La Sacrestia era la mia casa
La sacrestia era a casa mia. Sono arrivata a Favaro da Meolo, insieme a mio
marito nominato bidello della scuola in piazza, nel 1962, un anno prima che
nascesse la parrocchia di S. Pietro. Si diceva messa nell’appartamento di Via
Altinia (che prima ospitava un negozio di mercerie) e nell’asilo, ma la
sacrestia era a casa mia! Don Vincenzo teneva i paramenti, il messale, le
tovaglie dell’altare in una valigia, in camera di mio figlio Valerio. Anche
il vino della messa, che deve essere naturale e genuino al cento per cento,
glielo procuravamo noi dai nostri parenti di Meolo. Finita la messa della
domenica, don Vincenzo e Mons. Marcato venivano a prendere il caffè a casa mia,
che era proprio lì vicina.
Mio marito (Ruggero Celebrin) è stato uno
dei più attivi nel Comitato Parrocchiale. Nella sua veste di bidello poi, si
faceva dare le chiavi dell’asilo per preparare i locali per la messa.
Soprattutto dovevamo accendere la grande stufa a legna qualche ora prima, in
modo da rendere almeno tiepido l’ambiente. Alla fine dovevamo fare le pulizie: la signora Luigina
Sbrogiò, suo marito Toni Trabucco, mio marito Ruggero ed
io.
Si è anche
tanto impegnato per l’ingresso di don Vincenzo. Tra l’altro ha messo le
bandierine e gli striscioni insieme a Toni Trabucco. Il dott. Bazzarin gli ha
consegnato l’anello (mi pare di ricordare che avesse una bella pietra di
colore rosso) e ha fatto il discorso. Era contento e commosso, anche perché
festeggiava insieme due avvenimenti importanti: l’ingresso a parroco dell’amico
don Vincenzo e la nascita di sua nipote. I nostri mariti erano sempre in
parrocchia e anche noi, loro mogli. Quando invece la signora Luigina Sbrogiò
era a Domegge con sua figlia e io in spiaggia con i miei due figli, la casa
rimaneva libera : più di una volta Ruggero , Toni e don Vincenzo si passarono
qualche serata in allegria, da vecchi amici come proprio erano.
Al nostro
ritorno ci raccontavano divertiti tutto quello che era successo!
Una crostata da
papa
Quando il Patriarca Albino Lucani è venuto in visita pastorale in
parrocchia, ho dato una mano alla
perpetua, signora Laura, per preparare il pranzo. Abbiamo cucinato un buon
brodo, con una gallina “de casada”, il secondo e tante verdure. Io in
particolare ho preparato la crostata di frutta. Alla fine del pranzo il
Patriarca mi ha fatto i complimenti: “Ho ancora la bocca buona del suo dolce!”.
Era una persona semplice e sorridente. Per me è stato molto emozionante:
posso dire di aver ricevuto i complimenti di un futuro papa!
Don Vincenzo
Ricordo ancora la sua emozione quando ha fatto l’ ingresso come parroco. Nei
primi tempi era un po’ preoccupato: per i debiti, ma anche perché, come
ripeteva spesso, “è difficile essere profeta nella propria patria”. Ma poi
era contento di avere tanta gente intorno che gli voleva bene, si sentiva a casa
sua. Se a volte appariva schivo, in compagnia invece si scioglieva e diventava
allegro. Ricordo una gita a Cima Grappa: ha cantato per tutto il percorso, e
poi si è buttato contento sull’erba ad ammirare il paesaggio. Era proprio
disteso, felice. Qualche volta fa un po’ il burbero, per scherzare, ma si vede che ha il cuore
buono. Ha
lottato la vita e sa cosa vuol dire.
I cappellani
Don Bruno Frison era un prete
moderno. Ha portato la musica delle chitarre in chiesa e a me è piaciuta come
novità. Ho un bel ricordo di lui.
Don Lucio Cilia era molto intelligente e
studioso. Ma sapeva anche lui divertirsi in compagnia: più di una volta è
venuto a mangiare a casa mia, con don Vincenzo, don Serafino Tenderini e don
Michele Somma.
A proposito di don Michele Somma, io l’ho sempre visto buono di
cuore e di tratto. Ti fa sempre festa appena ti vede, ti chiama affettuosamente
per nome. E’ anche una buona forchetta: quando gli preparavo gli ossetti, se
li mangiava così di gusto che alla fine erano puliti perfetti.
A don Cesare
Zanusso invece è piaciuta tanto la mia “pinsa”, quella tradizionale che si
prepara alla Befana, sotto “ea piroea paroea”.
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