I restauri della nostra Chiesa

 

 

 

 

 

Immagini del restauro della chiesa

Il restauro del polittico di Luca Mombello di Pier Virgilio Begni Redona

 

L 'architettura massariana

Ora che l'interno della nostra chiesa prepositurale è stato ripulito e restaurato in ogni suo elemento, invaso dalla luce riversatavi dentro dalle ampie finestre e rilanciata dalla lucentezza del nuovo pavimento marmoreo, è possibile cogliere la prepotente bellezza di questa grande aula, stilisticamente assegnabile alla progettazione del famoso architetto veneziano Giorgio Massari (Venezia l687-l766), anche se, almeno per ora, i documenti d'archivio indirizzano su un percorso attributivo non perfettamente lineare.

Infatti la prima notizia attendibile (attendibile sicuramente perché fornita da Pellegrino Orlandi nel suo Abecedario pittorico, pubblicato a Firenze nel 1788) ci informa che la soprintendenza ai lavori per la costruzione della chiesa di Gussago fu assunta dall'architetto bresciano Gaspare Turbini, il quale però "segui i disegni di un architetto veneziano". Ma quale architetto? L'Orlandi non lo specifica.

Vi è poi un altro indizio, che la maggior parte degli studiosi del Massari ritiene pertinente alla parrocchia di Gussago, contenuto in una lettera che il Massari stesso, impegnato nella costruzione della chiesa di Santa Maria della Pace a Brescia, invia al fratello laico Giacomo Scalvi, membro della Congregazione dei Padri Filippini della Pace e suo "luogotenente" nella direzione dei lavori, il 19 marzo 1737 da Venezia: in quella lettera il Massari informa il suo interlocutore che quanto prima gli avrebbe spedito "il disegno di Cellatica".

Ora, siccome non sono state mai rintracciate opere del Massari in Cellatica, si pensa che l'architetto intendesse riferirsi a Gussago. Sono però moltissime le tracce che permettono di stabilire un rapporto puntuale della prepositurale di Gussago con la chiesa bresciana della Pace. Di questa chiesa l'interno della nostra prepositurale sviluppa la medesima pianta, con un linguaggio architettonico più evoluto verso il neoclassicismo, ma con la stessa scansione delle semicolonne e lesene binate poste su alto basamento (qui a Gussago più alto di quanto non sia alla Pace) e con la stessa ampia spazialità nonostante la mancanza della cupola. Le splendide semicolonne rosate (che immettono nella grande sala massariana un elemento marcato di gioiosa luminosità) sono costruite volutamente sul modello di quelle della Pace; alla chiesa della Pace rimandano anche le strutture degli altari delle cappelle laterali, soprattutto nel disegno delle ancore e nella scelta dei materiali che le compongono. Questo costante riferimento alla chiesa della Pace non deve sembrare strano o bizzarro, in quanto questo capolavoro dell'architettura settecentesca in Brescia, riuscì ad attrarre decine di architetti per tutto il secolo, poiché divenne subito sinonimo di perfezione e di equilibrio, un trattato vivo di splendida architettura.

In ciò risiede anche la spiegazione del perché la nostra parrocchiale, molto eterogenea negli elementi che la definiscono su un arco di tempo che scorre dalla seconda metà del Settecento al primo Novecento, offre nel suo complesso un senso di armoniosa unità. Merito anche, e non piccolo, dei vari artisti che di volta in volta si inseriscono con il loro specifico apporto.

 

La decorazione pittorica

Per una migliore e più facile comprensione di come si sia definito l'attuale aspetto decorativo dell'interno, è più opportuno condurre una lettura a ritroso, partendo dagli interventi più recenti, quelli realizzati nel 1904-1905 per iniziativa del prevosto mons. Giorgio Bazzani. Molto importante per renderci conto di com'era la situazione del 'cielo' di copertura della chiesa tutta intera, è una lettera dell'architetto bresciano Antonio Tagliaferri (1835-1909), persona di molto prestigio a quel tempo, in risposta a quesiti formulati dal prevosto e dalla fabbriceria circa il da farsi.

