Storia della Chiesa

Chiesa e progetto ateistico

 

 

 

 

 

Autore : Luigi Negri

Curatore : don Pinuccio Mazzucchelli

Fonte : Tracce

Da : CulturaCattolica.it

 

 

 

 

La Chiesa di fronte al progetto ateistico

La dottrina sociale della Chiesa

Alle soglie del terzo millennio

 

 

 

 

 

 

 

La chiesa di fronte al progetto ateistico

La responsabilità della resistenza da parte della Chiesa cattolica al progetto di Stato assoluto trova il suo momento più espressivo nel magistero pontificio. Sarà questo il nostro punto di osservazione.

La Chiesa, con il sorgere dell'età moderna e quindi con il dispiegarsi del progetto ateistico, deve vivere in un contesto radicalmente diverso da quello precedente, ed esprime la sua resistenza come missione. Essa comprende che il suo compito non è più, come nell'età medievale, di intervenire col suo influsso religioso e spirituale sulla forma della società, per determinare una struttura umanamente più adeguata; i termini sono ormai radicalmente diversi: la Chiesa è chiamata alla missione in una situazione culturale e sociale di obiettiva ostilità che tende, in modo sempre più esplicito, all'ateismo e a costruire un progetto sociale anticristiano. Il compito è quello di vivere una presenza simile a quella vissuta nei primissimi tempi del cristianesimo. Con un'aggravante: che la forma culturale della società in cui la Chiesa vive ora la sua missione non presenta, come la società precristiana, degli spazi di apertura, di attesa; nel suo complesso il mondo contemporaneo è chiuso alla tradizione cristiana, anzi vive, come preoccupazione fondamentale, quella della sua eliminazione; si suole dire che siamo in una società post-cristiana.

La missione della Chiesa, la sua resistenza al progetto ateistico, ha contemporaneamente reso possibile la ricostruzione dell'umano. Di fronte al dispiegarsi del progetto ateistico, che significava una progressiva perdita di libertà e di verità, la Chiesa ha resistito, impegnandosi in una presenza missionaria che, educando un popolo di cristiani, ha rimesso nel circolo della cultura e della società europea un principio diverso.

Nella nuova situazione la Chiesa non può limitarsi a svolgere una serie di progetti parziali, nel tentativo di influire sulla forma culturale della società, perché sia più coerentemente cristiana. La Chiesa è chiamata a realizzare una presenza "ex-novo", creando una soggettività umana nuova, capace di affrontare l'esistenza secondo una logica di appartenenza al mistero e non più secondo la logica dell'autoimmanenza, per cui l'uomo si concepisce come criterio ultimo e definitivo della realtà.

La missione della Chiesa si è svolta anche individuando le linee di una dottrina sociale cattolica. La Chiesa, cioè, impegnata come presenza ha generato una concezione globale dell'uomo, della realtà e della vita sociale; una concezione dinamica, che esprime la missione e la rende sempre più possibile. Tutto ciò è sintetizzato in una formula acutissima del Lortz: "La dottrina sociale della Chiesa come condizione della presenza della Chiesa".

La dottrina sociale della Chiesa

La dottrina sociale della Chiesa è costituita da una serie di interventi che il magistero dei Papi ha realizzato in alcuni momenti importanti di fronte ad alcune contraddizioni esplicite, ad alcune sfide significative poste alla vita della Chiesa dallo svolgersi del progetto ateistico.

La dottrina sociale consta di due momenti. Il primo è un confronto con i fondamenti della posizione ateistica. Questo compito è stato assunto, ad esempio, da Pio IX con l'enciclica Quanta cura, ma soprattutto con il Sillabo, di cui si sono già riportati alcuni passi significativi. In questo primo momento la dottrina sociale della Chiesa si misura con il progetto umano, culturale e sociale del mondo ateistico, per giudicarne l'inconciliabilità con la fede: la concezione cristiana dell'uomo e del suo rapporto con la realtà, è inassimilabile alternativa rispetto alla concezione ateistica dominante.

C'è poi un secondo momento che è quello positivo: a partire dalla concezione cristiana dell'uomo si può costruire un nuovo tipo di società. Si può citare, al riguardo, un brano dell'enciclica Quadragesimo anno scritta da Pio XI nel 1931 per celebrare la Rerum Novarum di Leone XIII che si può considerare la prima enciclica sociale e che era stata pubblicata esattamente quarant'anni prima. Scrive dunque Pio XI: "Per usare le parole del nostro predecessore, se ai mali del mondo v'è un rimedio, questo non può essere altro che il ritorno alla vita e alle istituzioni cristiane, giacché questo solo può distogliere gli occhi affascinati degli uomini, del tutto immersi nelle cose effimere di questo mondo, e innalzarli al cielo; questo solo può portare efficace rimedio alla troppa sollecitudine per i beni caduchi ch'è l'origine di tutti i vizi; del quale rimedio chi può negare che la società umana non abbia al presente un sommo bisogno?".

