INTERVISTA
al dott. Vescovi: |
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29 Gennaio 2005 |
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I teologi: lembrione? Ha già lanima |
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Forte: è già un essere singolare, possiede una propria identità individuale. Cottier: devessere considerato come una persona |
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28 Gennaio 2005 |
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INTERVISTA a
Alfredo Anzani: |
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«Forti pressioni dovute agli enormi interessi economici in gioco. Le multinazionali hanno investito somme enormi» |
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01 Febbraio 2005 |
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Le «bugie» sulle staminali |
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Pubblichiamo l'intervento pronunciato ieri all'Accademia dei Lincei, da Angelo Vescovi, co-direttore dell'istituto per la ricerca sulle staminali del San Raffaele di Milano |
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25 Gennaio 2005 |
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Contrario alla legge sulla procreazione si dichiara il 49% degli interpellati,ma sui quesiti la partita si fa incerta: tra coloro che vogliono votare no e quelli che intendono astenersi si raggiunge la maggioranza |
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Referendum, far bene i conti del quorum
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Intervista a Claudio Risé
(17 febbraio 2005)
Il bisogno del volto del
padre
di Marina Corradi
Il padre in provetta, il padre per sempre sconosciuto ridotto al seme anonimo della fecondazione eterologa, chi e cosa diventa nella storia del figlio in quel modo generato? Mentre i sostenitori dei referendum combattono perché anche questo tipo di paternità sia possibile, in nome del più ampio "diritto al figlio" da parte delle coppie sterili, la estromissione del padre non lascia indifferente la psicoanalisi. Ha scritto il professor Claudio Risè: «Il padre serve semplicemente a consentire che ogni cosa prenda il suo posto. A partire dal posto del padre si definisce lordine simbolico in cui si dispone il resto della famiglia. Il padre è figura del limite "di qui non si può andare" e di direzione, di senso - nel significato , appunto, di orientamento: "cerca la tua strada, che io comincio a proporti". Limite e spinta direzionale che derivano anche dal fatto che ci ha messo al mondo lui, con quel primo getto ben centrato: la nostra storia è cominciata lì. E quindi lui la prima figura che ci garantisce unappartenenza».
Troppo disinvolto dunque, professore, e forse anche pericoloso questo
accantonamento del padre, ridotto a strumento anonimo, che con la battaglia per la
eterologa si vorrebbe far passare?
«Credo che i sostenitori della fecondazione eterologa dovrebbero tornare a rileggersi il
mito di Edipo, e Freud, e la psicoanalisi e la filosofia contemporanea, compreso Foucault
e Lacan, che facevano poggiare sul "no" del padre tutto il sistema normativo e
del diritto. Togliere di mezzo il padre significa togliere di mezzo il punto di
riferimento simbolico dellorganizzazione normativa di tutta la storia
dellOccidente. Fino a oggi nella vita dellindividuo e nellesperienza
collettiva lincontro con il principio dordine, con ciò che dà la propria
collocazione nel mondo, è avvenuta nella relazione col padre. Ciò discende
daltra parte dalla nostra visione religiosa, che è quella della tradizione
ebraico-cristiana».
Sul valore simbolico fondante della figura paterna molti,
probabilmente, sarebbero daccordo, ma venendo alla concretezza della legge 40 forse
obietterebbero: daccordo, con la fecondazione eterologa il padre è anonimo,
tuttavia al momento della nascita del figlio il padre non biologico assume il suo ruolo
paterno. Non è lo stesso?
«Il padre è figura dellorigine, e per questo deve avere un nome e un volto. Se noi
non sappiamo quale è la nostra origine è molto difficile che riusciamo a individuare un
destino. Possiamo sapere dove andiamo quando sappiamo da dove veniamo: la conoscenza delle
origini è necessaria agli uomini. Diverso è il caso del padre adottivo, che raccoglie
tutti gli aspetti simbolici della paternità. Il bambino sa che aveva un padre naturale,
ma le radici affettive sulle quali crescere sono quelle che gli vengono presentate da chi
lo ha accolto, con un gesto di amore e di ospitalità, e non per soddisfare un proprio
bisogno. Nel caso della fecondazione eterologa, tuttavia, vorrei sottolineare, non è
nemmeno detto che il padre sia concretamente presente una volta nato il bambino. Infatti
in molti Paesi in cui questa pratica è permessa si prescinde del tutto dalla presenza di
un padre, e la procreazione artificiale è aperta alle madri singles, o lesbiche, o alle
coppie omosessuali . In questi casi il padre non cè, semplicemente. Esistono siti
Internet come www.mannotincluded.com,
cioè "uomo non-compreso", che alle clienti consentono di scegliere le
caratteristiche somatiche del donatore anonimo: gruppo etnico, altezza, colore degli
occhi. Una possibilità che corrisponde pienamente allideologia del "father
disposable", diffusasi in questi anni: il padre "usa e getta", che serve e
poi si butta via».
«Ora prosegue Risè ci sono Paesi come gli Stati Uniti che hanno ormai
unesperienza assai più lunga della nostra di come funziona questo trittico
aborto-divorzio-procreazione artificiale. Si è prodotta una grande quantità di malessere
affettivo e psichico, e quindi anche di costi economici rilevanti per la collettività. Il
bilancio dei costi sociali di questi decenni di liberismo familiare non è estraneo,
ritengo, al successo elettorale di Bush, che è stato votato da molti elettori, pure non
favorevoli alla sua politica internazionale, in adesione alla sua svolta in difesa della
famiglia».
