Post annuam
mysterii paschalis celebrationem, nihil antiquis habet Ecclesia quam memoriam Nativitatis Domini et primarum eius
manifestationem recolere:
quod fit tempore Nativitatis. (AC,32)
La notte Santa.
Si veglia
questa sera per attendere l’evento. Nel calore delle case i pensieri degli
uomini assumono una direzione unica: siamo tutti in viaggio verso una grotta,
sentiamo dentro di noi un annuncio misterioso. Fra le migliaia di nascite che
avvengono contemporaneamente nel mondo, c’è la nascita di un bimbo chi
coinvolge il mondo intero. Nasce in una grotta, ma è il Re dell’universo,
nasce povero, ma è il re del cielo. La grotta che l’accoglie sembra una tomba
e la sua culla è una mangiatoia, ma Egli è il Signore del mondo. Il
telegiornale ci ha parlato ancora di guerre e di disastri, ma egli è il
Signore della pace. Lo annunciano presente nel mondo gli Angeli di Dio;
annunziano la pace, cantano l’amore e la gloria del Signore. Accolgono
l’invito umili pastori, loro, che sono assuefatti al belare degli agnelli,
ben comprendono il vagito del Bambino: Egli si è umiliato nella carne. Siamo
invitati anche noi ad entrare numerosi più che mai nelle nostre chiese, con
la stessa umiltà di quei pastori. Ciò che è povero, ciò che è piccolo agli
occhi della carne, diventa grande a quelli della fede. Anche noi gustiamo nel
profondo la gioia di quella nascita nel tempo del Dio eterno: egli si è fatto
come noi, per essere uno di noi. Vuole immergersi nella storia del mondo e di
ognuno di noi. Egli viene a redimere la storia, a cancellare il peccato e ad
infondere una nuova energia vitale, che ricrea l’uomo nella giustizia e nella
santità. Il presepio più vero è quello che celebriamo sull’altare: quei
frammenti di pane diventano il suo corpo per nutrirci del divino; quel poco
vino diventa sangue di quel bimbo che vuole ancora bearci del suo amore.
E’ Natale!
E’ nato! Nasce
oggi per noi. È vivo tra noi. Il Verbo si è fatto carne. Dio è diventato
uomo, è il più piccolo di noi. L’ha accolto prima il seno verginale di Maria,
ora un grotta e una mangiatoia. Vuole immergersi così nelle viscere della
terra, nel nostro mondo. Chiede accoglienza e un po’ di calore umano. Vuole scuoterci dal nostro torpore e
dalle nostre assurde distrazioni. Viene ad operare un recupero totale della
nostra umanità. Vuole distoglierci dalla antica e perenne tentazione di poter
agire senza di Lui o contro di Lui. Egli sa che la vera miseria che ci
opprime consiste nell’aver perso la nostra primitiva identità: non siamo più
in grado di comprendere e vivere la nostra figliolanza e la nostra fraternità
divina. Ci ritroviamo estranei e pellegrini senza meta. Mostrandoci nello
specchio limpido della sua natura, il volto di Dio, egli vuole farci
recuperare il primitivo nostro splendore. Questa è la luce vera del Natale,
questa dobbiamo sorbire nella fede, in questo senso noi guardiamo le luci che
brillano dovunque: vogliamo la luce vera che illumina ogni uomo, vogliamo la
grazia che ci santifica e rende presente in noi la divinità. Il Natale vero
avviene allora dentro di noi: è una nascita misteriosa ma reale, diventa
orientamento per la vita, diventa amore alla vita, diventa gioia della verità
e certezza di essere amati per essere poi a nostra volta capaci di amare. In
quella nascita c’è un germe di vita nuova, c’è un monito da non disattendere,
c’è una grande lezione di umiltà e di autentica grandezza. Sono le virtù più
urgenti per tornare a Dio.
Con la
liturgia anche noi ci rivolgiamo, con la dovuta umiltà reclamata dal Natale, ai
primi testimoni della nascita del Signore Gesù: “Pastori, chi avete visto?
