umani

Gli istinti dell’uomo non sono, in se stessi, né buoni né cattivi: essi sono componenti naturali dello psichismo umano che devono essere integrati e coordinati con la volontà e la ragione e posti al servizio di ciò che è buono.

In ogni esperienza specificamente umana dell’istinto in quanto tale, accanto a forme inferiori e biologiche di bisogni, coesistono sempre forme – superiori – di bisogni e l’essere umano può spostare, mediante l’intervento della volontà e della ragione, la spinta ad agire ( energia ), determinata da un bisogno, verso altre forme di bisogno. Questo lavoro della volontà e della ragione, quando è coscientemente finalizzato, provoca, nel tempo, una progressiva integrazione e sottomissione delle forme inferiori di bisogno a quelle superiori e può anche determinare la volontaria diminuzione di alcune forme d’interesse verso realtà ritenute d’importanza secondaria.

Questa diminuzione lascia via libera all’azione di altri dinamismi, quali la grazia e l’ispirazione divina e promuove la crescita dell’interesse verso attività superiori e più nobili, attività superiori verso cui diventa progressivamente più facile spostare l’energia determinata dai bisogni inferiori: questa è la nozione corretta della mortificazione nell’ascetismo cristiano. Non si tratta, come sostiene la psicoanalisi freudiana, della conversione dell’inferiore al superiore ma della sottomissione dell’inferiore al superiore, dello spostamento volontario dell’energia dall’inferiore al superiore, della liberazione e dello sviluppo di interessi più alti, di disposizioni interiori superiori; lo sviluppo di motivazioni superiori determina l’atrofia degli interessi verso realtà considerate di importanza secondaria. Abbiamo parlato di lavoro della volontà e della ragione che devono intervenire nella gestione degli istinti, degli interessi e dei bisogni umani.

Infatti, la pura e semplice repressione di un istinto, di un’idea o di un interesse finisce per ossessionare e tormentare colui che li reprime. La repressione può essere solo la fase iniziale di un processo che porta l’uomo a costruire e a sviluppare la sua personalità altrimenti non si ha una vera mortificazione nel senso cristiano ma una pseudo–mortificazione che è un surrogato, una contraffazione di quella vera. Per distinguere una mortificazione vera da una pseudo-mortificazione un buon metro di misura è la pace del cuore e l’umiltà con l’assenza delle manie di perfezionismo.

Il perfezionismo nasce dalla confusione che viene fatta fra il modello ideale verso cui camminare con l’impeccabilità, cioè con il proprio io idealizzato. Nel perfezionismo c’è la continua preoccupazione che nasce dal pensiero dei propri difetti, c’è il rifiuto di se stessi e il desidero di essere un altro; il perfezionista non sa accettare la crescita progressiva che, in quanto progressiva, non sarà mai perfettamente compiuta in questo mondo, per questo il perfezionista si rattrista spesso ma la tristezza non nasce mai dall’amore di Dio ma dall’amor proprio che agisce camuffandosi dietro le apparenze dell’umiltà. Un maestro di spiritualità come sant’Ignazio di Loyola ricorda che, nella via dello spirito, la tristezza, i tormenti di coscienza, i dubbi, lo scoraggiamento ed ogni atteggiamento che toglie la pace non provengono mai da Dio che è pace, gioia, certezza, serenità, ma provengono dall’amor proprio o dall’azione demoniaca.

Abbiamo detto che la repressione può essere solo la fase iniziale di un processo che porta l’uomo a costruire e a sviluppare la sua personalità.

Quando si è alla guida di un automobile, per esempio, non è sufficiente il non andare in una certa direzione ma occorre girare e imboccare un’altra strada che bisogna percorrere e amare in quanto all’obbiettivo da raggiungere. Non fare qualcosa di negativo è soltanto la condizione indispensabile e iniziale per poter fare qualcosa di positivo.

Per esempio, non si può soltanto rinunciare a un piacere ritenuto sbagliato perché il desiderio per questo piacere aumenterebbe e finirebbe per ossessionarci. Dopo aver detto di no, bisogna cercare di diventare sempre più consapevoli dei motivi per cui l’oggetto del desiderio a cui abbiamo rinunciato è sbagliato, sempre più consapevoli della sua illusorietà, del fatto che rappresenta soltanto un soddisfacimento momentaneo che non risolve i problemi più profondi della persona e che alla lunga impedisce la propria realizzazione e felicità, in modo analogo a quanto succede, per esempio, con il fenomeno della tossicodipendenza.