Un voto di reazione, dunque, alla crisi dellautorità paterna?
«Sì, i costi umani delle politiche di questi trentanni negli Usa sono
inequivocabili, e ampiamente documentati. Come spiego nel mio saggio "Il padre,
assente inaccettabile" ( Edizioni San Paolo, ndr) , secondo i dati dellultimo
censimento americano l85% dei giovani in carcere è cresciuto senza un padre, come
il 70% dei ragazzi devianti e il 63% dei giovani suicidi. Il 90% degli homeless, le
persone senza fissa dimora, è pure cresciuta in famiglie senza un padre. Così, secondo
il ministero della Giustizia americano, il 72% degli omicidi e il 60% degli stupratori
viene da case in cui era assente il padre. I ragazzi senza padre esprimono comportamenti
violenti a scuola in misura 11 volte maggiore rispetto ai coetanei. E il 69% dei bambini
abusati sessualmente proviene da case in cui il padre, ancora una volta, manca. Dati che
non vanno letti rigidamente, in base ad uninesistente legge di causa-effetto, ma
come prova di un altissimo fattore di rischio».
L"assente inaccettabile". Dunque, sembra paradossale
e in ritardo la pretesa di rendere questo padre addirittura, qualora lo si voglia,
anonimo.
«La questione della eterologa è discussa ormai anche in Gran Bretagna, come sappiamo il
Paese che ha dato origine alla ricerca e alla legislazione sulla procreazione artificiale
in Occidente. E proprio qui fa discutere una nuova legge governativa che chiede che il
donatore sia sempre noto. La commissione di bioetica inglese ha dato parere favorevole,
perché nessuno, ha dichiarato, può sottrarre al figlio il nome del padre».
Leliminazione dellanonimato, introducendo la possibilità
di dovere riconoscere questi figli, e i loro diritti alla successione, cancellerebbe
leterologa.
«Certo, ma la riconoscibilità del donatore va a toccare il punto centrale della
questione. Il padre deve esserci. Se si sa chi è, cè, in un modo sia pure
stravagante, discutibile, ma cè, nominalmente definito. E di nuovo possibile
un teatro delle origini».
Cosa accade nelle famiglie in cui dopo una fecondazione eterologa il
padre è sconosciuto ?
«Il padre sconosciuto è un fantasma attorno a cui si animano le insicurezze e i rancori
familiari allinterno della coppia, e dei figli. E una mina vagante. Un conto
è quando il padre assente è il risultato di una vicenda esistenziale, e un bambino
abbandonato ha modo di ricostruire il suo passato nella rassicurazione affettiva fornita
dalla famiglia adottiva. Siamo sempre nella vita, nei corpi, negli affetti, e tutto questo
può essere elaborato psicologicamente. In questo caso invece, quando la vita è messa in
provetta, i corpi e gli affetti diventano invisibili, il silenzio è assoluto, la vita in
formazione è separata dal vivente, e quindi la sofferenza successiva sarà molto più
forte».
Ma cosa cè al fondo di questa progressiva espulsione del padre
dalla società occidentale?
«La provetta è solo ultima tappa di un lungo processo. Il primo è stato il divorzio:
oggi negli Usa oggi un matrimonio su due si conclude con un divorzio, nel 75% dei casi
chiesto dalla moglie, e nel 92% dei casi la casa e i figli sono affidati alla moglie. Il
padre appare letteralmente buttato fuori, espulso. Laltro punto che mi colpisce
molto è la sua emarginazione nellaborto. Nella 194, il padre non ha alcuna voce in
alcun ambito, né giudiziario né consultivo. E tagliato fuori fin dallinizio
della procreazione, e questo ha provocato alcune tragedie finite sui giornali, ma
determina molto più frequenti drammi silenziosi».
E la sterilità maschile, che lei definisce "somatizzazione
della paura di procreare", giunta a sfiorare il 40% dei maschi occidentali?
«Sintomo anche questa della insicurezza del proprio ruolo, in un sistema legislativo in
cui il padre rischia di essere espulso con un divorzio, di non vedere o quasi più i suoi
figli, e non ha voce in capitolo su uneventuale gravidanza. Non è un quadro che
promuova la pulsione/desiderio a riprodursi».
Ma, alle radici di tutto questo, cosa cè stato?
«Il processo di secolarizzazione, cioè la separazione fra uomo e Dio, e la conseguente
negazione del Padre celeste. Il padre terreno fonda la sua funzione simbolica e affettiva
sulla relazione con larchetipo del Padre celeste, che dallIlluminismo in poi
è stato progressivamente negato, fino alla "morte di Dio" del primo Novecento.
Ora, sappiamo che a livello popolare queste elucubrazioni filosofiche non hanno vinto, e
che soprattutto negli ultimi decenni cè stata una forte reazione religiosa.
Tuttavia la negazione del padre continua a ispirare le legislazioni dei paesi occidentali.
La secolarizzazione, rifiutata dal sentire popolare, è ampiamente condivisa nella cultura
delle classi dominanti, e la sacralità della vita umana e del padre è costantemente
ignorata».
