Venerati e cari Confratelli,
ci incontriamo mentre è forte in noi il lieto ricordo delle intense giornate
che abbiamo vissuto a Verona e di esse vogliamo anzitutto ringraziare il
Signore. Ci ritroviamo, all’inizio del nuovo anno, per riflettere insieme su
quella esperienza e mettere a punto le indicazioni che ne sono emerse, in vista
dell’evangelizzazione e del bene complessivo della nostra amata Nazione. Ci
guidano la certezza della nostra comunione e soprattutto la fiducia nella
presenza e nell’opera del Signore: a Lui rivolgiamo la nostra umile preghiera,
perché illumini con il suo Santo Spirito noi stessi e i lavori di questi giorni
e sostenga sempre il cammino delle nostre Chiese.
1. Il nostro primo pensiero si indirizza al Santo Padre. Lo ringraziamo
anzitutto per la giornata che ha trascorso con noi a Verona, per l’Eucaristia
celebrata allo Stadio “Bentegodi”, per il discorso del mattino, con il quale
egli ci ha offerto la piattaforma fondamentale per la vita e la testimonianza
delle nostre Chiese nei prossimi anni. A Verona, come in tante altre occasioni,
è emerso tutto l’affetto che unisce il popolo italiano al Papa. Dal 28 novembre
al 1° dicembre Benedetto XVI è stato in Turchia per un viaggio di grandi e
molteplici significati che, come ha detto egli stesso tracciandone il bilancio
nell’udienza generale del 6 dicembre, “si presentava non facile sotto diversi
aspetti”. L’esito però è stato estremamente positivo, sotto ogni profilo: i
rapporti con il popolo turco e con quello Stato, ma anche tra il cristianesimo
e la religione musulmana; i rapporti ecumenici e segnatamente quelli con il
Patriarca Ecumenico Bartolomeo I; il sostegno e l’incoraggiamento per la
comunità cattolica che vive in Turchia. Ci uniamo al Papa nel ringraziare il
Signore ma desideriamo anche esprimere la nostra commossa gratitudine a
Benedetto XVI per lo spirito di fede e l’autentica umiltà, il coraggio e lo
slancio apostolico con i quali ha portato a termine questa missione.
Il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace è incentrato quest’anno su “La
persona umana, cuore della pace” e fa leva sul rispetto della “grammatica”
scritta nel cuore dell’uomo dal suo Creatore: “Il riconoscimento e il rispetto
della legge naturale pertanto costituiscono anche oggi la grande base per il
dialogo tra i credenti delle diverse religioni e tra i credenti e gli stessi
non credenti. È questo … un fondamentale presupposto per un’autentica pace” (n.
3). Questo decisivo criterio si concretizza nel rispetto di due diritti
essenziali, oggi purtroppo largamente e in diverse maniere contrastati: il
diritto alla vita, che “è un dono di cui il soggetto non ha la completa
disponibilità”, e il diritto alla libertà religiosa, che “pone l’essere umano
in rapporto con un Principio trascendente che lo sottrae all’arbitrio
dell’uomo” (n. 4). Nella medesima prospettiva è di primaria importanza per la
costruzione della pace “il riconoscimento dell’essenziale uguaglianza tra le
persone umane” (n. 6): esso, come il Papa ha ribadito nel discorso dell’8
gennaio al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, spinge ad
affrontare seriamente lo scandalo della fame, sempre più inaccettabile in un
mondo “che dispone dei beni, delle conoscenze e dei mezzi per porvi fine”,
cambiando i nostri modi di vita e correggendo “i modelli di crescita che
sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente e uno sviluppo umano
integrale per oggi e soprattutto per domani”.
L’uguaglianza tra le persone richiede inoltre, e non meno, di por fine allo
sfruttamento delle donne e alle tante mancanze di rispetto per la loro dignità,
superando le “visioni antropologiche persistenti in alcune culture, che
riservano alla donna una collocazione ancora fortemente sottomessa all’arbitrio
dell’uomo” (n. 7). In realtà “l’ecologia della pace” richiede che si tengano
maggiormente presenti le connessioni esistenti tra ecologia naturale ed
ecologia umana e sociale (cfr n. 8). È certamente comprensibile infatti che le
visioni dell’uomo varino nelle diverse culture, ma non è lecito coltivare concezioni
antropologiche, e tanto meno idee o piuttosto “ideologie” riguardo a Dio, che
rechino in se stesse il germe della contrapposizione e della violenza (cfr n.
10). Oggi però ostacola il dialogo autentico e quindi la pace anche
“l’indifferenza per ciò che costituisce la vera natura dell’uomo”, ossia una
visione “debole” e relativistica della persona, che nega l’esistenza di una
specifica natura umana e apre lo spazio per qualsiasi sua interpretazione. Una
tale visione infatti indebolisce fatalmente e rende relativi e sempre
negoziabili anche i diritti dell’uomo, lasciando la persona stessa indifesa e
quindi facile preda della violenza e dell’oppressione (cfr nn. 11-12). È
pertanto di importanza determinante che le Nazioni Unite non perdano di vista
il fondamento naturale dei diritti dell’uomo, solennemente affermati nella
Dichiarazione Universale del 1948, e non si adeguino ad una loro
interpretazione soltanto positivistica, come se essi si fondassero
semplicemente sulle decisioni dell’Assemblea che li ha approvati (n. 13).