Questo itinerario di progressiva consapevolezza presuppone - insieme con l’aiuto della grazia, che, ordinariamente, svolge un’azione sussidiaria che illumina e incoraggia, facendoci amare la strada da percorrere, ma senza sostituirsi al cammino che dobbiamo fare, alle opere che dobbiamo svolgere- non solo il fuggire le cattive occasioni, non solo il non fare il male, ma richiede di fare il bene prima di tutto all’interno del proprio cuore. Queste opere buone da svolgere all’interno del proprio cuore consistono nel ragionamento, nell’osservazione oggettiva, nella contemplazione del reale, nel dissolvimento critico delle illusioni.

Nostro Signore Gesù Cristo afferma, come riferito in Matteo 15,19, che la sorgente del male che affligge l’uomo sta dentro la sua personalità: dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie.

L’ebreo concepisce il cuore come l’interno dell’uomo in un senso molto ampio. Oltre ai sentimenti il cuore comprende anche i ricordi, le idee, i progetti e le decisioni: il cuore è il centro dell’essere dove l’uomo dialoga con se stesso e si assume le proprie responsabilità ( cfr Dizionario di teologia biblica pubblicato sotto la direzione di Xavier Leon- Dufour e di AA.VV., Marietti, Torino 1978, pp. 242, 243 ).

All’interno dell’uomo avviene il conflitto fra le passioni, la volontà e la ragione, all’interno nascono i tentativi di riportare ordine fra queste potenze dell’anima e sempre da questo cuore hanno origine i dialoghi che l’uomo intraprende con se stesso: dialoghi interiori che lo portano, prima ad interpretare i messaggi interni ed esterni, e poi a decidere e ad agire.

Solo dopo un corretto lavoro svolto nel proprio cuore, cioè dopo un continuo e perseverante dialogo interiore finalizzato a dissolvere in maniera critica le illusioni e a prendere consapevolezza della realtà, la rinuncia a un piacere disordinato si trasforma nella preferenza verso un altro piacere, un piacere ordinato che non contrasta con la verità e la giustizia; solo allora la rinuncia si trasforma nella scelta di un altro obbiettivo e di un’altra direzione di marcia.

In questo modo la persona progredisce dirigendo, regolando, mettendo in equilibrio e utilizzando costruttivamente tutte le sue energie: si tratta di un’opera simile a quella che l’essere umano svolge nei confronti delle forze della natura, come quando incanala verso una centrale di energia le acque torrenziali.

Nessuno può progredire senza conservare l’indicazione di una direzione valida in cui muoversi. La ragione, dopo il peccato originale, può sbagliarsi nei suoi giudizi sia per difetto di conoscenza e sia perché il conflitto fra le passioni e la volontà può ostacolare e confondere l’itinerario della ragione, con il rischio continuo e reale che le nostre debolezze diventino la misura del bene e del male in modo da farci ritenere falso ciò che non vorremmo fosse vero. Il cattolico, attraverso la guida e il sostegno della fede, può conservare l’indicazione valida delle strade in cui inserire la ricerca razionale. Il razionalismo – ragione senza fede – che non riconosce l’importanza della fede come guida e sostegno, finisce per dimenticare che la ragione non è una facoltà dotata di infallibilità ma che essa, al pari delle altre facoltà umane, è soggetta all’imperfezione e al limite e pertanto, nella sua ricerca, non riesce a rimanere per molto tempo lungo la giusta direzione senza incontrare degli ostacoli che possono gradualmente portarla fuori strada.

Non è forse vero che tanti sistemi di pensiero, nati con l’intenzione di aiutare l’uomo, hanno finito per costruire strutture oppressive per l’uomo stesso e tanti itinerari della ragione sono giunti a negare valore alla ragione stessa ? ( cfr Giovanni Paolo II, , Fides et ratio, lettera enciclica circa i rapporti tra fede e ragione, del 14 settembre 1998, n.16,45,46).

