LA CHIESA DELLA SS. TRINITÀ

 

La chiesa della SS. Trinità, un tempo chiamata anche chiesa del Crocifisso, è uno dei principali edifici sacri di Marino non solo per le sue dimensioni, ma anche per le testimonianze storiche e artistiche che la caratterizzano.

Si erge lungo corso Vittoria Colonna, uno dei più importanti tracciati viari della città, sul lato sinistro della strada provinciale in direzione di Grottaferrata e Frascati, al limite estremo del centro abi­tato, qual'era all'inizio dell'età moderna, prima della comunale villa Colonna a Belpoggio. ­

A differenza della coeva basilica collegiata di San Barnaba, la cui fabbrica si erge isolata e assai più imponente, come si conviene ad un duomo, la chiesa della SS. Trinità è inserita e quasi si confonde fra gli edifici civili, nonostante abbia un prospetto slanciato. Inoltre, rispetto alla basilica, che è pure la principale parrocchia di Marino, la chiesa può vantare fin dalla sua fondazione un proprio stato giuridico e una funzione autonoma che per secoli l'hanno contraddistinta.

Origini e fondazione

 

L'edificio sacro venne realizzato nella prima metà del XVII sec., periodo- aureo della crescita urbana e civile di Marino, avviata e in gran parte realizzata al tempo di Filippo Colonna, che resse la città dal 1611 al 1639. Figlio di Fabrizio e di Anna Borromeo, una nipote del famoso cardinale milanese Federico, Filippo (1578-1639), primo della famiglia con questo nome e terzo a portare il titolo di duca di Marino, sposò la nobildonna napoletana Lucrezia Tomacelli.

Egli in quasi un trentennio contribuì a trasformare Marino ancor più di quanto avessero fatto Marcantonio e Ascanio Colonna, fino a farla diventare così come oggi ancora in gran parte la vediamo: la sistemazione definitiva di palazzo Colonna, della piccola piazza Lepanto con la Fontana dei Mori, del Borgo delle Grazie, la creazione

della villa Bevilacqua sulla via Romana e di quella a Belpoggio, con­tigua alla chiesa della SS. Trinità, di cui resta oggi una piccola porzio­ne adibita a villa comunale.

Il nuovo volto urbano di Marino venne pienamente realizzato dal successore Girolamo Colonna, ma le premesse e i progetti si devono in gran parte al duca Filippo, come per la basilica di San Barnaba, che fu compiuta oltre un ventennio o dopo la sua morte.

All' espansione urbana, iniziata a Marino nell'ultimo trentennio del Cinquecento, corrispose un incremento demografico della città, come pure risulta dai registri delle parrocchie di Santa Lucia e di San Giovanni. Molti artigiani e operai giunsero da ogni parte d'Italia attratti dalle possibilità di lavoro offerte in quegli anni da Roma, ma anche dai suoi più vicini centri laziali.

Fra i molti che arrivarono a Marino in quel periodo, a cavallo dei due secoli, vi fu un tale sacerdote don Pietro Gini, nativo di Varese, il quale con suoi denari fece edificare una prima e più mode­sta chiesa di quella attuale e già allora volle dedicarla alla SS. Trinità, poiché secondo quanto viene narrato (1) il prete avrebbe ricevuto un quadro rappresentante appunto il Mistero della divina Trinità dalle mani di Guido Reni, eminente maestro della pittura italiana del tempo, in cambio dell'ospitalità concessa all'artista durante un suo soggiorno a Marino. Molto più probabilmente la scelta sarà stata det­tata dalla divulgazione di motivi teologici e dottrinali seguiti al dibat­tito conciliare postridentino.

Poiché questa prima chiesa era stata costruita a spese di don Pietro Gini, costui ottenne per sé il diritto di patronato sul sacro edifi­cio con un breve concesso da papa Clemente VIII in data l marzo.

1603. Diritto che egli volle venisse successivamente revocato nel 1614 a favore dell'Ordine dei Chierici Regolari Minori di San Lorenzo in Lucina a Roma, detti pure brevemente Caracciolini dal nome del loro fondatore san Francesco Caracciolo.

