Prove
metafisiche sono quelle che poggiano sui primi ed universali principi della
ragione, che hanno quindi un valore assoluto e causano nella mente un'adesione
perfetta che si dice appunto certezza metafisica. Gli argomenti metafisici, se
ben compresi, costituiscono sempre la
dimostrazione più bella e più solida dell'esistenza di Dio: perciò cominciamo
da questi.
Essi, solitamente, vengono
proposti in varie forme; celebri sono le cinque vie di S. Tommaso (Summa
theol., I, q. 2, a. 3)
con le quali si prova l'esistenza di Dio, come primo motore immobile, prima
causa incausata, essere necessario, essere perfettissimo, sapientissimo
ordinatore. Non potendo svilupparle tutte, in questa lezione fisseremo il
nostro sguardo sulla terza via, la più facile ed evidente, che brevemente si
può riassumere nel seguente argomento.
L'universo
è un complesso di esseri contingenti. Ma l'essere contingente esige l'Essere necessario
come sua prima causa. Dunque oltre l'universo esiste
un Essere necessario, creatore dell'universo, che è
appunto Dio.
Esaminiamo le singole proposizioni della nostra argomentazione:
Noi
scorgiamo nell'universo un'infinita quantità di cose: noi stessi, gli altri
uomini, animali, piante, minerali di tante specie, composti di molecole, atomi,
ecc., che costituiscono la terra, il sole, gli astri,
e così via. Tutti questi esseri non sono esseri necessari, perché essere
necessario è quello che necessariamente è (quindi non può non essere) e che
necessariamente è quello che è (quindi non può mutarsi). Invece tutte le cose
che compongono l'universo sono mutabili e di fatto
continuamente mutano. I viventi nascono, crescono e muoiono; e durante la loro
vita si evolvono e si modificano sempre. Le sostanze inorganiche anch'esse sono
soggette a continue trasformazioni. Inoltre a nessuna delle cose che
costituiscono il mondo compete l'essere in modo che le ripugni intrinsecamente
il non essere. Dunque tutti gli esseri che costituiscono l'universo sono
contingenti, cioè possono essere e non essere e,
quando sono, possono modificare accidentalmente il loro modo di essere.
Infatti essere
contingente, come abbiamo detto, significa che può essere e non essere, essere
in un modo ovvero in un altro; il che vuol dire che quella cosa non è di natura
sua determinata ad essere, ma di natura sua è indifferente all'essere e al non
essere. Per esempio alla natura dell'uomo appartiene la razionalità (per cui un uomo senza razionalità è assurdo) ma non
appartiene alla natura dell'uomo la bontà, per cui può essere buono e cattivo,
e molto meno appartiene alla natura dell'uomo l'esistenza, per cui ogni uomo è,
ma non era e non sarà; vive, ma è nato e morirà.
Se per sua natura l'essere contingente è indifferente ad essere e a non essere,
vuol dire che non ha in sé la ragione sufficiente della propria esistenza, cioè non ha in sé quello che è necessario e sufficiente per
poter esistere; ed allora è chiaro che questa sua esistenza deve averla
ricevuta da un altro, cioè ci deve essere un altro ente che sia la ragione
sufficiente della sua esistenza, la causa che l'abbia determinato ad essere. Questa causa che l'ha determinato ad essere o è un essere
contingente o è un essere necessario. Se è
contingente, neppure esso ha in sé la ragione sufficiente della propria
esistenza, che perciò deve essere causata da un altro essere; e riguardo a
questo si riproduce la medesima questione. Orbene non si può procedere
all'infinito nella serie delle cause essenzialmente subordinate, altrimenti si
avrebbe una serie infinita di anelli che stanno
sospesi senza un fulcro di attacco, si avrebbe, cioè, una serie infinita di
specchi che riflettono la luce senza un corpo per sé lucente, una somma di zeri
che, per quanto prolungata, non può dare l'unità.
3) Dunque ci deve essere un essere necessario, che abbia in sé la
ragione sufficiente del proprio essere e che sia ragione sufficiente di tutti
gli altri, causa prima dell'universo. Ed allora è
evidente la conclusione: oltre l'universo esiste un Essere necessario,
creatore dell'universo, che è appunto DIO.
L'argomento,
come si vede, è fondato sopra il principio di causalità, che si può e si suole
esprimere in vari modi; il più esatto è: ogni ente contingente è causato.