Con il Messaggio per la Giornata della Pace Benedetto XVI ci aiuta dunque a
superare quella falsa e pericolosa divisione, o addirittura contrapposizione,
tra due parti dell’etica che egli stesso ha denunciato nel discorso ai Vescovi svizzeri
del 9 novembre 2006: la parte cioè riguardante i grandi temi della pace, della
non violenza, della giustizia per tutti a cominciare dai più poveri e del
rispetto del creato, e la parte che si riferisce ai temi non meno essenziali
della vita umana, della famiglia e del matrimonio. Se continuasse a mettere
radici, una tale separazione non potrebbe che ostacolare il cammino verso un
umanesimo pieno e condiviso.
Il 21 novembre la Sala Stampa della Santa Sede ha annunciato che sarà tra breve
pubblicata la prima parte di un libro, dedicato a “Gesù di Nazareth”, al quale
il Papa sta lavorando dall’estate 2003 e continua a riservare “tutti i momenti
liberi”, come ha scritto egli stesso in uno degli estratti già anticipati della
prefazione. Con questo lavoro, che attendiamo con gioia un po’ impaziente,
Benedetto XVI intende superare quella separazione tra il “Cristo della fede” e
il reale “Gesù storico” che l’esegesi basata sul metodo storico-critico sembra
aver reso sempre più profonda, con la conseguenza di allontanare da noi “la
figura stessa di Gesù”, provocando una situazione “drammatica” per la fede,
perché “rende incerto il suo autentico punto di riferimento”. Perciò il
Cardinale Ratzinger e ora Benedetto XVI si è dedicato a mostrare che il Gesù
dei Vangeli e della fede della Chiesa è in realtà il vero “Gesù storico”,
impiegando a tale scopo il metodo storico-critico, di cui riconosce volentieri
i molteplici risultati positivi, ma andando anche al di là di esso, per porsi
in una prospettiva più ampia, che consenta un’interpretazione della Scrittura
propriamente teologica, e che pertanto richiede la fede senza rinunciare per
questo alla serietà storica. Si tratta cioè di applicare alla critica storica,
come analogamente alle scienze empiriche, quel grande progetto di “allargare
gli spazi della razionalità” che Benedetto XVI ci ha proposto a Verona ed ha
sostenuto e motivato anche in molte altre occasioni. Penso di interpretare il
vostro comune sentire, cari Confratelli, rivolgendo ai nostri amici teologi ed
esegeti un forte e affettuoso invito, perché facciano proprio questo progetto e
contribuiscano a realizzarlo con il loro ingegno e la loro competenza,
specialmente riguardo a quel cuore della nostra fede che è il Figlio di Dio e
Figlio dell’uomo. Il prossimo Sinodo dei Vescovi, che avrà luogo nell’ottobre
2008 sul tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”,
costituirà a sua volta una felice opportunità per approfondire la
consapevolezza del legame che unisce tra loro la Scrittura e la Chiesa.
Stiamo vivendo la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che
quest’anno si richiama all’esclamazione della folla dopo la guarigione
miracolosa operata da Gesù: “Fa sentire i sordi e fa parlare i muti” (Mc
7,31-37). Gli incontri ecumenici di Benedetto XVI con l’Arcivescovo di
Canterbury Dott. Rowen Williams il 23 novembre, con il Patriarca Ecumenico
Bartolomeo I e con il Patriarca della Chiesa Armena Apostolica Mesrob II
durante il viaggio in Turchia, oltre che con l’Arcivescovo di Atene e di tutta
la Grecia Christodoulos a metà dicembre, e le importanti Dichiarazioni Comuni
che sono scaturite da alcuni di questi incontri, mostrano come il cammino verso
la piena unità dei cristiani – pur “lungo e non facile”, come ha detto il Papa
all’udienza generale del 17 gennaio – non smetta di progredire. La preghiera e
l’ecumenismo spirituale sono la forma in cui l’intero popolo di Dio può meglio
contribuire al raggiungimento di questo affascinante obiettivo. Lo stesso 17
gennaio abbiamo celebrato la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del
dialogo tra cattolici ed ebrei, dedicata quest’anno alla grande parola biblica
“Non avrai altre divinità al mio cospetto” (Es 20,3): “Anche l’amicizia
ebraico-cristiana, per crescere ed essere fruttuosa, deve fondarsi sulla
preghiera”, come il Papa ha affermato nella medesima occasione.
Vorrei poi esprimere tutta la nostra vicinanza fraterna ai Vescovi e alla
Chiesa di Polonia, in questo tempo di dura e per tanti aspetti ingiusta prova.
Non dimentichiamo ciò che l’eroica fede del clero e del popolo polacco ha
rappresentato per il bene della Chiesa universale, oltre che per la liberazione
dell’Europa dal totalitarismo comunista, e alimentiamo nella preghiera la
certezza che nel presente e nel futuro la Chiesa polacca continuerà e
confermerà, attraverso l’attuale prova, la sua straordinaria testimonianza
cristiana.
