Vescovo
Metropolita di Chieti-Vasto
Chieti 1° dicembre
2007
Seminario Regionale
Farò
riferimento al testo Educare insieme nella scuola cattolica visone azione
condivisa di consacrati e laici perché è quanto la chiesa in questi giorni
ha espresso come via ispirativa della nostra presenza, non solo nel mondo
letterale della scuola, ma come scuola ispirata al vangelo.
Vorrei
articolare la mia riflessione in un dittico, due tavole, come quelle della
Torà. Da una parte vorrei cogliere le sfide che il tempo in cui viviamo, nella
società complessa in cui troviamo, pone ammissione educativa della scuola
cattolica e poi, nella seconda tavola del dittico, vorrei individuare quale spiritualità
è necessaria per poter raccogliere queste sfide e corrispondere ad esse
proponendo la gioia del vangelo. La mia riflessione proporrà la spiritualità di
comunione raccogliendone gli impulsi dal documento uscito in questi giorni e
articolandola in cinque punti come le dita di una mano.
Parto
innanzitutto dal primo dittico: le sfide del tempo, dove siamo, chi siamo, come
siamo e cosa siamo chiamati a fare per servire oggi il vangelo. Alla base anche
dell’enciclica del Papa uscita ieri, Spe Salvi – salvati dalla speranza
– c’è in realtà la grande sfida del tempo in parte riassunta in una domanda che
è sempre stata presente nel cuore umano ma che oggi si affaccia con particolare
evidenza: CHE COSA POSSIAMO SPERARE.
In realtà
questa enciclica è significativa ed importante e parla veramente a tutti perché
ci fa capire che la vera crisi del tempo, si potrebbe dire, è la penuria di
speranza. Dopo la stagione moderna, dopo i grandi racconti delle ideologie che
avevano bene o male contrabbandato le riforme di speranza, la speranza nella
scienza fondata sulla fede del proprio essere, la speranza nella capacità
dell’uomo e della sua ragione di cambiare il mondo e la vita, la speranza
rivoluzionaria fondata nell’analisi politica e scientifica del marxismo, oggi il
grande vuoto sembra essere quello di ragioni di vita e di speranza. Ecco perché
il Papa ripropone la speranza della fede come buon governo di questa epoca post
moderna, una speranza che non è fondata soltanto nelle mani dell’uomo, ma è
fondata sulla fedeltà di Dio. Ci sono dei passaggi veramente stupendi
dell’enciclica che ci fanno capire come la speranza nasce da un grande amore.
Solo se noi siamo toccati dal grande amore, possiamo veramente sperare. Ma non
basta l’amore limitato, fragile, caduco, come inevitabilmente è ogni amore
umano, occorre un amore incondizionato, questo è in Dio, ecco perché dice il
Papa, la speranza è fondata in Dio. È questa la speranza! Non è la
cancellazione delle speranze umane come qualcuno superficialmente ha
interpretato senza nemmeno aver letto l’enciclica, come alcune volte succede.
Il Papa certamente critica i limiti della scienza quando essa diventa
scientismo, cioè ideologia, presunzione, critica i limiti dell’ideologia,
specialmente quelli del marxismo, perché ha ridotto l’uomo ad una sola
dimensione, ha cancellato l’eterno, è proprio così, ha prodotto grande violenza
sull’uomo. Ma il Papa apprezza anche gli sforzi della scienza, la fede nel
progresso perfino dell’ideologia di capire il mondo, la vita con una analisi appropriata,
dice però che tutto non si risolve nell’orizzonte di questo mondo, il Dio
cristiano non annulla il valore di tutto ciò che normalmente si vuol fare per
il progresso e per il bene, anzi lo prolifica e lo potenzia.
Ecco allora la
grande sfida del tempo, motivare la speranza, testimoniare la speranza, ma in
modo particolare questo documento ci fa capire che l’urgenza di rendere ragioni
alla speranza, si profila oggi di fronte almeno a sette grandi sfide. Dunque la
grande sfida è rendere ragione alla speranza, ma questa grande sfida si
articola in altrettanti rivoli che inquietano la coscienza e si pongono anche
nell’ambito educativo come la missione che vi è propria contro le autentiche
sfide.