Al di là del linguaggio, evidentemente datato, l'idea fondamentale è che, a partire dalla concezione cristiana della vita, è possibile un'esperienza culturale e sociale più adeguata all'umano.

Il magistero di Leone XIII

Il magistero che più si è impegnato, sia nella fase del confronto, sia - soprattutto - nella fase propositiva, è quello di Leone XIII (1878-1903), il cui pontificato, immediatamente a ridosso della creazione dei grandi Stati liberal-borghesi in Europa, ebbe la possibilità di valorizzare, come materiale di riflessione, tutta la grande tradizione teologica raccolta per preparare la celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano I, bruscamente interrotto dalla presa di Roma da parte delle truppe italiane nel 1870. Il suo magistero sociale risulta pertanto particolarmente ricco e articolato.

Leone XIII dedicò alla questione sociale tre importanti encicliche: Immortale Dei (1 novembre 1885), che porta come titolo: "Sulla costituzione cristiana degli Stati"; Libertas (20 giugno 1888), "Sulla libertà umana" e infine la più famosa, Rerum Novarum (15 maggio 1891) "Sulla condizione dei lavoratori".

L'idea fondamentale di Leone XIII è che la questione politica è una questione innanzitutto antropologica; è, cioè, fondamentalmente l'espressione di una concezione dell'uomo.

Nella Immortale Dei l'idea fondamentale che Leone XIII, in modo estremamente documentato, sostiene è che la dimensione religiosa fonda una vita e delle strutture politiche che servono la libertà dell'uomo e sono espressione autentica delle persone e dei rapporti sociali. In questa enciclica si trova anche la straordinaria affermazione secondo cui la Chiesa è sostanzialmente indifferente alle varie "tecniche" di governo, a condizione che la struttura della vita politica, cioè lo Stato, abbia come preoccupazione l'affermazione della persona e dei suoi diritti fondamentali, e quindi la massima libertà della vita sociale.

 

L'affermazione che il progetto ateistico è inassimilabile al cristianesimo non chiude la Chiesa in una posizione di nostalgia del passato, dell'ancien régime, come la maggior parte dei testi scolastici afferma. Con il magistero di Leone XIII la Chiesa assume infatti una posizione propositiva, che guarda al futuro.

Leone XIII ha avuto il merito di impostare la questione a livello etico-antropologico: che tipo di uomo è quello che il progetto ateistico persegue? Che tipo di uomo è quello che la realtà della vita ecclesiale determina? Quali sono le conseguenze dell'uno e dell'altro modello? Con l'enciclica Libertas egli risale alle radici della questione antropologica ed etica. C'è una concezione della libertà negativa, e ce n'è una "cristiana" che deve essere di nuovo proclamata e insegnata. La cultura laicista dominante aveva un concetto di libertà intesa come pura capacità di scelta; così intesa la libertà serve a preparare una struttura della vita sociale e politica sostanzialmente negatrice della libertà stessa. C'è dunque una concezione della libertà come supremo valore che è funzionalizzata alla sua negazione, come appare nei sistemi totalitari del ventesimo secolo.

Dal punto di vista cristiano invece la libertà è sottoposta alla verità. Il supremo valore è la verità, e la libertà è la modalità umana per affermare la verità. Questa concezione ha enormi conseguenze sul piano antropologico e dei rapporti sociali. La libertà liberale è una libertà che arriva alla propria negazione, perché si consegna allo Stato come alla struttura ultima che decide ciò che è vero e ciò che non è vero, ciò che deve e ciò che non deve essere insegnato.

La Rerum Novarum dimostra la positività del progetto cristiano nel momento in cui si incontra con la questione più spinosa del XIX e del XX secolo: la questione sociale. L'ideologia liberale da un lato e quella collettivistica dall'altro impostano la questione del rapporto capitale-lavoro in una visione sostanzialmente ideologica e meccanicistica. Esse propongono soluzioni - il liberalismo selvaggio o il collettivismo - che sono false come è dimostrato anche dal fatto che i due sistemi, applicati fino in fondo, hanno creato gravissime disfunzioni anche sul piano economico.