Questo principio, salvo rare eccezioni, era comunemente ammesso sia nella
filosofia antica (Platone, Aristotele), sia nel Medio Evo (S. Tommaso) come principio di per sé evidente, che non esigeva lunghe
dimostrazioni per essere giustificato. Nella filosofia moderna, quando
cominciarono a sorgere i pregiudizi critici sul valore delle nostre cognizioni,
si cominciò a negare valore oggettivo anche al principio di causalità; lo si disse frutto dell'abitudine di associare i fenomeni
successivi (Hume), ovvero lo si considerò come
giudizio sintetico a priori (Kant), e quindi legge
della mente che non può pensare in altro modo, ma il cui valore non oltrepassa
il campo fenomenico.
Uno dei fenomeni
che più colpisce chi si pone a contemplare lo spettacolo della natura è
l'ordine che vi riluce, ordine meraviglioso e costante. Di qui la mente arguta
della gente semplice trae uno degli argomenti più profondi per risalire a Dio,
argomento che lo scienziato analizza e perfeziona dandogli forma di rigorosa
dimostrazione scientifica. Così provarono l'esistenza di Dio Platone,
Aristotele, Cicerone fra i pagani; così nei tempi cristiani usarono questo argomento i primi apologeti, i Padri lo ampliarono
eloquentemente e S. Tommaso lo espose in forma nitida e rigorosa nella sua Summa, così come tutta la sua scuola lo
espose e lo difese. Anche i razionalisti ne sentirono
la forza. Voltaire diceva: «L'universo mi
imbarazza e io non posso sognare che questo orologio esista e non abbia
orologiaio».
L'argomento si può brevemente compendiare
nel seguente modo: nella natura esiste un mirabile ordine teleologico. Dunque necessariamente esiste una suprema intelligenza
ordinatrice. Ma questa intelligenza ordinatrice deve
essere anche creatrice dell'universo. Dunque esiste un
Dio creatore e ordinatore dell'universo.
Esaminiamo ora le singole affermazioni.
Esso ci appare chiaramente
considerando la scala degli esseri dai più semplici ai più complessi.
1) Regno
vegetale. Un
piccolo seme: uno dei tanti di quei minuscoli granellini sparsi nella natura:
quale mirabile ordine nella sua struttura, nel suo progressivo sviluppo, nella
formazione della pianta! Per es., la
disposizione delle foglie lungo il picciolo secondo un ciclo determinato in
modo da ricoprirsi il meno possibile e che tutte possano ricevere la maggior quantità
di luce. «Se
voi mi volete salvare da una miserabile morte –
scriveva Darwin ad un botanico –
ditemi perché l'angolo fogliare è sempre di 1/2, 1/3, 2/5, 3/8 (...) e non mai diverso. Basterebbe questo solo fatto per fare
impazzire l'uomo più tranquillo».
Disposizioni non meno complesse e sapienti si trovano nei fiori per
favorire l'impollinazione di piante diverse e impedire l'autofecondazione,
che sarebbe nociva alla specie per il manifestarsi di caratteri difettosi;
disposizioni ancor più mirabili per assicurare, ottenuta la fecondazione e la
formazione dei semi, la disseminazione in modo che non cadano tutti in un
terreno sterile e ombroso, ma siano trasportati in terreno adatto e sia
assicurata la sopravvivenza della specie.
2) Regno animale, dai più minuscoli viventi ai più complessi
ed evoluti. La struttura dell'organismo, i vari
organi della nutrizione, della riproduzione, del movimento, della sensazione;
la loro adattabilità secondo l'ambiente e le circostanze o nei casi di
malattia; tutto ciò presenta un evidente finalismo. I mirabili istinti
in virtù dei quali gli animali agiscono e operano con tanta sicurezza,
precisione e perfezione di mezzi, risolvendo con la massima semplicità i
problemi più difficili: le formiche (organizzazione del lavoro), le api (la
struttura dell'alveare), i ragni (l'ingegnosa costruzione della tela), gli
uccelli (il nido, la cura della prole), e così via.