Il padre, lei spiega nel suo libro, è lo spirito diniziativa,
là dove la madre nutre e soddisfa. Dove il padre è in crisi decade la vitalità dei
popoli. Se lAmerica comincia a reagire, lEuropa pare ancora adagiata nel
soddisfacimento dei bisogni individualistici. Quali prospettive intravede?
«LAmerica ha verificato prima il disastro, e ora comincia a correre ai ripari.
Crogiolo di razze, memore ancora della antica spinta pionieristica, è un mondo più
primitivo e dinamico, e mantiene la capacità di adesione allistinto vitale.
LEuropa dispone di ricchezze più consolidate, è più intellettualizzata,
più lontana dalla sensibilità per la vita. Ha meno iniziativa, è meno veloce, meno
audace, anche negli interventi per difendere se stessa. Tuttavia questa iniziativa in Gran
Bretagna per restituire il nome ai padri anonimi delle provette è estremamente
importante. Io credo al significato simbolico delle parole, e questo è, penso,
linizio di una presa di coscienza. Si è fatto un grande errore, e ora forse
si comincia a comprendere la necessità di tornare a dare un ordine alle cose, "nel
nome del padre"».
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Intervista
(15 febbraio 2005)
Silvia Vegetti Finzi:
Le donne imparino a darsi dei limiti
di Marina Corradi
Procreazione, le donne si diano dei limiti» titolava pochi giorni fa lintervento sul «Corriere della sera» della psicoanalista Silvia Vegetti Finzi. Contestatrice della legge 40, convinta che questa legge debba essere modificata, tuttavia la professoressa lancia un messaggio chiaro: «La procreazione scrive è sempre un atto di relazione che coinvolge chi ancora non cè. (..) Emerge la necessità di porre dei limiti al desiderio personale e di confrontare lurgenza del singolo con la sensibilità morale della collettività, sullidea condivisa del bene comune». Lontano dunque dallidea di un figlio come pretesa incontestabile, non soggetta ad alcuna regolamentazione, in quella logica che avrebbe voluto labrogazione in toto della legge 40. Lontano, anche, da certa retorica femminile per cui il diritto al figlio è assoluto.
Professoressa Vegetti Finzi, se le donne devono "dare dei limiti" al loro desiderio materno, quali sono i luoghi più vistosi in cui questi limiti sono stati superati?
«Penso alla domanda di maternità avanzata da donne sole, senza un compagno, o alle gravidanze ottenute artificialmente in età avanzatissima, o a quelle avute da uninseminazione di un uomo legato da un vincolo di parentela alla futura madre. Vedo in queste domande di maternità unansia di onnipotenza materna la procreazione senza padre, o oltre i limiti della vecchiaia che è sempre stata nellanima dellumanità, e si ritrova infatti nei miti più antichi, ma che dalla scienza riproduttiva è stata in qualche modo "armata" e resa possibile. Tuttavia, come ho spiegato nel saggio "Volere un figlio", le tecnologie riproduttive possono celare, sotto la veste lucente dellefficienza, ombre lunghe di angosce non riconosciute, per esempio quando uninseminazione allinterno della famiglia riconduca oscuramente allidea dellincesto».
Mai come oggi per la donna è stata garantita la possibilità di rifiutare la maternità legalmente, con laborto, alla luce del sole o di ottenerla contro ogni difficoltà naturale. Questa ampiezza di poteri, mai così estesi, modifica latteggiamento femminile verso la maternità stessa?
«Certamente sì. Può indurre la tentazione di pensare che tutto, alla donna, è possibile in riferimento al suo desiderio di avere o no un figlio. E occorre che le donne lavorino per imparare a darsi dei limiti in ordine a questo potere. Questo limite, io credo, le donne potrebbero trovarlo nella parola "relazione": procreare è una questione di relazione, non è esclusivo affare della madre».
Si gridava una volta, trentanni fa: "lutero è mio e lo gestisco io".
«Ecco, è giunto il tempo di fare un passo indietro rispetto a questo vecchio slogan. Di confrontare la propria domanda con la sensibilità della collettività che vive attorno».
Una femminista che forse in quella frase si riconobbe, la storica Anna Bravo, ha scritto recentemente in un saggio sulla rivista «Genesis» che negli anni Settanta le donne si misuravano con laborto con una certa immaturità, trascurando il fatto che "vittima era anche il feto".
«È unaffermazione che testimonia di una sensibilità cambiata a livello femminile. Io da anni scrivo su questi temi, e ho sempre trovato gli ambienti del femminismo piuttosto sordi sulla questione maternità. Quasi che sotterraneamente vi intravvedessero una minaccia, se non addirittura una condanna. Ma accade ora che le nuove generazioni si reimpadroniscano della maternità. Stanno superando il mito del lavoro e del successo, ne hanno colto il limite, e intravvedono nella possibilità di avere un figlio qualcosa di bello, e non un destino obbligato, come le generazioni precedenti. Non cè da stupirsi se le più attente fra le intellettuali cominciano a raccogliere leco di questo sguardo».
La storica Lucetta Scaraffia fa notare come nel dibattito politico su aborto e procreazione artificiale la posizione femminista è sempre stata contro ogni regolamentazione, a difesa della "libertà delle donne". Quasi una difesa corporativa. È vero secondo lei?
«Sì, ma questo, va detto, è dovuto alla inadeguatezza della politica, che ha stretto questi temi entro i limiti degli schieramenti politici e i tempi dei dibattiti parlamentari, ingenerando una reazione difensiva femminile».