Io vi enumero
raccogliendo in modo particolare la numero uno del documento Educare insieme
nella scuola cattolica che, dopo aver messo in luce le evoluzioni repentine
e contraddittorie del nostro tempo, il grande tempo dei cambiamenti, dunque le
sfide educative, individua queste sfide in: PRIMO – la crisi valoriale, cioè
dei valori di riferimento, qui c’è il disinteresse delle verità fondamentali
della vita. Ieri parlando a circa 300 giovani di un liceo di Chieti, in una
bellissima e attentissima assemblea, ad un certo punto uno dei ragazzi si è
alzato e mi ha fatto questa domanda: “quando nel passato si parlava tanto della
morte e della vita eterna, non si parlava del sesso, oggi che parliamo sempre
del sesso, ci siamo dimenticati della morte e della vita eterna”. Io gli ho
detto a questo giovane di 17 anni, di avere perfettamente ragione, non è che
non si debba parlare del sesso, dell’affettività, sono aspetti importanti, ma
bisogna parlarne in un’ottica integrale, che non si riduce a momenti di ricerca
effimera di piacere ma che rientri in progetto globale che si apre ad un
orizzonte in cui si prende sul serio la morte e la vita eterna. Ecco, questo
disinteresse per le verità fondamentali della vita umana, questo individualismo
per cui ognuno si raccoglie nella propria nicchia, il riflusso nel privato, il
relativismo morale per cui che male c’è, tutto è permesso, l’utilitarismo per
cui è importante impegnarsi solo per ciò che ci da un tornaconto. Ed è questo
che io chiamo la crisi dei valori, le sfide valoriali che sono accennate in
questo testo.
Una seconda sfida
all’interno di questo grande orizzonte, di rendere ragione alla speranza, è
quella legata ai cambiamenti strutturali. Noi viviamo in un’epoca nuova e
diversa da tutte le epoche precedenti e la grande novità ha un nome,
globalizzazione. Oggi noi viviamo in sintonia, siamo collegati in tempo reale
con tutti i più diversi mondi del pianeta. Io posso fare una domanda su un
problema, una questione di cui ho bisogno di sapere qualcosa ad un mio amico,
collega che vive a Washington, o a Gerusalemme o a Sidney o a Tokyo, e avere
nel giro di pochi minuti la risposta alla domanda posta per iscritto. Dunque la
globalizzazione ha avvicinato le distanze, ha abbattuto le separatezze, ma
nello stesso tempo porta con se un enorme rischio, il rischio delle
cancellazione delle identità, il rischio di pensare che nel villaggio globale,
non ci sia più valore nei locali. Quando quindici giorni fa ho parlato ai
vescovi di Inghilterra e del Galles nella loro assemblea di Leeds, il tema
della mia riflessione sono stati i problemi che ci sono dietro la
modernizzazione, la post modernità e la crisi del ruolo della chiesa. Ho dovuto
esattamente toccare precisamente questi temi e ho insistito con i vescovi
inglesi sul neologismo che proprio dall’inglese ci viene. La parola Glocal
che nasce dalla sintesi di global e local; non basta la
globalizzazione, occorre recuperare il locale, cioè l’identità concreta. E solo
in un gioco esatto di globale e locale che l’uomo viene rispettato. Questa è
una grande sfida che i cambiamenti strutturali ci portano a vivere.
Terza sfida:
il divario che lo sviluppo in atto sempre più fa crescere tra paesi ricchi e
paesi poveri. Questa è un’altra grandissima sfida alla quale dobbiamo
sensibilizzare i nostri giovani, dare loro il senso della mondialità, il senso
del privilegio che essi hanno di vivere in un nord del mondo molte volte sazio
e tranquillo, mentre la maggior parte del pianeta vive in una condizione di
subumanità.
