Il Papa incontra i giovani della diocesi di Roma
Pubblichiamo il testo del dialogo tra
Benedetto XVI e i giovani presenti in piazza San Pietro ieri pomeriggio in
occasione dell’incontro in preparazione alla XXI Giornata Mondiale della
Gioventù, che si celebrerà questa domenica.
1) Santità, sono Simone, della Parrocchia di San Bartolomeo, ho 21 anni e
studio ingegneria chimica all'Università «La Sapienza» di Roma.
Innanzitutto ancora grazie per averci indirizzato il Messaggio per la XXI
Giornata Mondiale della Gioventù sul tema della Parola di Dio che illumina i
passi della vita dell'uomo. Davanti alle ansie, alle incertezze per il futuro,
e anche quando mi trovo semplicemente alle prese con la routine del quotidiano,
anch'io sento il bisogno di nutrirmi della Parola di Dio e di conoscere meglio
Cristo, così da trovare risposte alle mie domande. Mi chiedo spesso cosa
farebbe Gesù se fosse al posto mio in una determinata situazione, ma non sempre
riesco a capire ciò che la Bibbia mi dice. Inoltre so che i libri della Bibbia
sono stati scritti da uomini diversi, in epoche diverse e tutte molto lontane
da me. Come posso riconoscere che quanto leggo è comunque Parola di Dio che
interpella la mia vita? Grazie.
Rispondo sottolineando intanto un primo punto: si deve innanzitutto dire che
occorre leggere la Sacra Scrittura non come un qualunque libro storico, come
leggiamo, ad esempio, Omero, Ovidio, Orazio; occorre leggerla realmente come
Parola di Dio, ponendosi cioè in colloquio con Dio. Si deve inizialmente
pregare, parlare con il Signore: "Aprimi la porta". E’ quanto dice
spesso sant’Agostino nelle sue omelie: "Ho bussato alla porta della Parola
per trovare finalmente quanto il Signore mi vuol dire". Questo mi sembra
un punto molto importante. Non in un clima accademico si legge la Scrittura, ma
pregando e dicendo al Signore: "Aiutami a capire la tua Parola, quanto in
questa pagina ora tu vuoi dire a me".
Un secondo punto è: la Sacra Scrittura introduce alla comunione con la famiglia
di Dio. Quindi non si può leggere da soli la Sacra Scrittura. Certo, è sempre
importante leggere la Bibbia in modo molto personale, in un colloquio personale
con Dio, ma nello stesso tempo è importante leggerla in una compagnia di
persone con cui si cammina. Lasciarsi aiutare dai grandi maestri della "Lectio
divina". Abbiamo, per esempio, tanti bei libri del Cardinale Martini,
un vero maestro della "Lectio divina", che aiuta ad entrare nel
vivo della Sacra Scrittura. Lui che conosce bene tutte le circostanze storiche,
tutti gli elementi caratteristici del passato, cerca però sempre di aprire
anche la porta per far vedere che parole apparentemente del passato sono anche
parole del presente. Questi maestri ci aiutano a capire meglio ed anche ad
imparare il modo in cui leggere bene la Sacra Scrittura. Generalmente, poi, è
opportuno leggerla anche in compagnia con gli amici che sono in cammino con me
e cercano, insieme con me, come vivere con Cristo, quale vita ci viene dalla
Parola di Dio.