Non basta conservare la fede, la fede deve essere pienamente vissuta, deve svilupparsi insieme a tutte le facoltà dell’uomo, deve accompagnare tutte le fasi e le vicende della sua vita.

Se la fede viene separata dalla vita e dalla cultura dell’uomo diventa inutile e viene persa. Per sviluppare il dono della fede il credente deve meditare sulla Sacra Scrittura e sul magistero della Chiesa e deve inserire costantemente la ricerca della ragione lungo l’orizzonte fornito dalla fede, in modo da amare Dio con l’intelletto, con la volontà, con le azioni. Questo lavoro ha bisogno di essere sostenuto dal continuo dialogo con Dio che il cattolico incontra attraverso la preghiera e, in modo speciale, attraverso i sacramenti: i sacramenti sono forze vive che escono dal corpo di Cristo per nutrire l’anima e per curarla. Tornando al problema degli istinti, giova ripetere che la loro corretta gestione è fondamentale per la costruzione della personalità.

L’istinto di aggressività, per esempio, non solo è fondamentale per difendersi ma l’energia da esso determinata, può essere utilizzata, grazie al controllo e all’orientamento della volontà e della ragione, per – aggredire -, nel senso più vasto, un compito o un problema e può essere messa al servizio della giustizia e dei diritti degli altri: il bisogno sociale e il bisogno di giustizia sono forme superiori di bisogni che sempre accompagnano nell’uomo l’istinto puramente biologico di aggressività. L’istinto sessuale non solo è fondamentale per unire l’uomo e la donna fisicamente, ma l’energia da esso determinata può essere utilizzata, grazie al controllo, all’orientamento e alla consapevolezza della volontà e della ragione, per integrare l’impulso copulativo con il bisogno di tenerezza e di affetto, in modo che l’unione genitale diventi segno e strumento di reciproca donazione fra due persone di sesso complementare e possa soddisfare il bisogno d’amore.

L’energia generata dall’istinto copulativo può anche essere messa a disposizione per un servizio d’amore verso i fratelli e la verità. Lo sviluppo di una forma superiore e spirituale di bisogno, come quella che spinge verso i significati più alti della stessa sessualità umana - cioè l’amore per gli altri e la donazione di se stessi agli altri – fa diminuire l’interesse verso la relazione coniugale e in questo caso è più facile spostare l’energia determinata dall’istinto copulativo su di un piano più alto.

Insegna Giovanni Paolo II che - nella verginità e nel celibato la castità mantiene il suo significato originario, quello cioè di una sessualità umana vissuta come autentica manifestazione e prezioso servizio all’amore di comunione e di donazione interpersonale: il bisogno di affetto, di amore e di donazione sono forme superiori di bisogni che sempre accompagnano nell’uomo l’istinto puramente biologico della sessualità ( cfr Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Pastores Dabo Vobis, all’Episcopato, al Clero e ai Fedeli circa la formazione dei Sacerdoti nelle circostanze attuali, 25 marzo 1992, n.29 ).

Significative di questo bisogno di amore sono le parole che escono dalla penna di un poeta che aveva fatto della lussuria la sua ragione di vita. Scrive Gabriele D’Annunzio in una sua poesia:

Tristezza atroce de la carne immonda
quando la fiamma del desìo nel gelo
del disgusto si spegne e nessun velo
d’amor l’inerte nudità circonda!

( E tu sorgi ne l’anima profonda,
pura Immagine. Come su lo stelo
èsile piega un funebre asfodelo,
su’lcollo inclini la tua testa bionda ).

Tristezza immensa de la carne bruta
quando nel petto il cor fievole batte
lontano e solo come in una tomba!
( E tu guardi, tu sempre guardi, o muta
Imagine, tu pura come il latte,
con i tuoi teneri occhi di colomba ).
( Gabriele D’Annunzio, L’Imagine, in Femmine e muse, Il Vittoriale degli Italiani, 1942, p. 65 ).

Joseph Nuttin, direttore del laboratorio di psicologia sperimentale e del centro di ricerche sulla motivazione presso l’Università di Lovanio, dice che ogni bisogno dà origine a un’energia di tipo generico, a uno stato di generica tensione energetica dell’organismo che può essere momentaneamente dissolta attraverso una qualsiasi soddisfazione o attività organica: questo anche nei confronti di bisogni vitali.