A questi religiosi donò pure la chiesa, la proprietà di una casa annessa e un lascito di 1.500 scudi, con regolare testamento del 25 giugno 1614, registrato dal notaio Fabrizio Zuccoli di Marino. Poi con un altro testamento del 21 settembre, stesso anno e stesso notaio, il padre Gini istituiva inspiegabilmente suo erede universale Filippo Colonna, duca di Marino (2) e quindi moriva il 26 ottobre successivo. La donazione andò ad effetto comunque a favore dei Caracciolini, grazie anche all'interessamento di papa Paolo V, il quale, con un breve pontificale del 30 gennaio 1615, confermò la dote stabilita della casa e della chiesa, che fu definitivamente assegnata ai religiosi con l'istrumento dell'11 giugno 1615, a condizione che tutti i beni sareb­bero tornati di proprietà dei Colonna, qualora i religiosi avessero deci­so di andar via da Marino. Ai monaci fu pure concessa un'oncia d'acqua della pubblica fontana.

Tuttavia sembra che i Caracciolini siano stati chiamati a Marino fin dai primi anni del Seicento da Fabrizio Colonna e dalla moglie Anna Borromeo e non quindici anni dopo dal loro figlio il duca Filippo, come tramandano le memorie dell'Ordine religioso. Ciò al fine non solo di coadiuvare il clero secolare delle due parrocchie medievali di Santa Lucia sulla rocca del castello e di San Giovanni al Castelletto, ma anche per diffondere la dottrina cattolica fra la popola­zione marinese di circa tremila anime, ritenuta a quel tempo numero­sa, secondo le direttive catechistiche stabilite dal Concilio di Trento.

Di frequente i religiosi effettuavano missioni nella diocesi di Albano, inviati dal cardinale Sfondrato, che li chiamava "suoi Apostoli". Inoltre questi presero a farsi benvolere dalla popolazione di Marino, tanto che questa iniziò a supplicare le autorità civili ed ecclesiastiche, affinché intercedessero presso il papa per riceverne il breve di conferma. Dopo averlo ottenuto, come si è detto, e due giorni dopo il regolare istrumento, il 13 giugno 1615, festa della SS. Trinità, undi­ci confratelli provenienti da Roma solennizzarono doppiamente quella giornata nel porsi al servizio della comunità marinese, presso la quale restarono per circa due secoli.

Tuttavia già nell'anno 1635 i Chierici Regolari Minori avverti­rono la ristrettezza dello spazio messo loro a disposizione venti anni prima e quindi meditarono di edificare una nuova chiesa e una nuova casa, che realizzarono, come dice il Torquati, "a loro proprie spese e con la liberalità del popolo di Marino"; mentre dalla Notizia Historica che contiene le memorie dell'Ordine, si viene a sapere che "Non essendo però la picciolezza della chiesa bastante alla confluenza del Popolo, se n'edificò un'altra più capace, e più bella in sito più nobile, e commodo, dove al presente si ritrova colla casa contigua, la cui struttura come opera della beneficenza commune, che vi contribuì con liberalità divota, ferve non meno di splendore al luogo, che di monu­mento perenne alla pietà di quel popolo".

Il terreno, ove poi venne fabbricata la nuova casa e la Chiesa, i Chierici l'acquistarono da tale Giacomo Grassi, mediante una permuta della loro casa, con istrumento rogato per gli atti del notaio Marco Antonio Terziani del 22 gennaio 1635, previo placito apostolico spe­dito il 2 settembre 1634. In seguito i religiosi acquistarono altri picco­li appezzamenti di terreno confinanti, ma il 27 marzo 1635, fu posta la prima pietra dell'attuale chiesa della SS. Trinità, come pure risulta dall'atto redatto dal notaio Cherubini nella stessa data. L'edificio sacro non era ancora terminato che il 14 giugno 1637 fu trasferito nella seconda cappella a sinistra, per chi entra, un miracoloso Crocifisso dipinto su peperino, di cui si dirà oltre. Narra il Torquati che il relativo masso di pietra fu collocato alla meno peggio nello spa­zio destinato.

L'edificio fu concluso presumibilmente intorno al 1640, anche grazie al contributo del padre generale dell'Ordine Filippo Sante Bargagli, tuttavia ancora nel 1717 papa Clemente XI donò 600 scudi per la costruzione dell'abside; mentre la sacrestia fu realizzata a spese del padre generale dei Caracciolini Battista Bassaletti; il refettorio, il coro, due cantine e il cortile furono realizzati dal padre generale Giovanni Matteo vescovo di Murcia e Cartagena; poi ancora il padre Antonio Lopez fece fare gli stucchi della Chiesa e la gradinata ester­na; il padre Emanuele Lopez fece fabbricare l'appartamento sopra la sacrestia, i gradini dell'altare maggiore ed altre opere. Nel 1747 l'ambasciatore del Portogallo, il commendatore Emanuele Pereyra de Sampajo contribuì all'edificazione dell' appartamento a levante, ove fu ricevuto il 17 giugno 1749 il papa Benedetto XIV, che vi pranzò con il suo seguito. A memoria di tale avvenimento fu apposta poi una lapide.