2. Argomento centrale di questa sessione del Consiglio Permanente sarà la
riflessione sul Convegno di Verona, in vista dell’elaborazione di una Nota
pastorale che ne riassuma e rilanci i risultati. Siamo tutti consapevoli che
questo IV Convegno ecclesiale nazionale è un grande dono di cui, con l’aiuto
del Signore, dobbiamo non disperdere i frutti e favorire la duratura efficacia.
A tale scopo, ancor più che la nostra Nota pastorale, potrà servire un lavoro
continuativo e capillare, per vari aspetti analogo a quello che ha preparato il
Convegno, da svolgere nelle Diocesi, nelle parrocchie e nell’intera rete delle
realtà ecclesiali, e da innervare con alcuni eventi di rilievo nazionale che ne
diffondano la conoscenza e favoriscano il coinvolgimento delle più varie
energie e presenze sociali e culturali.
Il messaggio che proviene da Verona ha al suo centro il discorso del Santo
Padre, che ci ha indicato con nitida profondità “quel che appare davvero
importante per la presenza cristiana in Italia”, e che può felicemente
riassumersi nel “grande sì che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua
vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza”. In
questo messaggio possiamo anzitutto individuare alcune strutture portanti e
dimensioni fondamentali, che fanno riferimento al tema stesso del Convegno:
“Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”. Tra queste in primo luogo la
fede in Cristo risorto e nella forza di trasformazione dell’uomo e dell’intera
realtà che ne scaturisce, così che “Io, ma non più io” diventa la formula
dell’esistenza cristiana fondata nel battesimo. Di qui l’indole escatologica e
missionaria di tutta la vita e la testimonianza ecclesiale, incentrata sulla
comunione con il Crocifisso Risorto e protesa a renderlo presente con la sua
forza di salvezza in tutti gli spazi del mondo, infondendo nel mondo stesso
quel fermento di fiducia, di gioia e di rinnovamento che è la speranza
teologale.
La preparazione e lo svolgimento del Convegno, con la loro articolazione in
cinque ambiti di esercizio della testimonianza, ciascuno dei quali assai
rilevante nell’esperienza umana e tutti insieme confluenti nell’unità della persona
e della sua coscienza, hanno rappresentato una novità assai significativa e
ricca di potenzialità per la metodologia e l’impostazione complessiva della
nostra pastorale. Questa, per l’attuale contesto sociale e culturale, e più
profondamente per corrispondere meglio all’indole stessa dell’esperienza
cristiana, deve essere infatti caratterizzata da una primaria attenzione alla
persona e alla sua concreta situazione di vita, con i rapporti, gli affetti,
gli interessi, le attese, le difficoltà e le preoccupazioni che la formano e la
plasmano. Si tratta ora di accompagnare e sostenere, con gradualità ma anche
con convinzione, l’affermarsi e il diffondersi a livello capillare di una tale
impostazione della pastorale, che sta già trovando da molte parti un’accoglienza
favorevole.
L’intenso lavoro svolto a Verona in quei cinque ambiti, unitamente agli
interventi in assemblea plenaria, offre una vera messe di considerazioni,
suggerimenti e proposte che potranno essere opportunamente raccolti intorno a
quegli obiettivi fondamentali che emergono con chiarezza specialmente dal
discorso del Santo Padre. Tra questi anzitutto il primato di Dio nella vita e
nella pastorale della Chiesa, con l’assunzione della santità quale misura alta
ma non rinunciabile del nostro essere cristiani; la comunione e il senso di
appartenenza ecclesiale, con gli spazi di corresponsabilità che ne derivano e
che riguardano a pieno titolo anche i laici; l’educazione e la formazione
missionaria del cristiano, affinché fin dalla fanciullezza sia progressivamente
reso consapevole della propria fede, proteso a testimoniarla nella concretezza
della vita e capace di decisioni impegnative e anche definitive; la missione,
come proposta umile, argomentata e coraggiosa della verità, della bellezza e della
“vivibilità” del cristianesimo, attraverso quella “forte unità” a cui ci ha
invitato il Papa “tra una fede amica dell’intelligenza e una prassi di vita
caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai
sofferenti”, da realizzare “nelle condizioni proprie del nostro tempo”; la
sollecitudine per il bene dell’uomo e delle comunità in cui egli vive, senza
confondere la Chiesa con la politica e senza abdicare alla missione affidata
alla Chiesa ed ai laici cristiani.
Cari Confratelli, in questo tempo del “dopo Verona” è particolarmente
importante mantenere vivo quel senso di una responsabilità e di un’impresa
comune che ha animato e caratterizzato il Convegno e la sua preparazione: è
questo, forse, l’atteggiamento e lo stimolo di cui più abbiamo bisogno per
adempiere a quei compiti, certamente assai impegnativi, che a Verona ci sono
apparsi come le richieste dello Spirito alle nostre Chiese. La preghiera, che è
stata la prima e fondamentale dimensione del Convegno, è anche la principale
risorsa in cui ora confidiamo, perché sostenga tutto il nostro cammino.
