Santa Zita Vergine
patrona
universale delle collaboratrici domestiche[1]
Dal calendario 1994/95 con un immaginetta dell’A.D. 1991
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la biografia ciccare sulla fase di interesse:
Zita nasce nel 1218 a Monsagrati a 16km da Lucca in una famiglia povera e di grandi virtù cristiane. I suoi genitori si chiamavano Giovanni e Bonissima. A Monsagrati Giovanni si era recato fin da giovinetto dalla natia Soccisa, vicino a Pontremoli. Essendo di condizioni poverissime, si era fermato là facendo il pastore e il contadino.. Quand’ebbe vent’anni pensò a formarsi una famiglia. Era povero ma buono, e per questo nella sua patria adottiva tutti lo amavano e lo stimavano. Pensava a quale potesse essere la fanciulla del suo cuore; non la voleva ricca, non solo perché le sue condizioni non glielo consentivano, ma anche perché le ricchezze non bastavano a rendere felice un matrimonio: la voleva buona e trovò un tesoro. Il nome di Buonissima sembrava una predizione per la sua vita fatta nel giorno del Battesimo. La memoria non ha lasciato ne il nome ne il numero esatto dei loro figli ad eccezione di una figlia di nome Margherita e della nostra Santa. Margherita non fu seconda a Zita nella santificazione della sua anima e fu Zita stessa che si occupò di lei perché potesse seguire la sua vocazione; mirabile esempio di come si debbano amare le sorelle e come debbano aiutarsi, non solo per la vita materiale, ma soprattutto per quella dello spirito. La Divina Provvidenza si servì della stessa Zita, andata a Lucca per servizio, per far trovare alla sorella un convento dove seguire la chiamata di Dio. Fu così che Margherita, divenuata monaca cistercense, visse anch’essa nelle più alte virtù e morì in concetto di Santa.
Al fonte battesimale fu imposto alla nostra il nome
di Zita. Questo nome è pieno di significato perché nel linguaggio di allora
significava “vergine”.
Zita, infatti, passerà i suoi anni nella più pura
verginità servendo fedelmente Dio.
Seguendo l’esempio dei genitori, la piccola Zita
inizia gli anni della sua vita in un aurea di santità. Le ristrettezze e la
miseria renderanno la sua casa somigliante alla casa di Nazareth. Zita passa
questi anni ora intenta ai lavori domestici con la più pronta obbedienza, ora
assorta nella preghiera.
La casa di
Zita era come un tempio dove il lavoro e il dolore, dove le gioie e le amarezze
erano offerte a Dio. La giornata cominciava e si chiudeva con la preghiera rivolta
al Signore e alla Madonna.
Zita fu sempre molto devota alla Vergine e in suo
onore fece anche pellegrinaggi, la invocherà nei momenti più difficili e sempre
sperimenterà il suo amore materno e la sua protezione. L’assiduità della
preghiera, tuttavia, non le impediva di compiere fedelmente gli altri doveri.
Oltre le faccende domestiche Zita aiutava il padre nei lavori dei campi,
secondo le forze della sua tenera età. Una tradizione locale la presenta con un
piccolo gregge di pecore che accompagna al pascolo; e nel silenzio dei boschi
tra il canto degli uccelli e l’incontro con la natura essa trova l’ambiente
adatto per elevare il suo amore a Dio.
A questa umile fanciulla Dio riservava una grande
missione.
Ogni collaboratrice famigliare avrebbe avuto in lei
un esempio e una patrona. Infatti essa ha saputo indicare come, pur svolgendo
mansioni umili, si può salire in alto nella carità e nella contemplazione. Le
circostanze avviarono Zita su questa strada provvidenziale. La povertà della
casa richiedeva che essa non aggravasse con la sua presenza il misero bilancio
famigliare. Fu così che ancora in tenera età – aveva appena dodici anni – Zita
pensò di recarsi a servizio in qualche casa di signori. Suo padre, quand’ella
gi espresse il desiderio, dapprima cercò e si consigliò. Quand’egli ebbe saputo
che a Lucca la nobile famiglia Futinelli cercava una ragazza che aiutasse per i
lavori della casa, s’informò e dopo aver saputo che la famiglia era ottima, vi
accompagnò Zita che così lasciò la nativa Monsagrati. Arrivata nella nuova
famiglia, Zita ne diventò subito la beniamina; la sua tenera età, ma
soprattutto la sua bontà la resero cara ai componenti della famiglia.
Mentre i ricchi mercanti di casa Fotinelli
attendevano ai loro affari, Zita, nel disbrigo di tutte le faccende, sapeva
attirare l’animo di quanti la avvicinavano. Fin dai primi giorni la sua vita fu
divisa fra preghiera e lavoro: anzi, anche lo stesso lavoro era trasformato in
continua preghiera.
Al mattino, per poter andare in chiesa, sapeva
sacrificare il sonno, nonostante le giornate di intenso lavoro. La matttina era
in piedi molto presto. Quando i padroni si alzavano, Zita aveva già compiuto le
sue pratiche di pietà ed accudito a molte faccende.
