Gli estremi biografici di Paolo li abbiamo rispettivamente nella Lettera a Filemone, nella quale egli si dichiara “vecchio” (Fm 9:
presbýtes) e negli Atti degli Apostoli,
che al momento della lapidazione di Stefano lo qualificano “giovane” (7,58:
neanías). Le due designazioni sono evidentemente generiche, ma, secondo i
computi antichi, “giovane” era qualificato l’uomo sui trent’anni, mentre
“vecchio” era detto quando giungeva sulla sessantina.
In termini assoluti, la data della nascita di Paolo dipende in gran parte dalla
datazione della Lettera a Filemone. Tradizionalmente la sua redazione è posta
durante la prigionia romana, a metà degli anni 60. Paolo sarebbe nato l'anno 8,
quindi avrebbe avuto più o meno sessant'anni, mentre al momento della lapidazione
di Stefano ne aveva 30. Dovrebbe essere questa la
cronologia giusta. E la celebrazione dell'anno paolino
che facciamo segue proprio questa cronologia. È stato scelto il 2008 pensando a una nascita più o meno nell'anno 8.
In ogni caso, egli nacque a Tarso in Cilicia (cfr At 22,3). La
città era capoluogo amministrativo della regione e nel 51 a.C. aveva avuto come
Proconsole nientemeno che Marco Tullio
Cicerone, mentre dieci anni dopo, nel 41, Tarso era stato il luogo del
primo incontro tra Marco Antonio e Cleopatra.
Ebreo della diaspora, egli parlava greco pur avendo un nome di origine
latina, peraltro derivato per assonanza dall'originario ebraico Saul/Saulos, ed
era insignito della cittadinanza romana
(cfr At 22,25-28). Paolo appare quindi collocato sulla frontiera di tre culture diverse — romana, greca, ebraica — e forse anche
per questo era disponibile a feconde aperture universalistiche, a una mediazione tra le culture, a una vera universalità.
Egli apprese anche un lavoro manuale,
forse derivato dal padre, consistente nel mestiere di “fabbricatore di tende”
(cfr At 18,3: skenopoiòs), da intendersi probabilmente come lavoratore della
lana ruvida di capra o delle fibre di lino per farne stuoie o tende (cfr At
20,33-35). Verso i 12-13 anni, l'età in cui il ragazzo ebreo diventa
“bar mitzvà” (“figlio del precetto”), Paolo lasciò Tarso e si trasferì a
Gerusalemme per essere educato ai piedi di Rabbì Gamaliele il Vecchio, nipote
del grande Rabbì Hillèl, secondo le più rigide norme del fariseismo e
acquisendo un grande zelo per la Toràh mosaica (cfr Gal 1,14; Fil 3,5-6; At
22,3; 23,6; 26,5).
Sulla base
di questa ortodossia profonda che
aveva imparato alla scuola di Hillèl, in Gerusalemme, intravide nel nuovo
movimento che si richiamava a Gesù di Nazaret un rischio, una minaccia per
l'identità giudaica, per la vera ortodossia dei padri. Ciò spiega
il fatto che egli abbia fieramente “perseguitato
la Chiesa di Dio”, come per tre volte ammetterà nelle sue Lettere (1 Cor
15,9; Gal 1,13; Fil 3,6). Anche se non è facile immaginarsi concretamente in
che cosa consistesse questa persecuzione, il suo fu comunque
un atteggiamento di intolleranza. È qui che si colloca l'evento di Damasco. Certo è che, da quel
momento in poi, la sua vita cambiò ed egli diventò un apostolo instancabile del
Vangelo. Di fatto, Paolo passò alla storia più per quanto fece da cristiano,
anzi da apostolo, che non da fariseo. Tradizionalmente si suddivide la sua
attività apostolica sulla base dei tre
viaggi missionari, a cui si aggiunse il quarto dell'andata a Roma come prigioniero. Tutti sono
raccontati da Luca negli Atti. A proposito dei tre viaggi missionari, però,
bisogna distinguere il primo dagli altri due.