Un terzo punto: se è importante leggere la Sacra Scrittura aiutati dai maestri,
accompagnati dagli amici, i compagni di strada, è importante in particolare
leggerla nella grande compagnia del Popolo di Dio pellegrinante, cioè nella
Chiesa. La Sacra Scrittura ha due soggetti. Anzitutto il soggetto divino: è Dio
che parla. Ma Dio ha voluto coinvolgere l’uomo nella sua Parola. Mentre i
musulmani sono convinti che il Corano sia ispirato verbalmente da Dio, noi crediamo
che per la Sacra Scrittura è caratteristica – come dicono i teologi – la
"sinergia", la collaborazione di Dio con l’uomo. Egli coinvolge il
suo Popolo con la sua parola e così il secondo soggetto – il primo soggetto,
come ho detto, è Dio – è umano. Vi sono singoli scrittori, ma c’è la continuità
di un soggetto permanente - il Popolo di Dio che cammina con la Parola di Dio
ed è in colloquio con Dio. Ascoltando Dio, si impara ad ascoltare la Parola di
Dio e poi anche ad interpretarla. E così la Parola di Dio diventa presente,
perché le singole persone muoiono, ma il soggetto vitale, il Popolo di Dio, è
sempre vivo, ed è identico nel corso dei millenni: è sempre lo stesso soggetto
vivente, nel quale vive la Parola.
Così si spiegano anche molte strutture della Sacra Scrittura, soprattutto la
cosiddetta "rilettura". Un testo antico viene riletto in un altro
libro, diciamo cento anni dopo, e allora viene capito in profondità quanto non
era ancora percepibile in quel precedente momento, anche se era già contenuto
testo precedente. E viene riletto ancora nuovamente tempo dopo, e di nuovo si
capiscono altri aspetti, altre dimensioni della Parola, e così in questa
permanente rilettura e riscrittura nel contesto di una continuità profonda,
mentre si succedevano i tempi dell’attesa, è cresciuta la Sacra Scrittura.
Infine, con la venuta di Cristo e con l’esperienza degli Apostoli la Parola si
è resa definitiva, così che non vi possono più essere riscritture, ma
continuano ad essere necessari nuovi approfondimenti della nostra comprensione.
Il Signore ha detto: "Lo Spirito Santo vi introdurrà in una profondità che
adesso non potete portare".
Quindi la comunione della Chiesa è il soggetto vivente della Scrittura. Ma
anche adesso il soggetto principale è lo stesso Signore, il quale continua a
parlare nella Scrittura che è nelle nostre mani. Penso che dobbiamo imparare
questi tre elementi: leggere in colloquio personale con il Signore; leggere
accompagnati da maestri che hanno l’esperienza della fede, che sono entrati
nella Sacra Scrittura; leggere nella grande compagnia della Chiesa, nella cui
Liturgia questi avvenimenti diventano sempre di nuovo presenti, nella quale il
Signore parla adesso con noi, così che man mano entriamo sempre più nella Sacra
Scrittura, nella quale Dio parla realmente con noi, oggi.
2) Santo Padre, sono Anna, ho 19 anni, studio Lettere e appartengo alla
Parrocchia di Santa Maria del Carmelo.
Uno dei problemi con i quali abbiamo maggiormente a che fare è quello
affettivo. Spesso facciamo fatica ad amare. Fatica, sì: perché è facile
confondere l'amore con l'egoismo, soprattutto oggi, dove gran parte dei media
quasi ci impongono una visione della sessualità individualista, secolarizzata,
dove tutto sembra lecito, e tutto è concesso in nome della libertà e della
coscienza dei singoli. La famiglia fondata sul matrimonio sembra ormai poco più
di un'invenzione della Chiesa, per non parlare, poi, dei rapporti
prematrimoniali, il cui divieto appare, perfino a molti di noi credenti, cosa
incomprensibile o fuori dal tempo... Ben sapendo che tanti di noi cercano di
vivere responsabilmente la loro vita affettiva, vuole illustrarci cosa ha da
dirci in proposito la Parola di Dio? Grazie.