3) L’uomo. Il corpo e le
sue parti: sono milioni di cellule differenziate fra
loro, riunite in tessuti diversi che formano i vari organi, ciascuno dei quali
sapientemente costituito per la sua funzione che esercita spontaneamente,
naturalmente, senza che ce ne accorgiamo. La mirabile struttura dei singoli
organi; l'orecchio, l'occhio (Newton diceva che chi ha fatto l'occhio dell'uomo
doveva conoscere bene le leggi dell'ottica), ecc. Il
grande anatomista americano Alexis Carrell, in un libro che ebbe grande
successo, L'uomo, questo sconosciuto,
cita molti esempi di tali meraviglie nel corpo umano e conclude: «L'esistenza
di una finalità nell'organismo è innegabile: tutto avviene come se ogni organo
conoscesse i bisogni presenti e futuri dell'insieme e si modificasse secondo
questi».
4) La
terra. La
sua posizione rispetto al sole (per una temperatura conveniente alla vita); il
duplice moto di rotazione e di traslazione (per l'avvicendarsi dei giorni e
delle notti, per l'alternarsi delle stagioni a vantaggio dei viventi); le terre
glaciali e la zona torrida (per i dislivelli di temperatura necessari per le
correnti benefiche dell'aria e degli oceani), ecc.
5) L’universo. Gli astri: il loro numero, la loro grandezza, la loro
distanza, i movimenti che compiono, ecc.
I vari regni della natura sono l'uno all'altro subordinati
armonicamente per il bene universale. Ordine e subordinazione hanno sempre
colpito i più geniali osservatori. Già Aristotele scriveva: «Tutto nell'universo è sottoposto a un determinato ordine (...) Le cose non vi sono disposte
in modo che una non abbia alcun rapporto con l'altra, che anzi tutte sono in
relazione fra loro, concorrono con perfetta regolarità ad un unico risultato. Si verifica nell'universo quello che vediamo in una casa ben
governata».
Alla voce della ragione, che
proclama l'esistenza di Dio, al concerto armonico della natura, che canta la
gloria del suo Creatore, si unisce la testimonianza del genere umano, che con
plebiscito solenne dà testimonianza a favore della divinità. Analizziamo
il fatto, poi ne vedremo il valore probante.
a) Lo attestano le
esplicite affermazioni degli antichi scrittori. Cicerone: «Nessuna nazione è
così grossolana e così selvaggia che non creda all'esistenza degli
Dei, anche quando si inganni sulla loro natura». E
Plutarco: «Percorrendo la terra voi potrete trovare città prive di mura, di
palazzi, di scuole, di teatri, di leggi, di arti e di
monete (...) ma una città priva di templi, una nazione senza Dei, un popolo che
non preghi (...) nessuno l'ha veduto mai».
b) Così attestano anche i numerosi monumenti religiosi che sono giunti
fino a noi. Le antiche e gloriose civiltà degli Assiro-Babilonesi,
degli Egiziani e dei Greci sono sparite per sempre,
travolte nel vortice del tempo, ma ancora rimangono i segni eloquenti della
loro religiosità: edifici religiosi, statue, inni alle divinità.
c) E' vero che l'idea razionale dell'ente supremo è spesso alterata per
i miti che l'immaginazione vi ha aggiunto, ma sotto questa veste talora
stravagante del sentimento e della fantasia, vi è un substrato costante,
razionale, universale, che testimonia a favore della divinità, anzi di una
Divinità suprema e unica. Questa si chiama Ammon-Ra
nell'Egitto, Brahma in India, Assur
a Ninive, Mardouk in Babilonia, Baal
in Francia, Ormuzd in Persia, Zeus in Grecia, Jupiter a Roma, ecc.
d) Il fatto si estende anche agli uomini preistorici. Alcuni moderni
scienziati (G. de Mortillet e figlio, ecc.) hanno
affermato che l'uomo del periodo paleolitico (periodo umano remotissimo,
della selce solo scheggiata, che precede il periodo neolitico o della
pietra levigata) era completamente areligioso. Ma le
recenti scoperte di scheletri di uomini del periodo
paleolitico, sepolti con riti religiosi, attesta con certezza storica che anche
l'uomo di quell’epoca era religioso, benché i dati non siano sufficienti per
dire quale fosse la sua religione, se monoteista o no.
Tali dati ci sono forniti dallo studio dei popoli primitivi tuttora esistenti
dei quali tra poco parleremo.