Chi è apparso sulla terra?”. La loro risposta: “Abbiamo visto un bambino e
gli angeli che lodavano il Signore”. Noi perciò non possiamo e non dobbiamo
attenderci nulla di diverso, nel nostro personale cammino verso la grotta,
anche noi troveremo “un bambino”. A quella vista possiamo misurare con
certezza le nostre reazioni e contemporaneamente verificare l’intensità della
nostra fede. Non ci è dato di fare confronti e di misurare l’evento con i
soliti criteri umani; non possiamo neanche addurre l’urgenza dei nostri guai o la vastità dei
misfatti che ci affliggono. Lì nella mangiatoia troveremo ancora un bambino,
una giovane donna e un umile falegname; lì brillano la semplicità, l’umiltà e
la povertà, le virtù che oggi meno ci piacciono e che riteniamo le meno
adatte a riparare le arroganze e le superbie degli uomini. Fuori della grotta
gli uomini, quelli che noi definiamo “grandi”, parlano e minacciano ancora
guerre. Ogni giorno ci raccontiamo storie di violenze per le strade del mondo
e dentro le mura domestiche e noi ancora irremovibilmente fermi nel gridare
verso il cielo “Vieni, Signore Gesù”. Sembrerebbe una lotta impari tra i
grandi dei palazzi e il Bambino della grotta. Potremmo però anche in questo
Natale subire la tremenda tentazione di sentirci deboli e destinati ad una
irreparabile sconfitta: noi con la sola forza di un bambino e il mondo la
forza delle armi e la violenza dell’odio. Al canto degli Angeli che
annunziano la pace si contrappongono, con ben altra risonanza, le grida di
morte e il fragore delle armi. Eppure noi non possiamo, non vogliamo spegnere
la nostra speranza; non possiamo neanche per istante dubitare chi è il vero
signore della storia. Il “garante della libertà umana”, ha scelto di
immergersi nel nostro mondo, fino ad affogare nelle nostre storie per
risorgere e farci rinascere. È pronto ad infangarsi nella nostra melma, farsi
carico del peccato del mondo, per redimere purificare, sanare e perdonare. La
sua incarnazione perciò non è solo l’aver preso la nostra natura umana, ma
piuttosto l’aver assunto in pienezza tutta la responsabilità delle nostre
colpe. Egli si è incarnato nel nostro peccato. È diventato una di noi, il
primogenito di molti fratelli. Così accade che i suoi nemici diventano i suoi
prediletti e le vittime del male i primi suoi collaboratori, i poveri cristi
del mondo assimilati nella morte e nella gloria. Così quel Bambino, che
appariva troppo piccolo per le nostre attese, diventa ed è già il nostro
Salvatore. Ora comprendiamo meglio il significato del canto degli Angeli e ci
viene spontaneo unirci al loro coro: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace
in terra gli uomini che Egli ama”. Ci appare finalmente chiara la via della
pace: è una passione di amore che parte dall’Eterno Padre, ci viene rivelata
ed attuata in Cristo, sfocia nella nostra storia come un eterno sacrificio,
come una perenne immolazione dove brillano la Vittima e le vittime
indissolubilmente unite dallo stesso vincolo, dallo stesso dono supremo:
“dare la vita”. Ora non ci spaventano e non ci disorientano più l’umiltà e la
povertà del Bambino. Diventiamo anche noi capaci di condividere con Lui lo
squallore di una grotta e l’annientamento nell’amore. Ora per noi Natale è
nascita e rinascita allo stesso tempo, è vita nuova, è la più grande lezione
di vita che potessimo sperare dal Cielo. Dovremmo solo con coraggio
riscoprire insieme la direzione giusta del nostro corteo. Siamo diretti,
senza esitazioni ed indugi, verso una grotta per adorare un Bambino che è il
re del cielo e della terra, che è venuto per la nostra salvezza a spandere
nel nostro mondo e nei nostri cuori un seme nuovo che fa germogliare ancora
la fraternità e la pace. Prima di arrivare alla meta egli già ci viene incontro,
vuole nascere in tanti presepi e riempire di se tanti cuori, assetati
d’amore. Riempirà anche il tuo cuore e la tua casa.
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