Del primo, infatti (cfr At
13-14), Paolo non ebbe la diretta responsabilità, che fu affidata invece al cipriota Barnaba. Insieme essi partirono da Antiochia
sull'Oronte, inviati da quella Chiesa (cfr At 13,1-3), e, dopo essere salpati
dal porto di Seleucia sulla costa siriana, attraversarono l'isola di Cipro da
Salamina a Pafo; di qui giunsero alle coste meridionali dell'Anatolia, oggi
Turchia, e toccarono le città di Attalìa, Perge di
Panfilia, Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra e Derbe, da cui ritornarono al
punto di partenza. Era così nata la Chiesa dei popoli, la Chiesa dei pagani. E nel frattempo,
soprattutto a Gerusalemme, era nata una discussione dura fino a quale punto
questi cristiani provenienti dal paganesimo fossero
obbligati ad entrare anche nella vita e nella legge di Israele (varie
osservanze e prescrizioni che separano Israele dal resto del mondo) per essere
partecipi realmente delle promesse dei profeti e per entrare effettivamente
nell’eredità di Israele. Per risolvere questo problema fondamentale
per la nascita della Chiesa futura si riunì a Gerusalemme il cosiddetto
Concilio degli Apostoli, per decidere su questo problema dal quale dipendeva la
effettiva nascita di una Chiesa universale. E fu deciso di non imporre ai
pagani convertiti l'osservanza della legge mosaica (cfr At 15,6-30): non erano cioè obbligati alle norme del giudaismo; l’unica necessità era essere di Cristo, di vivere
con Cristo e secondo le sue parole. Così, essendo di Cristo, erano anche di Abramo, di Dio e partecipi di tutte le promesse. Dopo questo avvenimento decisivo, Paolo si separò da Barnaba,
scelse Sila e iniziò il secondo viaggio missionario (cfr At 15,36-18,22).
Oltrepassata la Siria e la Cilicia, rivide la città di Listra, dove accolse con
sé Timoteo (figura molto importante della Chiesa nascente, figlio di un’ebrea e
di un pagano), e lo fece circoncidere, attraversò l'Anatolia centrale e
raggiunse la città di Troade sulla costa settentrionale del Mar Egeo. E qui si
ebbe di nuovo un avvenimento importante: in sogno vide un macedone dall'altra
parte del mare, cioè in Europa, che diceva, “Vieni e
aiutaci!”. Era l'Europa futura che chiedeva l'aiuto e la luce del Vangelo.
Sulla spinta di questa visione entrò in Europa. Di qui
salpò per la Macedonia entrando così in Europa. Sbarcato a Neapoli, arrivò a
Filippi, ove fondò una bella comunità, poi passò a Tessalonica, e, partito di
qui per difficoltà procurategli dai Giudei, passò per Berea, giunse ad Atene.
In questa capitale dell'antica cultura greca predicò, prima nell'Agorà e poi
nell'Areòpago, ai pagani e ai greci. E il discorso dell'Areòpago, riferito negli
Atti degli Apostoli, è modello di come tradurre il Vangelo in cultura greca, di come far capire ai
greci che questo Dio dei cristiani,
degli ebrei, non era un Dio straniero alla loro cultura ma il Dio
sconosciuto aspettato da loro, la vera risposta alle più profonde domande della
loro cultura. Poi da Atene arrivò a Corinto, dove si fermò un anno e mezzo. E
qui abbiamo un evento cronologicamente molto sicuro, il più sicuro di tutta la
sua biografia, perché durante questo primo soggiorno a Corinto egli dovette
comparire davanti al Governatore della provincia senatoriale di
Acaia, il Proconsole Gallione,
accusato di un culto illegittimo. Su questo Gallione e sul suo tempo a Corinto
esiste un'antica iscrizione trovata a Delfi, dove è detto che era Proconsole a
Corinto tra gli anni 51 e 53. Quindi qui abbiamo una
data assolutamente sicura. Il soggiorno di Paolo a Corinto si svolse in quegli
anni. Pertanto possiamo supporre che sia arrivato più
o meno nel 50 e sia rimasto fino al 52. Da Corinto, poi, passando per Cencre,
porto orientale della città, si diresse verso la Palestina raggiungendo Cesarea
Marittima, di dove salì a Gerusalemme per tornare poi ad Antiochia sull’Oronte.
Il terzo viaggio missionario
(cfr At 18,23-21,16) ebbe inizio come sempre ad Antiochia, che era divenuta il
punto di origine della Chiesa dei pagani, della
missione ai pagani, ed era anche il luogo dove nacque il termine «cristiani».