Quarta sfida:
l’emigrazioni che accentuano la diversità e il confronto dell’identità
culturale nello stesso territorio con le relative conseguenze concernenti
l’integrazione. Questi non sono problemi che stanno fuori di casa nostra. Ci
sono regioni italiane dove ormai il 40% degli studenti, sono figli di immigrati
e in tutte le scuole noi cominciamo ad avere anche nelle nostre regioni, queste
presenze, che vanno rispettate, accolte, ma attenzione non enfatizzate, cioè
non bisogna arrivare alla stupidità dei direttori scolastici che dicono
quest’anno non si fa il presepe perché su i nostri 500 alunni uno è mussulmano.
Dobbiamo avere anche un senso di equilibrio e di realismo nel rispetto anche
della nostra identità. Ma va colto il problema dell’integrazione.
Quinta sfida:
il clima di pluralismo culturale che tutto ciò provoca in questa società
globale, diversificata, totale, locale e planetaria dove ci sono diversi e
incontrastati modi di interpretare la vita, i giovani si trovano posti di
fronte a diverse proposte di valori o disvalori sempre più stimolati anche se
sempre meno condivise. Come orientarsi in questa selva ingente e tenebrosa.
Sesta sfida:
la crisi delle stabilità della famiglia. Grandissima sfida, perché noi lo
sappiamo, senza la collaborazione educativa della famiglia, l’educazione dei
giovani dei ragazzi diventa un enorme problema e quando la famiglia manca,
manca obbiettivamente perché la sua stabilità è compromessa, dai divorzi, dalle
separazioni, dalle convivenze, provoca un enorme sfida al nostro punto
educativo e finalmente le situazioni di disagio e di povertà che esistono in
ogni parte del mondo, anche in quello così detto ricco, che creano un senso
diffuso di disorientamento sul piano esistenziale ed affettivo in un periodo
dettato dalla crescita e dalla maturazioni dei giovani, soprattutto per esempio
la crisi del mondo del lavoro (settima sfida) che provoca nelle famiglie,
quando la mamma e il papà che lavorano sono licenziati e non hanno più il
lavoro, un grosso impatto sulla psicologia dei giovani, ti danno un senso di
instabilità, di insicurezza, soprattutto per i giovani abituati fino ad un
certo momento della vita ad avere tutto, che si trovano davanti alla necessità
di tirare la cinta, idea della quale essi non avevano neppure la più pallida
rappresentazione. Ecco, queste sono le sfide, naturalmente, alcune, le principali
e tutte e 7 queste sfide, crisi di valori, divario tra ricchi e poveri,
immigrazioni, pluralismo culturale, instabilità familiare, disagio e povertà,
tutte e 7 queste sfide, sono in realtà espressioni di una stessa grande sfida:
il bisogno di speranza, la penuria di speranza in grande.
Se queste sono
le sfide, questa è la prima tavola del dittico della nostra sfida educativa, in
che cosa noi dobbiamo veramente introdurre i giovani? Vedete l’educazione in
fondo è un introdurre la persona integralmente nella realtà totale, questa è
l’educazione, è una sorta di analisi, di salita nel mistero totale del mondo,
sempre più cercando di penetrarlo, di conoscerlo, di scrutarlo, nei suoi
fenomeni e nei suoi fondamenti, nel fondamento supremo che è Dio. Questa è
l’educazione. Il così detto rischio educativo, sfida educativa, consiste in
questo nell’accettare di accompagnare, una persona umana, giovane nella
scoperta del mondo nel suo mistero e nei suoi fondamenti per poter costruire la
propria vita in questo tessuto. Allora se questa è la grande sfida educativa,
come noi rispondere ad essa, come rendere ragione alla speranza offrendo
l’introduzione alla realtà totale aperta al mistero e alla trascendenza di Dio?