La posizione di Leone XIII non è una terza via tra capitalismo e collettivismo, ma è l'indicazione che esiste un soggetto in cui la divisione fra capitalista e lavoratore, come espressione di un odio incontenibile, è negata: è il soggetto che fa l'esperienza della vita ecclesiale e della sua formazione morale. Si afferma il principio della priorità dell'etica sull'analisi socio-politica e la necessità di formare personalità che sappiano affrontare la questione del rapporto fra datore di lavoro e lavoratore non in termini di odio irriducibile e di competizione assoluta. Con la Rerum Novarum, Leone XIII indica un approccio originale al problema della società industriale. Un approccio non ideologico, ma personale. Non è il sistema (che blocca gli uomini in categorie, in classi, in situazioni da cui non si possono liberare), ma è la personalità del singolo o del gruppo che è chiamata in ogni situazione a leggere e ad affrontare i problemi. Avviene, quindi, la rivalutazione della persona come dotata di libertà e di responsabilità. La carità, che viene invocata continuamente come principio risolutivo delle questioni sociali, non è intesa come elemosina, bensì come concezione globale della vita.

 

Il secondo aspetto originale della Rerum Novarum è l'individuazione di forme storiche di soluzione del problema sociale. Leone XIII ha indicato la difesa sia del diritto di proprietà, che della destinazione sociale della proprietà. Invece il meccanicismo liberale voleva la proclamazione assoluta del diritto di proprietà e la sua destinazione privata, cioè il puro incremento del capitale. D'altro canto l'abolizione socialista del diritto di proprietà generava una cultura del lavoro incapace di creatività e di responsabilità personali.

Secondo il magistero della Chiesa (come affermano chiaramente sia la Rerum Novarum che la Quadragesimo anno) la difesa del diritto di proprietà non coincide con la difesa del capitalismo, bensì con la difesa della personalità umana. La proprietà è infatti un diritto fondamentale, espressivo della personalità singola e associata. Il problema è l'educazione di colui che deve fruire di questo diritto perché il suo uso sia per l'incremento del bene comune e non per un puro benessere egoisticamente stralciato dal contesto sociale. Rispetto al nodo della rivoluzione industriale la posizione cristiana, non era rivolta al passato nel rimpianto di un mondo perduto, ma contribuiva a generare un soggetto nuovo, un'esperienza originale di unità fra gli uomini capace di socialità nuova.

Pio XI (1922-1939) raccoglie adeguatamente e rigorosamente l'eredità di Leone XIII. Durante il suo pontificato, l'Europa giace sotto la cappa di piombo dell'assolutismo culturale e politico. Egli condanna pubblicamente e successivamente - unica voce di altissima autorità morale - il fascismo, il nazismo e il comunismo, rispettivamente con le tre encicliche: Non abbiamo bisogno (29 giugno 1931), Con animo angosciato (14 marzo 1937), e Divini Redemptoris (19 marzo 1938). Egli esprime così la condanna nei confronti della concezione antropologica e politica secondo cui l'uomo appartiene allo Stato e si esprime esclusivamente nell'ambito dello Stato. "Per il fascismo - scrive Mussolini alla voce Dottrina del fascismo della Enciclopedia italiana nel 1931 - lo Stato è un assoluto davanti al quale individuo e gruppi sono il relativo: essi sono pensabili in quanto stanno dentro lo Stato... Volontà di potenza e d'imperio che reprime, con la severità necessaria, coloro che vorrebbero opporsi". Tali affermazioni si adattano benissimo anche all'ideologia stalinista o nazista.

Pio XII (1939-1958), il cui pontificato si svolge durante la seconda guerra mondiale e l'immediato drammatico dopoguerra, nel suo magistero dimostra come la possibilità di un progetto positivo è più vicina che mai.

Le guerre mondiali, nel magistero dei Papi, sono state lette nella loro profondità autentica. Esse hanno dimostrato che il progetto ateistico non si sarebbe realizzato se non a condizione di un impoverimento spaventoso dell'uomo e della società. Per primo Benedetto XV (1914-1922) aveva avuto la responsabilità di valutare la prima guerra mondiale nella sua enciclica Pacem Dei munus pulcherrimum (23 maggio 1920); egli aveva affermato che la guerra non era stato un regolamento di conti fra potenze, ma l'esprimersi sino in fondo di una concezione ateistica della vita, che aveva provocato uno scollamento fra gli Stati e la vita dei popoli. In secondo luogo egli aveva affermato che la carità rappresenta una reale alternativa alla guerra: essa, abbracciata come pratica, unifica vincitori e vinti.

