Finita la festa bisogna riprendere subito il cammino. Nuove
tappe e nuovi traguardi ci attendono, primo fra tutti quello della
costruzione della nuova chiesa. Il terreno c’è già, mancano un
progetto e i soliti, benedetti “fondi”.
Per il progetto il neo-parroco un’idea ce l’ha già. Si
ricorda del suo vecchio compagno di scuola delle commerciali, poi
diventato architetto, Giancarlo Baessato (di cui si è già accennato in
relazione alla costruzione della sala-chiesa). Saranno lui e l’arch.
Marino Franzoi ad elaborarlo e a dirigere i lavori.
Per i fondi si dovrà ricorrere come in passato ai prestiti:
chi offre le garanzie formali è la Curia, quelle sostanziali invece è la
ben nota generosità dei parrocchiani. Si ottiene un primo mutuo
governativo di 29 milioni di lire, cui se ne aggiunge presto un secondo di
25, già stanziato per la prevista chiesa del quartiere S. Paolo, che però
non viene più costruita.
Si discute assieme sul progetto. L’idea di un campanile
viene presto abbandonata: la chiesa è circondata da case, le campane
potrebbero disturbare, è meglio ricorrere ai rintocchi elettronici! E poi
si tratta di una spesa in meno da affrontare, e anche questo è un motivo
che ha il suo peso.
Si dibatte molto sulle pietre “faccia a vista”: è il
caso di utilizzare le pietre speciali per questo uso, o basteranno le
pietre comuni? Si conclude per questa seconda ipotesi.
Quando il progetto è ormai pronto mons. Spavento, Vicario
Generale della diocesi, tiene fede al suo nome e “si spaventa” sul
serio: la chiesa è molto grande e costa troppo. Per rientrare nel
preventivo di spesa gli architetti riprendono in mano le carte e traducono
tutto “in scala” più ridotta.
Finalmente, a lavori già avviati da parte dell’Impresa
SACEA di Eraclea, il 20 novembre del 1965 il Card. Giovanni Urbani in
forma solenne benedice e posa la prima pietra, in cui viene inserita una
pergamena ricordo con la firma del parroco.
Bisogna moltiplicare gli sforzi e perciò il Comitato
Parrocchiale si amplia e si articola al suo interno: oltre al Comitato
Chiesa (più ristretto) nasce un Comitato Festeggiamenti (più allargato).
Il compito del primo rimane quello di seguire la
realizzazione del progetto e garantire la raccolta dei fondi con la
distribuzione mensile delle buste casa per casa.
Il secondo invece programma e realizza i festeggiamenti per
la “Sagra del Patrono” il 29 giugno. Fulcro di tutto la Pesca di
Beneficenza, con tante spigliate ragazze a distribuire i biglietti e un
buon numero di volonterosi imbonitori che invitano all’acquisto degli
stessi, coniando delle apposite frasi ad effetto (ne ricordiamo una, un
po’ improbabile nel contenuto, ma sicuramente divertente, che invitava
alla sagra e alla pesca definendo Favaro “la perla della terraferma
veneziana”!).
Alla fine il Comitato prelevava buona parte del ricavato
della Pesca di Beneficenza e lo destinava come contributo alla costruzione
e all’arredo della nuova chiesa: varie targhette infisse sui banchi
della navata lo testimoniano ancora oggi.
Al centro dell’altare su cui si celebra la S. Messa è da
sempre collocata una “Pietra Sacra” con le reliquie dei martiri, a
ricordo delle prime liturgie dei cristiani che si svolgevano nelle
catacombe. Nel segno della continuità col passato, l’Ufficio Reliquie
della diocesi volle che nella Pietra Sacra del nostro altare fosse
inserita anche quella di S. Caterina di Alessandria, proveniente da un
oratorio esistente in antico nel territorio di Favaro e denominato “S.
Caterina di Parabiago”. Don Romano Lazzarato era propenso a collocarlo
nel territorio di Tessera. Da nostre ricerche incrociate (consultando il
libro del vecchio parroco Agnoletti del 1741, e rileggendo la storia del
comune di Favaro, che proprio in questo vecchio oratorio sembra aver avuto
la sua prima sede nel 1819, come già si accennava all’inizio di queste
pagine) siamo più inclini a collocarlo nelle vicinanze dell’attuale
Piazza Pastrello e perciò in definitiva anche nei pressi della nuova
chiesa.
Dopo circa un anno e mezzo dalla posa ufficiale della prima
pietra, ma in realtà dopo circa due anni dall’inizio effettivo dei
lavori, la chiesa fu solennemente consacrata l’11 marzo del 1967 dal
Card. Giovanni Urbani. I fedeli facevano festa nella casa del Signore. Non
avevano trovato un tempio sontuoso, tramandato dagli avi. Era una chiesa
semplice e dignitosa, ma l’avevano realizzata essi stessi, proprio in
mezzo alle loro case, perché fosse la Casa di Dio anche per le
generazioni future.
Erano presenti numerose autorità e i sacerdoti dei territori
vicini. Mancava don Romano Lazzarato: ormai molto ammalato, si spegnerà
dopo pochi mesi e il suo funerale avverrà il 10 giugno dello stesso anno.
Aveva fatto in tempo a veder risolto quel problema che aveva angustiato
anche i suoi predecessori: finalmente la casa del Signore era sorta anche
in Piazza a Favaro!
Ogni chiesa che si rispetti ha il suo bel crocefisso, che
richiama l’attenzione devota dei fedeli al centro del presbiterio. La
nostra ne era al momento ancora priva. Siamo verso il 1970 e qui comincia
un’altra bella storia.
Tra le tante famiglie di origine veneziana che vennero ad
abitare a Favaro c’era quella dei fratelli Giovanni e Ferruccio Scarpa.
La loro casa avita, abitata dalla famiglia fin dall’800, si trovava
nell’isola delle Vignole, vicino a Sant’Erasmo. Si trattava di un
antico convento di suore, con annessa una chiesa, eretto dal sacerdote
veneziano don Domenico Franco agli inizi del 1200. In un angolo del
sottoscala troneggiava un vecchio crocefisso proveniente da quella chiesa,
venerato da tutti i numerosi familiari (per un certo periodo abitarono in
quella casa tutti e quattro i fratelli Scarpa, con le loro rispettive
famiglie).
Alla scomparsa del fratello Carlo, che ancora risiedeva alle
Vignole, gli altri fratelli decisero di donarlo a don Vincenzo e alla
nuova chiesa. Si tratta di un’opera d’arte veramente importante, che
gli esperti della Curia hanno stimato risalire al 1400. Si è dovuto
sostituire il legno della croce, ormai deteriorato in modo irreparabile.
Il restauro completo del crocefisso risulterebbe piuttosto
impegnativo, sia sotto il profilo delle competenze tecniche che sotto
quello economico.
Tra gli arredi consueti di una chiesa rientrano sicuramente
le stazioni della Via Crucis. Anche loro hanno una piccola storia da
raccontare.
La signora Chiarina Boscolo, anche lei veneziana, proveniva
dalla parrocchia di S.Moisè. Si ricordò che da qualche parte, nella
sacrestia di quella chiesa, era custodita una Via Crucis. La ritrovò e ne
ottenne la benevola cessione da parte del vicario di quella chiesa, don
Lorenzo Rosada. Si tratta di croci lignee, con al centro un tondo in
ottone sbalzato, con le tradizionali scene della Passione di Cristo.
Piccole storie, semplici e grandi doni. Come quando si costruisce insieme
la casa di famiglia. E’ anche così che si forma e cresce una comunità.
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