Parabole |
La trave e la pagliuzza |
Perché guardi la pagliuzza
nell'occhio del tuo fratello? Luca 6,41- 42; 6,45 La
prima tematica riguarda la correzione da parte di uno che ha una trave
nell'occhio, paragone in origine diretto contro i farisei, le guide spirituali
che sviavano il popolo. Tuttavia nell'attuale contesto di San Luca esso è
rivolto contro le false guide della comunità, che pretendono di essere
"sopra" il maestro. Uno solo è l'autentica guida, uno solo è
"maestro", tutti gli altri sono discepoli. La
seconda tematica parla del legame intimo tra l'intenzione profonda, il centro
e la radice della personalità, il "cuore" dice il vangelo, e il
comportamento esterno, nell'agire come nel parlare. Ciò che importa non è
tanto e solo l'agire esterno conforme ad un codice di norme, ma la verifica
del "cuore", In ultima analisi è dal cuore "buono", dalla
coscienza illuminata e pulita che un uomo può far scaturire una prassi
autentica. Ciò che conta è l'attuazione della sua parola che, posta nel
cuore, costituisce il deposito interiore e il fondamento di una vita solida
di fede. Come
avete notato e dedotto dai vangeli si potrebbe cogliere una serie di spunti
su ognuno degli organi con cui la persona umana opera e comunica con
l'esterno: occhi, orecchi, voce, mani, piedi, cuore; e sul linguaggio di
ognuno di questi sensi, il suo uso e abuso. Io
mi limito questa volta a raccogliere il messaggio legato agli occhi. San
Matteo riporta un detto di Gesù dedicato interamente all'occhio: "La
lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo
corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà
tenebroso" ( Mt.6,22). L'occhio
è davvero la lucerna, o la spia, dell'anima. Le emozioni più intense, le
passioni più violente, le gioie e i turbamenti più profondi, quelli che non
possono essere tradotti in parole sono comunicati con gli occhi. Lungo il
corso dei secoli sono cambiate tante cose, ma non è cambiato l'alfabeto degli
occhi: sorriso, lacrime, paura, meraviglia, fiducia…sono uguali dovunque. Nel
mondo vivono circa sei miliardi d'esseri umani, il che significa tredici
miliardi d'occhi che guardano, che interrogano, che raccontano, che
esprimono. Ma quanti sono veramente gli occhi che funzionano da…occhi?
Soltanto una persona psicologicamente matura sa usare bene gli occhi. Gesù è
anche in ciò un modello insuperabile. Su tutte le cose egli porta uno sguardo
amorevole e attento. Attraverso
i suoi occhi possiamo vedere, come assistendo ad un film, il mondo che lo
circondava. Il pastore conta le pecore e corre a riprendersi quella che si è
attardata; il contadino mette mano all'aratro, getta il seme, guarda il
cielo; se una nuvola sorge da occidente sa che domani verrà la pioggia; se il
vento soffia nel deserto sa che vi saranno giorni torridi. Gigli che crescono
nel campo e uccelli che volano in cielo. La vecchietta spazza la casa per
ritrovare la moneta perduta; la donna impasta il lievito con tre misure di
farina e accende la lucerna per porla sul candeliere. Sulla piazza i braccianti
attendono chi li assuma alla giornata. I bambini, vispi, fanno il girotondo
e, con voci stridule, vanno ripetendo sempre lo stesso ritornello… Nei
Vangeli sono registrati diversi sguardi di Gesù che cambiano l'esistenza
delle persone. Ricordo l'episodio della conversione di Matteo (Lc.5,27-28).
E' seduto, intento a riscuotere i dazi, a contemplare rapito, le monete che i
commercianti depongono sul tavolo…E' al massimo dell'euforia quando tutto ciò
che fino a quel momento ha dato senso alla sua vita perde valore, nello
sguardo di Gesù. Matteo si alza, abbandona ogni cosa e segue Gesù. Non ha
assistito ad alcun suo miracolo, Gesù non è ancora famoso e allora?