Permettetemi di integrare quello che ho cercato di dire sul Convegno e sul
“dopo Convegno” con un rimando allo straordinario discorso del Santo Padre alla
Curia Romana dello scorso 22 dicembre. Riferendosi al suo viaggio in Germania,
il cui “grande tema … era Dio”, Benedetto XVI ha parlato del sacerdote, come
“uomo di Dio” (1Tim 6,11), il cui compito centrale è portare gli uomini a Dio,
ciò che egli può fare “soltanto se egli stesso viene da Dio, se vive con e da
Dio”. Perciò il Papa ha richiamato il versetto “Il Signore è mia parte di
eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita” (Sal 16,5), per
sottolineare la “centralità di Dio”, come unico fondamento e senso dell’esistenza
del sacerdote, anche e specialmente nel nostro attuale mondo “funzionalistico”,
come pure per individuare in questa “teocentricità dell’esistenza sacerdotale”
il vero fondamento del celibato ecclesiastico. A Verona non si è trattato
specificamente della missione del sacerdote, mentre lo abbiamo fatto ampiamente
nella nostra Assemblea del maggio scorso: queste parole del Papa, che vanno al
cuore dell’esistenza sacerdotale, ci aiutano a collegare il Convegno con la
nostra precedente Assemblea a quel livello di profondità teologale che è
l’unico decisivo e perciò adeguato alle sfide radicali del nostro tempo.
Nei mesi trascorsi dalla precedente sessione del Consiglio Permanente il
Signore ha chiamato a sé due Confratelli ai quali eravamo particolarmente legati:
prima, a fine settembre, un giovane Vescovo, Mons. Cataldo Naro, che era membro
del nostro Consiglio, poi, il 10 dicembre, il Cardinale Salvatore Pappalardo,
che è stato a lungo Vicepresidente della nostra Conferenza. Li sentiamo
presenti tra noi, nel mistero dell’amore di Dio, preghiamo per loro e per la
terra di Sicilia di cui entrambi erano figli e che hanno tanto amato, e
confidiamo nella loro intercessione.
3. Assai variegati e segnati da molteplici fatti e circostanze sono stati in
questi mesi il cammino e la situazione dell’Italia. Sul versante economico e
sociale si sta sviluppando e consolidando la ripresa, di cui già si avevano
avuti da qualche tempo i primi segnali. Con la ripresa, ulteriori e
significativi risultati positivi si registrano sul fronte dell’occupazione,
sebbene purtroppo la percentuale dei senza lavoro sia ancora tripla nel
Mezzogiorno rispetto al Settentrione. Si è inoltre verificato un forte
incremento del gettito fiscale con un conseguente miglioramento dei conti dello
Stato, anche se sembra ulteriormente cresciuto il nostro altissimo debito
pubblico. I rapporti tra le forze politiche rimangono però altamente
conflittuali, sia tra maggioranza e opposizione sia all’interno dei due
schieramenti, come ha ripetutamente segnalato il Capo dello Stato. La legge
finanziaria in particolare, che pur dovrebbe contribuire non poco al
risanamento del debito, ha avuto un percorso eccezionalmente tribolato ed una
conclusione che, per la sua forma e modalità, ha preoccupato lo stesso Presidente
della Repubblica, oltre ad aver sollevato le pubbliche proteste di numerose e
diverse categorie di cittadini.
Sul versante della famiglia la legge finanziaria ha introdotto varie
agevolazioni per i nuclei familiari numerosi e a basso reddito, o che hanno a
carico familiari disabili, mentre diventano più pesanti gli oneri per altri
nuclei familiari: la complessità delle normative rende comunque difficile una
previsione sicura degli effetti complessivi e i progressi in alcuni campi
rimangono lontani dal configurare quel sostegno organico alla famiglia come
tale che si potrebbe ottenere, ad esempio, attraverso l’adozione del “quoziente
familiare”. D’altra parte le indagini dell’ISTAT hanno di nuovo rilevato come
buona parte delle famiglie italiane, soprattutto nel Meridione, si trovi in
condizioni di ristrettezza o anche di reale povertà.
Alla luce di questi vari elementi sembra fondata l’esigenza, da non pochi
avvertita e condivisa, di uscire dalle contrapposizioni fini a se stesse, senza
confondere per questo i ruoli propri del Governo e dell’opposizione, per
cercare anzitutto lo sviluppo complessivo e solidale dell’Italia. Non mancano
certo gli ambiti in cui un tale sforzo comune può esplicarsi. Essi non si
limitano ai delicati terreni della riforma della legge elettorale o anche di
alcuni aspetti dell’ordinamento costituzionale. Si estendono infatti a quei
problemi che sono maggiormente avvertiti dalle persone e dalle famiglie come,
oltre al lavoro e al potere di acquisto, la casa, la sanità, il sistema
pensionistico e quello fiscale, l’assistenza ai bambini più piccoli e agli
anziani, la sicurezza dei cittadini. E comprendono parimenti l’attenzione a
settori chiave per lo sviluppo del Paese come l’istruzione, la ricerca e
l’innovazione, e ancor prima l’impegno per arrestare il declino demografico
della nostra popolazione.