Certo, esistono dei meccanismi riflessi automatici, per esempio l’istinto di evacuare e di respirare, che non possono essere repressi oltre una certa soglia critica. Ma l’uomo dimostra una grande possibilità di scelta anche nei confronti degli istinti di necessità vitale individuale, come quello della fame e della sete: l’essere umano può riuscire ad esercitare verso questi istinti anche una repressione totale, fino a giungere alla morte e questo senza bisogno di ricorrere all’uso di mezzi coercitivi esterni alla sua persona.

Nell’uomo, a differenza dell’animale, attraverso il controllo della volontà e della ragione, l’energia originata da un bisogno inferiore può anche essere messa a disposizione di una finalità superiore: tale finalità nasce da motivazioni intellettuali e spirituali che, nell’essere umano, sempre si trovano mescolate con bisogni di natura inferiore.

Questo provoca la graduale integrazione e sottomissione dei bisogni inferiori a quelli superiori e anche, se necessario, l’atrofia di certe forme di interesse verso realtà secondarie, atrofia che provoca la liberazione e lo sviluppo di altre disposizioni interiori più elevate e più nobili. Il concetto di sublimazione, nel senso della psicoanalisi freudiana, è erroneo perché non esiste un’energia specifica di tipo sessuale che si converte in attività di altro genere ma esiste il fenomeno della trasposizione cioè dello spostamento dell’energia insita in un bisogno, la sottomissione dei bisogni inferiori ai superiori e anche l’atrofia di interessi secondari e la conseguente liberazione e crescita di forme superiori d’interesse e di motivazione ( cfr Joseph Nuttin, Pasicanalisi e personalità, trad. italiana,ed. San Paolo, Roma 1984, pp. 85-87 ).

Joseph Nuttin dice che in una stessa attività umana forme – inferiori – di bisogni si trovano sempre mescolate a forme – superiori -, si tratta di manifestazioni di uno stesso dinamismo trapassante i diversi piani della vita psichica: gli elementi spirituali costituiscono delle vere – componenti – di un’esperienza specificamente umana dell’istinto in quanto tale. A tale proposito scrive Nuttin: ”- recentemente uno psicologo ci ha detto, descrivendo la sua esperienza personale:- Ho costatato spesso che la soddisfazione e il piacere, provati nel corso delle relazioni coniugali, sono infinitamente più intensi e più“ricchi” ogni volta che realizzo i legami umani e spirituali che mi uniscono alla moglie, e cioè quando mi rendo conto di ciò che “significa “ per me la “persona “ con cui mi unisco.

Tutte le volte, invece, che tali relazioni si svolgono su un piano più esclusivamente sessuale e istintivo, il piacere è meno intenso e duraturo”- ( Joseph Nuttin, ivi, p.312).

Lo psichiatra Giambattista Torellò dice che lo studio del comportamento umano “-(…) ha permesso alla psicologia più recente di riconoscere, nella repressione e nella soddisfazione dei cosiddetti istinti, fenomeni ugualmente propri e confacenti alla natura dell’essere umano, che solo in rapporto ad un’altra serie di valori umani sono in grado di causare salute o malattia, serenità o tensione, piacere o disagio. Ciò che decide la loro positività o negatività, la loro sanità o azione patogena è il quadro d’insieme in cui s’inseriscono, l’atteggiamento fondamentale dell’esistente, le motivazioni libere dello spirito.

Per quanto si riferisce concretamente al cosiddetto “istinto” sessuale, decisivo sarà il ruolo dell’ “amore “: continenza per amore è rasserenante e soddisfacente, così come rasserenante e soddisfacente è il rapporto sessuale per amore -“ (Giambattista Torellò, Dalle Mura di Gerico, note di psicologia spirituale, Ares, Milano 1987, pp.116-117 ).