 

La connessione fra il piano antropologico e quello politico su cui si è basata e si basa la resistenza della Chiesa allo Stato assoluto è di carattere etico ed educativo: occorre indurre l'uomo a riprendere coscienza del proprio destino trascendente e a considerare la vita sociale, e quindi lo Stato, non come la fonte della sua esistenza, ma come l'ambito in cui esprimere la sua creatività. Si tratta di un capovolgimento totale tanto più richiesto, quanto più si va rilevando l'inconsistenza, l'impossibilità di attuazione, il fallimento del progetto ateistico.

Questa resistenza ha avuto certamente il suo punto di maggiore coscienza e sviluppo nel Concilio Ecumenico Vaticano II, in cui la storia della Chiesa ha, da un lato, recuperato autenticamente la propria identità di popolo di Dio, dall'altro, la responsabilità della missione.

Se si eliminasse dalla storia degli ultimi 250 anni la Chiesa cattolica, e il magistero del Papa in particolare, noi avremmo il prevalere indiscusso e invincibile dell'ideologia. L'unica forma di resistenza all'ideologia adeguatamente organica e capace di catalizzare altri fattori di resistenza è indiscutibilmente quella della Chiesa cattolica. Il nemico dichiarato di qualsiasi ideologia è stata la Chiesa, come si è visto fin dalla rivoluzione francese.

Questa posizione di resistenza ha avuto una debolezza intrinseca, il cui punto più pericoloso si è espresso, all'inizio di questo secolo, con un fenomeno chiamato "modernismo" condannato nel 1907 dall'enciclica Pascendi dominici gregis di San Pio X. Nonostante tale condanna, si tratta di una tendenza ancora presente, in modo abbastanza diffuso, nel complesso del cattolicesimo di oggi, in quanto rappresenta una tentazione permanente dello spirito cattolico. Vi si è già accennato parlando della tentazione gnostica nella Chiesa primitiva, cioè del progetto di sottoporre la fede al mondo, anziché viverla come criterio per giudicare e intervenire attivamente nella vita culturale e sociale in forza alla propria nuova identità personale e sociale.

Il modernismo sottopone la fede alla mentalità dominante, è culturalmente subalterno al progetto ateistico e si limita ad individuare, nel contesto sociale dominante, degli spazi di sopravvivenza. Si tratta, insomma di un ripiegamento, di una riduzione della Chiesa a culto e a formazione moralistica di un individuo che, al massimo, deve attenuare le conseguenze del progetto ateistico, ma che non è in grado di discuterlo, di affermare che c'è un'altra concezione dell'uomo, un altro tipo di Stato. La posizione modernistica è quella di chi ritiene che la cultura moderna sia assoluta e la fede debba essere pensata all'interno di essa. È un atteggiamento che coincide con molti aspetti del protestantesimo. In questo senso, giustamente, si parla di una protestantizzazione della fede.


Alle soglie del terzo millennio

La Chiesa si trova dunque percorsa da elementi di debolezza. Di contro a questo atteggiamento di molti intellettuali, Giovanni Paolo II presenta come fulcro del suo messaggio l'evangelizzazione, cioè il cristianesimo ripresentato nella sua integralità, nella sua struttura di evento irriducibile a qualsiasi forma ideologica, capace di intervenire creativamente sulla struttura dell'uomo, dandogli una cultura nuova. Il punto più contestato del suo magistero è proprio il rapporto fra fede e cultura. Secondo Giovanni Paolo II la fede è in grado di rendere il popolo capace di cultura e di creatività sociale.

Il cristianesimo si può presentare come nuova forma culturale capace di influire sulla concezione dell'uomo e dei rapporti come fattore genetico.

La migliore apologia che la Chiesa può fare di sé è il fatto che, dove essa è stata presente nella vita degli uomini e della società, l'uomo è stato più se stesso, ha vissuto maggiormente la sua libertà, la sua responsabilità e la sua capacità di creatività. Dove, al contrario, la Chiesa è stata emarginata o ha accettato di esserlo anche l'uomo è stato negato. Si può infatti costruire un mondo contro Dio, ma ciò significa costruire un mondo contro l'uomo.

Parlando a Puebla, qualche mese dopo la sua elezione al pontificato, Giovanni Paolo II ha detto: "La Chiesa possiede, grazie al Vangelo, la verità sull'uomo. Questa si incontra in un'antropologia che la Chiesa non cessa di approfondire e di comunicare. L'affermazione primordiale di tale antropologia è quella dell'uomo come immagine di Dio, irriducibile a una semplice particella della natura o a un elemento anonimo della città terrena". Questa verità completa sull'essere umano costituisce il fondamento della dottrina sociale della Chiesa, e la base della vera liberazione.

La sfida che la Chiesa ha di fronte è la sfida sul significato dell'uomo, sul suo valore, sulla sua libertà.

 

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