Ella faceva tesoro del tempo, svolgendo diversi
lavori: dalla pulizia della casa alla preparazione delle vivante, alla cura dei
mobili, dei vestiti, della biancheria, fino al bucato e alla preparazione del
pane. Detestava l’ozio e nei ritagli di tempo si dedicava agli utili lavori
femminili del cucito, della maglia e del fuso. Sceglieva i lavori più umili e
faticosi: i documenti ci informano infatti che lavorava tanto da ridursi esile
“come un fuscello”. La sua giornate, passata così in unione con Dio, era ricca
di tutte le virtù a cominciare da quelle che di tutte è fondamento: l’umiltà.
In quanto umile amava venire umiliata. Quando i suoi padroni, benché contenti
di lei, trovavano motivo per rimproverarla, essa non si risentiva, quantunque
quei rimproveri fossero ingiusti, ma si inginocchiava a chiedere perdono. La
sua umiltà era un ammaestramento ad imitarla in tanta virtù. Alla povertà nel
vestire aggiungeva un vitto esiguo; spesso le cose che le venivano offerte, le
metteva da parte per i suoi poveri e si nutriva solo del necessario per avere
le forze sufficienti ad eseguire bene i
lavori che il dovere le imponeva. La sua persona era ridotta a carne e ossa.
Questo continuo digiuno era la vita ordinaria. Nei digiuni straordinari si
privava di ogni cosa. Limitava le ore di sonno e nel pieno della notte, mentre
tutti riposavano, supplicava Dio per la salvezza delle anime. Le virtù di Zita
erano rafforzate da ferventi comunioni. Quando Lucca fu colpita dall’interdetto
pontificio, percui le chiese erano chiuse e non si amministravano i sacramenti,
Zita si recò con lunghissimi viaggi nella confinante diocesi di Pisa per poter
accostarsi alla Comunione.
Per le sue capacità e virtù Zita fu preposta dai suoi padroni alla cura di tutta la famiglia. Per le sue responsabilità, Zita, non poteva trattenersi lungamente in Chiesa, ma doveva per tempo tornare in famiglia. Una mattina era andata a fare la Santa Comunione nella vicina chiesa di San Frediano e nel ringraziamento era stata così fervida che aveva perso la nozione del tempo. Era quello il giorno in cui doveva fare il pane. Corre a casa tutta preoccupata per recuperare il tempo perduto, apre la madia… la farinata è già stata impastata e si deve solo metterla in forno a cuocere. Cerca, interroga, vuol sapere chi è stata fra le compagne di servizio. Nessuna è stata, le compagne che conoscono le virtù di Zita dicono: quel pane lo hanno impostato gli angeli.
Se Zita ebbe in grado eroico tutte le virtù, una è
però la caratteristica della sua vita: la carità verso i poveri. Zita intende
la carità non solo come aiuto materiale, ma ancora e prima di tutto come aiuto
spirituale. Ai poveri non solo dava il pane della carità, ma li aiutava a
diventare migliori. Dio si degnò molte volte di completare l’opera con prodigi.
Narra un antico manoscritto che un anno la carestia
colpì duramente la città di Lucca, per cui il grano costava moltissimo a causa
dei profittatori.
Zita, dopo aver dato, una mattina, tutto il pane ai
poveri, e non sapendo come fare per sfamare
altri poveri che si presentavano a casa Fatinelli, diede loro il
contenuto di un cassone di fave che il suo padrone doveva vendere. Quando il
padrone le ordinò di verificare il contenuto e di consegnarlo all’acquirente,
Zita, confidando nella Provvidenza, lo aprì e vide che il cassone era ancora
pieno.
Ancora Zita valendosi della stima di cui godeva
presso i nobili Fatinelli non tralasciava niente per venire in aiuto ai poveri.
Ogni giorno partiva per portare soccorso a domicilio a delle povere vedove e ai
poveri del vicinato. Un giorno scende le scale con il grembiule pieno di pezzi
di pane. Zita incontra il suo padrone che, quel giorno, è di pessimo umore e le
chiede cosa c’è nel suo grembiule. Zita risponde che ci sono rose ed altri
fiori.
E così, per intervento divino, accade. Con stupore
dell’uno e meraviglia dell’altra, Zita può proseguire il suo cammino.
I signori Fatinelli dovevano continuamente dare
consigli di prudenza aZita che si privava del necessario per darlo ai poveri.
Così fu la sera di Natale. Zita si stava preparando per la Messa della
Natività. Era un inverno molto rigido, era caduta abbondantemente la neve e
Zita non era abbastanza riparata dal freddo, essendole rimasto solo il
necessario per essere coperta. La signora Fatinelli le presta la sua pelliccia,
ma le ricorda di riportargliela, non di regalarla. Zita, prima di entrare nella
chiesa di San Frediano, vede un poverello che muore dal freddo. Gli da la
pelliccia pregando di restituirgliela, perché non è la sua. Finisce la Messa,
Zita resta a lungo in preghiera. Quando esce è ormai l’alba: il poverello non
c’è più e con lui è sparita la pelliccia. Zita non pensa ai rimproveri della
padrona, ma prova un senso di colpa per aver fatto attender troppo il
poverello. Zita torna a casa e viene inevitabilmente rimproverata dalla
padrona.