L’educazione asessuale

Nel campo della sessualità e dell’affettività, la tendenza a gustare il frutto proibito, che trasforma l’altro in un puro oggetto del desiderio, nasce dall’inclinazione al piacere momentaneo e disordinato. Questa inclinazione al piacere disordinato, che la Chiesa Cattolica chiama con il termine di – concupiscenza – , e la conseguente difficoltà ad unire e integrare le varie componenti dello psichismo umano, è comune a tutti gli esseri umani, ma tale difficoltà può essere aggravata da condizionamenti negativi subiti nell’infanzia e nell’adolescenza. Un condizionamento negativo, per esempio, si ha quando il soggetto riceve un’educazione cosiddetta – asessuale -. Nell’educazione asessuale – il sesso è un vero e proprio tabù: l’individuo non viene abituato a gestire, controllare, ordinare l’istinto sessuale per metterlo al servizio dell’amore, in maniera analoga, per esempio, a ciò che viene fatto con l’istinto di aggressività: nei confronti dell’istinto di aggressività, infatti, l’individuo viene abituato, in genere, a svolgere una funzione direttiva e regolatrice in modo da adattare tale istinto alle circostanze, orientarlo verso la realizzazione di un progetto, metterlo al servizio della giustizia e dei diritti degli altri.

Nell’educazione - asessuale – la persona viene lasciata completamente sola e abbandonata dall’educatore e di solito incontra, come unico interlocutore, films e letture romantiche, erotiche o pornografiche. L’amore viene confuso con l’innamoramento e concepito come fatale e struggente attrazione per un partner che deve avere le caratteristiche del proibito, una specie di territorio ignoto da esplorare, al di fuori della vita ordinaria, in modo che si attivi desiderio e dolore, mistero e passione, competizione, lotta e struggenti abbracci, in un’avventurosa ricerca e riconquista del paradiso perduto che viene identificato nell’immagine ossessivamente coltivata dell’altro. Tutto ciò che attiene alla sessualità viene visto o viene fatto intravedere come forza oscura, demoniaca, peccaminosa ma nello stesso tempo terribilmente potente e fascinosa: qualcosa di incoercibile che perseguita e domina l’individuo, che lo seduce e lo chiama, come le sirene di Ulisse, da zone proibite, nascoste, pericolose nelle quali vuole essere servito e adorato.

In questo modo, quando l’esercizio della sessualità dovrebbe diventare lecito, come nel matrimonio, l’individuo perde ogni desiderio sessuale, la sua sana facoltà di godimento sessuale si inceppa, oppure è completamente assente. L’educazione asessuale sviluppa proprio la tendenza a gustare il frutto proibito e in questa maniera si evolve il tipo di individuo che trova e gusta la voluttà sessuale nelle braccia di qualunque partner ma mai del coniuge ( cfr Dr A. Willy Parigi, Dr H. Giese Amburgo, L’Infedeltà coniugale, in enciclopedia della sessualità, a cura di A. Willy e C. Jamont, Borla, Bologna 1974, p.344).

  Anche l’abitudine alla masturbazione, scrive lo psicologo e psicanalista Pierre Daco, membro dell’Istituto internazionale di psicoterapia e della fondazione internazionale di psicologia analitica, “-(…) può impedire relazioni sessuali normali”- perché il soggetto che si masturba si abitua alla sua immaginazione solitaria che coglie le persone non come tali, ma come oggetti sessuali, egli mentalmente si ritira dall’atto sessuale reale che sta conducendo fisicamente perché “- non è (…) l’unione sessuale che gli permette di giungere al piacere, ma unicamente le sue fantasie”-. Quando la conoscenza del partner reale e la reciprocità del rapporto impediscono a questo individuo di considerare l’altro come oggetto sessuale, ostacolando il suo lavoro mentale di astrazione, il desiderio sessuale diminuisce ed egli, per continuare ad alimentare le sue fantasie, ha bisogno della novità e del proibito ( Pierre Daco, Che cos’è la psicologia, trad. italiana, Rizzoli, Milano 1994, p 286 e p. 393 ).

Il complesso di Edipo

Il complesso di Edipo, inteso nel senso generale di desiderio erotico del bambino verso il genitore di sesso opposto, con il tentativo di allontanare, come concorrente, quello dello stesso sesso, non è una scoperta della psicanalisi. La letteratura greca, oltre al mito di Edipo re, ha un testo importante scritto da Platone nella Repubblica. Platone parla di questi desideri sessuali incestuosi che sono presenti in ogni uomo e che spesso si manifestano nei sogni ( cfr Platone, La Repubblica, capitolo IX, 571b e 572 b ).