Ecco la
seconda tavola del mio dittico: la grande risposta che come scuola cattolica
siamo chiamati a dare è una spiritualità di comunione. Questo mi sembra
l’aspetto più importante di ciò che viene proposto in questo testo. Di fronte
alle sfide che si riassumono nella disgregazione dei riferimenti valoriali,
delle appartenenze solidali, della continuità tra le generazioni, la
spiritualità di chi opera nella scuola cattolica, è chiamata ad essere una
spiritualità di comunione. Ma poter capire più in profondità questo progetto
che solo deferito nel tempo offrendo l’olio della comunione, vorrei articolare
queste idee della spiritualità della comunione in dialogo ma anche naturalmente
con un documento in cinque grandi ambiti come le dita di una mano, capace di
scrivere nel cuore dei nostri ragazzi e dei nostri giovani, le parole della
vita. Quali sono questi cinque volti della spiritualità della comunione? ve li
elenco e poi brevemente li ricostruisco.
1 - comunione con Dio;
2 – comunione con
3 – comunione fra gli educatori;
4 – comunione con i ragazzi e i
giovani, relazione educativa;
5 – comunione con la società
globale e in essa con la comunità vivente della ricerca scientifica e
pedagogica.
Alla luce di
queste cinque differenti dimensioni della comunione, arriverò ad una
conclusione che mi sembra essere il progetto che ci viene affidato dinanzi le
sfide del tempo e viene affidato alla scuola cattolica.
Primo
punto, comunione con Dio. Questo punto in realtà emerge fin dalla
definizione di scuola cattolica, qui mi riferisco al documento del 1997 “La
scuola cattolica alle soglie del terzo millennio”. In questo documento
viene così definita la scuola cattolica: “luogo di educazione integrale
della persona umana attraverso un chiaro progetto educativo che ha il suo
fondamento in Cristo”. Ciò che è da apprezzare in questa definizione è che
essa da subito va dritta all’essenziale, ci parla della scuola come educazione
integrale, della persona umana, pone l’attenzione ai giovani come persone
attraverso un progetto educativo chiaro dunque non ambiguo, non confuso che ha
il suo fondamento in Cristo. Analizziamo questo compito spirituale; solo una
profonda comunione con Dio nutrita in preghiera, carità e obbedienza docile
alla verità e all’amore di Dio, renderà capaci di analizzare la sintesi fra
fede, cultura e vita, necessaria per il compimento di un tale progetto. Allora
vi leggo tre piccoli testi da questo documento. Tutti e tre descrivono cosa
significa una spiritualità, la comunione degli insegnanti della scuola
cattolica come esercizio, pratica, della comunione con Dio. Il passo numero
quattro dice così: il progetto di una scuola cattolica è convincente solo se
realizzato da persone profondamente motivate perché testimone di un incontro
vivo con Cristo nel quale soltanto tra la breve luce il mistero rimane. Perciò
è utile che si riconoscano nella visone personale comunitaria al Signore
assunto come fondamento costante riferimento della relazione interpersonale
della collaborazione al ciclo tra educatore ed educante.
Come è bello
questo: persone profondamente motivate, testimoni di un incontro vivo con
Cristo. A volte nella scuola cattolica non si incontrano testimoni di Gesù, c’è
ancora una timidezza nella proposta cristiana e questo non è più ammissibile.
Il tempo della timidezza nell’annuncio del Vangelo, è passato. Io non mi
vergogno della gente dice Paolo, la scuola cattolica non deve avere paura
di annunciare il dono più grande e questo può nascere solo da testimoni
credibili cioè di persone che hanno fatto di Cristo il senso e la gioia della
loro vita.
Secondo testo:
per questo agli educatori cattolici è necessario anche e soprattutto la
formazione del cuore, occorre indurli a quell’incontro con Dio e Cristo che
susciti in loro l’amore verso l’altro, così da fare del loro impegno educativo
una conseguenza derivante dalla loro fede che diventa operante nell’amore.
Anche questo,
la formazione del cuore, un cuore innamorato di Dio. Non è questione di età o
stagioni della vita, spesso ci si giustifica dicendo noi siamo anziani, ma se
tu ci credi, la tua fede si vedrà qualunque sia la tua età, addirittura anche
se sei nell’impossibilità fisica di fare qualcosa, se ci credi, la tua fede si
trasmette.
Terzo testo: l’istruzione
è amore, solo così, se la intendiamo così, gli educatori potranno portare il
loro insegnamento ad essere una scuola di fede di trasmissione del Vangelo come
richiesto dal progetto educativo della scuola cattolica.