Ma doverano le donne che ora gridano alla "legge crudele" nei lunghi anni della procreazione-Far West in Italia, e mentre di regolamentazione si cominciava a discutere? Non cè stato un lungo silenzio femminile su una questione che pure fortemente riguardava le donne?
«È assolutamente vero. Ricordo certi convegni di non molti anni fa, i cui a discutere su questi temi, di donne, eravamo solo in tre. È stata sottovalutata la questione: si è pensato che fosse una faccenda medica, invece la procreazione assistita è questione antropologica fondante, e il modo in cui vi si accede non è semplicemente terapia, è qualcosa che interviene nel nostro modo di essere madri, padri, figli, uomini».
Sempre la Scaraffia ha osservato che questa legge 40 che parla di "tutela dellembrione" solleva per molte il nodo doloroso del ricordo di un aborto. Quella affermazione costringerebbe a rimettere in discussione la propria scelta, e la fatica a farlo distorcerebbe il dibattito pubblico sulla legge. Crede sia vero?
«Sì, perché quando si parla di questi temi e in particolare di aborto cè sempre una forte componente inconscia che rischia di restare nellombra. Quanti aborti di donne giovanissime, per esempio, apparentemente dovuti a "distrazione", celano la volontà segreta di provare la propria fecondità. Laborto è spesso uno scacco del pensiero, un avere sottovalutato la forza della potenzialità generativa che è in ciascuna donna, non riconosciuta. Quanti aborti si eviterebbero se oltre alle norme "igieniche" di educazione sessuale si spiegasse alle ragazze la complessità dei desideri inconsci".
Non pensa ci sia stata, nella generazione che ha ottenuto e rivendicato la 194, anche una censura del dolore dellaborto?
«Cè stata anche questa, allinterno di una più generale censura delle donne attorno alla maternità. Un ignorare se stesse e il proprio corpo. È latteggiamento di quelle madri che si vantano dessere andate in consiglio damministrazione o a fare footing fino al giorno prima del parto. Orgogliose, paradossalmente, di avere ignorato la gravidanza».
Tanto da ripensare, dunque. E, questansia delle future madri, che in Italia fanno 120 mila test genetici prenatali e 100 mila amniocentesi allanno - secondo illustri genetisti, una sorta di accanimento nello screening. Dalla antica accoglienza del figlio comera, non si sta passando alla maternità come ricerca della perfezione, come performance?
«È un dubbio che condivido. Temo un futuro di figli omologati, pavento un mondo di Barbie e di Big Jim. Quante future madri ansiose vedo, sempre in attesa di un nuovo responso medico».
Pare che se lo aspettino sempre cattivo...
«Vivono nel sospetto. Ma lattenzione è sempre centrata sui mali del corpo, con molti dei quali, almeno con quelli meno gravi, si può convivere, e mai su quelli dellanima, e del cuore. E anche su questo, credo, le nuove madri dovranno molto lavorare».
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14 febbraio 2005)
Elena Porcu: legge crudele? Andiamola a vedere
di Marina Corradi
BOLOGNA. Eleonora Porcu, ginecologa e ricercatrice del Policlinico
SantOrsola di Bologna, è lideatrice della "via italiana"
alternativa al congelamento degli embrioni, processo oggi proibito dalla legge 40. La
tecnica della dottoressa Porcu prevede il congelamento del solo ovocita materno, che viene
poi fecondato al momento del trasferimento in utero mediante Icsi, liniezione dello
spermatozoo. È bene dire che si è al di fuori della naturalità prescritta dal magistero
cattolico, ma almeno nessun embrione resta sospeso nel gelo, in attesa di una vita che
forse non verrà mai. Una scelta a cui la Porcu, allieva di Carlo Flamigni, è arrivata
dopo anni di ricerca controcorrente. Fino alla nascita di Elena, nel 1997, la prima
bambina italiana venuta da un ovocita congelato. Oggi questi bambini sono 60. La
percentuale di successo è, afferma la dottoressa, del 17% , sovrapponibile al 18,5% di
successo del trasferimento di embrioni congelati. A testimoniare che congelare gli
embrioni non è necessario per la riuscita della procreazione assistita.
Ma sono molti altri i luoghi comuni sulla "legge crudele" che la Porcu
smentisce, lei che pure i problemi della sterilità li conosce a fondo. La sua è la
storia di un medico, e di una donna, che vale la pena di ascoltare.
La strada del congelamento dellovocita è stata seguita anche
allestero la prima nascita con questo metodo fu ottenuta nell86 in
Australia tuttavia pare che la ricerca internazionale non ci abbia mai creduto
davvero. Perché lei invece fin dagli anni 80 ci si è dedicata?
