Ho costruito la sala-chiesa e la canonica
Vengo dalla gavetta. Sono nato in una
famiglia povera e numerosa, eravamo 11 fratelli. Ho sempre avuto buona volontà
di lavorare: ho cominciato a 11 anni, ho fatto lo sterratore, il ferraiolo, il
carpentiere. Ho lavorato alle dipendenze delle Ditte Fusaro, Mantelli e Lazzaro.
Con quest’ultima ditta sono diventato capomastro. La mia squadra finiva
sempre “i lavori di getto” per prima; facevo lavorare di buona lena i miei
operai, ma io sgobbavo insieme a loro e tutti volevano stare col mio gruppo.
A
26 anni mi sono messo in proprio, a fare l’impresario edile. A 36 anni, nel
1963, mi hanno affidato il lavoro di costruzione della sala-chiesa e della
canonica di S. Pietro Apostolo di Favaro. E’ stato un onore, un orgoglio e un
piacere.
Già quando lavoravo sotto Lazzaro avevo conosciuto gli architetti
Baessato e Franzoi. Avevamo avuto occasione di collaborare in vari progetti,
anche delicati (come all’Hotel Vivit di Mestre ) e ci stimavamo a vicenda.
Quando l’architetto, don Vincenzo e quelli del Comitato Parrocchiale mi hanno
fatto la proposta sono rimasto un po’ sorpreso. Ho risposto: “ Non ho mai
fatto chiese e canoniche in vita mia!”. Ma ho accettato subito volentieri: mi
sono sentito onorato e orgoglioso di fare un’opera così importante. Avevo una
squadra di 12 operai, mi sono fatto aiutare anche dalla Ditta Serafin Pietro e
Vittorio.
Abbiamo “pestato duro”, insomma abbiamo lavorato sodo: in
tre-quattro mesi le costruzioni erano finite. Con l’architetto Baessato
andavamo “d’amore e d’accordo”. Ogni tanto don Vincenzo e quelli del
Comitato venivano a fare un sopraluogo. Don Vincenzo è sempre stato corretto e
gentile. Qualcuno del Comitato faceva un po’ la parte dell’ “ingegnere
contrario”, in particolare il signor Pietro Granzo, ed era abbastanza
comprensibile in quanto anche lui era stato impresario edile. Ma io ero
tranquillo e sicuro del fatto mio. Se avevano richieste o dubbi dicevo loro di
parlare con l’architetto. Oppure che mi lasciassero prima completare quel
particolare lavoro (ad esempio gli architravi o i solai ): “quando tolgo l’armatura,
se il lavoro è sbagliato mi impegno a rifarlo!”.
Mi ricordo solo un piccolo
errore di progetto: la pensilina sopra l’ingresso della canonica rischiava di
bloccare un balcone, l’abbiamo parzialmente demolita e rifatta con misure
diverse.
All’inaugurazione ero felice e orgoglioso del mio lavoro. Ma sono
rimasto in disparte: sono una persona schiva, non mi piace farmi vedere grande.
Nel 1965 sono cominciati i lavori della nuova chiesa. Mi è dispiaciuto
non essere io a costruirla, ma ho dovuto rinunciare: era un lavoro molto
grosso, avevo le macchine occorrenti, ma i miei operai erano troppo pochi.
Per
mio orgoglio, ogni tanto venivo a dare un’occhiata ai lavori. Io non ho mai
criticato l’utilizzo delle pietre comuni come pietre “faccia a vista”:
erano tutte sane e perfette, acquistate dalla Ditta Casarin, e il lavoro è
stato fatto a regola d’arte, con i mattoni perfettamente allineati e senza
sporcarli di malta. A me la nuova chiesa è sembrata semplice, ma bella.
I nuovi
lavori Nel 1983, a distanza di venti anni, si sono ricordati ancora di me per la
ristrutturazione dei precedenti locali e la costruzione della nuova sala-teatro.
Sono bastate poche parole tra don Vincenzo e me, tra galantuomini: ”C’è un
lavoro per te, facci un preventivo.
Abbiamo firmato il contratto dall’architetto Baessato; con me
questa volta c’era mio figlio Paolo. La costruzione della sala-teatro è
stato un lavoro delicato: ci volevano dei solai speciali (installati dalla
Ditta Panto di Ponte di Piave), l’intonaco doveva possedere delle particolari
qualità acustiche, era importante che le intercapedini della muratura
risultassero ben isolanti. Impegnativi anche i lavori di rifinitura : le pietre
“faccia a vista” come quelle della chiesa, i getti in cemento armato
lavorati anche loro “faccia a vista”.
Nel corso di tutti questi anni don
Vincenzo per me è diventato una persona molto cara, una specie di papà. Quando
doveva domandarmi dei consigli veniva a casa mia, parlavamo a lungo in soggiorno
e qualche volta si fermava a mangiare un boccone insieme. Era un po’
preoccupato per gli aspetti finanziari: “Sai, non sto tanto bene di salute,
se muoio prima lascio agli altri troppi debiti!”.
Impresario di fiducia
Alla
fine sono diventato l’impresario di fiducia della parrocchia. Quando hanno
installato il grande mosaico, ho preparato io l’impalcatura e l’intonaco:
doveva risultare perfettamente a piombo, senza il minimo dislivello.
Quando la
signora Tagliapietra ha eseguito i suoi graffiti, mi ha fatto allestire il
fondo: ho dovuto stendere, sotto la sua direzione, tre strati di intonaco di
tinte diverse (ad esempio, per il S. Antonio, bianco, marrone e celeste) e poi
lei, incidendo più o meno profondamente, ha fatto emergere il profilo della figura con i vari colori. Era una signora allegra, simpatica, un po’ estrosa,
come tutti i pittori!
Ci ho tenuto in particolare a costruire il tabernacolo, a
destra per chi guarda l’altare, per custodire le ostie consacrate: doveva
essere perfetto nelle misure, tenendo conto che poi andava rivestito con i
marmi.
Sono andato in pensione nel 1992, a 65 anni, ma la tradizione di famiglia
continua: mio figlio Paolo e mio nipote Mirko stanno completando i nuovi
lavori di ristrutturazione in canonica.
Quando don Vincenzo ci ha visto insieme
ha detto: ”Mi sembrate come la Santissima Trinità : padre, figlio e… nipote!”.
|