Nell’Angelus di domenica 14 gennaio, in cui si è celebrata la Giornata Mondiale
del Migrante e del Rifugiato, il Papa ha richiamato i contenuti del suo
Messaggio di quest’anno, dedicato alla famiglia migrante, sottolineando la
grande vastità e la crescente diversificazione del fenomeno della mobilità
umana. In particolare ha insistito sulla necessità di “tutelare i migranti e le
loro famiglie mediante l’ausilio di presidi legislativi, giuridici e
amministrativi specifici, ed anche attraverso una rete di servizi, di punti di
ascolto e di strutture di assistenza sociale e pastorale”, favorendo
l’emigrazione regolare e i ricongiungimenti familiari, nella prospettiva della
centralità della persona umana. Il Papa ha aggiunto che “Soltanto il rispetto
della dignità umana di tutti i migranti, da un lato, e il riconoscimento da
parte dei migranti stessi dei valori della società che li ospita, dall’altro,
rendono possibile la giusta integrazione delle famiglie nei sistemi sociali,
economici e politici dei Paesi d’accoglienza”: così le migrazioni saranno viste
“non … soltanto come un problema, ma anche e soprattutto come una grande
risorsa per il cammino dell’umanità”. Queste parole di Benedetto XVI sono
rivolte evidentemente al mondo intero, ma appaiono assai utili e opportune
anche nella concreta situazione dell’Italia, che sta cercando, non senza
fatica, il giusto approccio al fenomeno del rapido incremento degli immigrati,
destinato ad influire grandemente sul nostro futuro.
Abbiamo vissuto settimane di forte apprensione per le tragiche imprese della
camorra a Napoli e desideriamo esprimere a quella città e a quella Chiesa la
nostra affettuosa vicinanza, accompagnate dalla preghiera e dalla forte
richiesta che l’impegno per por fine a questa aberrante realtà sia costante e
sappia andare alle radici. Le cronache recenti hanno inoltre troppo spesso
evidenziato altre efferate iniziative criminali, che esplodono in maniere
impreviste e inattese e sembrano inconcepibili, ma in realtà fanno venire alla
luce l’abisso che può nascondersi nel cuore dell’uomo: al di là dei necessari
interventi della giustizia umana, chiediamo perdono a Dio per quel “regno del
peccato” (cfr Rom 6,12-14) da cui solo la croce di Cristo ci può davvero
liberare.
4. Il 20 novembre il Presidente Napolitano ha reso visita al Santo Padre: dai
discorsi pronunciati in quella occasione, ma anche da altri interventi del Capo
dello Stato, è emersa una sostanziale sintonia su varie e importanti tematiche,
nel rispetto della diversità dei rispettivi ruoli e della sana laicità dello
Stato. Nello stesso spirito la nostra Conferenza, tramite il suo Segretario
Generale, in un’audizione parlamentare ha espresso il proprio parere favorevole
a una legge sulla libertà religiosa, che non contrasta in alcun modo con gli
Accordi concordatari e che va articolata tenendo conto delle questioni postesi
in questi anni a seguito della forte affluenza di immigrati di altre religioni.
Le nuove problematiche etiche e antropologiche, specialmente a proposito della
vita umana e della famiglia, che stanno sempre più emergendo, toccano
d’altronde alla radice il senso e i valori della nostra esistenza, e proprio su
queste materie assistiamo a ripetute e spesso aspre denunce di una pretesa
indebita ingerenza della Chiesa. Al riguardo una spiegazione convincente e
chiarificatrice l’ha data a più riprese il Santo Padre. Così, rivolgendosi al
Presidente della Repubblica, ha affermato che la Chiesa e in particolare i fedeli
laici, nel dare il loro apporto su questi temi, “lo fanno nel contesto e
secondo le regole della convivenza democratica, per il bene di tutta la società
e in nome di valori che ogni persona di retto sentire può condividere”. Poco
dopo, il 9 dicembre, ricevendo l’Unione Giuristi Cattolici, ha precisato che
“non è segno di sana laicità il rifiuto alla comunità cristiana, e a coloro che
legittimamente la rappresentano, del diritto di pronunziarsi sui problemi
morali che oggi interpellano la coscienza di tutti gli esseri umani … Non si
tratta, infatti, di indebita ingerenza della Chiesa nell’attività legislativa,
propria ed esclusiva dello Stato, ma dell’affermazione e della difesa dei
grandi valori che danno senso alla vita della persona e ne salvaguardano la
dignità. Questi valori, prima di essere cristiani, sono umani, tali perciò da
non lasciare indifferente e silenziosa la Chiesa, la quale ha il dovere di
proclamare con fermezza la verità sull’uomo e sul suo destino”.
Attualmente l’attenzione è puntata sulle proposte di riconoscimento giuridico
delle unioni di fatto, con varie proposte di legge di cui il Senato ha iniziato
l’esame e che purtroppo tendono quasi tutte a riconoscere e tutelare tali
unioni, sia eterosessuali sia omosessuali, in termini sostanzialmente analoghi
a quanto è previsto per la famiglia fondata sul matrimonio, mentre il Governo
stesso sembra impegnato ad assumere in questa materia una propria iniziativa.
Una pressione nel medesimo senso è inoltre esercitata dai provvedimenti adottati
o in discussione in alcune Regioni e Comuni, al di là della dubbia efficacia
giuridica di talune di queste iniziative. Al riguardo abbiamo già ripetutamente
espresso la nostra posizione, in piena sintonia con quella della Santa Sede.
