ACQUA RI PUZZU (dopo vent'anni) |
Nel mese di marzo del 1974, a cura di Aurelio Giangrasso, veniva
pubblicato il libro di poesie dialettali "Acqua ri puzzu".
Tale
pubblicazione, ormai esaurita da tempo, fu un successo editoriale,
anche se destinata ad un mercato ristretto, giacché
verosimilmente rivolta ad una schiera modesta di persone in grado
di comprendere ed apprezzare un linguaggio ormai quasi arcaico,
fiorito nella nostra Favignana all'inizio di questo secolo.
Nel libro sono raccolte alcune poesie dei fratelli Giangrasso
(Nuzzo, Vito, Aurelio e Mauro),
figghi di Vartuliddu. La vena poetica di questi
nostri conterranei si è manifestata come "un vizio di
famiglia" (Erina), dopo il loro allontanamento da Favignana
per evidenti ragioni di lavoro.
La lontananza ed i ricordi giovanili costituiranno per i fratelli
Giangrasso la vera "Musa" delle loro poesie, che,
proprio perché ispirate da manifestazioni di vita favignanese,
non potevano che essere espresse "nella parlata siciliana
delle Isole Egadi.
Il libro è, pertanto, una testimonianza storica del linguaggio e
della vita di quell'epoca (inizio 1900) che ci viene riproposta
nelle poesie scritte anche negli anni successivi e fino al 1974.
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Ma il valore del libro va oltre questa valenza storica e assume significato ben più ampio, se si considerano i contenuti delle poesie, tutte inquadrate nell'ambiente favignanese.
Appare, infatti, evidente dalla consultazione del libro che un amore quasi viscerale lega i poeti alla loro terra natale, di tal che i componimenti che ne derivano assumono, per ciò stesso, la freschezza e la limpidezza dell'acqua che sgorga da una fonte non inquinata (u
puzzu).
Il ricordo di questa terra fa dire ad Aurelio che essa è: scogghiu 'nfatatu chi fa beddu u celu, u suli e u lustr'i luna (Faugnana) dove (secondo Mauro) "è perfetta letizia" poiché fa sorgere (Vito)
"un gran bisognu ri bunti sirena, chi ti scinni rintra u cori ruci
ruci..." (Cuntrura).
E' evidente che questi sentimenti hanno tenuto uniti fra loro i componenti della famiglia Giangrasso, anche quando le vicende individuali li hanno costretti a percorrere strade, per certi versi, divergenti.
Infatti, il ritrovarsi periodicamente anche a distanza, il trasmettersi pensieri, sensazioni, sogni... nella loro "parlata" giovanile li ha fatti sentire parti di una realtà sociale inscindibile ed intramontabile, quale è la famiglia.
Quanti di noi avvertono, pur nell'inconscio, queste sensazioni? Forse tanti!
Ecco perché la lettura di questo libro ci coinvolge tutti e rende più struggente l'anelito del ritorno a quanti per ragioni di lavoro vivono lontani dalla nostra Isola.
Ancora oggi, dopo vent'anni, l'acqua di questo "puzzu" riesce, quindi, a mitigare la sete di valori che la società avverte, ma che stenta a ritrovare.
Valori che affondano le loro radici in quel sentimento puro e fondamentale che è l'amore: amore per la famiglia ed amore per la propria terra, entrambi da considerare come due volti della stessa anima.
Pietro
Torrente
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Isolani si nasce.
La qualità di isolano è una specie di peccato d'origine che ti porti addosso per tutta la vita.
Non potrai mai affrancarti da tale condizione originaria nemmeno aprendoti a concetti esistenziali propri di un diverso e più ampio contesto sociale.
Anche in questo caso, lo scoglio ti rimane dentro e tu, non solo non cerchi di allontanarlo da te, ma lo alimenti nel tuo ricordo, lo allevi, quasi lo idealizzi, ne fai, infine, un punto di riferimento quando, stanco della convulsa pratica di una esistenza cittadina, cerchi nei ricordi e nella speranza un ambiente che sa ancora di dimensione umana.
Allora i pensieri ti portano a quel mare che circonda il lembo di terra che ti ha dato i natali e non lo vedi come una barriera che isola dal resto del mondo, ma lo consideri, invece, come parte integrante del tuo "habitat" ideale.
La tua esistenza si realizza anche nel periodo di tale "habitat" mentre le conquiste fatte nella vita non fanno che alimentare la speranza di poter più facilmente tornare un giorno in quel beato isolamento per meglio riflettere sui valori della vita.
Quel ritorno lo vedi come la meta finale di un percorso fatto da una serie ininterrotta di traguardi raggiunti in ambienti privi di quella serenità oggettiva che l'isola ispira.
In tale serenità i veri valori della vita ti appaiono in tutta la loro portata e quasi intimamente legati a quel territorio nel quale conduci la tua esistenza, ma la cosa più importante è che ti senti gratificato per il fatto stesso di trovarti nel giusto stato d'animo per apprezzarli...
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Il tempo m odifica tante cose!
La vita nello "scoglio" non è più quella che da giovani abbiamo conosciuto.
Cosa e cambiato?
Certamente i luoghi, ancora più il modo di essere dei soggetti che abitano nell'isola ed infine il modo di porsi degli isolani nel rapporto con quanti sempre più frequentemente visitano la nostra terra.
Ambiente fisico, patrimonio spirituale, cultura isolana non sono più quelli di "quel vivere sereno che allo scoglio invita".
Da queste considerazioni scaturisce un imperativo categorico: occorre recuperare con urgenza
l'identità isolana nel rispetto delle nostre radici culturali e nel convincimento che quella condizione di vita è il miglior prodotto che possiamo offrire al turismo più sano e consapevole.
Allora il mal dello scoglio non sarà più un sentimento esclusivo dei "nativi", ma sarà un impulso avvertito - in tutta la sua specificità - da tutti coloro che approderanno alle nostre isole.
Pietro Torrente
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