Si tratta di una grande questione e rispondere in pochi minuti certamente non è
possibile, ma cerco di dire qualcosa. La stessa Anna ha già dato delle risposte
in quanto ha detto che l’amore oggi è spesso male interpretato, in quanto è
presentato come un’esperienza egoistica, mentre in realtà è un abbandono di sé
e così diventa un trovarsi. Lei ha anche detto che una cultura consumistica
falsifica la nostra vita con un relativismo che sembra concederci tutto e in
realtà ci svuota. Ma allora ascoltiamo la Parola di Dio a questo riguardo. Anna
voleva giustamente sapere che cosa dice la Parola di Dio. Per me è una cosa
molto bella costatare che già nelle prime pagine della Sacra Scrittura, subito
dopo il racconto della Creazione dell’uomo, troviamo la definizione dell’amore
e del matrimonio. L’autore sacro ci dice: "L’uomo abbandonerà padre e
madre, seguirà la sua donna e ambedue saranno una carne sola, un’unica
esistenza". Siamo all’inizio e già ci è data una profezia di che cos’è il
matrimonio; e questa definizione anche nel Nuovo Testamento rimane identica. Il
matrimonio è questo seguire l’altro nell’amore e così divenire un’unica
esistenza, una sola carne, e perciò inseparabili; una nuova esistenza che nasce
da questa comunione d’amore, che unisce e così anche crea futuro. I teologi
medievali, interpretando questa affermazione che si trova all’inizio della
Sacra Scrittura, hanno detto che tra i sette Sacramenti, il matrimonio è il
primo istituito da Dio, essendo stato istituito già al momento della creazione,
nel Paradiso, all’inizio della storia, e prima di ogni storia umana. E’ un
sacramento del Creatore dell’universo, iscritto quindi proprio nell’essere
umano stesso, che è orientato verso questo cammino, nel quale l’uomo abbandona
i genitori e si unisce alla sua donna per formare una sola carne, perché i due
diventino un’unica esistenza. Quindi il sacramento del matrimonio non è
invenzione della Chiesa, è realmente "con-creato" con l’uomo come
tale, come frutto del dinamismo dell’amore, nel quale l’uomo e la donna si
trovano a vicenda e così trovano anche il Creatore che li ha chiamati
all’amore. E’ vero che l’uomo è caduto ed è stato espulso dal Paradiso, o con
altre parole, parole più moderne, è vero che tutte le culture sono inquinate
dal peccato, dagli errori dell’uomo nella sua storia e così il disegno iniziale
iscritto nella nostra natura risulta oscurato. Di fatto, nelle culture umane
troviamo questo oscuramento del disegno originale di Dio. Nello stesso tempo,
però, osservando le culture, tutta la storia culturale dell’umanità, costatiamo
anche che l’uomo non ha mai potuto totalmente dimenticare questo disegno che
esiste nella profondità del suo essere. Ha sempre saputo in un certo senso che
le altre forme di rapporto tra l’uomo e la donna non corrispondevano realmente
al disegno originale sul suo essere. E così nelle culture, soprattutto nelle
grandi culture, vediamo sempre di nuovo come esse si orientino verso questa
realtà, la monogamia, l’essere uomo e donna una carne sola. E’ così, nella
fedeltà, che può crescere una nuova generazione, può continuarsi una tradizione
culturale, rinnovandosi e realizzando, nella continuità, un autentico
progresso.
Il Signore, che ha parlato di questo nella lingua dei profeti d’Israele,
accennando alla concessione da parte di Mosè del divorzio, ha detto: Mosé ve lo
ha concesso "per la durezza del vostro cuore". Il cuore dopo il
peccato è divenuto "duro", ma questo non era il disegno del Creatore
e i Profeti con chiarezza crescente hanno insistito su questo disegno
originario. Per rinnovare l’uomo, il Signore - alludendo a queste voci profetiche
che hanno sempre guidato Israele verso la chiarezza della monogamia – ha
riconosciuto con Ezechiele che abbiamo bisogno, per vivere questa vocazione, di
un cuore nuovo; invece del cuore di pietra – come dice Ezechiele – abbiamo
bisogno di un cuore di carne, di un cuore veramente umano. E il Signore nel
Battesimo, mediante la fede "impianta" in noi questo cuore nuovo. Non
è un trapianto fisico, ma forse possiamo servirci proprio di questo paragone:
dopo il trapianto, è necessario che l’organismo sia curato, che abbia le
medicine necessarie per poter vivere con il nuovo cuore, così che diventi
"cuore suo" e non "cuore di un altro". Tanto più in questo
"trapianto spirituale", dove il Signore ci impianta un cuore nuovo,
un cuore aperto al Creatore, alla vocazione di Dio, per poter vivere con questo
cuore nuovo, sono necessarie cure adeguate, bisogna ricorrere alle medicine
opportune, perché esso diventi veramente "cuore nostro". Vivendo così
nella comunione con Cristo, con la sua Chiesa, il nuovo cuore diventa realmente
"cuore nostro" e si rende possibile il matrimonio. L’amore esclusivo
tra un uomo e una donna, la vita a due disegnata dal Creatore diventa
possibile, anche se il clima del nostro mondo la rende tanto difficile, fino a
farla apparire impossibile.
