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GLI UNIVERSALI

 

Nello studio del pensato in quanto pensato occorre cominciare dal pensato nella sua forma più semplice, dal minimo di pensato, per dir così, perché, facendo così, vedremo meglio qual è il carattere per cui l'ens rationis sì distingue dall'ente reale, qual è il costitutivo dell'esser pensato in quanto tale. Conviene sempre infatti, quando si vuol studiare la natura dì un oggetto nel suo carattere specifico, considerare le attuazioni più semplici di tale natura, per non rischiare di attribuirle caratteri che non le competono se non per accidens. Voglio dire, se io per studiare la vita prendo in considerazione un vivente molto complesso, per es. un cane; corro il rischio di credere che per essere viventi occorra avere tutte le complesse funzioni che ha un cane, mentre è vivente anche l'ameba che pur non ha quelle complesse funzionì. Meglio è dunque, se voglio conoscere i caratteri dei vivente in generale, che studi gli organismi più semplici.

Ora la forma più semplice di pensato è la nozione o concetto, perché la proposizione presuppone il concetto e l'argomentazíone presuppone la proposizione.

Cominciamo dunque dal concetto e vediamo in che cosa esso si distingua dall'oggetto reale che rappresenta, qual é il carattere che gli compete in quanto pensato e che non compete all'ente reale.

Tale carattere è l'universalità.

Vedremo poi se ci siano anche concetti individuali. Certo è che l'universalità può competere solo a enti ideali: nessun ente reale è universale , ogni ente reale è individuo: è questo e non altro. E siccome la parola universale è stata presa in significati diversi nella storia della filosofia, diciamo subito che per universale, in logica, intendiamo un oggetto di pensiero che può essere predicato di più individui.

I. Esistenza di concetti universali

E’ un fatto che abbiamo nozioni universali, e un fatto si mostra, non si dimostra; quindi dovremo sopra tutto richiamare la nostra attenzione a riflettere sulla nostra conoscenza.

Si  hanno presenti non solo contenuti individuali, come "questo rosso" o "queste due mele", ma anche contenuti universali come "il rosso" o "il due"; ci si rappresenta talora anche un quid, una essenza, prescindendo dalle sue attuazioni particolari, dagli individui nei quali si realizza. Ad es., io vedo una palla, questa palla; ma questa palla per sè, per sua natura potrebbe trovarsi anche in un altro luogo, essere stata fatta in un altro tempo; questa palla è, poniamo, grigia, ma potrebbe anche essere verde o rossa. E il grigio di questa palla per sè, in quanto grigio, potrebbe anche appartenere a un foglio di carta anzichè a questa palla. Questa palla ha una forma sferica, ma la forma sferica per sè, per sua natura, potrebbe anche esser la forma di un pezzo di bronzo anzichè di un pezzo di gomma.

Parliamo dunque di una palla che per sua natura potrebbe indifferentemente esser qui o là, mentre questa palla è necessariamente o qui o là, parliamo di un grigio che per sua natura potrebbe essere il grigio di una palla o di un foglio di carta, mentre questo grigio è necessariamente legato a questa palla e non può certo mettersi a svolazzare per l'aria; parliamo di una forma sferica che per sua natura potrebbe appartenere a un pezzo di gomma o a un pezzo di bronzo, mentre questa forma sferica è necessariamente inerente alla palla e non se ne può certe staccare. Vuol dire dunque che abbiamo la nozione non solo di questa palla, di questo grigio, di questa forma sferica, ma anche le nozioni di "esser palla", di "esser grigio", di essere sfera ", ossia le nozioni universali di " palla grigio sfera ".

 

Precisiamo un poco le differenze. fra questi due tipi di nozioni: La nozione individuale mi presenta un questo, che è qui ed ora; la nozione universale mi presenta un quid, una essenza, che prescinde dal qui e dall'ora.

 

E’ facile vedere che, anche nella vita quotidiana, ma in modo ancora più manifesto quando si fa scienza, si ha sempre a che fare con universali: l'acido solforico di cui si parla in chimica non è quello che ha sperimentato un certo giorno un chimico nel suo laboratorio, ma è l'acido solforico come essenza, come universale; quando dico che il suono ha tre caratteri: altezza, intensità, timbro, non intendo riferirmi a questo o quel suono, ma al suono in quanto tale, all'essenza  dei suono, eccetera.

 

 

 

 

2. Valore oggettivo dei concetti universali

 

ESISTONO CONCETTI UNIVERSALI

CON VALORE OGGETTIVO

Resta ora da escludere il concettualismo, ossia da dimostrare che le nozioni universali hanno un valore oggettivo-, hanno un corrispondente nella realtà. Compito della logica non può essere quello di dimostrare che tutte le nozioni universali hanno un corrispondente nella realtà (il che è falso, perchè ci sono anche nozioni create dallo spirito umano come quella di chimera o di flogisto), né che le tali e tal'altre nozioni hanno un valore oggettivo, poiché questo, come vedemmo, è il compito delle scienze reali. Compito della logica è invece quello di mostrare com le nozioni universali hanno valore oggettivo.