Noi conosciamo ora tutti i popoli della terra,
sappiamo con certezza che dappertutto si adora, si prega, si invoca
l'Altissimo. Il Quatrefages, nell'opera La specie
umana, scrive: «Obbligato dal mio insegnamento a passare in
rassegna tutte le razze umane, io cercai l'ateismo presso i popoli più
rozzi come presso i popoli più colti. Io non lo trovai in nessun luogo se non
in qualche individuo – come dice altrove – allo stato erratico». Dovunque sempre la massa delle popolazioni è sfuggita all'ateismo,
anche là dove con la violenza si tentò di imporlo. La propaganda atea,
accompagnata dall'incentivo dell'immoralità e dalla proibizione di ogni manifestazione religiosa, possono in una nazione
aumentare il numero degli atei, dare anche l'impressione esterna di un popolo
ateo; ma appena la violenza cessa, le rifiorenti manifestazioni religiose
dimostrano come la massa sia sfuggita all'ateismo.
Non meno viva e profonda è la credenza in Dio presso i popoli primitivi, cioè quei popoli che sono rimasti al livello culturale di
quelli antichissimi, che hanno conservato il modo di lavorare, gli utensili, il
genere di vita, ecc., simile a quello dei primi uomini: non hanno né
agricoltura, né allevamento di bestiame, ma vivono della raccolta di ciò che dà
la natura.
Popoli primitivi sono, per es., i Pigmei e i Boscimani dell'Africa, gli Andamanesi
dell'Asia e i Negritos delle Filippine, alcune tribù
della Terra del Fuoco di America e alcune tribù sud‑orientali
dell'Australia.
Orbene, lo studio oggettivo della religione di questi popoli primitivi ha
portato alle seguenti conclusioni: «In tutti i gruppi etnici della cultura
primitiva esiste la credenza in un Essere supremo, se non dappertutto nella
stessa forma e potenza, certo dappertutto con forza sufficiente da escludere
ogni dubbio intorno alla sua nozione predominante» [SCHMIDT, Manuale di
Storia comparata delle religioni, Brescia, Morcelliana,
p. 421].
La credenza in un Essere supremo è chiarissima presso tutte le tribù di Pigmei
dell'Africa e dell'Asia: anzi è notevole il fatto che l'idea di questo Essere
supremo sia tanto più pura e meno offuscata da idee di altre
divinità minori, quanto più la tribù presenta caratteri primitivi. I nomi con
cui l'Essere viene chiamato esprimono o la paternità
(Padre) o l'opera creatrice (Fattore, Creatore della terra, Costruttore dei
mondi) o la sua dimora in cielo o qualche suo attributo (Colui che abita in
cielo, l'Onnipotente, l'Eterno, ecc.).
Il concetto elevato di Dio e della morale dei popoli primitivi dimostra che
primitivo non è sinonimo di barbaro e che la loro inferiore cultura materiale e
semplicità di vita non è effetto di degenerazione o decadenza; essi sono la
vivente confutazione della teoria evoluzionistica nei riguardi dell'uomo.
Il fatto cresce di importanza
se si considera il consenso degli uomini più grandi e delle menti più elevate
di tutti i tempi. Essi formano la parte eletta della società ed hanno il
diritto di rappresentare l'umanità stessa. Ricordiamo alcuni nomi.
Nell'antichità, per es., Socrate, Platone, Aristotele
e Cicerone, che hanno scritto pagine immortali sopra la divinità. Nell'epoca cristiana, oltre tutti i Padri, tutti i Dottori,
tutti i Filosofi e Teologi cristiani, geni sublimi dalla vita intemerata e
dagli studi profondi, bisognerebbe ricordare i nomi di quasi tutti gli
scienziati dal XVI al XIX secolo, che credettero in
Dio: Copernico, Galileo, Bacone,
Keplero, Newton, Leibnitz, Réaumur, Buffon, Linneo, Jussieu, Eulero, Herschel, Cauchy, Faye, Laplace, Ampère, Oerstedt, Fresnel, Faraday, Liebig, Biot, Becquerel, Gay-Lussac, Secchi, Hermite, Cuvier, Agassiz, Pasteur, Marconi, ecc. Si veda
l’opera del Farges L’idea di Dio, e
specialmente quella, bellissima, del Kneller: Il
cristianesimo e i naturalisti moderni.
Concludiamo ancora una volta con le parole
di un pagano, Cicerone: «Se quello che la ragione
dimostra lo confermano i fatti, lo proclamano i popoli civili e barbari,
antichi e moderni, lo hanno creduto i filosofi e i poeti e gli uomini più
sapienti che hanno governato stati e che hanno fondato città, aspettiamo forse
che gli animali parlino e ci dicano che esiste Dio, non contenti del consenso
universale degli uomini?»