«Congelare lovocita è più difficile che congelare lembrione. In molti
ricercatori si sono applicati a questa tecnica, ma con poca costanza, o spesso con
materiale genetico di scarsa qualità, elemento che ha alterato i risultati della
sperimentazione. Il problema di fondo è che congelare lovocità anziché
lembrione risponde prevalentemente a unobiezione etica, ma non è di grande
vantaggio pratico, o economico. Non crea un mercato, dunque difficilmente si investe, e
mancano i fondi per la ricerca. Quanto alla scelta mia e del mio gruppo un gruppo
di laici, sottolineo mi disturbava la questione degli embrioni sovrannumerari. Gli
embrioni per me sono vita nascente. Parlo come ricercatrice: mi sembra evidente che dal
momento del concepimento la vita è un continuum, che non cè un "salto"
prima del quale si possa dire: fino a ora no, e da adesso cè vita. Ora, se sappiamo
che il congelamento non distrugge gli embrioni, che rimangono vitali per un lunghissimo
tempo, è anche vero che molti di loro negli anni, di fatto, vanno incontro
allabbandono, e probabilmente quindi alla distruzione».
Allorigine della sua ricerca dunque linterrogativo sul
destino di quei "sovrannumerari" accumulati per dare più chanches alla
fecondazione artificiale. Nelle coppie che ricorrono a questi metodi e che hanno degli
embrioni in questa sorta di "limbo", cè eco di simili interrogativi?
«Qualche volta, ma non sempre. Direi che è notevole il pensiero rimosso, tra chi
affronta i percorsi della provetta. Io sto ad ascoltare molto queste coppie, e cerco di
non essere mai moralistica nei miei giudizi . Mi rendo conto che il desiderio riproduttivo
può diventare per molti uomini e donne un bisogno drammatico, quasi una trappola mortale.
Voglio dire che chi non riesce più ad accogliere, come forse accadeva in passato, il
figlio come un accadimento gratuito, un incontro, qualcosa che non ci appartiene, finisce
quasi inevitabilmente col vivere il figlio come uno strumento, e un oggetto di possesso. E
chi non riesce ad avere il figlio tanto voluto si sente da questo scacco gravemente
diminuito, e può cadere nella trappola di volerlo a ogni costo. Ogni onere pare
accettabile allora in una domanda che si fa drammatica: dai trattamenti ormonali ripetuti
allavere dei figli "in sospeso" al gelo, si è disposti a ogni cosa.
Peraltro, è paradossale notare come molte delle sterilità che trattiamo siano indotte
dalletà relativamente avanzata delle madri. Età avanzata dovuta al fatto che le
donne oggi sono obbligate a far carriera, prima di concedersi un figlio. Una ragnatela di
obiettivi spesso dolorosamente inconciliabili: prima il lavoro, ma poi per la maternità
è tardi, e allora si ricorre alla provetta. Ma anche la provetta è purtroppo poco
efficace a quelletà».
È una bella critica, detta da una che fa il suo lavoro.
«Finché le donne che affrontano la maternità non si sentiranno considerate e rispettate
come se stessero facendo la cosa più importante del mondo, e non invece emarginate sul
lavoro come accade oggi, mi sembra evidente che non torneranno a fare figli, o li faranno
tardi, a posizioni professionali già conquistate, con i problemi che sappiamo, e i tassi
demografici che vediamo. E a questo proposito il congelamento degli ovociti, prezioso per
le donne che affrontino una terapia anticancro e vogliano salvare la loro capacità
riproduttiva, ha anche unutilizzazione diversa e secondo me preoccupante.
Lanno scorso sono stata invitata, privilegio unico per un italiano, a una lettura
magistrale dalla Società americana di fertilità e sterilità, organizzazione prestigiosa
sempre molto attenta alle novità scientifiche come il congelamento degli ovociti, ma
anche preoccupata dalla proposta che si sta diffondendo negli Stati Uniti di congelare gli
ovuli di donne giovani e sane che li potranno eventualmente utilizzare per avere bambini a
quarant anni, dopo aver raggiunto gli obiettivi di carriera. Unintraprendente
imprenditrice americana ha creato negli Usa e in altri paesi le "banche degli
ovociti". Aveva contattato anche me, chiedendomi se ero interessata
alliniziativa. Non lo ero. A me questa sembra unautentica violenza sulle
donne: costringerle a piegare la naturalità del proprio essere al punto di subire un
intervento chirurgico di prelievo degli ovociti ai fini dellefficienza e della
carriera. Mi fa sorridere sentire gridare che la legge 40 è "crudele" verso le
donne. Il vero sopruso, io dico, viene prima, è la sistematica costrizione della
maternità in ritmi e tempi diversi da quelli naturali facendone quindi una scelta di
secondo piano. In questo senso le banche degli ovociti sarebbero il coronamento
dellalienazione dalla maternità; e ho il timore che fra qualche anno ci si possa
arrivare anche da noi».
In un suo intervento di due anni fa lei parlò di "supermercato
della riproduzione"in Italia . La legge 40 ha almeno in parte eliminato questo
"supermercato"?
«La legge ha indubbiamente dato una regolamentazione. Sussiste perà nellambito
della procreazione assistita un incontro inevitabilmente problematico della domanda e
dellofferta, che non è cosa governabile per legge. Intendo dire che una coppia che
domanda un intervento di riproduzione assistita, magari dopo anni di attesa di un figlio,
è molto vulnerabile. Se per esempio una donna di 42 anni arriva da un medico e dice:
dottore, faccio qualsiasi cosa, spendo qualsiasi cifra, ma un figlio lo voglio, sarebbe
onesto dirle, signora, le possibilità reali di successo alla sua età sono intorno al 5
%, lei va incontro a una serie di dolorosi fallimenti. Lasci stare, trovi
unalternativa, rinunci. Ma non sempre questo avviene».
Cè sempre qualcuno che promette ciò che è quasi impossibile.