 

TUTTI I NOSTRI CONCETTI SONO UNIVERSALI

Il carattere inadeguato della conoscenza umana è attestato dal fatto che non solo noi abbiamo concetti universali, come abbiamo detto sopra, ma che tutti i nostri concetti sono universali. E questa, che è ritenuta spesso una strana teoria tomistica, può essere invece non solo dimostrata deduttivamente partendo da una certa concezione metafisica dell'uomo , ma anche attestata dall'analisi fenomenologica della nostra conoscenza. Infatti quando esprimiamo diciamo, che cosa è un individuo,esprimiamo sempre concetti universali..Diciamo p. es. che Tizio è un uomo, che è un poeta, che la sua poesia ha i tali caratteri; ma tutti questi sono concetti universali. Pensiamo infatti che conoscere intellettivamente significa conoscere ciò che è una cosa; ora se noi sapessimo che cosa è una cosa in tutta la sua determinatezza, fino all'individualità, la distingueremmo subito da tutte le altre e saremmo sicuri di non scambiarla mai con un'altra. E invece non arriviamo a conoscere così neppure le cose o le persone con le quali abbiamo più familiarità. Chi di noi si accorge se gli hanno scambiato la penna sul tavolo, se si tratta di penne simili? Chi di noi non ha qualche piacevole sorpresa o qualche delusione sulle persone che credeva di conoscere di più ?

 

Inoltre, se conoscessimo le cose nella loro essenza individuale, le conosceremmo di colpo per quanto sono conoscibili e non avremmo più nulla da imparare intorno ad esse; e invece la nostra conoscenza progredisce. Che cosa vuoi dire progredisce? Vuol dire che noi conosciamo delle cose - che pure ci erano già in certo modo note - aspetti che prima non conoscevamo; vuoi dire che la nostra conoscenza si determina, ossia che ad un primo aspetto della cosa conosciuta se ne aggiungono altri; e finché è possibile aggiungere sempre nuovi aspetti, vuol dire che la cosa è conosciuta indeterminatamente, e quindi universalmente.

 

Riflettiamo su come si svolge la nostra conoscenza quando studiamo un personaggio storico, un poeta: impariamo sempre nuove cose di quel personaggio, ma possiamo mai dire di averlo rigorosamente individuato, ossia di avere una nozione che sia applicabile a lui solo e non ad altri (possibili) uomini, i quali potrebbero avere quei caratteri che conosciamo, ma anche altri, diversi da quelli che ebbe effettivamente quel tale?

 

Noi cerchiamo di accumulare tanti concetti universali, quando vogliamo conoscere p. es. Alessandro Manzoni, da ottenere che quel complesso di universali non si verifichi di nessun altro individuo a noi noto da far sì che quella costellazione di concetti ci serva praticamente per distinguere Alessandro Manzoni da un altro poeta: ma un complesso di concetti universali, anche se di fatto si avvera in un solo individuo a noi noto, per sè è predicabile di più. Si badi: non voglio dire che possano esserci altri individui uguali al Manzoni (anzi questo è proprio quello che voglio negare): dico che il mio concetto dei Manzoni è, per sè, predicabile di più individui. Per persuaderne il lettore farò un esempio: quando un ragazzo di scuole medie, non molto intelligente, ripete la lezione sul Manzoni e, alla domanda del professore di non limitarsi a dire solo quando e dove il Manzoni è nato e morto e quali sono i titoli delle sue opere, risponde accozzando insieme qualche vago concetto, il professore gli obietta che quei vaghi concetti potrebbero andar bene per chi sa quanti altri poeti. Il ragazzo ha espresso sul Manzoni un concetto applicabile a più, universale. Ora si rifletta: il concetto del professore è proprio specificamente diverso da quello dei ragazzo, o è solo più approssimato, ma sempre solo approssimato a quella realtà individua che è il poeta Alessandro Manzoni? E il concetto che un critico illustre ha del Manzoni è proprio specificamente diverso da quello del professore o solo più approssimato? Ricordo quale impressione mi fece il trovare, in quel capolavoro che è la Storia della letteratura italiana del De Sanctis, definiti in fondo col medesimo aggettivo, "idillico", il Poliziano e Leon Battista Alberti. Quando il De Sanctis vuole sintetizzare tutto quello che ha detto sul Quattrocento in un concetto, deve adoperare un concetto molto indeterminato. Certo quel concetto si presenta li a riassumere tanti altri concetti, che il De Sanctis esprime, ma che son tutti concetti universali.