Questa lettera datata da Milano 26 gennaio 1904, indirizzata dall'onorevole signor Presidente della fabbriceria parrocchiale, delinea l'ordito generale della decorazione da attuare da parte di tre operatori: il pittore Gaetano Cresseri per le parti concernenti gli affreschi con figure; il pittore Giuseppe Trainini per le parti riguardanti le pitture esornative e la doratura degli stucchi; i fratelli Antonio e Giuseppe Fontana per le parti di ornamento in rilievo da realizzare a stucco.

Dalla citata lettera del Tagliaferri del 26 gennaio 1904, ed è questa la parte più importante, si apprende però che nel soffitto della chiesa, i due campi più ampi, quello che copre il presbiterio e quello al centro della navata (cioé le due "medaglie" maggiori) erano già affrescate: e l'architetto interpellato non è orientato verso una loro drastica distruzione. Scrive infatti: "se la medaglia dipinta nella cupoletta del presbiterio circa la fine del secolo XVIII, è abbastanza buona da meritare la sua conservazione, quella invece nel campo della chiesa, se bene mi arricordo, è di molto più scadente, e, contornata che fosse da pitture ornamentali buone e fresche di colore scapiterebbe ancor più, per cui io consiglierei a farla nuova". Purtroppo nelle valutazioni del Tagliaferri non si fa menzione del nome dell'affreschista che eseguì questi dipinti né dei soggetti rappresentati: è probabile che se ne fosse perso il ricordo, altrimenti non si giustifica il giudizio sbrigativo del Tagliaferri che pure era persona molto colta, stimata, consultata e amante dell'arte oltreché professionista di grande peso nelle intraprese architettoniche. Il nome del pittore è, infatti, Francesco Monti (1685-1768) ed i soggetti rappresentati erano gli stessi che poi rifece il Cresseri.

 

La perduta decorazione di F. Monti

L'importante notizia è contenuta in un manoscritto conservato ora nella biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna, con tutte le notizie storiche circa la vita e l'attività di Francesco Monti, redatto dalla figlia Eleonora che fu pittrice sempre al seguito del padre, coadiuvandolo nell'esecuzione di varie commissioni e soprattutto abile nei ritratti. Per quello che ci riguarda, troviamo scritto da Eleonora Monti che il padre affrescò "a Gussago tutta la volta di quella Parrocchiale: nel coro una medaglia esprimente gli apostoli che stanno attorno al sepolcro della Vergine; nella chiesa un'altra grande in mezzo, cui v'è la Vergine Assunta al Cielo con diversi Angioli". Francesco Monti nasce a Bologna nel 1685 e muore nel 1768. Impara l'arte a Modena alla scuola del pittore Sigismondo Caula, poiché la sua famiglia si era trasferita in quella città, ma nel 1704 fa ritorno a Bologna e si pone alla scuola Gian Gioseffo Dal Sole che in quella città promuoveva una pittura fuori dagli schemi accademici, più libera ed ariosa, molto attenta a modulare con esiti di forti contrasti (vibranti sfavillii e gelidi adombramenti) i valori della luce.

Il Monti divenne presto un pittore molto ricercato per grandi imprese d'affresco accanto a un numero sempre crescente di commissioni di opere da cavalletto per chiese e palazzi. Il suo primo soggiorno bresciano è del 1736, su chiamata del marchese Pietro Emanuele Martinengo di Pianezza per eseguire a fresco lavori di decorazione nel suo nuovo palazzo (ora sede dell'Istituto Ballini in corso Matteotti); nel 1737 si stabilì definitivamente in Brescia per eseguire (insieme con Giovanni Zanardi, bolognese come lui) gli affreschi che decorano la chiesa e la sagrestia della Pace, che lo impegnano dal 1738 al 1744.

Da questo momento in avanti si susseguono le commissioni, probabilmente indotte dal successo ottenuto con la decorazione della Pace: e il Monti eseguì splendidi cicli decorativi a fresco in chiese e palazzi dislocati nel territorio bresciano e fornì bellissime pale d'altare, gareggiando con Tiepolo, Pittoni, Cignaroli, raggiungendo e consolidando un suo stile personalissimo, ripreso poi da una numerosa scuola.

