ho pensato che – anche in funzione di un futuro incontro - avresti gradito una sintesi del momento di meditazione vissuto assieme il 24 aprile a Giulianova.
Penso che abbiamo vissuto un momento semplice ma denso, in un clima amicale che solo la Grazia del Signore poteva donarci. Eccoti dunque la meditazione del brano di Luca nelle sue linee essenziali:
Che cosa è la
fede? Da questo episodio capiamo che la fede consiste nel
portare tutto
davanti a Cristo, a ogni costo. Quando però si agisce secondo la fede, la
risposta di Gesù esce dai nostri schemi prestabiliti. La prima cosa che Gesù fa
per quelli che mettiamo alla sua presenza, è perdonare i peccati: quei quattro
uomini lo portano a Gesù perché sia guarito, e Gesù perdona i suoi peccati. Per
Cristo, il vero problema è la redenzione, il perdono dei peccati.
il
problema, la ferita, la paralisi della vita si situa anzitutto fra l'uomo e
Dio: l'uomo non può camminare perché non è in
relazione con il
Signore.Non abbiamo bisogno anzitutto di tecniche, di terapie, ma della
presenza del Signore, della relazione con questa presenza.Incontrando Gesù che
ci guarisce, e l'essenziale della guarigione che ci è donata da Cristo è il
perdono dei peccati.
L’episodio della
guarigione del paralitico ci insegna però un'altra cosa molto importante: il
ruolo della comunità, della compagnia per incontrare l'avvenimento di Gesù che
salva e guarisce.
E’ evidente che il
paralitico non arriva davanti a Gesù con i propri mezzi: è portato da quattro
amici (cfr. Mc 2,3) su un
lettuccio fino davanti a Gesù. Questi quattro sono come la parabola della
compagnia cristiana, della comunità ecclesiale: un piccolo gruppo
coordinato, una compagnia armonizzata nella sua opera. Tutti e quattro gli
amici sono d'accordo per farsi carico del bisogno del paralitico. Lo fanno
evidentemente per amore di quest'uomo, perché senza amore non sarebbero andati
fino in fondo nella loro impresa.
Ma era anche
un'altra cosa a unirli, forse più dell'amore, o prima dell'amore: la fede in
Cristo, la fiducia in Gesù . tesi anche fisicamente, come movimento, come
impresa, verso la presenza di Cristo. La loro fede li protende verso la
presenza di Gesù.
L'opera della fede
è un agire, un muoversi, attraverso cui riconosciamo nella nostra carne, nella
carne della nostra vita, che la presenza di Cristo è la risposta che compie la
realtà umana che è in noi e che ci circonda.
Non è
attivismo, perché i quattro amici sanno che lo scopo della loro opera non è
l'opera in quanto tale, ma l'incontro del paralitico con Gesù.
E’ Gesù che
agisce, è Gesù che fa. La vera opera, è Cristo che la fa.
E questo che vince
l'attivismo in noi: la coscienza che se dobbiamo fare, se dobbiamo agire, non
agiamo per la nostra opera ma per lasciar agire Cristo, per rendere possibile
la sua opera, nella disponibilità a lasciar perdere quello che avevamo
intrapreso quando Gesù interviene.
L'opera della
fede, misteriosamente è un'opera concreta, reale, indispensabile, faticosa
anche, e che tuttavia si sa inutile (come Gesù insegna a dire ai suoi
discepoli: «Siamo servi inutili. La verità della nostra opera, della nostra
azione, del nostro impegno, si riconosce allora dalla tensione verso la
presenza di Gesù. I quattro portatori del nostro Vangelo non si sono fermati davanti
a nessun ostacolo, nessuna difficoltà o fatica, perché il loro cuore e il loro pensiero non hanno perso la coscienza
che Gesù era presente proprio in quella casa, e che questa presenza costituiva
la salvezza del loro amico Erano tesi a una presenza salvifica incarnata .
Questa coscienza della presenza di Gesù, questa memoria, era fonte di
autorevolezza, anche se magari colui che la possedeva era il più mingherlino
dei quattro e la sua fragilità ha rischiato di farli cadere tutti e cinque. San
Luca scrive: «Veduta la loro fede, Gesù disse: "Uomo, i tuoi peccati ti
sono rimessi"» (Lc 5,20).
Cristo vede la
loro fede. Gesù, per perdonare e guarire il paralitico, guarda la fede dei
quattro, tiene conto della fede dei quattro. Non sappiamo se il paralitico avesse
anche lui la fede. E' la fede della compagnia dei quattro che permette il
perdono dei peccati e la guarigione del paralitico.
Ciò è importante
per capire anche qual è il nostro ruolo, il nostro compito davanti ai problemi
e ai bisogni immensi del mondo. Dio ci ha scelti per essere questa compagnia di
persone, la cui unità nella fede porta tutta l'umanità paralizzata, l'umanità
incapace di camminare da sola, incapace di andare da sola davanti a Cristo.La
nostra opera essenziale è di condurre e di portare il mondo di fronte a Cristo,
costi quel che costi, ognuno secondo la sua vocazione e il suo carisma.
Uno porterà il
mondo intero in presenza di Gesù come santa Teresa di Lisieux chiusa nel suo
monastero; un altro porterà il mondo intero in presenza di Gesù amando la
moglie o il marito, educando i figli, lavorando in casa o in fabbrica; un altro
lo farà come prete in parrocchia o partendo in missione.E’ una questione di
coscienza, di cuore, di memoria, di intenzione ultima nel vivere tutto.
L'unità dei discepoli
che porta il mondo a Cristo. E un'unità, una comunione, tutta animata e mossa
dalla memoria della sua presenza, cioè dalla coscienza che Lui è con noi fino
alla fine del mondo, che è con noi nella Chiesa come per i quattro Lui era
presente in quella casa. Chi guida la comunità ecclesiale non deve per forza
essere il miglior infermiere o barelliere L'essenziale è che sia qualcuno
memore della presenza del Signore, che sappia dov'è il Signore, che conosca la
bellezza potente della sua presenza e il luogo in cui tutti possono
incontrarla.
Che cuore deve
avere allora quest'uomo autorevole nella memoria della presenza del Signore che
perdona e guarisce, della presenza di Cristo misericordioso? Quello che mi
stupisce nel Vangelo è che quando Gesù vuole offrire ai suoi apostoli modelli
di vita, di fede, di amore, di preghiera, non utilizza mai figure o esempi
«sacerdotali», sacri, nobili, ma si riferisce a persone ritenute, almeno
all'epoca, inferiori, umili: donne poco raccomandabili, vedove, bambini, soldati
romani. Gesù fin dall'inizio ha lottato in questo modo contro il clericalismo.
Cristo insegna ai suoi apostoli a imparare dagli ultimi ciò in cui devono
essere i primi.
Roseto 27/4/2005
Don Giuseppe Bonomo