Osserviamo un particolare del racconto: "Gesù lo osservò". Il suo
sguardo si rivela all'istante irresistibile: è penetrante, affascina…Lo
sguardo di Gesù non si ferma alla superficie, ma giunge diritto al cuore. Nel
suo celebra quadro Caravaggio ha colto l'importanza di due sguardi che
s'incontrano e fa ruotare intorno ad essi tutta la scena. Alla luce dell'importanza che lo sguardo riveste per
Gesù, possiamo comprendere meglio anche quello che nel vangelo egli dice
circa alcune disfunzioni del nostro occhio. La medicina moderna è giunta a
diagnosticare le malattie di una persona osservando il fondo dell'occhio;
Gesù fa la stessa cosa per gli occhi del cuore. Questo
avvertimento è rivolto in particolare alle guide delle varie comunità (è
chiaro che Luca pensa certamente al problema dei falsi profeti nella comunità
del suo tempo). Sentiamo piuttosto quello che Gesù dice di un'altra malattia
della vista che riguarda tutti indistintamente. "
Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non
t'accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti
che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel
tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci
bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello". Che
cosa indica la famosa pagliuzza e la famosa trave? La pagliuzza è il peccato
giudicato nel fratello, qualunque esso sia, in confronto al fatto stesso di
giudicare che è la trave. Gesù denuncia qui una tendenza innata dell'uomo che
i moralisti antichi hanno illustrato con la favola delle due bisacce. Nella
rielaborazione che ne fa La Fontane (scrittore di favole) dice: "Quando
vieni in questa valle porta ognuno sulle spalle una duplice bisaccia. Dentro
a quella che sta innanzi volentieri ognun di noi i difetti altrui vi caccia,
e nell'altra mette i suoi" Siamo
strani noi umani, possediamo occhi di lince nello scorgere i difetti del
prossimo e siamo talpe cieche quando si tratta dei nostri. Dovremmo
semplicemente rovesciare le cose: mettere i nostri difetti sulla bisaccia che
abbiamo davanti e i difetti degli altri su quella dietro. Dopo tutto, i
nostri difetti sono i soli che dipende da noi modificare e correggere. Ciò
che avviene per pregi e difetti avviene anche per diritti e doveri. Noi
poniamo il più delle volte i nostri diritti nella bisaccia davanti e i nostri
doveri in quella dietro. Viviamo, soprattutto oggi, in una società dove tutti
sbandierano diritti, e nessuno sembra avere doveri. Nel momento in cui si
vuole procurarsi il favore di qualche settore della società non si fa che
mettergli davanti agli occhi i propri diritti, tacendogli i rispettivi
doveri. Tanti conflitti sociali dipendono da qui. Si impone, anche a questo
riguardo, un bel capovolgimento di bisacce: davanti i doveri, dietro i
diritti, oppure, ciò che è lo stesso: davanti i diritti degli altri, dietro i
diritti nostri. Tanto, anche se sono dietro, non c'è pericolo che li
trascuriamo… In
conclusione, la similitudine trave-pagliuzza, è un'immagine grottesca e
paradossale, tuttavia rende palese l'assurdità di colui che si innalza a
giudice del fratello. Chi giudica si autogiustifica (rammentate la parabola
del Fariseo e il pubblicano al Tempio?), s'illude nella propria ipocrisia,
che gli maschera la profonda sfasatura tra la convinzione interiore e il
comportamento esterno. Soltanto
una lucida autocritica è la condizione per aiutare, con senso di
partecipazione e di misericordia, il fratello a correggersi. Amen.alleluia,
amen! |
Vedi letture evangeliche
Mc.7,24-36 e Mt.15,21-28 Anche
in questa narrazione, come l’intervento di Maria S.S. alle nozze di Cana, sembra
che le parole di una donna inducano Gesù a modificare almeno in parte le sue
prospettive messianiche e i suoi programmi d’azione. La
donna di cui si parla, siro-fenicia o Cananea, è una pagana. La zona di Tiro
e Sidone era situata a nord-ovest della Galilea e i suoi abitanti adoravano i
Baal e le Ashere. Questi erano culti caratterizzati fra l’altro dai riti di
fertilità, in genere di carattere sessuale orgiastico e promiscuo. Questi
riti idolatrici, lo sappiamo dall’A.T., attiravano spesso anche gli Ebrei,
suscitando lo sdegno e la denuncia dei Profeti (maggior approfondimento dal
capitolo “Conquista della terra di Canaan, da “Storia del popolo ebraico”). Ecco
perché i residenti di queste zone erano malvisti, e in Israele la loro
cattiva fama aveva un carattere insieme religioso e morale. Come i
Samaritani, seppure ritenuti etnicamente bastardi ed eretici in merito al
culto, erano almeno in parte d’ascendenza ebraica, innestati sulla comune
eredità mosaica. I Cananei al contrario erano i nemici tradizionali contro
cui il popolo ebraico aveva dovuto combattere strenuamente per stabilirsi
nella terra promessa e la cui religione rappresentava una minaccia costante
per la purezza della religiosità israeliana. Nel
racconto poi si tratta di una donna, quindi doppiamente diversa, contaminata
ed emarginata. Di una donna che importuna Gesù e i discepoli, rivolgendogli
la parola in pubblico. La prospettiva della narrazione sta precisamente
nell’incontro e nel dialogo di Gesù con la donna. La
donna non è soltanto una madre pagana che cerca di strappare un miracolo al