Il complesso di Edipo viene in genere risolto attraverso l’identificazione con il genitore dello stesso sesso e con la rinuncia al desiderio di possedere il genitore del sesso opposto. La mancata soluzione del complesso di Edipo dà luogo a molti problemi psicologici, in gran parte inconsci, ed è merito di Freud aver messo a fuoco questa fenomenologia.

Quello che non è accettabile è l’interpretazione pansessualista del complesso di Edipo che Freud fa. Per Freud, infatti, il non appagamento sessuale del bambino con il genitore del sesso opposto è all’origine di ogni attività culturale e spirituale, cioè il mito, l’arte, la poesia, la religione sarebbero soltanto manifestazioni deviate di quella energia sessuale primitiva che il bambino non ha potuto indirizzare verso il genitore complementare desiderato ( cfr Joseph Nuttin, op. cit., ed. Paoline, Roma, 1984, pp.47-54 e pp.80-81 ).

Se si riduce ogni forza costruttiva dell’uomo alla sola libido, come fa Freud, non si vede, però, quale potrebbe essere l’elemento in grado di trasformare la libido in attività complesse e superiori come quelle dello spirito umano, né si capisce perché nell’animale non avvenga la stessa cosa: come può il sesso dare origine ad un’attività diversa da quella sessuale?

Inoltre, non si vede neppure da dove potrebbe nascere la resistenza a questa libido. Le censure e le inibizioni sociali non possono dare una spiegazione definitiva e soddisfacente perché tali censure e inibizioni sociali nascono sempre dalle forze dello psichismo individuale e quindi sarebbero, in ultima analisi, il prodotto della libido stessa: ma come può il sesso dare origine alla repressione del sesso?( Joseph Nuttin, ivi, pp.226-227 ).

Torniamo al complesso di Edipo senza l’interpretazione pansessualista di Freud. La sessualità, che nel bambino è presente, diffusa ed inconscia, si attiva all’interno della stessa famiglia quando i sessi complementari si trovano l’uno di fronte all’altro. Prendiamo il caso del bambino: se la normale e istintiva attrazione verso la madre non viene superata attraverso la stima del padre – che assume un ruolo di modello e di guida – ma viene soltanto repressa e rimossa per rispetto e per dovere, giunto all’età adulta iniziano vari problemi di natura psicologica perché il padre è rimasto un rivale: il soggetto prova aggressività e gelosia nei suoi confronti ma nello stesso tempo si sente inferiore e incapace di eliminare questo potente rivale. Da queste problematiche conflittuali non risolte e inconsce nascono diversi disturbi: tendenza esasperata a gustare il frutto proibito, impotenza, frigidità, timidezza, omosessualità, continua paura di essere disapprovato, sentimento di inferiorità, sentimenti di colpa, sentimento di trovarsi disarmato di fronte alla vita o, al contrario, aggressività.

Lo psicanalista Pierre Daco fa questo esempio di disturbo sessuale, dovuto alla non soluzione del complesso di Edipo: tale esempio, egli dice, non è affatto eccezionale ma diffuso e frequente. Un uomo sposato adora sua moglie ma è incapace di avere rapporti sessuali con lei o è incapace di avere rapporti sessuali soddisfacenti perché per lui diventa impossibile conciliare il sesso con l’affetto e con il rispetto. Questo soggetto è attratto in maniera ossessiva dai rapporti sessuali clandestini e proibiti.

Un giorno la moglie, stanca, si fa un amante e immediatamente il marito ritrova la sua normale sessualità con lei. Perché? Perché la moglie, avendo un amante, cessa di essere – come sua madre – ed è – meno degna di rispetto -. Spesso anche i fidanzamenti ufficiali pongono questi soggetti di fronte al loro futuro problema sessuale: ogni fidanzamento ufficiale getta questi individui in uno stato di angoscia, dal quale riescono a venirne fuori soltanto arrivando alla rottura del fidanzamento.