Ecco allora il
primo punto, il primo dito della mano: Comunione con Dio. Essere innamorati di
Dio, vivere nella sequela di Gesù e nell’unione con lui, pregare, come ci dice
il Papa nell’enciclica, la speranza si impara nella preghiera, la preghiera
è il più grande luogo di formazione della speranza.
Secondo
dito della mano: Come vivere con
Come dire,
Terzo dito
della mano: Comunione fra gli educatori. Come dire la frase di Gesù: “da
questo riconosceranno che siete miei discepoli se mi avrete”, vale anche
per gli educatori della scuola. Come fai ad annunciare il Vangelo se non
dimostri di amare e di condividere la comunione con chi come te è chiamato ad
annunciarli. Gelosie, invidie, maldicenze e così via, tutto l’elenco che fa
Paolo, dovrebbero essere tenute fuori rigorosamente dagli ambienti della
scuola. Dice il numero cinque del documento “Educare Insieme”: l’attuazione
di una vera comunità educativa costruita su una base di valori progettuali
condivise, rappresenta per la scuola cattolica un compito impegnativo da
realizzare. Certamente il grado di partecipazione potrà essere diversificato e
raggiungere la propria storia personale, ma ciò esige la disponibilità per
l’impegno di formazione e autoformazione permanente, in rapporto alle scelte di
valori culturali di vita da rendere presenti nella comunità educativa. Non c’è
più solo il singolo docente, c’è la comunità educativa. Nessun educatore può
sentirsi un’isola, un avventuriero dell’intelligenza, non si metta sennò
insieme.
Il principio
pedagogico che tante volte proponiamo alle famiglie, dove se papà dice una cosa
e mamma dice la cosa opposta, il figlio diventa schizofrenico perché c’è una
sinfonia, una sintonia che è alla base dell’educazione e che non è di facciata
ma di cuore, di verità. Crescere insieme è una spiritualità di comunione fra
gli educatori.
Quarto dito
della mano: Comunione con i giovani. Che cosa dice questo. Anzitutto qui ho
bisogno di citare quattro numeri del testo perché mi sembra che dicano
altrettante cose importanti. La prima è questa, vi leggo la numero dodici:l’educazione,
proprio perché mira a rendere l’uomo più uomo, può anche rifarsi solo ad un
contesto relazionario comunitario. Questo è bellissimo. L’educazione non è
solo la trasmissione del singolo al singolo, c’è anche questa dimensione, ma è
sempre una trasmissione di appartenenza, cioè di un contesto di relazioni che
si trasmette dall’educatore a chi è educato e viceversa e nel contesto
comunitario in cui il processo si svolge. Ecco perché con i giovani, non c’è
solo un rapporto verticale di dipendenza dell’educando dall’educatore, ma c’è
anche un rapporto di comunione.
Numero 24: ciò
esige dagli educatori cattolici la maturazione di una particolare sensibilità
nei confronti della persona da educare, per saper cogliere, oltre la domanda di
crescita, di conoscenze e competenze, anche il bisogno di crescita in umanità.
Questo richiede agli educatori di dedicarsi all’altro con le attenzioni
suggerite dal cuore in modo che questi sperimenti la loro ricchezza di umanità.
Sempre un docente, specialmente nella scuola cattolica, deve essere ricco in
umanità, non deve solo trasmettere conoscenze e nozioni, deve farlo e deve
farlo con serietà, personalità e rigore, ma ricordarsi che è il cuore che parla
al cuore.
Se i nostri
giovani si sentono amati da noi, allora si accenderà la vita nel loro cuore,
perché solo la vita accende la vita. Dal numero tredici; la scuola cattolica
si caratterizza principalmente come comunità educante e si configura perciò
come scuola per la persona e delle persone, e sta li a formare la persona
nell’unità integrale nel suo essere e soprattutto coinvolgendola nella dinamica
delle relazioni interpersonali che costituiscono e vivificano la comunità
scolastica.