Il fatto che il Monti sia stato chiamato a decorare il grande soffitto della nostra chiesa parrocchiale offre un argomento in più per sviluppare il discorso del parallelismo tra la chiesa della Pace e la Prepositurale di Gussago, da guardare come il momento più convincente dell'affermarsi dello stile del Massari in territorio bresciano, tenuto conto, soprattutto, della perfetta sintonia documentata fra il Massari e il Monti nel realizzare la "grande creatura" di Santa Maria della Pace. E, ovviamente, ciò accresce il rammarico per la distruzione di questi lavori di Gussago.

 

Le pitture di Gaetano Cresseri

Anche i dipinti del Cresseri riescono nel complesso molto dignitosi e di ottima esecuzione tecnica. Questo artista, nato a Brescia nel 1870 e morto nel 1933, quando ebbe la commissione per questi affreschi di Gussago, era al colmo della sua vivacità artistica, con alle spalle una solida formazione e una serie di riconoscimenti che datavano addirittura da quando aveva soltanto tredici anni, ma già fornito di una capacità tecnica che lo rendeva esecutore sicuro e rapido.

Non a caso il vecchio e celebre pittore Ludovico Pogliaghi scelse il giovane Cresseri per mandano sui ponti altissimi della cattedrale di Genova a tradurre in ottima pittura a fresco i cartoni da lui preparati. Il Cresseri non cede mai alla tentazione di un decorativismo enfatico, così come non propone schemi innovativi: nella sua arte appare piuttosto la solida assimilazione dei modi dei grandi frescanti del Cinquecento e del Settecento, tanto che nei lavori eseguiti qui a Gussago gli esiti ottenuti armonizzano molto bene col discorso complessivo impostato dall'architettura veneziana. Nell'archivio parrocchiale è conservato il documento che registra il tenore degli impegni assunti dal Cresseri, così come quelli dei suoi collaboratori. Con scrittura dcl febbraio 1904 (manca l'indicazione del giorno) il pittore si assume l'obbligo con la Fabbriceria, rappresentata da Francesco Maffessoli, Angelo Trebeschi e Giuseppe Albertini, " di dipingere a fresco in tutta regola d'arte le cosiddette medaglie della volta, due delle quali in luogo e sostituzione delle attuali, una sull'abside in forma di trittico giusta il progetto di decorazione dell'architetto Tagliaferri, una minore nel prospetto dell'arco maggiore al presbiterio, e due delimitate dai due spazi maggiori inquadrati dalle cornici decoranti la volta centrale in corrispondenza ai quattro altari minori giusta le norme tracciate nel predetto progetto Tagliaferri".

Il soggetto da rappresentare nelle singole medaglie sarà determinato per incarico della Fabbriceria dal Prevosto di Gussago, assumendosi il Cresseri di eseguire lo sviluppo con quel convincente numero di figure che è voluto dall'uso e dall'arte. Il prezzo è determinato in Lire 5.000,00 che la Fabbriceria sborserà per il complesso di tutta l'opera in quattro rate annue se l'opera verrà compiuta entro un biennio.

Il pittore rispettò il contratto in ogni sua clausola. Raffigurò nel trittico dell'abside, in spazi ben delineati da cordonature di stucchi dorati, le tre figure femminili delle virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. Sono tre figure molto ben eseguite sia nel loro costrutto plastico sia nel senso dinamico che producono (soprattutto la Speranza che sfida le bufere), e nella gamma coloristica.

Il restauro ora operato, togliendo sporcizia e incrostazioni, ha ridato vitalità e vivezza ai colori e splendore ai rivestimenti aurei degli stucchi (ed è oro autentico, in foglia!) portando il catino absidale ad essere uno dei punti più luminosi della chiesa. Nella medaglia circolare al centro del presbiterio dipinse l'Assunzione di Maria Vergine al cielo, sovrapponendo perciò il suo affresco a quello preesistente del Monti, senza che oggi si possa sapere se prima non l'abbia distrutto.

