Sono stato compagno di scuola di don Vincenzo nei primi anni delle
elementari. Poi lui si è ammalato, è andato all’Ospedale al Mare e ha perso
un anno. Insegnava la maestra Miceli, che era molto severa: se ci comportavamo
male dovevamo mettere le mani sul banco e ci dava delle bacchettate sulle dita
con una “canavera” [canna di bambù]. Don Vincenzo era un bambino
tranquillo, per niente spavaldo. Quando eravamo un po’ più grandi, tutte le
sere andavamo in Patronato. Facevamo catechismo e poi ci divertivamo insieme. D’inverno
si faceva teatro, con Ferruccio Conte che preparava le scenografie (è scomparso
di recente a Dese, a più di novant’anni). Recitavamo “El sior Todaro
brontolon”, “Braccio di Ferro”, “Occhio di Falco” e tante altre opere.
In Patronato don Vincenzo teneva “ea caponera”: una specie di mobile in
legno, con tanti scomparti, che conteneva “ossi da morto” (biscotti
intrecciati, simili ai “zaeti ”), e altri dolciumi. Il ricavato della
vendita andava a favore dell’associazione.
I primi tempi della parrocchia
Ricordo bene gli inizi nell’appartamento di Via Altinia: era spoglio, con
poche sedie. Ma abbiamo fatto anche l’Esposizione del Santissimo. La domenica,
nell’atrio dell’asilo, eravamo più in largo. Lì ho “risposto messa”
tante volte e mettevo la legna nella stufa per scaldarci. Quelli di S. Andrea un
po’ ci criticavano: ”Cosa serve un’altra Chiesa a Favaro? Bastava quella
vecchia! Ricordatevi comunque che la terra ve l’abbiamo comperata noi!”.
Quando don Vincenzo stava per fare il suo ingresso come parroco gli abbiamo
detto: “Alle feste a don Romano Lazzarato baciavamo l’anello. Tu sei il
nostro parroco, ma dov’è il tuo anello?”. E abbiamo fatto una raccolta di
offerte e gli abbiamo donato l’anello. Per quanto riguarda la nuova chiesa io
ero d’accordo per usare le pietre “faccia a vista” speciali, non quelle
comuni. Per risparmiare hanno poi usato le seconde. Le dovevano almeno lucidare,
ma hanno aspettato tanti anni prima di farlo.
Amico da una vita
Sono amico da una vita con don Vincenzo e abbiamo sempre parlato tanto
assieme. Lui ha un carattere più mansueto del mio, io sono più “scalderino”:
tante volte gli facevo notare le cose che secondo me non andavano nella vita di
parrocchia, e lui mi rispondeva di avere pazienza, che sì, per certi versi
avevo ragione, ma che bisogna anche capire il punto di vista degli altri.
Nessuno si aspettava da lui tutte le opere che ha realizzato: sembrava malato,
fragile. Ad esempio il bellissimo mosaico dell’altare. Quando parlo con i miei
amici dico loro: “Ma quale delle altre chiese vicine ha un mosaico così
grande e bello?”. Ha fatto tante cose buone per gli altri … e ha pensato
poco per sé stesso!
I Cappellani
Mi ricordo bene don Bruno Frison, un prete vivace, moderno, anche nel modo di
vestire. A qualcuno non andavano bene certi suoi atteggiamenti, ma io vedevo che
i giovani in particolare gli erano molto attaccati. Semmai ho avuto qualche
resistenza per la “messa-beat ”, con le chitarre elettriche: mi si capisca,
io ero nel coro della parrocchia di S. Andrea, cantavo la “Messa Eucaristica
” e la “Secunda Pontificalis” del Perosi! Don Lucio Cilia era
proprio un bravo pretino. Mi dispiaceva che passava poco tempo in parrocchia e l’ho
fatto notare a don Vincenzo. Ma lui mi ha spiegato che il Patriarca aveva dei
progetti per don Lucio e che intanto lo faceva studiare teologia a Padova. Don
Michele Somma è rimasto per tanti anni con noi. Andava molto d’accordo con
don Vincenzo e anche ora li vedo molto legati. Don Roberto Mariuzzo mi sembrava
perfino troppo tranquillo. Per scherzare lo chiamavo: “Piovan!” e lui si
metteva a ridere. Un giorno mi ha risposto: “Adesso mi puoi chiamare “Piovan”
sul serio!”. Ho scoperto così che l’avevano nominato parroco di Marano.
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