taumaturgo giudeo di cui ha sentito meraviglie e che ha sconfinato, ma è la
rappresentante della comunità dei pagani venuti alla fede. Per questo la
risposta ultima di Gesù è il dono della salvezza, la guarigione della figlia,
come primizia della salvezza per mezzo della fede. La
Cananea urla la sua supplica, ma Gesù, non le rivolge nemmeno una parola. E a
prima vista può apparire sconcertante e sconvolgente il comportamento di
Gesù. Ma poi cerca di spiegarle il motivo del suo rifiuto con un linguaggio
semplice e ricco d’immagini: “Non è bene prendere il pane dei figli per
gettarlo ai cagnolini”. Secondo l’A.T. “i figli” sono i giudei”, “i
cagnolini” sono i pagani. La Cananea insiste e replica prendendo spunto
proprio dall’immagine usata da Gesù. Gli dice: “Anche i cagnolini si cibano
delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Con
queste parole la donna pagana chiede, in pratica, di partecipare
permanentemente ai beni della salvezza messianica, anche se in un modo
limitato, un poco emarginante, raccattando solo le briciole che cadono dalla
tavola dei cristiani che, a pieno titolo, possono vivere in comunione con
Cristo. Ma
è proprio questo atteggiamento di totale fiducia e povertà e aridità
spirituale che spinge Gesù ad inserire totalmente la donna Cananea nel piano
della salvezza cristiana: “Donna davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto
come desideri”. Il
rischio del razzismo religioso è una tentazione permanente, poiché è la
giustificazione religiosa delle divisioni culturali e della stratificazione di
potere. Gesù ha cancellato anche questo. Egli non ha fondato la sua Chiesa
solo per i giudei, la donna Cananea, simbolo dei pagani, ora può entrare
nella Chiesa e beneficiare dei doni del Messia. L’insegnamento
di Gesù, cosa ci comunica? La
Chiesa di Gesù è anche per gli orientali che vivono tra noi, che appartengono
a religioni non cristiane. Siamo cristiani di vecchia data: battezzati,
cresimati e comunicati perché così vuole la nostra tradizione. Tuttavia
questi “titoli” tradizionali non valgono nulla se li abbiamo ridotti ad
abitudini senza fede. E’ la fede che ci introduce in Cristo e che ci fa
vivere la grazia di salvezza che >Egli effonde nel popolo di Dio Padre. La
fede sincera, fresca ed entusiasta, è il titolo fondamentale e unico per
l’appartenenza alla comunità salvifica. E la fede è la possibilità offerta ad
ogni uomo di vivere in libertà davanti a Dio. Amen! Alleluia! Amen! |
GESU' A CASA DI MARTA E MARIA DI BETANIA Luca 10,38-42 “Mentre erano in cammino, entrò
in un villaggio e una donna di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa
aveva una sorella di nome Maria la quale, sedutasi ai piedi di Gesù,
ascoltava la sua Parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi.
Pertanto, fattasi avanti, disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha
lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose:
“Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la
cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte buona, che non le sarà
tolta”. Commento Anche
in quest’episodio della vita di Gesù ricordato da Luca, il panorama è sempre
quello del viaggio, del cammino che condurrà Cristo a Gerusalemme. Nella
casa di Marta e Maria Gesù trova quell’accoglienza e ospitalità che gli è
stata rifiutata all’inizio del viaggio in Samaria (9,53). Marta
e Maria sono le sorelle di Lazzaro di Betania, sono conosciute e ne parla
anche Giovanni. Come dicevo Luca utilizza i dati in suo possesso per
ricostruire una scena ideale, in cui sono illustrati due atteggiamenti
sull’accoglienza di Gesù, il servizio generoso di Marta per l’ospite gradito
e di riguardo e l’ascolto attento di Maria alle parole del Signore. Marta
svolge il ruolo tradizionale, ed è perfetta (Prov. Cap.30), della padrona di
casa e della massaia, Maria, al contrario, inaugura un ruolo nuovo ed
essenziale per una donna: stare ai piedi del Maestro come un discepolo
(At.22,3). Luca
è molto attento non soltanto al servizio e all’assistenza che le donne
svolgono nella comunità, ma anche al loro compito per l’edificazione e
coesione della Chiesa (At.9,36; 16,14; 18,26). Ma è particolarmente
interessato a quello dell’ascolto della Parola. E certamente non si tratta di
un ascolto ozioso, inerte, o per un mero fatto culturale e contemplativo; è
beato, infatti, chi ascolta la Parola per metterla in pratica. Gesù
le risponde: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una
sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che
non le sarà tolta”. Il
tutto perché non sembri che il “fare” sia un “fare” qualunque bensì un “fare”
che nasce dall’intimo, Luca riporta subito dopo l’episodio dell’ascolto di
Maria di Betania. Posso affermare che si tratta, in pratica, di un unico
insegnamento. Luca li ha volutamente collegati per permetterci di cogliere
l’unità del fare e dell’ascolto. Ma
ritorniamo alla nostra meditazione. Maria si siede ai piedi di Gesù, si pone
pubblicamente alla sua scuola, alla sua sequela, ed è facile immaginare lo
scandalo, la carica esplosiva del gesto di sedersi della donna. Per
comprendere il gesto rivoluzionario non scordiamo la condizione di allora
delle donne, dal retaggio preistorico che esse portavano sulle loro spalle.
