Intervista a…
GINO BOLZONELLA, anni 82, |
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Anch’io sono stato compagno di scuola di don Vincenzo, in quarta e quinta
elementare. Allora abitavo a Campalto: in quel paese si poteva frequentare fino
alla terza elementare, ma per le due classi successive si doveva andare a Favaro
(a piedi, naturalmente!). Don Vincenzo era un ragazzo quieto, tranquillo. Si
sapeva che era stato malato e che portava il busto. Ricordo che in classe con
noi c’erano Luigi Bertoncin, detto “Durante”, che poi è sempre rimasto a
Favaro; Giuseppe Baroffio, che abitava alla fine di Via Lazzaretto, nella casa
poi divenuta residenza dei De’ Rossi; Antonio Pastrello, fratello della
medaglia d’argento della seconda guerra mondiale a cui è intitolata Piazza
Favaro; Giuseppe Voltan, che ha gestito per tanti anni il negozio di alimentari
già di suo padre, in Via Altinia vicino alla chiesa di S. Andrea; Adone Granzo,
che poi è diventato medico; Giuseppe Scapin, che ha tenuto per anni un negozio
di materiali elettrici vicino a Piazza Pastrello. Tra le ragazze ricordo la
Wanda Gaggiato, che diventerà proprietaria del negozio di profumeria ed
articoli vari vicino alla Piazza; e Maria Voltan, dei “Ballarin” che ancora
oggi abitano nella casa verso Dese. Eravamo in gran parte figli di gente umile.
Andavamo a scuola quasi tutti con la giacchettina consumata e rattoppata, anche
d’inverno perché non avevamo un “paltò”, e le “galosce” con le “brocche”
come scarpe. Ricordo a questo proposito un episodio quasi da libro “Cuore”.
Un mio compagno di un’altra classe era senza “paltò” e aveva freddo. La
maestra, una ragazza graziosa e gentile che veniva da Venezia, gli voleva bene e
gli regalò una bella e grande sciarpa di lana grigia, lavorata ai ferri,
perché la indossasse contro il freddo. Il mio compagno gradì il gesto, ma si
vergognava un po’ di portarla; finì che se la mise suo fratello maggiore, che
se la girava attorno al corpo più volte quando andava a lavorare a Mestre in
bicicletta. La maestra ci rimase un po’ male a vedere che il mio amico non la
portava. Eravamo fatti così: poveri, ma orgogliosi. |
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