Finalmente al
numero 22 la formazione professionale dell’educatore non solo implica un
vasto ventaglio di competenze tecniche psicologiche e pedagogiche caratterizzate
dall’autonomia, dalle capacità progettuali, creatività, cultura
dell’innovazione, abitudine all’aggiornamento, alla ricerca e alla
sperimentazione, ma esige la capacità di far sintesi tra competenze
professionali e motivazioni educative con una particolare attenzione
all’esposizione professionale oggi richiesta nell’esercizio sempre più
collegiale della professionalità docente.
Insomma
costruire una rete di relazioni in cui, mentre ci sforziamo di essere testimoni
di verità, siamo anche testimoni di carità capaci di costruire amicizie.
Paolo VI diceva, oggi i
giovani non hanno tanto bisogno di maestri da cui dipendere quanto da testimoni
da cui lasciarsi accompagnare.
Quinto dito
della mano: la comunione con la società complessa in essa con la comunità della
ricerca scientifica e pedagogica. Una scuola che, dovesse essere un’isola
felice, e che non analizzasse i processi e le sfide culturali della società in
cui siamo nel far vedere degli uomini e delle donne libere capaci di credere,
formerebbe delle persone incapaci di affrontare la vita. Dunque la scuola deve
essere aperta alle sfide della società che però vanno vagliate quale oggetto di
discernimento, analisi, giudizio, esattamente per formare i nostri giovani alla
scelta. Se noi ci limitiamo a dire ai giovani di non vedere la televisione, di
non usare internet, non risolviamo il problema. Noi dobbiamo educarli a
scegliere cosa vedere o come servirsi di internet. In certe fasi della vita
sono necessarie delle precauzioni, diciamo dei paletti, però è anche importante
formare la coscienza.
Educare le
giovani generazioni in comunione, la comunione della scuola cattolica è impegno
serio che non si improvvisa, esso deve essere opportunamente preparato e
sostenuto nel progetto di formazione, capace di cogliere le sfide educative del
momento presente, di fornire gli strumenti più efficaci per poterli affrontare
nella linea della missione condivisa. Ciò
implica negli educatori una disponibilità all’apprendimento e allo sviluppo
delle conoscenze all’adeguamento e all’aggiornamento delle metodologie ma anche
la formazione spirituale e religiosa di una condivisione.
Nel contesto
odierno questo è particolarmente richiesto per rispondere alle istanze che
vengono da un mondo in continuo cambiamento nel quale diventa sempre più
difficile educare. E se questo vuole dire curare le competenze e le
professionalità insieme alla formazione spirituale, il numero ventitre ci dice:
la vocazione degli educatori esige la capacità pronta e costante di
adeguamento e di adattamento.
Non puoi
ripetere tutta la vita le stesse cose che leggi su fogli ingialliti da quando
avevi vent’anni, perché non è sufficiente raggiungere solo inizialmente un buon
livello di preparazione, occorre seguire un percorso di formazione permanente
che esige una costante ricerca personale e comunitaria nelle sue forme e nelle
realizzazioni, nonché un percorso formativo comunitario è alimentato
continuamente dallo scambio e dal confronto.
E qui vive
certamente l’aggiornamento come dimensione della spiritualità e di comunione
che tutti dobbiamo riscoprire. Non è solo l’acquisizione di nuove tecniche
didattiche e scientifiche, è l’aspetto della missione. Tu non puoi vivere la
comunione con Dio e con
Arrivo così
alla conclusione. Una spiritualità in comunione per vincere la sfida della
disintegrazione, della frammentazione della solitudine, una spiritualità in comunione
dai cinque volti; comunione con Dio, vissuta, calda, intensa nella sequela
amorosa di Gesù nella preghiera, nei sacramenti, nella carità. Una comunione
con
Infatti se
pensiamo e viviamo in comunione con Cristo allora ci si aprono gli occhi e
comprendiamo che solo da Dio viene la più vera rivoluzione di cambiamento
decisivo del mondo. E l’augurio è di realizzare questo progetto che tutti
insieme traduciamo in preghiera con voi e per voi.
Grazie!