Nello stesso tempo anche questi soggetti, quando sono fidanzati ufficialmente, sono attratti dai rapporti clandestini e da una sessualità di tipo predatorio. Dato che per loro vale il rapporto - rispetto uguale non sessualità -, essi cercano di giungere , se riescono a trovare le occasioni per farlo, ad una rottura del fidanzamento, per poi tornare sulla stessa strada, alla ricerca di un nuovo amore e di una nuova unione. Una volta conquistata una nuova donna, l’angoscia sessuale che subentra cerca di provocare nuovamente la fuga: è questo il destino di Don Giovanni ( cfr Pierre Daco, op. cit., pp. 188-197 ).

I rapporti pre-matrimoniali

I rapporti pre-matrimoniali contribuiscono a costruire l’abitudine di separare la sessualità dall’amore per la totalità della persona, rafforzando la tendenza a gustare il frutto proibito. I rapporti sessuali prima del matrimonio sono rapporti che si svolgono prima che venga realizzata una piena comunione di vita fra i partners e prima che venga preso un impegno definitivo e totale verso l’altra persona: prima di arrivare al matrimonio vero e proprio resta nei fidanzati la concreta possibilità di un ripensamento e quindi è presente in loro una certa riserva psicologica.

Questa situazione fa sì che i rapporti prematrimoniali conducano ad un incontro non personale ma istintivo, che privilegia e rafforza – anche senza volerlo – la ricerca del benessere fisico e/o affettivo. In questo modo la ricerca del benessere fisico e/o affettivo finisce per avere, nella relazione, un ruolo dominante, gli aspetti della persona legati al piacere sentimentale e/o fisico vengono inconsciamente concentrati, fissati, ingigantiti e separati dall’insieme della persona: la vita reale, la comunione di vita, la totalità della persona dell’altro, gli interessi comuni, i progetti comuni, la fedeltà a Dio, la capacità di sacrificarsi, la responsabilità, la capacità di riconoscere i propri errori, la capacità di chiedere perdono e di perdonare, la capacità di ricominciare, insomma, tutto ciò che è fondamentale e non è legato al piacere finisce per avere un ruolo debole, marginale, assolutamente secondario.

I rapporti pre-matrimoniali, per la psicologia esaltante che creano, impediscono la reciproca conoscenza e l’assimilazione vicendevole della personalità. I fidanzati, attraverso il controllo della sessualità, possono conoscersi meglio, possono mettere alla prova la loro capacità di amarsi per gli aspetti integrali della loro personalità, per le idee e le concezioni di vita che hanno, indipendentemente dalle esigenze momentanee dell’istinto: in questo modo possono allenarsi al reciproco rispetto e alla fedeltà ( cfr Catechismo della Chiesa Cattolica n.2350; CEI, Matrimonio e famiglia oggi in Italia del 15 novembre 1969, n.18 in Matrimonio e famiglia nel magistero della Chiesa a cura di P. Barberi e D. Tettamanzi, i documenti dal concilio di Firenze a Giovanni PaoloII, ed. Massimo, Milano 1986, p.658, cfr Congregazione per l’educazione cattolica, orientamenti educativi sull’amore umano del 1 dicembre 1983, n.95, in ivi, p.602; cfr CEI, Evangelizzazione e sacramento del matrimonio del 20 giugno 1975, n.76, in ivi, p.688).

Studi sociologici sui separati – sono state intervistate più di 2500persone – dimostrano che alla base della scelta del partner c’era stata soprattutto l’attrazione fisica, l’aspetto fisico: solo in qualche caso la scelta era stata determinata dal bisogno di voler aiutare e salvare l’altro.

icono gli studi che, inizialmente, l’attrazione fisica fa provare un piacere intenso e questo piacere porta ad attribuire alla persona delle caratteristiche positive – processo di idealizzazione del partner -, questo processo di idealizzazione, con l’entusiasmo che comporta, fa minimizzare le differenze esistenti, facendo credere e sperare che le divergenze – riguardanti il carattere, gli interessi, la concezione di vita – siano facilmente superabili dato il clima psicologico esaltante creato dall’attrazione stessa.