 

Se vogliamo ottenere una nozione di un poeta che sia, non solo praticamente, ma teoricamente individuale, dobbiamo riferire quei nostri concetti a qualche dato sensibile, ossia logicamente ineffabile. Il ragazzo di scuole medie si limiterà p. es. ad assegnare il luogo e il tempo in cui nacque il Manzoni; il dove e il quando che in sè sono solo sperimentabili e non definibili (se provo a definire il 1785 lo definisco solo attraverso concetti universali); il lettore un po' più penetrante riferirà i concetti che ha sul Manzoni alle intuizioni estetiche che ha quando legge la sua poesia, le quali sono sempre legate ad un elemento fantastico, sensibile, concettualmente ineffabile. Il grande critico ci darà una maggior comprensione del Manzoni perchè, coi richiamare la nostra attenzione su certi versi, su certe espressioni, su certe frasi, renderà più ricche le nostre intuizioni estetiche. Il capitolo del De Sanctis intitolato "Le Stanze" contiene ben più dell'aggettivo "idillico", non solo perché specifica quel concetto in tanti altri (che sono però tutti concetti universali), ma anche per ciò che essi sanno suggerire di extra-concettuale. E l'aggettívo "idillico" è forse così ben scelto perché ha un alone di irrazionale che evoca ciò che non può essere espresso da un concetto.

 

LA CONOSCENZA DEL SINGOLARE

 

Noi conosciamo infatti il singolare, ma sempre riferendo i nostri concetti ad una esperienza e, quando si tratta di enti corporei , questa esperienza è per noi solo sensibile. E qui riconosciamo la verità di un'altra tesi tomistica: l'intelletto conosce il singolare corporeo indirettamente, convertendo se ad phantasmata. « ... La mente si mescola indirettamente (per accidens) ai singolari, in quanto è unita con le potenze sensitive le quali son fatte per i particolari. E questa unione è duplice: primo in quanto il moto della parte sensitiva termina alla mente, come avviene nel moto che va dalle cose all'anima; e così la mente conosce il singolare per una certa riflessione, ossia in quanto la mente, conoscendo il suo oggetto, che è una natura universale, ritorna alla conoscenza del suo atto, e poi della specie che è principio del suo atto, e quindi del fantasma dal quale è astratta la specie; e così acquista una certa conoscenza del singolare ». Si dirà: ma che complicato Eppure è proprio così: per dire "questo libro", "quest'uomo" debbo aver coscienza che quel quid che io penso come "uomo, è quello stesso quid che intuisco sensibilmente, qui, ora. Ora per sapere questo debbo aver coscienza che il mio concetto di uomo deriva da “questo qui”. Naturalmente questo processo è lungo a descriversi e rapido a compiersi: per questo ci sembra che la descrizione non corrisponda alla realtà.

 

Ma così è di tutti i processi vitali: anche il movimento di un braccio è lungo a descriversi in un trattato di fisiologia, ma rapido a compiersi.

 

Certo è che quest'uomo non potrebbe essere conosciuto come uomo'' se non mediante un concetto universale, e non potrebbe essere intuito come " questo" se non con una intuizione sensibile: singulare dum sentitur, universale dum intelligitur.

 

DAL PIU’ UNIVERSALE AL MENO UNIVERSALE

 

L'intelletto conosce prima il più universale e poi il meno universale. Il più universale infatti è il più indeterminato, e noi cominciamo dai concetti più indeterminati. -Osserva S. Tommaso che se consideriamo la conoscenza intellettiva in rapporto con quella sensitiva, prima vine la sensitiva. Prima il particolare, poi l’universale. Ma se consideriamo il processo che si svolge dentro la conoscenza intellettiva, vedremo ch prima viene l’universale poi il meno universale poiché ogni processo conoscitivo è un passaggio dalla potenza all’atto e prima si perviene all’atto imperfetto poi al perfetto.

 

 

DOVE L'INTELLETTO SCOPRE L'ESSERE

 

Dunque il primo concetto dell'intelletto nostro è il concetto più universale: quello di essere. Illud quod primo intellectus concipit quasi notissimum ... est ens. Come vedremo parlando ex professo dell'essere in ontologia, c'è modo e modo di conoscere l'essere: lo si può conoscere confusamente, come ciò che è comune a tutte le cose (e così è il primo nostro concetto), e si può riflettere a ciò che vuoi dire propriamente essere, prescindendo (imperfettamente) da tutto il resto (e così l'essere è l'oggetto dell'ontologia). L'essere, conosciuto nel primo dei modi anzidetti, è l'oggetto comune e adeguato del nostro intelletto (oggetto formale, ossia aspetto sotto cui son considerate tutte le cose che l'intelletto conosce). Mentre l'oggetto proprio dell'intelletto umano nella vita presente è la quidditas rei materialis.

 

 Delle cose sensibili, prima di tutto, l'uomo si domanda che cosa sono; di queste, prima di tutto, coglie la quidditas o essenza, e la prima nozione con la quale esprime tale quidditas è la nozione di ente. Potremmo dunque dire che l'oggetto primo dell'intelletto umano in questa vita è la quiddità delle cose materiali concepita come ente. Si badi: dire che l'uomo si forma il concetto di ente prima di tutto in base all'esperienza delle cose materiali non significa dire che il concetto di ente sia prima di tutto concetto di ente materiale, come ci rimproverano gli idealisti Il concetto di ente, sebbene sia ricavato prima di tutto dalle cose materiali, non è affatto il concetto di ente materiale: è un concetto dei quale, da principio, si conoscono attuazioni materiali, ma che prescinde dalla materia e che si riconosce poi applicabile anche a realtà spirituali, quando si sia dimostrata l'esistenza di tali realtà.

 

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