Da parte sua il duca di Marino Filippo II, figlio di Lorenzo Onofrio Colonna, concesse ai religiosi il 2 luglio 1713 una consistente striscia di terreno che scorporò dalla villa di Belpoggio realizzata dal suo omonimo antenato, in cambio di un riconoscimento simbolico del debito, pari a due libbre di cera l'anno. L'atto di concessione, registra­to dal notaio Zuccoli di Marino e poi Damiani di Albano, consentiva ai Chierici di poter disporre di un terreno sufficiente al proprio sosten­tamento diretto o indiretto.

L'appezzamento di forma molto allungata e in forte pendio coincide pressappoco con l'attuale fascia di case popolari, che si ele­vano lungo via Monsignor Grassi, sul terreno retro stante la Chiesa della SS. Trinità e digradante fino alla quota sotto stante di piazza Europa, divenuto di proprietà del Comune di Marino a seguito della confisca dei beni ecclesiastici non parrocchiali dopo il Venti Settembre del 1870.

Nel 1703 della cappella della Madonna di Ogni Bene venne ceduto il diritto di patronato a don Patrizio Silvestri e altrettanto di un'altra cappella nel 1740 a favore del facoltoso marinese Emilio Marchetti. La Chiesa inoltre disponeva anche di una cripta, nella quale trovarono posto le tombe di alcune illustri famiglie del luogo, come i Fumasoni, i Marchetti, e i Silvestri.

L'organizzazione dell'istruzione e il Collegio gregoriano

Tra la fine del Seicento e i primi anni del secolo seguente sia le istituzioni che le famiglie meno abbienti avvertirono la necessità di una più diffusa istruzione. Comparvero nuovi istituti scolastici religio­si, come i Fratelli delle Scuole Cristiane (1702), detti pure i Carissimi. Così pure non furono più soltanto i figli maschi a beneficiare del generale processo di alfabetizzazione, che si estese progressivamente anche alle figlie femmine. Pertanto nel 1688 a Roma fecero la loro comparsa le suore Orsoline e nel 1707 iniziò la sua preziosa opera didattico religiosa il nuovo e dinamico istituto delle Maestre Pie Venerini che, a Marino, giunsero ad aprire una casa con scuola popo­lare il 15 agosto 1732.

Considerando complessivamente carente l'istruzione superiore il consiglio comunale di Marino stipulò una convenzione il 30 dicem­bre 1766, atto notaio Fiorelli, con i Caracciolini per l'istruzione della pubblica gioventù. Per tale servizio i religiosi ricevettero dal Comune 80 scudi annui per la retribuzione ai maestri e per sostenere le spese del mantenimento dei locali. In cambio i Chierici Regolari Minori si obbligavano a fornire tre maestri, uno per la scuola dei rudimenti, cioè elementare, il secondo per la grammatica e la retorica, il terzo per la filosofia.

Con il passare degli anni i religiosi tennero sempre meno fede alla convenzione, al punto che nella seduta consiliare del 9 settembre 1818 i rappresentanti pubblici riferirono della totale disorganizzazione della seppur esile struttura scolastica gestita dai Caracciolini. Inoltre denunciarono l'inosservanza degli obblighi assunti dalla controparte che praticamente aveva smesso l'attività didattica per mancanza di maestri.

Nella successiva seduta del 16 novembre si decise di indire un concorso per soli due maestri, il primo insegnante di studi inferiori con lo stipendio di 90 scudi annui, il secondo di studi superiori, paga­to con 110 scudi l'anno. I nuovi maestri appena nominati non riusciro­no, con la generale protesta delle famiglie, a far fronte a tutte le domande dei giovani marinesi che chiedevano di essere istruiti a quel­la scuola istituita dal Comune nei locali dei religiosi.