«E soprattutto, il concetto di rinuncia sembra del tutto improponibile, come
qualcosa di assurdo. Mi è capitata recentemente una coppia portatrice di talassemia. Si
erano già informati, avevano già previsto, se lembrione fosse risultato portatore
della malattia, di abortire. A fronte di una gravidanza così complessa ho chiesto, senza
moralismi, semplicemente perché mi sembrava una scelta più serena, se non avevano
pensato di adottare un bambino. Mi hanno guardato sbalorditi. Lidea di poter
rinunciare a quel figlio che viene raccontato come un "diritto", è
inconcepibile. Ma questo non riguarda solo chi è sterile, o malato. Riguarda anche i
sani, che però possono evitare di chiedersi "che cosa" è diventato oggi un
figlio. In fondo, questi referendum ci interpellano profondamente in questo senso: che
cosè un figlio, è un evento gratuito, o loggetto di una pretesa?».
Cè stato, dopo lentrata in vigore della legge,
quellesodo allestero delle coppie sterili che era stato annunciato?
«Se cè stato, è stato in buona parte un effetto mediatico: queste coppie hanno
sentito dalla tv che dovevano recarsi allestero. In realtà, il divieto che poteva
riguardare un maggior numero di coppie è quello della fecondazione eterologa. Ora, si sa
bene ormai come la maggior parte dei difetti dello sperma possa essere rimediata con
lIcsi, liniezione dello spermatozoo nellovulo, e si possa ottenere
dunque in molti casi una gravidanza con fecondazione omologa, senza bisogno di donatori
esterni. Le maternità surrogate, le maternità in età avanzata, sono invece situazioni
molto rare, casi limite. Ma lo stesso congelamento degli embrioni, afferma lIstituto
superiore della Sanità in una pubblicazione del 2003, prima della legge era praticato
solo dal 37,4% dei centri, e la diagnosi pre impianto appena dall11,6%. Ora invece
molte madri in attesa , dopo il clamore sul ricorso dei genitori talassemici di Catania,
vengono a richiederla come fosse una procedura di routine: sono invece analisi che anche
prima del divieto erano riservate a gravissime patologie ereditarie».
Vuole dire che si è fatto leva su un numero ristretto di casi limite
per dare battaglia alla legge 40?
«Mi pare di vedere una manipolazione strumentale di questa legge, una battaglia
ideologica nel senso più deteriore del termine. Da un lato si sminuisce loggetto
primo di cui si sta parlando, lembrione: è più piccolo di una punta di spillo, ho
sentito dire, come se la natura umana fosse un problema di dimensione. Dallaltro si
tira in ballo la dignità e la salute della donna - di quelle donne che spesso a 40 anni
non vengono dissuase dal tentare una maternità che probabilmente sarà un calvario.
Dicono anche: la ricerca sulle cellule staminali embrionali è necessaria per guarire i
malati di sclerosi amniotrofica, e per fortuna che abbiamo uno come il professor Angelo
Vescovi che spiega che la grande speranza viene dalle staminali adulte. Io vedo davvero
dietro ai referendum una battaglia ideologica, orchestrata per arrivare ad affermare che
dellembrione, cioè della vita che nasce, si può fare ogni cosa».
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a proposito
(15 febbraio 2005)
Ce la fanno 20 embrioni su 1800
di Angelo Serra
Lattesa essenziale per ogni donna che intraprende la via della fecondazione assistita è il "bambino in braccio". Un certo progresso si può oggi registrare rispetto ai primi dati riportati sulla base di ampie casistiche nel 1984. Queste indicavano che solo il 6-7% delle donne avevano visto soddisfatto il loro desiderio di avere un figlio in braccio: 14.585 embrioni erano stati trasferiti in 7.793 donne; 1.369 (17,1%) soltanto di esse avevano iniziato la gravidanza; 628 di queste (45,8%) abortirono; 523 donne cioè il 6.7% di quelle nelle quali erano stati trasferiti embrioni partorirono un totale di 656 neonati, a causa della frequente gemellarità. Il numero degli embrioni perduti era quindi del 95,5% . I risultati raggiunti dopo anni e anni di ricerche, pur sensibilmente migliorati, sono tuttavia ben lontani dall'essere soddisfacenti. Parlano all'evidenza un notevole numero di dati rigorosamente raccolti e analizati e alcune autorevoli testimonianze.
Nel 1988, l'analisi dei risultati di 41 "cliniche della fertilità", ottenuti dal Registro nazionale Ivf/Et degli Stati Uniti, indicava che soltanto 311 donne su 2864, cioè l'11%, aveva ottenuto il figlio desiderato . Un analogo rapporto della Voluntary Licencing Authority, riferendo lo scarso successo ottenuto in Inghilterra, faceva notare: «Che nel 1986 siano ricorse alle cliniche Ivf 4.670 pazienti è una misura di quanto il servizio sia richiesto. Che un gran numero di donne abbiano sopportato un totale di più di 7.000 cicli, dopo aver già avuto precedenti trasferimenti, nella speranza di diventare gravide è una misura dei sacrifici che esse sono preparate a fare per superare la sterilità. Che da tutto questo sforzo ci siano stati soltanto 605 (8.6%) nati vivi è una prova che l'Ivf resta una potente sorgente di grandi speranze deluse... uno stato di cose in cui migliaia di donne ogni anno giocano di fortuna con una nuova tecnica, e sono crudelmente deluse quattro volte su cinque». Non migliori apparivano i risultati nel 1992: riferendosi a questi, R.M.L. Winston e A.H.Handyside, attivi in questo campo fin dai primi anni, nel 1995 iniziavano un articolo sulle nuove sfide nel campo della fecondazione in vitro con questa affermazione: «La fertilizzazione umana in vitro (Ivf) è sorprendentemente un insuccesso [...]. In Inghilterra, il tasso di nati vivi per ogni ciclo iniziato è del 12.5%, e del 14% negli Stati Uniti». Un lieve miglioramento ancora sembra rilevabile dalle ultime statistiche pubblicate negli Stati Uniti relative al 1997: su 73.584 cicli, la frequenza media di parti per ciclo sarebbe salita al 23.7% .