Il Signore ci dà un cuore nuovo e noi dobbiamo vivere con questo cuore nuovo,
usando le opportune terapie perché sia realmente "nostro". E’ così
che viviamo quanto il Creatore ci ha donato e questo crea una vita veramente
felice. Di fatto, possiamo vederlo anche in questo mondo, nonostante tanti
altri modelli di vita: ci sono tante famiglie cristiane che vivono con fedeltà
e con gioia la vita e l’amore indicati dal Creatore e così cresce una nuova
umanità.
E infine aggiungerei: sappiamo tutti che per arrivare ad un traguardo nello
sport e nella professione ci vogliono disciplina e rinunce, ma poi tutto questo
è coronato dal successo, dall’aver raggiunto una meta auspicabile. Così anche
la vita stessa, cioè il divenire uomini secondo il disegno di Gesù, esige
rinunce; esse però non sono una cosa negativa, al contrario aiutano a vivere da
uomini con un cuore nuovo, a vivere una vita veramente umana e felice. Poiché
esiste una cultura consumistica che vuole impedirci di vivere secondo il
disegno del Creatore, noi dobbiamo avere il coraggio di creare isole, oasi, e
poi grandi terreni di cultura cattolica, nei quali si vive il disegno del
Creatore.
3) Beatissimo Padre, sono Inelida, ho 17 anni, sono Aiuto Capo Scout dei
Lupetti nella Parrocchia di San Gregorio Barbarigo e studio al Liceo Artistico
«Mario Mafai».
Nel suo Messaggio per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù Lei ci ha detto
che «è urgente che sorga una nuova generazione di apostoli radicati nella
parola di Cristo». Sono parole così forti e impegnative che mettono quasi
paura. Certo anche noi vorremmo essere dei nuovi apostoli, ma vuole spiegarci
più dettagliatamente quali sono, secondo Lei, le maggiori sfide da affrontare
nel nostro tempo, e come sogna che siano questi nuovi apostoli? In altre
parole: cosa si aspetta da noi, Santità?
Tutti ci chiediamo che cosa si aspetta il Signore da noi. Mi sembra che la
grande sfida del nostro tempo – così mi dicono anche i Vescovi in visita "ad
limina", quelli dell’Africa ad esempio – sia il secolarismo: cioè un
modo di vivere e di presentare il mondo come "si Deus non daretur",
cioè come se Dio non esistesse. Si vuole ridurre Dio al privato, ad un
sentimento, come se Lui non fosse una realtà oggettiva e così ognuno si forma
il suo progetto di vita. Ma, questa visione che si presenta come se fosse
scientifica, accetta come valido solo quanto è verificabile con l’esperimento.
Con un Dio che non si presta all’esperimento immediato, questa visione finisce
per lacerare anche la società: ne consegue infatti che ognuno si forma il suo
progetto e alla fine ognuno si trova contro l’altro. Una situazione, come si
vede, decisamente invivibile. Dobbiamo rendere nuovamente presente Dio nelle
nostre società. Mi sembra questa la prima necessità: che Dio sia di nuovo
presente nella nostra vita, che non viviamo come se fossimo autonomi,
autorizzati ad inventare cosa siano la libertà e la vita. Dobbiamo prendere
atto di essere creature, costatare che c’è un Dio che ci ha creati e che stare
nella sua volontà non è dipendenza ma un dono d’amore che ci fa vivere.