Il priore del Municipio, Lorenzo Ingami, nella seduta del 17 dicembre 1828 proponeva di avanzare una istanza al Santo Padre per la soluzione dell'annoso problema dell'istruzione pubblica a Marino, richiamando i Chierici all'osservanza del contratto. Istanza che fu effettivamente inoltrata al papa tramite il cardinale Bertazzoli, prefet­to degli studi, e per conoscenza anche a Piccadori, proposito generale dei Caracciolini. Ci furono anche numerosi incontri fra autorità eccle­siastiche e fra queste e la comunità locale. La situazione non si sbloc­cava, mentre gli anni passavano. Il consigliere Cesare Paiella propose allora in seduta di vendere la casa per pubblico beneficio, qualora i religiosi continuassero nella loro inerzia. Le promesse di Piccadori si protrassero di anno in anno, fino al 1835, quasi sempre disattese, fin­ché intervenne di persona papa Gregorio XVI, il quale invitò i Chierici Regolari Minori, privi di validi elementi per gestire l'inse­gnamento e per assumersi impegni che non potevano materialmente mantenere, a consegnare la Chiesa, l'annesso convento con la biblio­teca, i mobili e tutte le altre suppellettili ai Padri della Dottrina Cristiana, detti pure Dottrinari. Di tale decisione veniva informato immediatamente il cardinale vescovo di Albano.

Finalmente ad ottobre dell'anno 1835 fu riaperta la scuola ai giovani marinesi, un'azione direttamente conseguente alla lettera apo­stolica del 3 luglio di quello stesso anno, con la quale il papa elevava Marino al rango di città.

In seguito Gregorio XVI tornò sull'argomento istruzione pub­blica il 12 dicembre 1837 con una lettera indirizzata al cardinal Mattei protettore di Marino, nella quale il papa destinava in perpetuo al Comune di Marino tutto l'immobile rilevato ai Caracciolini e conse­gnato in gestione ai Dottrinari, con l'impegno di mantenere l'edificio e di non destinarlo ad altre attività diverse da quelle scolastiche, per il quale il collegio era nato.

Fu aperto un convitto per i giovani dagli otto ai quindici anni e si introdusse nel collegio una ferrea disciplina regolata da un rettore, che disponeva a suo giudizio circa l'orario, le materie insegnate, il modo di vestire durante le stagioni, i provvedimenti disciplinari e tutte le norme relative alle pratiche religiose svolte in comunità o singolar­mente, come l'apprendimento del catechismo e la partecipazione alla santa messa.

Le materie insegnate erano: la grammatica, l'umanità, la retori­ca, la filosofia e la teologia, mentre il corso scolastico completo era articolato in cinque cicli didattici, o scuole. Al livello più basso era la scuola dei primi elementi della durata di quattro anni e vi si insegna­vano la lettura e la scrittura sia in italiano che in latino. Poi c'era la scuola di grammatica inferiore della durata di due anni, suddivisi in classe infima e classe suprema, nella quale si apprendevano il latino, la geografia e l'aritmetica. Seguiva la scuola di grammatica superiore, anche questa suddivisa in due classi, dove il programma del biennio precedente veniva approfondito ulteriormente con l'aggiunta dell'ortografia, della storia greca e romana e dello studio degli autori classici latini. Al quarto livello era la scuola di umanità e retorica, dove si approfondiva e si affinava la cultura classica. Per ultima la scuola di filosofia che in un biennio consentiva di conoscere prima la logica, la metafisica e la matematica, poi la fisica e l'etica. Nelle esposizioni, sia da parte dei docenti, che degli allievi, si usava corren­temente il latino, mentre solo per la matematica e per la fisica si usava l'italiano (3).

Per decenni i Dottrinari si adoperarono per l'istruzione e per l'educazione della gioventù marinese e non soltanto di questa, dal momento che giungevano al collegio gregoriano studenti da altre parti della Comarca. Da qui uscirono molti professionisti e gran parte della classe media del tempo. La scuola godeva di una notevole reputazio­ne, di cui si trova traccia, anche a distanza di molti anni dalla forzata soppressione, nei dibattiti dei consigli comunali.

Tanto fu il beneficio ricevuto dalla città con l'istituzione di questo complesso scolastico che i marinesi non mancarono di espri­mere la loro gratitudine apponendo un'epigrafe sul fronte del collegio che così recita: GREGORIUS XVI P.O.M.! COLLEGIUM MARI­NENSEI INSTITUITI ANNO MDCCCXXXV. Quindi il Comune ingrandì e abbellì i locali del collegio portando la scuola a ottimi livelli di accoglienza e di istruzione medio alta, rendendo quello di Marino per importanza uno dei primi istituti della provincia.

