Il reliquiario della Santa Croce di Castignano.
Quella
picena è una terra che per certi aspetti può definirsi certamente ricca e tra
i suoi piccoli tesori annovera anche diversi pontefici e santi che proprio in
questo angolo di mondo hanno avuto i natali.
Fra tutti certamente ricordiamo il santo di
Monteprandone, San Giacomo detto della Marca (1393-1476), predicatore e amico di
S. Bernardino da Siena, consigliere di papi e re, il papa (1520-1590) di
Montalto Marche, che col nome di Sisto V nel pieno rinascimento romano
riorganizza l’urbanistica della città eterna avvalendosi dei migliori
architetti dell’epoca ed infine Nicolò (o Niccolò) IV (1225/30-1292) il papa
di Ascoli che una volta salito al soglio pontificio, pensa bene di onorare i
conventi dei suoi confratelli francescani del piceno di preziosissime reliquie
come quella della Santa Croce che fu poi custodita proprio nel Reliquiario di
Castignano.
Il nostro Reliquiario è un’opera notevole sotto
diversi aspetti. Di pregevolissima fattura, è uno dei più begli esempi di
questo genere di reliquiari.
Esso fu realizzato, si dice, probabilmente come
ostensorio, o meglio fu quasi certamente commissionato come ostensorio, ma poi
finì per custodire la preziosa reliquia della Croce che nel 1289 fu donata al
convento dei frati minori di Castignano dal papa Niccolò IV. Le fonti note
fanno risalire al 1488 la data della sua realizzazione, ad opera,
presumibilmente, di orafi della più famosa bottega artigiana del tempo, quella
del Vannini[1]. L’anno di realizzazione
è d’altronde confermato in modo incontrovertibile da una incisione presente
in un piccolo fregio[2]
che fa da nodo di raccordo tra la base stessa del reliquiario e la piccola
edicola coi santi ad essa soprastante.
Il reliquiario più che un’opera scultorea si
potrebbe senz’altro definire architettonica. E sì perché la ricchezza di
particolari che l’autore (o gli autori) pose a custodia della croce interna
non sono solo un ricchissimo campionario preso a prestito dall’arte
costruttiva gotica, ma, e lo vediamo soprattutto nella sua parte medioalta, essi
sono assemblati con gusto, che oggi potremmo definire un po’ di maniera ed
eclettico, a “costruire” uno spazio sacro in grado di svolgere una doppia
funzione: una sorta di piccolo ciborio in grado di garantire sia protezione che
permeabilità visiva.
Quella che si vuol proporre con questa analisi è una
lettura un po’ differente rispetto a quelle che fino ad oggi sono state fatte
relativamente al reliquiario in questione. La tesi che soprattutto con gli
ultimi studi pare unanimemente accettata dagli studiosi vede il nostro
reliquiario nato (commissionato) come ostensorio, poi successivamente riadattato
a reliquiario della Scheggia della Croce.
Gli elementi che hanno fatto propendere per questa
conclusione, li ricordiamo brevemente, sono la stessa iscrizione sopra citata,
che parla di aula Salvatoris, decisamente non usuale per indicare un
contenitore di reliquie, anche se in questo caso si riferisce proprio ad una
reliquia collegata direttamente alla Persona del Salvatore. La stessa data
presente sulla iscrizione poi, è riportata in cifre arabe, e ciò è abbastanza
strano, in luogo delle invece più diffuse lettere romane. Infine, la presenza
di ben due rappresentazioni dello stemma castignanese nelle placchette smaltate
della base: qui l’albero di castagno sorge su cinque colli, come nello stemma
attuale, nelle raffigurazioni più antiche dello stemma comunale invece (XIII
sec.), vi compaiono solo tre monti.
Non ultimo fattore, a far leggere un suo reimpiego in
reliquiario, è stata la stessa posizione della croce, che è parsa stranamente
seminascosta dalla struttura protettiva esterna dell’edicola, soluzione che è
stata anche definita “poco felice” e inadatta ad esibire la preziosa
stauroteca di Niccolò IV.
Ma proprio su questo aspetto, si vuol proporre una
lettura “diversa” dell’oggetto in questione.