Il pittore pose qui una firma a grandissime lettere capitali, G. CRESSERI; e viene il sospetto che questa firma in forma di epigrafe, ben visibile anche dal basso, sia stata messa così proprio per rendere evidente e tangibile l'avvenuta sostituzione del dipinto. Un'altra epigrafe campeggiante, G. CRESSERI 1905, del resto, figura anche nella grande medaglia ovale dipinta al centro della chiesa, con la raffigurazione dell'Incoronazione di Maria come Regina degli Angeli e dei Santi, dipinto, anche questo, sovrapposto a quello precedente di Francesco Monti.

In questi due lavori il Cresseri, padrone delle costruzioni con arditezza di prospettiva e di scorcio, fa sfoggio di accostamenti di colore d'un piacevole cangiantismo, non sconveniente allo stile stesso del Monti, al quale forse un poco si ispira.

 

Le piccole medaglie monocromate

Un'analisi attenta meritano anche le quattro piccole raffigurazioni a grisaille, cioè in monocromo grigioverde, con voli di angeli - fanciulli recanti dei filatteri con scritture bibliche in onore della Madonna. Dal contratto con il Cresseri, molto dettagliato, apprendiamo che al pittore ne fu affidata la realizzazione di tre: quella sull'arco del presbiterio con la scritta ECCE ANCILLA DOMINI; quella nel tratto della volta tra i due altari minori più prossimi al presbiterio con la scritta FECIT MIHI MAGNA QUI POTENS EST e quella del tratto tra i due altari minori prossimi alla porta d'ingresso col motto DICIT MATER JESU VINUM NON HABENT. Stando così le cose vien da pensare che la medaglia con gli angeli e il motto BEATAM ME DICENT OMNES GENERATIONES, dipinta sul prospetto della porta esistesse già prima dell'intervento del Cresseri e che il Cresseri stesso, realizzando le altre tre, altro non abbia fatto se non completare una decorazione iniziata dal Monti, il quale potrebbe aver eseguito questo piccolo riquadro quando furono posti i palchi per decorare il grande lunettone che poi fu invece dipinto dall'Inganni. Non si dimentichi nemmeno che in questo particolare tipo di pittura a monocromo il Monti si è sempre dimostrato molto incline e versato.

 

Le pitture decorative e gli stucchi

Il restauro attuale ha però recuperato ed evidenziato anche la bellezza delle altre parti che concorrono a dare splendore alla volta della chiesa, e che scendono anche a coprire molti spazi nelle murature, soprattutto le fiancate delle due cappelle maggiori.

E proprio qui che si rivelano l'impegno e la capacità di Giuseppe Trainini e dei fratelli Fontana. Il pittore Trainini si impegnò per la pittura non figurata e la decorazione degli stucchi. Il contratto venne stipulato nello stesso mese di febbraio 1904 (manca anche in questo atto la precisazione del giorno): con questa scrittura il pittore si "assume l'obbligo di seguire a tutta regola d'arte la decorazione, in conformità al relativo progetto predisposto dall'architetto Tagliaferri in ogni sua particolarità".

In un'altra scrittura del 10 gennaio 1904, il Trainini si dichiara impegnato con la Fabbriceria e vincolato a tutti gli obblighi elencati nel precedente contratto per riguardo a pitture, stucchi, dorature, ecc., nonché al collaudo di un architetto di vaglia da designare dalla Fabbriceria. Il compenso per tutta opera è fissato fra le parti nella cifra di lire 6.400,00 che la Fabbriceria sborserà al Trainini in quattro rate annuali. Il contratto con i fratelli Fontana è stipulato in data 2 marzo 1904; con esso si impegnano "di eseguire la stuccatura a lucido di tutte le colonne e lesene e del fregio ricorrente fra i due cornicioni, a imitazione del marmo, giusta il disegno e le tinte segnate nel relativo progetto di decorazione predisposto dall'architetto signor Tagliaferri, comprendendo tutte le comici e sagomature a partire dalla base marmorea delle colonne al relativo capitello, e coll'avvertenza che il fregio sarà ridotto a stucco nella sua parte visibile dal basso, giusta le indicazioni che darà la Fabbriceria (....) che pagherà per detta opera il prezzo di lire 3 e 70 centesimi per ogni metro quadrato di stucco lucido eseguito". Il progetto Tagliaferri prevedeva che le colonne dovevano imitare la calda tonalità rosacea di quelle della Pace, che, com'è noto, sono state ricavate dal marmo di Botticino nell'unica vena rosata rinvenuta in quelle cave: e fu un suggerimento quanto mai opportuno, poiché il pacato e piacevole colore delle semicolonne e lesene della nostra prepositurale, in dialogo col fascione del fregio continuo posto fra i due cornicioni, anch'esso di finto marmo della stessa tonalità, contribuisce in modo decisivo a comporre il magico equilibrio luminoso, assai gradevolmente percepibile quando la navata è inondata dalla luce filtrata dagli ampi finestroni.