Personalmente mi permetto di richiamare ciò che ho cercato di dire, in termini
approfonditi e motivati, già nella prolusione alla sessione del nostro
Consiglio Permanente del 18 settembre 2005. La Nota dottrinale della
Congregazione per la Dottrina della Fede “circa alcune questioni riguardanti
l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita pubblica”, datata 24
novembre 2002, riassume efficacemente la nostra comune posizione affermando che
alla famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso “non
possono essere equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste
possono ricevere in quanto tali riconoscimento legale” (n. 4). Da ultimo il
Santo Padre ha riconfermato la medesima valutazione nel discorso dell’11
gennaio ai rappresentanti delle Amministrazioni locali di Roma e del Lazio.
Se guardiamo alla situazione dell’Italia, queste posizioni trovano un riscontro
quanto mai concreto e persuasivo. Da noi infatti la famiglia svolge un
grandissimo ruolo sociale e dà un contributo particolarmente elevato
all’educazione dei figli. Al contempo siamo da molti anni alle prese con una
gravissima crisi della natalità, che minaccia il futuro del nostro Paese.
Preoccupazioni comuni e primarie dei responsabili della cosa pubblica
dovrebbero essere quindi il sostegno della famiglia legittima fondata sul
matrimonio, in accordo con il dettato costituzionale, e la rimozione di tutti
quegli ostacoli di ordine pratico (a proposito dell’alloggio, del lavoro
giovanile e della sua stabilità, delle strutture di accoglienza per i bambini
più piccoli …), o anche giuridico e fiscale, che dissuadono le giovani coppie
dal contrarre matrimonio e dal generare dei figli, senza per questo forzare in
alcun modo la libertà delle scelte personali di ciascuno. Le informazioni
fornite in questi giorni dall’ISTAT sul persistente desiderio di maternità
delle donne italiane e sui problemi che ostacolano la sua realizzazione, e
d’altra parte i risultati conseguiti in Francia dalle politiche a favore della
natalità, mostrano come questa sfida non sia affatto perduta in partenza. Vi è
qui anche tutto lo spazio per una spontanea e benefica collaborazione tra lo
Stato e la Chiesa.
Esaminando sempre in concreto la realtà delle unioni di fatto, quelle tra
persone di sesso diverso sono certamente in aumento, sebbene restino a livelli
assai più contenuti che in altri Paesi, ma la grande maggioranza di loro vive
nella previsione di un futuro possibile matrimonio, oppure preferisce restare
in una posizione di anonimato e di assenza di vincoli. Le assai meno numerose
coppie omosessuali in buona parte vogliono a loro volta rimanere un fatto
esclusivamente privato e riservato; altre invece sembrano costituire il
principale motore della pressione per il riconoscimento legale delle unioni di
fatto, con cui intenderebbero aprire, se possibile, anche la strada per il
matrimonio. Nel pieno e doveroso rispetto per la dignità e i diritti di ogni
persona, va però osservato che una simile rivendicazione contrasta con
fondamentali dati antropologici e in particolare con la non esistenza del bene
della generazione dei figli, che è la ragione specifica del riconoscimento
sociale del matrimonio.
La legislazione e la giurisprudenza attuali già assicurano la protezione di non
pochi diritti delle persone dei conviventi, e pienamente dei diritti dei figli.
Per ulteriori aspetti che potessero aver bisogno di una protezione giuridica
esiste anzitutto la strada del diritto comune, assai ampia e adattabile alle
diverse situazioni, e ad eventuali lacune o difficoltà si potrebbe porre
rimedio attraverso modifiche del codice civile, rimanendo comunque nell’ambito
dei diritti e dei doveri della persona. Non vi è quindi motivo di creare un
modello legislativamente precostituito, che inevitabilmente configurerebbe
qualcosa di simile a un matrimonio, dove ai diritti non corrisponderebbero
uguali doveri: sarebbe questa la strada sicura per rendere più difficile la
formazione di famiglie autentiche, con gravissimo danno delle persone, a
cominciare dai figli, e della società italiana. Del resto, il recentissimo
Rapporto pubblicato in Inghilterra sulle conseguenze del crollo della famiglia
per lo stato della Nazione conferma, sulla base di un’esperienza che in quel
Paese è ormai pluridecennale, quanto siano negativi i risultati di quelle
politiche nelle quali alcuni pensano di poter trovare un modello per la società
italiana.