La croce contenente la sacra reliquia domina il
centro ottico e geometrico del reliquiario. Essa si trova al centro di uno
spazio esagonale delimitato da sei colonne tortili di un fantastico stile
corinzio. Questa parte del reliquiario, come si è anticipato, è resa in modo
estremamente “leggero” in quanto aveva anche la funzione di permettere la
visione più libera possibile della croce interna. L’artista esecutore
tuttavia non abbandona quelli che possiamo chiamare i canoni di tipo
costruttivo-“tettonico” tipici dell’arte muraria e che qui paiono essere
noti e sapientemente usati per raggiungere il fine prefissato. La posizione
della preziosa scheggia viene così volutamente e con sopraffina capacità
“drammatica” collocata all’estremo limite superiore della parte
“aerea” costituita dal vuoto dell’esagono colonnato, proprio in
corrispondenza della linea degli abachi. Costruttivamente l’abaco, che
è in genere di forma quadrangolare, è la parte che sovrasta il capitello (più
precisamente è la sua parte sommitale, essendo posto sopra la tazza e l’ipotrachelio)
e che gli antichi ideatori dei primi ordini posero in questa posizione con la
funzione di ripartire i carichi provenienti dall’alto e convogliarli nella
colonna col compito poi di scaricarli a terra.
Esso, se visto insieme alla tazza, aveva
anticamente una forma schiacciata (i più antichi avevano la forma di una sorta
di cuscino che si gonfiava ai lati per effetto del peso) memore ed espressione
dello sforzo che la propria materia doveva sopportare.
Questa sensazione è addirittura resa lapalissiana se
spostiamo la nostra attenzione alla cuspide che l’artista pone immediatamente
al di sopra delle sei esili colonne corinzie. Essa si presenta palesemente
eccessiva se la paragoniamo alla leggerezza e lo slancio delle citate colonne.
Tuttavia non credo che l’artista abbia, come dire, commesso un mero errore di
tipo “costruttivo” nel suo replicare le forme dell’arte muraria gotica.
Egli è pur sempre un artista e quindi deve aver agito e pensato come tale. No,
la pesantezza apparente è decisamente voluta, e il suo contrasto con la estrema
leggerezza del sottostante vuoto trova esattamente nella linea degli abachi il
suo centro di forza. Egli crea così una dualità pieno-vuoto, leggero-pesante,
che l’occhio di chi guarda non può non avvertire, così che, se anche si
possa pensare che chi guarda questo oggetto non sappia dove si trova nascosta la
preziosa scheggia, certamente la sua mente avverte la presenza di un punto in
cui tutte le forze convergono, un punto a ben vedere nemmeno troppo evidente a
prima vista, immerso nella penombra eppure di magistrale forza attrattiva: i due
bracci della croce bizantina interna accolgono al loro incrocio una piccola
croce vitrea che contiene il Santo Legno e questa si trova al centro della
cuspide esattamente sulla linea della sua base, appena visibile e allineata
cogli abachi delle sei esili colonne, qui e solo qui, tutta la geometria, il
punto d’equilibrio delle masse, dei pieni e dei vuoti, sembrano trovare il
loro baricentro, il loro punto neutro, il fulcro in una parola, dell’intera
costruzione.
Il resto è tutto accessorio, le colonnine, i fregi,
le bifore, i pinnacoli, i tortiglioni, le piccole eppure stupende sculturine di
animali o di santi, gli incastri, le incisioni, i frontoni cesellati e tutto il
resto, tutto è a contorno e sparisce di fronte a quell’unico punto
seminascosto alla vista ma eppure centro di gravità essenziale ed
imprescindibile del tutto.
E’ certamente vero quindi che la stauroteca
patriarcale di area veneto-bizantina appare come “stranamente” seminascosta,
tanto da rendere invisibile la sua parte superiore, quella cioè che corrisponde
a tutto il braccio superiore (la traversa minore) e addirittura parte di quello
inferiore (la traversa principale) che contiene al suo centro la preziosa
reliquia, tuttavia questo fatto non implica automaticamente la “soluzione di
ripiego” che parrebbe invece essere stata presa all’epoca.
Se il nostro reliquiario sia nato come ostensorio,
non lo so, ma chi lo ha visto e pensato come Aula Protettiva della Scheggia
della Santa Croce, ha secondo me espresso in modo degno, in questo reliquiario,
la stessa metafora della Vita, in una invenzione, veramente tutt’altro
che “infelice”. Se poi tutto questo è stato frutto del caso, allora è un
piccolo miracolo. Un motivo in più per amare ed ammirare il nostro prezioso
reliquiario e Quello che esso contiene, protegge e mostra.
[1] Per una trattazione più completa della storia e delle attribuzioni, v. Benedetta Montevecchi Per una storia del Reliquiario della Santa Croce a Castignano, in Il Reliquiario della Santa Croce di Castignano, il Restauro, EDIFIR, Edizioni Firenze, 1999.
[2] Qui si può leggere: “Haec est aula Salvatoris condita in anno a nativitate Domini 1488”.