Il primo rettore della scuola fu tale don Raimondo Cesaretti. I Dottrinari restarono a Marino fino al 1871. Infatti con la promulgazio­ne della circolare luogotenenziale del 2 dicembre 1870 le amministra­zioni comunali vennero invitate ad entrare in possesso di tutti i lasciti a beneficio della pubblica istruzione. Essendo stati invitati ad andarse­ne con le buone e poiché i Dottrinari non intendevano farlo, nella seduta del 7 agosto 1871 i consiglieri rivendicarono, tramite il tribu­nale di Roma la requisizione dell'edificio adibito a collegio, della chiesa, delle suppellettili e di ogni genere di rendita connessa (4).

La furia laicista delle prime amministrazioni liberali e masso­niche soppresse ciecamente e incoscientemente la scuola, senza sosti­tuirla con nessuna altra forma di istruzione e, in tal modo, disperse un importante patrimonio culturale, cui i successivi pubblici amministra­tori non hanno mai voluto o saputo porre riparo (5).

In tal modo i Padri Dottrinari dovettero lasciare Marino, men­tre tutto il complesso venne occupato da uffici comunali, abitazioni di impiegati pubblici e aule di scuole elementari. La chiesa fu abbando­nata a se stessa, e nei verbali pubblici non compare più come l’edifi­cio sacro dedicato alla Santissima Trinità, o al Crocifisso, ma come la "chiesa comunale del collegio". Di quando in quando il Comune provvedeva ad affidare a qualche sacerdote l'incarico di svolgervi i riti sacri.

Nel 1884 gli uffici comunali si trasferirono nella nuova sede prospiciente la piazza del Municipio, oggi piazza Matteotti, ed il Collegio in gran parte restò disabitato e abbandonato. Poi il 15 gen­naio 1919 il marchese Achille Fumasoni Biondi acquistò per £. 60.000 l'immobile donato da papa Gregorio ai marinesi poco meno di un secolo prima! Lo scopo dell'amministrazione locale era quello di favorire l'istituzione di una scuola privata di tipo tecnico commerciale e agrario. Tuttavia appena qualche mese dopo la vendita il nuovo pro­prietario ricevette dal Ministero della Guerra £. 85.000 per i danni causati dal passaggio di truppe durante il periodo bellico 1915-1918. Al marchese fu pure concesso di far officiare nella chiesa della SS. Trinità e di restaurarla, come avvenne effettivamente nel 1920, pur rimanendo il Comune proprietario del solo edificio sacro.

Il collegio, anch'esso restaurato, fu dato dal marchese in gestione per un decennio ai Padri Giuseppini per l'istruzione superio­re della gioventù marinese. A sua volta il 29 gennaio 1930, atto notaio Filodoro, il Comune riacquistò dal marchese per la "modica" cifra di £. 650.000 i terreni annessi e l'edificio, che nel frattempo era ormai chiamato nell'uso comune e negli atti pubblici "Palazzo Fumasoni Biondi", o "Convitto Maria Fumasoni Biondi" dal nome della consorte del nobiluomo. Nel 1930 i Giuseppini lasciarono Marino, anch' essi come i Dottrinari scacciati dall'amministrazione comunale, e trasferirono nel vicino Comune di Albano l'istituto "Leonardo Murialdo". Il Comune di Marino, lasciando la chiesa alla sua funzione religiosa, utilizzò variamente l'antico collegio gregoria­no, insediandovi uffici e, di nuovo, le scuole elementari, con il proget­to di trasferirvi la Regia Scuola d'Arte, intitolata all'incisore marinese Paolo Mercuri. Tuttavia, sebbene fossero stati fatti diversi lavori di adattamento negli anni successivi, la Scuola d'Arte rimase per molti decenni ancora nelle aule di palazzo Colonna. Il complesso fu adibito anche a centro per la colonia estiva intitolata a Sandro Mussolini, durante il regime fascista. Negli anni dell'ultimo dopoguerra vi fu ospitato l'Istituto Tecnico Commerciale "Michele Amari", trasferitosi poi, circa venti anni fa, in località Pantanella, oggi nel Comune di Ciampino. Intorno al 1979 il collegio gregoriano fu definitivamente chiuso, perché fatiscente. Verso la fine degli anni Ottanta il Comune, ottenuti i finanziamenti per il restauro dell'immobile, iniziò i lavori che si sono conclusi non più di tre anni fa. Solo allora la Scuola Statale d'Arte "Paolo Mercuri" ha potuto trasferirvisi, facendo tornare il fabbricato alla sua antica funzione.

 

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