Esprimono il senso genuino dell’atteggiamento e della sollecitudine della
Chiesa alcune considerazioni del Santo Padre, contenute nel discorso del 22
dicembre alla Curia Romana. Riferendosi al suo viaggio in Spagna per la
Giornata Mondiale delle famiglie, egli ha detto: “il problema dell’Europa, che
apparentemente quasi non vuole più avere figli, mi è penetrato nell’animo. Per
l’estraneo, quest’Europa sembra essere stanca, anzi sembra volersi congedare
dalla storia”. Poi il Papa ha individuato le motivazioni profonde di tale
comportamento non solo nella ritrosia a donare ai figli il proprio tempo, e
alla fine a se stessi, ma anche nella perdita di orientamento, per cui non
sappiamo più quale via indicare, quali norme di vita trasmettere, e ancora più
radicalmente nell’insicurezza circa il futuro, anzi circa il fatto stesso che
sia “cosa buona essere uomo”. Perciò una risposta convincente può consistere
soltanto nel ritrovamento di un senso e di una speranza che siano più forti
delle nuvole che oscurano il futuro: a questo livello è chiaramente la Chiesa
stessa la prima ad essere chiamata in causa. Nella stessa chiave il Papa non
tace la sua preoccupazione per le leggi sulle coppie di fatto, che
relativizzano il matrimonio e rendono ancor più difficile per i giovani del
nostro tempo la decisione per un legame definitivo. Il riconoscimento legale
delle unioni omosessuali toglie poi “ogni rilevanza alla mascolinità e alla
femminilità della persona umana”, con un deprezzamento della corporeità in
conseguenza del quale l’uomo, “volendo emanciparsi dal suo corpo … finisce per
distruggere se stesso”. Perciò, “Se ci si dice che la Chiesa non dovrebbe
ingerirsi in questi affari, allora noi possiamo solo rispondere: forse che
l’uomo non ci interessa? I credenti, in virtù della grande cultura della loro
fede, non hanno forse il diritto di pronunciarsi su tutto questo? Non è
piuttosto il loro – il nostro – dovere alzare la voce per difendere l’uomo,
quella creatura che, proprio nell’unità inseparabile di corpo e anima, è
immagine di Dio?”
Un’altra questione assai delicata sotto il profilo umano ed etico, di cui il
Parlamento ha iniziato l’esame, è quella delle “dichiarazioni anticipate di
trattamento”. Un punto essenziale, sul quale sembra esservi un ampio consenso,
è il rifiuto dell’eutanasia, quali che siano i motivi e i mezzi, le azioni o le
omissioni, addotti e impiegati al fine di ottenerla. Al tempo stesso è legittimo
rifiutare l’accanimento terapeutico, cioè il ricorso a procedure mediche
straordinarie che risultino troppo onerose o pericolose per il paziente e
sproporzionate rispetto ai risultati attesi. La rinuncia all’accanimento
terapeutico non può giungere però al punto di legittimare forme più o meno
mascherate di eutanasia e in particolare quell’“abbandono terapeutico” che
priva il paziente del necessario sostegno vitale attraverso l’alimentazione e
l’idratazione, come si è espresso nel 2003 il Comitato Nazionale per la
Bioetica.
La volontà del malato, attuale o anticipata o espressa attraverso un suo
fiduciario scelto liberamente, e quella dei suoi familiari, non possono
pertanto avere per oggetto la decisione di togliere la vita al malato stesso.
Va inoltre salvaguardato il rapporto, personale e in concreto sommamente
importante, tra il medico, il paziente e i suoi familiari, come anche il
rispetto della coscienza del medico chiamato a dare applicazione alla volontà
del malato, e più in generale della deontologia medica. In questa materia tanto
delicata appare dunque una norma di saggezza non pretendere che tutto possa
essere previsto e regolato per legge. Sono altrettanto importanti e doverose le
terapie che attenuano la sofferenza e una vicinanza affettuosa e costante ai
parenti e alle loro famiglie.
Una vicenda umana dolorosa, che ha coinvolto a lungo la nostra gente, è stata
quella di Piergiorgio Welby. Essa mi ha chiamato in causa anche personalmente,
quando è giunta la richiesta del funerale religioso dopo la sua morte. La
sofferta decisione di non concederlo nasce dal fatto che il defunto, fino alla
fine, ha perseverato lucidamente e consapevolmente nella volontà di porre
termine alla propria vita: in quelle condizioni una decisione diversa sarebbe
stata infatti per la Chiesa impossibile e contraddittoria, perché avrebbe
legittimato un atteggiamento contrario alla legge di Dio. Nel prendere una tale
decisione non è mancata la consapevolezza di arrecare purtroppo dolore e
turbamento ai familiari e a tante altre persone, anche credenti, mosse da
sentimenti di umana pietà e solidarietà verso chi soffre, sebbene forse meno
consapevoli del valore di ogni vita umana, di cui nemmeno la persona del malato
può disporre. Soprattutto ci ha confortato la fiducia che il Dio ricco di
misericordia non solo è l’unico a conoscere fino in fondo il cuore di ogni
uomo, ma è anche Colui che in questo cuore agisce direttamente e dal di dentro,
e può cambiarlo e convertirlo anche nell’istante della morte.
Una notizia positiva, cari Confratelli, è stata quella che la Corte
Costituzionale ha respinto il ricorso contro la legge 40 sulla procreazione
medicalmente assistita, riguardo alla norma che vieta la diagnosi preimpianto.
I risultati di questi primi anni di applicazione di tale legge, unitamente ai
continui progressi della ricerca scientifica, confermano del resto che essa,
pur con i suoi limiti etici, rende per vari aspetti un positivo servizio.
5. Se allarghiamo lo sguardo all’Europa e al mondo, si segnala anzitutto
l’ingresso, con l’inizio del nuovo anno, di due altre Nazioni, la Romania e la
Bulgaria, nell’Unione Europea. Diventa pertanto sempre più necessario dotare
l’Unione di regole più idonee ad assicurare l’effettiva e armonica convergenza
di un grande numero di Paesi tra loro spesso assai diversi per storia e cultura
oltre che per il livello di sviluppo economico, rispettando al contempo queste
loro diversità.