Questi lavori congiunti, dei pittori e degli stuccatori con i loro aiuti (nel caso del restauro è stata ritrovata anche una firma del giovanissimo Vittorio Trainini che lavorava qui con lo zio) conferivano alla chiesa la realtà di un fervido e attivo cantiere. Ma è da rilevare, soprattutto, la rapidità con cui procedevano i lavori stessi.

Già in data 6 novembre 1904, il Tagliaferri scrive da Brescia al Presidente della Fabbriceria: "In evasione al desiderio manifestatomi dalla S.V. nonché mio, ieri l'altro ho effettuato la visita di collaudo ai lavori di decorazione del Coro e Presbiterio di codesta Chiesa Parrocchiale stati testé eseguiti sulla base del mio progetto. In seguito dunque ad una diligente esamina dei su accennati lavori, sono lieto di manifestare alla S.V. la mia piena approvazione dei medesimi, avendo con compiacenza constatato la fedele interpretazione del mio progetto. L'intonazione generale è quale io l'aveva concepita, la parte ornamentale è stata eseguita dal decoratore Trainini con intelligenza e abilità, la parte figurata eseguita dal distinto artista Cresseri, nell'assieme è assai armoniosa; si può trovare qua e là qualche piccola osservazione a fare, ma sono cose di lievissimo conto ed inerenti alle condizioni di lavoro, il quale non permetteva all'artista, stando sui ponti, di poter calcolare e prevedere l'effetto che deve fare alla distanza di molti metri, ma ripeto sono cose insignificanti.

Nel mentre di nuovo mi compiaccio manifestare alla S.V. la completa mia approvazione all'opera fin qui eseguita, colla massima stima ed osservanza pregio dirmi della S.V. devotissimo Arch. Tagliaferri Antonio".

 

L 'affresco di Angelo Inganni

Altra parte ben integrata nella decorazione della prepositurale è il bellissimo affresco raffigurante Mosè che fa scaturire l'acqua dalla roccia, dipinto nel lunettone sopra la porta d'ingresso dal pittore Angelo Inganni e terminato nel 1868 come risulta dalla firma e dalla data (perfettamente recuperate nel restauro) apposte sul dipinto stesso (in basso a destra) oltreché da una solida documentazione d'archivio.

La commissione all'Inganni di questo importantissimo affresco risale al mecenatismo del nobile Paolo Richiedei, il quale corrispose al pittore una caparra di 500 lire. Venuto però a morte il nobile mecenate, il 16 ottobre 1869, il pittore si trovò senza possibilità di ottenere il saldo per l'opera compiuta, tanto che, circa un anno dopo la morte del Richiedei, il pittore Inganni si rivolse alla Fabbriceria con lettera del 19 dicembre 1870 in cui chiede di "essere edotto cosa intenda di fare relativamente alla Medaglia già compiuta da due anni e più, rappresentante Mosé al Sinai; e per la quale non ricevetti che una caparra di lire cinquecento, non essendo decoroso né per me né per la Fabbriceria il rilasciare la cosa in tanta incertezza". Nel carteggio c'è poi il silenzio di un intero anno, durante il quale, tuttavia, è probabile che ci sia stato più di un tentativo per comporre in forma onorevole il contenzioso tra il pittore e la Fabbriceria. Almeno così sembra sia possibile evincere da una lettera dell'Inganni al prevosto del tempo, Bortolo Alberti, datata dalla Santissima il 31 dicembre 1871, in cui parrebbe che il medesimo prevosto si fosse posto come garante, insieme ad altro sacerdote membro della Fabbriceria, d'un pagamento che invece continuava ad accumulare mesi di pendenza.