Quando si instaura una piena comunione di vita, la spinta iniziale, cioè la forza propulsiva determinata dal fascino dell’aspetto, diminuisce mentre le divergenze diventano più evidenti e non sono più sopportabili.

La ricerca ha riscontrato che, tra le persone ancora sposate, a differenza dei separati, c’era stata alla base una scelta motivata più da caratteristiche di personalità, da interessi comuni che da attrazione fisica (cfr. Donata Francescato, op.cit., pp.28-38 e p.57).

La persona giusta, ai fini di una relazione coniugale, è, dunque, quella con la quale stiamo bene insieme a parlare – con cui stabiliamo una comprensione e una complicità sulla base dei comuni interessi e della comune concezione della vita – senza la necessità, al fine di mantenere in vita il fidanzamento stesso, di dover provare un piacere intenso per l’aspetto fisico del partner: questo piacere falsifica la reciproca conoscenza della personalità perché dà l’illusione, prima del matrimonio, di poter superare le divergenze e può essere potenziato e prolungato, nei tempi del fidanzamento, attraverso i rapporti sessuali, i quali creano soltanto l’atmosfera di una falsa intimità, una falsa intimità che, durante la vita coniugale, è destinata a sciogliersi e a scomparire come la neve al sole. L’attrazione fisica e l’unione dei corpi sono come dei potenti allucinogeni che possono dare per molto tempo l’illusione di un’unione delle persone.

Ogni innamorato dovrebbe chiedere all’altro: il matrimonio non è soltanto dormire insieme, mi ami abbastanza da aspettare?

Convivenze e matrimoni per esperimento

Oltre ai rapporti pre-matrimoniali, anche le convivenze e i cosiddetti matrimoni per esperimento rafforzano la tendenza a separare la sessualità dall’amore per la totalità della persona.

In queste unioni non c’è un impegno definitivo e totale verso l’altra persona, la ricerca del benessere fisico e/o affettivo finisce per avere un ruolo dominante: il rapporto di coppia viene trasformato in un rapporto di tipo utilitario secondo il quale si rimane insieme solo fino a quando si è in grado di ricavare dalla relazione un utile. Il rapporto di tipo utilitario rafforza e mantiene il narcisismo dei partners impedendo la crescita dell’amore autentico verso la persona.

Solo l’amore vero supera gli ostacoli più gravi, chi cerca nella convivenza o nel matrimonio per esperimento una garanzia sul funzionamento futuro della relazione, ottiene l’opposto di quanto si è prefissato. Infatti, spiega Robert J. Sternberg, docente di Psicologia presso l’università di Yale, che, una volta che questi soggetti si sposano, il loro atteggiamento non cambia, pretendono dalla relazione un continuo entusiasmo affettivo, una completa assenza di problemi, continuano a non accettare le difficoltà, evitano ogni sacrificio e continuano a mettere alla prova i loro compagni: coloro che hanno convissuto vanno più facilmente in crisi degli altri perché sono maggiormente suscettibili ad una condizione psicologica chiamata reazione di difesa di fronte ai problemi che inevitabilmente nascono in ogni matrimonio e che questi soggetti considerano come una vera e propria trappola ( cfr Robert J. Sternberg e Catherine Whitney, L’intelligenza del cuore, Sperling e Kupfer, Milano 1996, trad. italiana, p.10 ). Significativa, a tale proposito, è la ricerca svolta negli Stati Uniti dalla Wisconsin University. Da tale ricerca è emerso che i giovani i quali si sposano dopo un lungo periodo di convivenza sono più soggetti alla separazione rispetto alle coppie che si sposano senza aver convissuto. Entro dieci anni dal matrimonio, il 38% di coloro che hanno vissuto insieme prima del matrimonio si sono separati, contro il 27 % di coloro che si sono sposati senza coabitare. Dunque, all’interno della cultura dell’amore libero, costituita dalla diffusa pratica dei rapporti pre-matrimoniali e dalla mentalità divorzista, la convivenza aumenta dell’11% le possibilità, già elevatissime, del divorzio, rafforzando sensibilmente il narcisismo e l’irresponsabilità dei partners ( cfr. Nereo Condini, Convivere per divorziare, Avvenire, 5 ottobre 1989, p.12 ).

Bruto Maria Bruti