Il Medio Oriente continua ad essere afflitto da sanguinosi conflitti e da
fortissime tensioni. In Terra Santa infatti, oltre al contrasto, spesso armato,
tra Israele e i palestinesi, questi ultimi sono travagliati da lotte interne
difficili da superare: la pacificazione della Terra Santa, con il
riconoscimento reciproco dei due popoli e dei due Stati, rimane però elemento
decisivo per restituire un minimo di tranquillità e sicurezza a tutta l’area
mediorientale. Anche in Libano, dopo l’assassinio del Ministro Pierre Gemayel,
la situazione interna è ridiventata assai tesa e il Governo è stato sottoposto
a fortissime pressioni, alle quali non sono certo estranei gli interessi e le
ambizioni di altri Stati. Ma il Paese in cui si sta consumando la peggiore
tragedia è l’Iraq, con molte migliaia di vittime, soprattutto civili, per la
lotta tra opposte fazioni. L’esecuzione di Saddam Hussein e poi di due tra i
suoi più stretti collaboratori, oltre alla riprovazione morale che non può non
accompagnare la pena di morte, sembra avere ulteriormente aggravato questa
situazione. L’aumento della presenza militare non potrà essere la chiave di una
soluzione duratura, per la quale un nuovo e più ampio approccio politico appare
davvero indispensabile.
Rimangono aperte inoltre le gravi questioni dei programmi nucleari dell’Iran e
delle inaccettabili minacce contro l’esistenza stessa dello Stato di Israele.
Anche in Afghanistan le attività di guerriglia non sembrano attenuarsi e due
nostri soldati, gli alpini Giorgio Langella e Vincenzo Cardella, sono stati
uccisi, mentre un altro militare italiano, Massimo Vitagliano, è morto in un incidente
in Iraq: li accompagnano il nostro affetto, la nostra gratitudine e la nostra
preghiera. In questa situazione il Santo Padre ha sentito il bisogno di
rivolgere nell’imminenza del Natale uno speciale Messaggio ai cattolici del
Medio Oriente, in cui esprime loro tutta la sua vicinanza e la sua solidarietà
nella sofferenza, nei rischi e nelle molteplici difficoltà che devono
affrontare, li conforta a non lasciare quelle terre, in cui è nato il Salvatore
ed ha avuto la sua prima espansione la fede cristiana, e rende pubblica la sua
speranza di potersi recare pellegrino in Terra Santa. A nostra volta siamo
vicini a questi nostri fratelli con la preghiera e la solidarietà, che vogliamo
esprimere in particolare recandoci anche noi pellegrini in quei luoghi.
In Africa la Somalia è stata teatro di un aspro conflitto, con molte vittime ed
ulteriori emergenze per una popolazione stremata. La sua rapida conclusione
militare non garantisce purtroppo, almeno per ora, una prospettiva di
pacificazione e di ricostruzione. La terribile crisi del Darfur sembra aprirsi
negli ultimi tempi a qualche speranza di soluzione, anche se l’esperienza di
questi anni induce purtroppo alla massima cautela. Nella Nigeria, funestata
dall’esplosione di un oleodotto che ha provocato centinaia di vittime, due
italiani sono da lungo tempo tenuti in ostaggio, mentre un terzo, in precarie
condizioni di salute, è stato rilasciato negli ultimi giorni. Non sono pochi
però, come ha detto il Papa nel discorso al Corpo Diplomatico, i segnali positivi
che giungono da questo Continente tanto martoriato: essi riguardano i processi
di riconciliazione nazionale in atto in molti Paesi e lo sforzo di ripristino
del funzionamento delle istituzioni, a livello non solo nazionale ma anche
regionale e continentale. Per l’Africa deve crescere la sollecitudine, pur già
grande, della Chiesa italiana, e anche una genuina solidarietà del nostro
Paese.
Ha suscitato gravi preoccupazioni l’esperimento nucleare compiuto dalla Corea
del Nord, oltre a tutto in stridente contrasto con l’estrema miseria che
affligge il suo popolo. Ma è motivo di turbamento e suscita pesanti
interrogativi anche un fatto come l’assassinio a Mosca della giornalista Anna
Politovskaia, nota nel mondo per le sue inchieste sulle violazioni dei diritti
umani. Solidarietà concreta dobbiamo inoltre esprimere al popolo filippino,
duramente provato a fine novembre da un tifone che ha provocato un grandissimo
numero di morti ed enormi distruzioni.
Termino ricordando tutti quei nostri fratelli, almeno 24 nel corso del 2006,
tra i quali gli italiani Don Andrea Santoro, Don Bruno Baldacci e Suor Leonella
Sgorbati, che hanno versato il loro sangue in terra di missione. Il loro
sacrificio sia seme di nuovi cristiani e valga ad indurre a comportamenti più
aperti e più umani quelle forze, quei gruppi e purtroppo anche quei Governi che
propendono ad atteggiamenti di intolleranza e talvolta di vera persecuzione.
Cari Confratelli, vi ringrazio di avermi ascoltato e di quanto vorrete
osservare e proporre. Affidiamo con fiducia queste nostre giornate alla materna
intercessione di Maria Santissima, a quella del suo sposo Giuseppe e dei Santi
e delle Sante venerati nelle nostre Chiese.
Camillo Card. Ruini
Presidente