Il tono della lettera è conciso ma perentorio: "Eccoci allo scorcio dell'anno, anzi all'ultimo giorno; quindi invio mille felicitazioni a Lei ... ed al Sig. D. Napoleone, non senza dirle che la loro parola ritenni sicura e la ritengo qual cosa sacra..."

La lettera di risposta non dovette essere soddisfacente per l'Inganni, poiché in data 2 gennaio1872 replica prontamente al prevosto Alberti: "Reverendis.mo Amico! La sua lettera che testé ricevetti, nulla mi rassicura rapporto al pagamento della Medaglia da me dipinta in sua chiesa circa quattro anni fa.

Non credeva ricevere una tale risposta, mentre la mia lettera rammentava a Lei e al Sig. D. Napoleone, che sin dell'anno scorso nel mese di gennaio, mi avevano promesso che allo scorcio dell'anno stesso mi avrebbero sborsato la somma di mille franchi, e ch'io le chiesi se ne poteva far conto e loro mi risposero di farne pur conto che i denari erano pur già destinati.

Ora mi sento dire che D. Napoleone parlerà ai suoi compagni per vedere di concludere qualche cosa. Domando a Lei, cosa io devo pensare col recente esempio d'avermi così mancato di parola? In verità è ora di finirla; mi dicano a dirittura come la pensano rapporto a questo affare, e mi assicurino che entro qualche giorno avrò un acconto, diversamente già che sono passati i limiti dell'educazione ricorrerò ove s'aspetta onde definire tal pendenza...". Il tono perentorio e in parte minatorio della lettera dell'Inganni provoca una convocazione d'urgenza dalla Fabbriceria, che si riunisce il 1 gennaio 1872. Dal verbale apprendiamo che i fabbriceri ribadiscono innanzi tutto che, risalendo la commissione dell'affresco al defunto Paolo Richiedei, la Fabbriceria di questa chiesa non può, per ciò, essere chiamata sotto qualsiasi pretesto al pagamento del Sig. Inganni, mancando assolutamente, con essa, ogni preventivo accordo o contratto né scritto né orale. Tuttavia deliberano che in vista della deferenza dovuta al merito del Sig. Cav. Inganni Angelo, venga proposto di pagargli la somma di Lire mille, salvo ad imputargli le cinquecento già percepite a mano del defunto Sig. Paolo Richiedei, e da esserli pagate entro l'anno 1876 senza corresponsione di frutto; dilazione che la Fabbriceria deve assolutamente premettere, in vista dei grandi debiti di cui é aggravata, e delle ingenti opere che deve sostenere dalle quali non potè né non può esimersi. Inganni dovette mostrarsi molto disponibile alla proposta avanzata dalla Fabbriceria, ma non è conservata in archivio la sua risposta che conteneva anche una controproposta. Lo si evince indirettamente dalla minuta di una lettera della Fabbriceria in data 30 aprile 1872 al pittore, nella quale si apprende "che ha di buon grado accettato la transazione amichevole proposta dal Signor Anglo Formasini, colla quale la retribuzione del dipinto del Mose' sul monte Sinai operato in questa chiesa parrocchiale venne limitata ad It. Lire mille e cinquecento, cifra che, defalcata delle cinquecento lire già ricevute in acconto, verrà pagata in rate, senza corresponsione di frutto sull'arco degli anni 1872-1874.

I pagamenti al pittore non dovettero essere tuttavia avvenuti con regolarità. Scrive infatti ancora l'Inganni dal suo romitaggio della Santissima in data 8 aprile 1875: "Onorevole Fabbriceria. Credo opportuno, per più rapporti, di farle memoria che l'ultima rata del mio credito è scaduta da tre mesi e più. Con mille saluti mi dico dev. servo Angelo Inganni".