Qui per la prima volta, ci dice San Luca, i seguaci di Gesù furono chiamati
«cristiani». Da lì Paolo puntò dritto su Efeso, capitale della provincia
d'Asia, dove soggiornò per due anni, svolgendo un ministero che ebbe delle
feconde ricadute sulla regione. Da Efeso Paolo scrisse le lettere ai
Tessalonicesi e ai Corinzi. La popolazione della città però fu sobillata contro
di lui dagli argentieri locali, che vedevano diminuire le loro entrate per la
riduzione del culto di Artemide (il tempio a lei
dedicato a Efeso, l'Artemysion, era una delle sette meraviglie del mondo
antico); perciò egli dovette fuggire verso il nord. Riattraversata la
Macedonia, scese di nuovo in Grecia, probabilmente a Corinto, rimanendovi tre
mesi e scrivendo la celebre Lettera ai Romani.
Di qui tornò sui suoi passi:
ripassò per la Macedonia, per nave raggiunse Troade e poi, toccando appena le
isole di Mitilene, Chio, Samo, giunse a Mileto dove tenne un importante
discorso agli Anziani della Chiesa di Efeso, dando un
ritratto del pastore vero della Chiesa, cfr At 20. Di qui ripartì facendo vela
verso Tiro, di dove raggiunse Cesarea Marittima per salire ancora una volta a
Gerusalemme. Qui fu arrestato in base a un malinteso:
alcuni Giudei avevano scambiato per pagani altri Giudei di origine greca,
introdotti da Paolo nell’area templare riservata soltanto agli Israeliti. La
prevista condanna a morte gli fu risparmiata per l’intervento del tribuno
romano di guardia all’area del Tempio (cfr At 21,27-36); ciò si
verificò mentre in Giudea era Procuratore imperiale Antonio Felice. Passato un periodo di carcerazione (la cui durata è
discussa), ed essendosi Paolo, come cittadino romano, appellato a Cesare (che
allora era Nerone), il successivo
Procuratore Porcio Festo lo inviò a
Roma sotto custodia militare.
Il viaggio verso Roma toccò
le isole mediterranee di Creta e Malta, e poi le città di Siracusa, Reggio
Calabria e Pozzuoli. I cristiani di Roma gli andarono incontro sulla Via Appia
fino al Foro di Appio (ca. 70 km a sud della capitale
) e altri fino alle Tre Taverne (ca. 40 km). A Roma incontrò i delegati della
comunità ebraica, a cui confidò che era per “la speranza d'Israele” che portava
le sue catene (cfr At 28,20). Ma il racconto di Luca termina sulla menzione di
due anni passati a Roma sotto una blanda custodia militare, senza accennare né a una sentenza di Cesare (Nerone) né tanto meno alla morte
dell'accusato. Tradizioni successive parlano di una sua liberazione, che avrebbe favorito sia un viaggio missionario in Spagna, sia
una successiva puntata in Oriente e specificamente a Creta, a Efeso e a
Nicopoli in Epiro. Sempre su base ipotetica, si congettura di un nuovo arresto
e una seconda prigionia a Roma (da cui avrebbe scritto le tre Lettere
cosiddette Pastorali, cioè le due a Timoteo e quella a
Tito) con un secondo processo, che gli sarebbe risultato sfavorevole. Tuttavia,
una serie di motivi induce molti studiosi di san Paolo a terminare la biografia
dell'Apostolo con il racconto lucano degli Atti.
Sul suo martirio torneremo
più avanti nelle nostre lezioni.
Ci basti per ora annotare i
luoghi, le persone, le culture, la religiosità del tempo e tutto ciò che scoprirete
affinché questo lavoro su Paolo possa dare dignità culturale alle nostre
lezioni.
N.B. ricordiamoci di andare a
vedere, se sarà possibile le icone e i dipinti che ritraggono Paolo nel corso
dei secoli, cosicché aiutati dal prof. Di storia dell’arte possiamo il più
possibile avvicinarci ad una quadro interdisciplinare
completo sulla persona di Paolo.
P.S. Faremo un’incursione
anche sul carteggio fra Paolo e Seneca, introdotto da una intervista
alla prof.ssa Marta Sordi.
Buon lavoro
Il prof. di religione