Il "bambino in braccio" è, dunque, ancora il privilegio di una coppia sterile su cinque o sei che lo desiderano! Scienza e tecnologia, in 24 anni, non hanno risparmiato né ricerche né mezzi per superare gli ostacoli; ma, finora, i risultati non possono che essere deludenti per la maggior parte delle coppie che affrontano questa via lunga, faticosa e costosa. Anzi, la delusione è presente anche nel piccolo gruppo di donne in cui l'inizio della gravidanza è clinicamente accertato. Un notevole numero di ricerche indicano che tra le gravidanze clinicamente accertate: il 22% terminano in aborti spontanei e il 5% in gravidanze ectopiche; circa il 27% sono gravidanze multiple con tutte le complicanze che ne seguono, tra cui la "riduzione fetale"; il 29,3% terminano in parti pre-termine e il 36% in nati con basso peso. Di più, c'è evidenza di un aumento preoccupante di disturbi e mortalità neonatale, con tassi significativamente superiori a quelli della popolazione generale. E dati relativi alle più recenti tecniche indicano un rischio di anomalie congenite circa doppio rispetto alle gravidanze naturali. Né è da trascurare il rischio principale per la donna, la cosiddetta sindrome da iperstimolazione ovarica (...) che non può non influire sull'esito dell'impianto degli embrioni.
Sono ben note oggi molte ragioni della bassa efficienza di tutte le tecnologie finora introdotte nel campo della medicina per una "riproduzione assistita". Si poté, infatti, stabilire: che circa il 37% degli zigoti e il 21% degli embrioni pre-impianto hanno delle gravi anomalie cromosomiche, e che già il 40-50% degli oociti ottenuti con processi di super-ovulazione sono alterati; e che l'alterazione di singoli geni o di famiglie di geni interessati nel controllo dello sviluppo, e vari fattori connessi con gli stessi trattamenti tecnici tra cui, in particolare, leggere modificazioni di temperatura, difetti dei terreni di coltura e necessarie micromanipolazioni possono essere ulteriori cause di gravi anomalie che terminano nella cessazione molto precoce dello sviluppo, o in aborto spontaneo o in serie malformazioni.
Questi dati, che danno una ragione dei fallimenti, spiegano anche perché l'intervento deve essere ripetuto da 5 a 6 volte affinché, in media, una donna possa avere attraverso la Fivet la probabilità del 50% di ottenere il figlio desiderato, e da 13 a 15 volte per raggiungere la probabilità del 95-99%; e perché l'esigenza di ricorrere più volte a queste tecniche, altamente stressanti, può scatenare un tendenziale rigetto da parte della donna stessa e della coppia, accompagnate spesso da notevoli crisi depressive.
Sembrerebbe ovvio che queste innegabili costatazioni dovrebbero far riflettere sia la donna e/o la coppia che chiede di utilizzare queste tecnologie riproduttive, sia a maggior ragione chi ve la induce e offre tali tecnologie. E ciò indipendentemente da qualsiasi considerazione etica, ma solo di correttezza professionale. A chi offre queste tecniche R.L.Winston e A.H.Handyside ricordavano, chiudendo il lavoro sopra citato: «Tutti questi trattamenti rimangono nel regno della terapia privilegiata, disponibile soltanto a relativamente poche coppie, che sono per lo più in una posizione economica sufficientemente solida per affrontarla».
Una conclusione è chiara: per la massima parte delle coppie sterili che vi si affidano, queste tecnologie oggi ancora rappresentano una speranza che andrà quasi certamente delusa: soltanto circa 20 su 100 possono avere la speranza di portare a casa il figlio desiderato. Ma di tutto ciò si tace. Non se ne parla attraverso le grandi vie di comunicazione mass-mediale. Non se ne parla neppure, se non molto velatamente e di passaggio, negli studi di chi offre l'assistenza. Accusa aperta, fatta senza attenuanti nellanalisi dellInstitute for Science, Law, and Technology (Islat) di Chicago: «Le cliniche dovrebbero, come minimo, essere obbligate dalla legge federale a manifestare i rischi, i benefici e gli specifici procedimenti delle tecniche che saranno impiegate [...] i rischi associati con i farmaci utilizzati [...] i rischi di gravidanze multiple, e i potenziali problemi medici e pscicologici per i figli».