La risposta della Fabbriceria è rapida, datata 10 aprile 1875, ma è ancora un dialogo fra due povertà, ed il tono è di implorazione: "La scrivente avrebbe dovuto anticipare una preghiera alla S.V., per interessarla ad avere ancora un pò di sofferenza pel saldo del suo credito, ma andò sempre procrastinando, nella speranza di poter in qualche modo accumulare l'importo, ciò che per ora non poté ottenere". Si implora pertanto di voler pazientare fino ai primi di luglio, "al qual tempo si è nella certezza di poter effettuare il saldo...".

In data 25 aprile il pittore, mitemente, o forse ormai rassegnato, acconsente: "Onorevoli Signori. Aderisco ai loro desideri e ritengo quanto mi scrissero nella pregiata loro in data 10 corrente. Con verace stima, mi dico dev. servo Angelo Inganni". Rincresce un pò che un'opera così straordinaria sia contornata da una vicenda tanto sofferta.

E noto, infatti, quanto poco l'Inganni si sia cimentato col tema sacro e quanto poco abbia praticato l'affresco: orbene, in questo lunettone realizza in forma veramente compiuta un capolavoro di sensibilità totalmente adeguata alla forza narrativa del testo biblico e produce un esempio di ottima esecuzione tecnica.

Tutta quella forza immessa nelle figure dei condottieri biblici, tutto quel senso di sgomento, di abbandono, di gioia che caratterizza di volta in volta i molti personaggi che affollano la scena, quelle splendide gamme lievitanti e serische di gialli, arancioni, verdi spenti, azzurri che conferiscono una inaudita bellezza alle vesti, una volta ripulite restituiscono ora al dipinto una vivezza straordinariamente fresca e diventano una testimonianza solida per valutare le potenzialità espressive e tecniche dell'Inganni anche in questo genere di pittura che, apparentemente, sembrava essergli meno congeniale.

 

Le due tele dell'Inganni

Alla prepositurale di Gussago, Angelo Inganni, precedentemente all'affresco del lunettone, aveva fornito due grandi pale d'altare: l'una, raffigurante l'Angelo della Purità con i Santi Luigi Gonzaga, Carlo Borromeo, Angela Merici ed Eurosia (reca la scritta "Angelo Inganni fece l'anno 1855, e per alcuni guasti rinnovata dal medesimo l'anno 1878") è stata da poco restaurata e già illustrata sul nostro periodico parrocchiale; l'altra, raffigurante la Deposizione di Gesù dalla Croce, è stata invece restaurata proprio in questi ultimi mesi. Questo dipinto era già molto conosciuto per una scritta appostavi dal pittore: "Angelo Inganni, detto volgarmente Pittore prospettico fece 1854", che aveva molto incuriosito la critica d'arte, ma che sembrava del tutto scomparsa al punto da far dubitare che fosse davvero mai esistita. Il restauro l'ha invece recuperata, così come ha permesso di fissare con sicurezza la data di esecuzione al 1854. Inoltre, la rimozione della pala dall'altare ha consentito di recuperare un cartiglio posto sul retro della tela, ricco di altre importanti notizie, poiché vi è scritto: "La pala, dipinto del Sig.r Angelo Inganni fu regalata dalla Sig.ra Giulia Marchina vedova Fabeni, e l'altare costrutto per offerta della Sig.ra Francesca Capitanio 1854". La qualità artistica di questa Deposizione è certamente superiore a quella della Purità, poiché esprime un più marcato afflato religioso, tanto da essere considerata il suo capolavoro nell'ambito dei soggetti sacri. I moduli della tarda tradizione settecentesca fungono qui da supporto per una rinnovata gamma coloristica espressa con accostamenti più soffusi di toni chiari nitidamente spiccanti sullo sfondo scuro; la composizione col gruppo compatto della Madonna, di Giovanni, di Giuseppe d'Arimatea, di Nicodemo intorno al Cristo staccato dalla croce e la Maddalena dolente in primo piano, è ben impaginata e raggiunge punte drammatiche del tutto adeguate al proposito di esprimere un racconto di alta densità emotiva e coinvolgimento devozionale.

 

Pier Virgilio Begni Redona .

 

Immagini del restauro della chiesa