Verso l’ora di pranzo si ode bussare alla porta: era
il poverello che portava il manto impellicciato. Quando egli sta per andare via
una luce abbagliante inonda la sala. Tutti rimangono stupiti. Una gioia mai
provata pervade i loro animi. Se non era Gesù, era certamente un suo Angelo.
C’è un pozzo dove nel giorno della Festa della Santa
i fedeli vanno a bere per devozione. Questo pozzo, situato accanto alla porta
d’ingresso dell’antico palazzo Fatinelli è celebre non solo perché ad esso
attingeva acqua Santa Zita, ma per un fatto miracoloso che si è compiuto.
Un giorno si presenta là un poverello. È stanco e assetato. Zita va al pozzo a
porgergli da bere, fa un segno sull’acqua. Quell’acqua diventa gustosissimo
vino che corrobora il viandante, il quale prosegue il suo cammino raccontando a
tutti il prodigio con cui il Signore aveva premia to la carità della sua serva.
Anche al tempo di Zita erano molto in uso i
pellegrinaggi nei luoghi Santi della Fede. La nostra Santa seguiva in
quest’opera buona l’usanza dei tempi. Dai suoi padroni aveva libertà in certi
giorni e usava questi giorni liberi per dedicarsi intensamente alla preghiera e
per fare pellegrinaggi. Fra questi ve n’è uno rimasto famoso, perché Zita fu
accompagnata da una prodigiosa pellegrina. Zita era partita insieme a una
compagna verso S. Giacomo del Poggio, poco distante da Pisa, per continuare
fino a San Pietro a Grado, nella stessa diocesi ma molto distante dalla città.
Giunte le due amiche al paese di San Giacomo (erano ancora digiune) la compagna
invità Zita a tornarsene indietro. La Santa rispose che non poteva lasciare a
metà un opera intrapresa, ma l’altra, decisa, tornò indietro lasciando Zita da
sola. Ella continuò il suo cammino e giunse nella chiesa di San Pietro a Grado
e s’immerse nella preghiera. Era ormai il tardo pomeriggio e Zita si accingeva
a riprendere il suo cammino per tornare alla sua città e alle sue occupazioni.
Chi la vede le consiglia, data l’ora tarda, di non viaggiare di notte. Ma Zita
vuole essere a casa il giorno dopo per riprendere i suoi impegni all’ora
stabilita. Ella quindi si mette in viaggio lungo le vie malsicure e infide. Al
paese di S. Lorenzo a Vaccoli si vede ancora la fontana alla quale bevve la
Santa in questo viaggio. Quando era ormai vicina allo Stato di Lucca più che la
volontà potè il digiuno. Con tutta quella fatica erano quasi trentasei ore che
non mangiava. Zita si siede presso una fonte stremata, allunga il braccio per
bagnare la mano quando si sente posare una mano sulla spalla e sente dire:
“Vuoi venire a Lucca con me?” La stanca pellegrina sente rinvigorirsi le forze.
Una robustezza nuova la spinge, si alza e riprende il viaggio insieme con la
sconosciuta. Quando arriva al confine dello Stato di Lucca, le porte chiuse a
chiave si aprono all’avvicinarsi della Signora. Giunta a casa Fatinelli può
riprendere il lavoro. Chiama le compagne che dormono. Prima però non dimentica
di ringraziare la misteriosa e buona accompagnatrice. Fa per porgerle la mano:
non c’è più. La pia credenza giunta fino a noi è che quella Signora non era
altri che la Vergine che aveva protetto e accompagnato la sua fervente devota.
La morte
La vita di Zita trascorre quindi nella più profonda
umiltà e carità; le preghiere e la penitenza erano state la pratica costante di
tutti i suoi giorni. Per nulla attaccata alla vita, la sua unica aspirazione
era il cielo e suo diventa il grido di San Paolo: “Desidero essere disciolto da
questo corpo di morte ed essere con Cristo”.
Il Signore ascolta l’invocazione. Zita si ammala di
una leggera febbre e si pone in un letto. Tutti pensano che sarà certamente
qualcosa di grave perché Zita non si metteva a letto per un male leggero. Viene
chiamato il sacerdote. Zita fa la confessione della sua vita e riceve ancora
una volta la Santa Eucaristia. Ella muore alle nove del mattino del 27 aprile
1278.
È A DISPOSIZIONE UNA
PUBBLICAZIONE PIU’ APPROFONDITA SULLA SANTA PRESSO LA PARROCCHIA
[1] Con un breve apostolico dell’11 Marzo 1956 Pio XII proclama Zita patrona universale delle lavoratrici della casa in quanto le sue doti di cristiana umiltà, di ubbidienza, correttezza nei costumi, di adempimento del dovere ella poteva costituire una Patrona alla quale ricorrere con fiducia nelle difficoltà e da cui trarre esempio di vita cristiana.