Quindi, il primo punto è conoscere Dio, conoscerlo sempre di più, riconoscere
nella mia vita che Dio c’è, e che Dio c’entra. Il secondo punto – se
riconosciamo che Dio c’è, che la nostra libertà è una libertà condivisa con gli
altri e che deve esserci quindi un parametro comune per costruire una realtà
comune – il secondo punto, dicevo, presenta la questione: quale Dio? Ci sono
infatti tante immagini false di Dio, un Dio violento, ecc. La seconda questione
quindi è: riconoscere il Dio che ci ha mostrato il suo volto in Gesù, che ha
sofferto per noi, che ci ha amati fino alla morte e così ha vinto la violenza.
Occorre rendere presente, innanzitutto nella nostra "propria" vita,
il Dio vivente, il Dio che non è uno sconosciuto, un Dio inventato, un Dio solo
pensato, ma un Dio che si è mostrato, ha mostrato sé stesso e il suo volto.
Solo così, la nostra vita diventa vera, autenticamente umana e così anche i
criteri del vero umanesimo diventano presenti nella società. Anche qui vale,
come avevo detto nella prima risposta, che non possiamo essere soli nel
costruire questa vita giusta e retta, ma dobbiamo camminare in compagnia di
amici giusti e retti, di compagni con i quali possiamo fare l’esperienza che
Dio esiste e che è bello camminare con Dio. E camminare nella grande compagnia
della Chiesa, che ci presenta nei secoli la presenza del Dio che parla, che
agisce, che s’accompagna a noi. Quindi direi: trovare Dio, trovare il Dio
rivelatosi in Gesù Cristo, camminare in compagnia con la sua grande famiglia,
con i nostri fratelli e sorelle che sono la famiglia di Dio, questo mi sembra
il contenuto essenziale di questo apostolato del quale ho parlato.
4) Santità, mi chiamo Vittorio, sono della Parrocchia di San Giovanni Bosco
a Cinecittà, ho 20 anni e studio Scienze dell'Educazione all'Università di Tor
Vergata.
Sempre nel Suo Messaggio Lei ci invita a non avere paura di rispondere con
generosità al Signore, specialmente quando propone di seguirlo nella vita
consacrata o nella vita sacerdotale. Ci dice di non avere paura, di fidarci di
Lui e che non resteremo delusi. Molti tra noi, anche qui o tra chi ci segue da
casa questa sera tramite la televisione, sono convinto che stiano pensando a
seguire Gesù per una via di speciale consacrazione, ma non è sempre facile
capire se quella sarà la via giusta. Ci vuol dire come ha fatto Lei a capire
quale era la sua vocazione? Può darci dei consigli per capire meglio se il
Signore ci chiama a seguirlo nella vita consacrata o sacerdotale? La ringrazio.
Quanto a me, sono cresciuto in un mondo molto diverso da quello attuale, ma
infine le situazioni si somigliano. Da una parte, vi era ancora la situazione
di "cristianità", in cui era normale andare in chiesa ed accettare la
fede come la rivelazione di Dio e cercare di vivere secondo la rivelazione;
dall’altra parte, vi era il regime nazista, che affermava a voce alta:
"Nella nuova Germania non ci saranno più sacerdoti, non ci sarà più vita
consacrata, non abbiamo più bisogno di questa gente; cercatevi un’altra
professione". Ma proprio sentendo queste voci "forti", nel
confronto con la brutalità di quel sistema dal volto disumano, ho capito che
c’era invece molto bisogno di sacerdoti. Questo contrasto, il vedere quella
cultura antiumana, mi ha confermato nella convinzione che il Signore, il
Vangelo, la fede ci mostravano la strada giusta e noi dovevamo impegnarci
perché sopravvivesse questa strada. In questa situazione, la vocazione al
sacerdozio è cresciuta quasi naturalmente insieme con me e senza grandi
avvenimenti di conversione. Inoltre due cose mi hanno aiutato in questo
cammino: già da ragazzo, aiutato dai miei genitori e dal parroco, ho scoperto
la bellezza della Liturgia e l’ho sempre più amata, perché sentivo che in essa
ci appare la bellezza divina e ci si apre dinanzi il cielo; il secondo elemento
è stata la scoperta della bellezza del conoscere, il conoscere Dio, la Sacra
Scrittura, grazie alla quale è possibile introdursi in quella grande avventura
del dialogo con Dio che è la Teologia. E così è stata una gioia entrare in
questo lavoro millenario della Teologia, in questa celebrazione della Liturgia,
nella quale Dio è con noi e fa festa insieme con noi.