In breve sembra che, di fatto, l'assistenza alla riproduzione umana sia sfuggita al controllo di una medicina responsabile, che prosegue in una fase ancora sperimentale con danni notevoli fisici, economici e psicologici alla maggior parte delle persone che vi sono coinvolte. La regola ippocratica fondamentale e profondamente umana del medico, «Primum, non nocere», nell'applicazione di queste tecnologie è totalmente calpestata. Con tutta evidenza la prospettiva economica prevale (...).
Un altro serio problema di notevole rilevanza etica è spesso volutamente ignorato: l'elevata incidenza di embrioni intenzionalmente prodotti ed esposti a morte certa a fronte di un figlio "desiderato". Si supponga: 1) che si produca, per ogni tentativo, un minimo di sei embrioni per selezionare i tre da trasferire quando la legge lo impone; 2) che in media per donna si facciano come minimo tre tentativi per attuare il desiderio del "bambino in braccio"; e 3) che, secondo le più aggiornate statistiche, solo 20 mamme su 100 riescano ad avere il loro bambino. A un semplice calcolo, segue che su 1800 embrioni prodotti solo 20 giungerebbero alla nascita, e 1780 andrebbero perduti, cioè, in media, 18 per ogni donna. Anche se si sta riproponendo un'accettabile probabilità di successo riducendo a 2 o 1 il numero degli embrioni trasferiti in utero allo stadio di blastociste , la produzione di più embrioni rimarrà sempre una esigenza tecnica. È evidente che il diritto alla vita di questi embrioni è coscientemente violato.
Morte "programmata" che si sta estendendo, sotto una forte spinta eugenistica, alla eliminazione attraverso le tecniche offerte dai progressi della genomica umana, precisamente la "diagnosi genetica pre-impianto" (Dgp) di ogni embrione diagnosticato suscettibile di manifestare serie patologie, o giudicato diverso da quello voluto, o in sovrappiù rispetto all'"uno" desiderato. Situazioni e prospettive ormai da tempo in atto, descritte in tutta la loro cruda realtà da J. Testart che si dichiara ateo e B. Sèle i quali, con evidente preoccupazione, scrivono: «Ciò che sta avvenendo è una vera rivoluzione dell'etica che sorpassa le frontiere di ogni nazione.[...] Al di là dell'esecuzione tecnica, dell'interesse individuale e di un ingenuo desiderio, i problemi sono più complessi di quanto siamo portati a credere. Noi dovremmo avvicinarci a questi problemi con uno sforzo cosciente e umiltà determinata a sostenere la dimensione etica della vita umana». In realtà, è veramente difficile comprendere come sia possibile essere indifferenti da ambedue le parti, richiedenti e medico, all'omicidio multiplo intenzionale che accompagna ogni nato. Per difendersi da questa accusa si oppongono due argomenti.
Il primo argomento afferma che durante i primi 15 giorni dal momento della fecondazione non c'è l'embrione, cioè un vero individuo umano, ma soltanto un pre-embrione, cioè un semplice cumulo di cellule. Come si è visto nel precedente capitolo, a un attento e serio esame, questa affermazione è, con tutta evidenza, un "falso scientifico". Tutti i dati prodotti e analizzati da una scienza onesta e cosciente, dimostrano chiaramente e senza ambiguità che l'embrione, fin dallo stadio di zigote, è un ben determinato individuo umano. La ragione di questo incomprensibile e irragionevole "falso scientifico" non fu mancanza di dati o ipotetica interpretazione di dati scientifici; fu, come si è ricordato, la precisa volontà di sottrarre l'embrione umano alle norme internazionali relative alla sperimentazione su individui umani, le quali ne avrebbero impedito totalmente l'uso.
Il secondo argomento afferma che, anche in natura, è notevole la perdita di embrioni. Questo sarebbe indicato da statistiche che, oltre alle gravidanze cliniche, prendono in considerazione anche quelle biochimiche, cioè determinate molto precocemente con particolari metodi di analisi. Si tratta di una giustificazione inconsistente e assurda. Infatti, ben diverse sono le situazioni: in natura ogni ciclo comporta, nella stragrande maggioranza dei casi, un solo embrione; nella riproduzione tecnicamente assistita, invece, si esige il trasferimento in utero di almeno tre embrioni per ciclo, due dei quali vanno perduti nel 70% dei casi in cui inizia la gravidanza, mentre tutti vanno perduti nellaltro 80% circa dei casi in cui non inizia la gravidanza. Inoltre, sono centinaia di migliaia gli embrioni crioconservati destinati alla morte certa, o per l'atto stesso del congelamento e/o scongelamento, o per legge, o per consegna alla ricerca. Infine, un fenomeno che avviene in un processo naturale non può affatto giustificare una volontaria e cosciente provocazione dello stesso. Sarebbe assurdo pensare che la morte di migliaia di persone in occasione di terremoti o altri particolari avvenimenti giustifichi la morte programmata di migliaia di soggetti umani per una qualsiasi ragione, anche in vista di un qualche bene raggiungibile.
Si può concludere, dunque, che la pratica della "riproduzione tecnicamente assisitita" ha sparso e sta spargendo, forse contro gli stessi desideri di chi la invoca, "morte e dolore" invece che "vita" e "gioia". E quel poco di "vita" e "gioia" è sempre accompagnato da notevole sofferenza fisica e psichica per la famiglia e i nati, oltre a inimmaginabili perdite economiche. In realtà, il desiderio di vita è frustrato e minacciato da opprimenti ombre di morte.
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