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DA IL PANTECO - Febbario 1994

Una mostra di Antonino Campo a Favignana e a Trapani

di Giovanna Guccione

Quando nell'estate del 1991 il "Comitato ecologico delle Egadi" organizzò una mostra degli artisti del tufo, si proponeva di mettere insieme artisti dilettanti che, nel loro amore per quest'isola, per le sue bellezze, per la sua storia e, anche, per le sue pietre, hanno trovato ispirazione per le loro opere.
Quindi non si trattava tanto di valorizzare l'opera del singolo, quanto di cogliere una coralità quasi sacrale nell'amore per un unico oggetto-soggetto: il tufo e le cave da cui proviene, che la fatica e la fantasia dell'uomo trasformano in mille forme.
Già allora le opere di Antonino Campo avevano un posto di rilievo. Avevamo colto nella sua scultura, pittorica nella sostanza, qualcosa di immediato e di partecipativo. C'è, infatti, nelle sculture di Campo una storia degli avvenimenti, dell'urbanistica, degli usi, delle tradizioni contadine, dell'attività artigianale e produttiva in genere, che permette di intravedere un quadro completo del passato, così come si è venuto modificando: una sorta di filo conduttore, costituito da alcuni pezzi chiave (la scala, il pozzo, i mulini, i muretti a secco), ricollega idealmente l'artista a un modo semplice di vivere e di rapportarsi all'ambiente.
La mostra "Civiltà dell'abitare e architettura rurale", che per tutta l'estate ha ricevuto migliaia di visite nelle sale di Palazzo Florio a Favignana, continua ora a Trapani per qualche mese.
La mostra è nata dal desiderio dell'artista di non vedere perdute le testimonianze ancora esistenti di un mondo contadino che, a partire dagli anni Cinquanta, ha perso il suo smalto.

   

Egli ha messo insieme idealmente, in un unico agglomerato rurale, costruzioni e strutture agricole realmente esistenti, riprodotte fedelmente in scala uno a dieci, per dar modo al visitatore di intravedere sia gli stili architettonici rurali prevalenti sia i ritmi della vita quotidiana.
C'è così modo di osservare "a stanza du furnu" dove si svolgeva l'attività quotidiana della madre di famiglia; il sottoscala dove trovava posto "a giarra" piena di vino o di olio; la "senia cu tornu" (spazio circolare) dove un ragazzino-lavoratore ("u picciottu du tornu") stimolava l'animale che, girando intorno, metteva in moto gli ingranaggi che permettevano di sollevare l'acqua.
Il messaggio dell'artista è chiaro: tutto questo non è più ripetibile, ma ciò che è rimasto non va distrutto; una parte può essere recuperata a fini museali, per conservare memoria delle origini contadine da cui provengono molte famiglie favignanesi; una parte potrebbe essere utilizzata per avviare attività di agriturismo che, insieme al turismo di mare coniugato con la presenza della riserva marina, potrebbe dare una connotazione di alta qualità al viaggio nelle Egadi.
Le sculture di questa mostra mettono chiaramente in risalto non una realtà artificiale da costruire per poi essere venduta, ma una realtà esistente, recuperabile, economicamente significativa, culturalmente pregnante, che aspetta, per essere salvata, soltanto l'attenzione degli enti preposti al controllo e allo sviluppo "pulito" del territorio.