Naturalmente non sono mancate le difficoltà. Mi domandavo se avevo realmente la
capacità di vivere per tutta la vita il celibato. Essendo un uomo di formazione
teorica e non pratica, sapevo anche che non basta amare la Teologia per essere
un buon sacerdote, ma vi è la necessità di essere disponibile sempre verso i
giovani, gli anziani, gli ammalati, i poveri; la necessità di essere semplice
con i semplici. La Teologia è bella, ma anche la semplicità della parola e
della vita cristiana è necessaria. E così mi domandavo: sarò in grado di vivere
tutto questo e di non essere unilaterale, solo un teologo ecc.? Ma il Signore
mi ha aiutato e, soprattutto, la compagnia degli amici, di buoni sacerdoti e di
maestri, mi ha aiutato.
Tornando alla domanda penso sia importante essere attenti ai gesti del Signore
nel nostro cammino. Egli ci parla tramite avvenimenti, tramite persone, tramite
incontri: occorre essere attenti a tutto questo. Poi, secondo punto, entrare
realmente in amicizia con Gesù, in una relazione personale con Lui e non sapere
solo da altri o dai libri chi è Gesù, ma vivere una relazione sempre più
approfondita di amicizia personale con Gesù, nella quale possiamo cominciare a
capire quanto Egli ci chiede. E poi, l’attenzione a ciò che io sono, alle mie
possibilità: da una parte coraggio e dall’altra umiltà e fiducia e apertura, con
l’aiuto anche degli amici, dell’autorità della Chiesa ed anche dei sacerdoti,
delle famiglie: cosa vuole il Signore da me? Certo, ciò rimane sempre una
grande avventura, ma la vita può riuscire solo se abbiamo il coraggio
dell’avventura, la fiducia che il Signore non mi lascerà mai solo, che il
Signore mi accompagnerà, mi aiuterà.
5) Padre Santo, sono Giovanni, ho 17 anni, studio al Liceo Scientifico
Tecnologico «Giovanni Giorgi» di Roma e appartengo alla Parrocchia di Santa
Maria Madre della Misericordia.
Le chiedo di aiutarci a comprendere meglio come la rivelazione biblica e le
teorie scientifiche possono convergere nella ricerca della verità. Spesso si è
indotti a credere che scienza e fede siano tra loro nemiche; che scienza e
tecnica siano la stessa cosa; che la logica matematica abbia scoperto tutto;
che il mondo è frutto del caso, e che se la matematica non ha scoperto il
teorema-Dio è perché Dio, semplicemente, non esiste. Insomma, soprattutto
quando studiamo, non è sempre facile ricondurre tutto ad un progetto Divino,
insito nella natura e nella storia dell'Uomo. Così, a volte, la fede vacilla o
si riduce a semplice atto sentimentale. Anch'io Santo Padre, come tutti i
giovani, ho fame di Verità: ma come posso fare per armonizzare Scienza e Fede?
Il grande Galileo ha detto che Dio ha scritto il libro della natura nella forma
del linguaggio matematico. Lui era convinto che Dio ci ha donato due libri:
quello della Sacra Scrittura e quello della natura. E il linguaggio della
natura – questa era la sua convinzione – è la matematica, quindi essa è un
linguaggio di Dio, del Creatore. Riflettiamo ora su cos’è la matematica: di per
sé è un sistema astratto, un’invenzione dello spirito umano, che come tale
nella sua purezza non esiste. E’ sempre realizzato approssimativamente, ma –
come tale – è un sistema intellettuale, è una grande, geniale invenzione dello
spirito umano. La cosa sorprendente è che questa invenzione della nostra mente
umana è veramente la chiave per comprendere la natura, che la natura è
realmente strutturata in modo matematico e che la nostra matematica, inventata
dal nostro spirito, è realmente lo strumento per poter lavorare con la natura,
per metterla al nostro servizio, per strumentalizzarla attraverso la tecnica.
Mi sembra una cosa quasi incredibile che una invenzione dell’intelletto umano e
la struttura dell’universo coincidano: la matematica inventata da noi ci dà
realmente accesso alla natura dell’universo e lo rende utilizzabile per noi.
Quindi la struttura intellettuale del soggetto umano e la struttura oggettiva
della realtà coincidono: la ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella
natura sono identiche. Penso che questa coincidenza tra quanto noi abbiamo
pensato e il come si realizza e si comporta la natura, siano un enigma ed una
sfida grandi, perché vediamo che, alla fine, è "una" ragione che le
collega ambedue: la nostra ragione non potrebbe scoprire quest’altra, se non vi
fosse un’identica ragione a monte di ambedue.
In questo senso mi sembra proprio che la matematica - nella quale come tale Dio
non può apparire - ci mostri la struttura intelligente dell’universo. Adesso ci
sono anche teorie del caos, ma sono limitate, perché se il caos avesse il
sopravvento, tutta la tecnica diventerebbe impossibile. Solo perché la nostra
matematica è affidabile, la tecnica è affidabile. La nostra scienza, che rende
finalmente possibile lavorare con le energie della natura, suppone la struttura
affidabile, intelligente della materia. E così vediamo che c’è una razionalità
soggettiva e una razionalità oggettivata nella materia, che coincidono.
Naturalmente adesso nessuno può provare – come si prova nell’esperimento, nelle
leggi tecniche – che ambedue siano realmente originate in un’unica
intelligenza, ma mi sembra che questa unità dell’intelligenza, dietro le due
intelligenze, appaia realmente nel nostro mondo. E quanto più noi possiamo
strumentalizzare il mondo con la nostra intelligenza, tanto più appare il
disegno della Creazione.
Alla fine, per arrivare alla questione definitiva, direi: Dio o c’è o non c’è.
Ci sono solo due opzioni. O si riconosce la priorità della ragione, della
Ragione creatrice che sta all’inizio di tutto ed è il principio di tutto – la
priorità della ragione è anche priorità della libertà – o si sostiene la priorità
dell’irrazionale, per cui tutto quanto funziona sulla nostra terra e nella
nostra vita sarebbe solo occasionale, marginale, un prodotto irrazionale - la
ragione sarebbe un prodotto della irrazionalità. Non si può ultimamente
"provare" l’uno o l’altro progetto, ma la grande opzione del
Cristianesimo è l’opzione per la razionalità e per la priorità della ragione.
Questa mi sembra un’ottima opzione, che ci dimostra come dietro a tutto ci sia
una grande Intelligenza, alla quale possiamo affidarci.
Ma il vero problema contro la fede oggi mi sembra essere il male nel mondo: ci
si chiede come esso sia compatibile con questa razionalità del Creatore. E qui
abbiamo bisogno realmente del Dio che si è fatto carne e che ci mostra come
Egli non sia solo una ragione matematica, ma che questa ragione originaria è
anche Amore. Se guardiamo alle grandi opzioni, l’opzione cristiana è anche oggi
quella più razionale e quella più umana. Per questo possiamo elaborare con
fiducia una filosofia, una visione del mondo che sia basata su questa priorità
della ragione, su questa fiducia che la Ragione creatrice è amore, e che questo
amore è Dio.