Pensate al mormorio della gente che l’attorniava: “Come, questa donna, invece
di stare in cucina, va a scuola di teologia? Ma che cosa vuole? Che cosa
crede di essere? Che cosa vuole diventare? Quali sono le sue ambizioni?
Risulta chiaro che il nervosismo dell’ambiente sbocca poi nelle parole di
Marta. Penso
che nessuno fino allora aveva parlato a Maria della bellezza della sua vita,
della fortuna della sua condizione. Ascoltando le parole di Gesù si sentiva
privilegiata e percepiva che erano importanti per lei, non soltanto in se
stesse, e riflettendo interiormente, pensava: “Queste parole sono vive nel
mio cuore, dicono cose veramente grandi e importanti per me, cose a cui non
avevo mai pensato, e mi fanno comprendere qualcosa di me stessa che è
magnifico, stupefacente, splendido, semplice”. Fratelli
e sorelle, la ricchezza, il valore nutritivo dell’ascolto di Gesù, che Maria
di Betania sta vivendo in quegli istanti, è un ascolto che fa fremere, che
coinvolge perché ci riguarda, ci spiega. Non si tratta di un ascolto passivo,
un sentire annoiato di una cattedratica lezione. Maria di Betania sta
realizzando in quel preciso istante la definizione dell’essere umano. Che
cosa significa essere uomini o donne? E’ scoprire il mistero di noi stessi
nell’ascolto della Parola di uno, più grande di noi, che avendo fatto il
nostro cuore, ce ne rivela i segreti. Maria.
È immagine dell’uomo che si autocomprende, che giunge all’autenticità, alla
chiarezza del possesso cognitivo di sé ponendosi con umiltà all’ascolto della
Parola divina che ci rivela e, nello stesso tempo, ci riempie. A mio parere
il mistero dell’ascolto di Maria di Betania è dunque una rivelazione (che
siamo chiamati ad accogliere) della condizione umana. Cioè dall’essere aperti
al discorso di Dio, gratuito e benevolo, noi impariamo che siamo in ascolto,
dono, e ci realizziamo nella gratuità. A
questo punto qualcuno potrebbe obiettare che Marta non amasse Gesù. Al
contrario, lei amava il Maestro, solo che esplicava il suo affetto
arrabbatandosi in cucina. In realtà lei dava più importanza all’esteriorità
che non all’ascolto di cui aveva perso il senso. Conseguentemente il senso
del suo affannarsi: è preoccupata, ansiosa, tesa, incerta, impaziente,
pungente ecc… Marta è l’immagine di chi vive momenti di timore, di paura
senza sapere più donare un sorriso e senza sapere quale sia esattamente la
sua identità (o meglio, solo quella che le hanno appiccicata addosso). Fratelli
e sorelle, l’ascolto di Dio è la roccia della nostra salvezza: “Tu, o Dio,
roccia della mia salvezza” (Salmo 89,27). La lieta notizia che deriva dalla
meditazione consiste nel fatto che Dio ha una Parola per me, per noi, e
possiamo ascoltarla, nel silenzio e nella pace, da tale ascolto siamo
nutriti, cresciamo nella fede e ci realizziamo come essere umano, e cresciamo
insieme a tanti altri come Chiesa in cammino: “Questa parte migliore non ti
sarà mai tolta”. Conclusione Il
discepolo (credente) che è “in cammino” con il Signore non si deve
preoccupare o agitare “per molte cose”. Il tempo urge troppo perché egli si
“preoccupi” di cose materiali. La presenza del regno (spesso espresso solo
come parola) non può lasciarsi distrarre (portar via) da un troppo esclusivo
pensiero delle realtà terrestri. L’attenzione
al Maestro, l’ascolto della sua Parola è per il discepolo la “parte
migliore”, che non gli sarà tolta. Ma per Luca, ascoltare la Parola non ha
nulla a che fare con la contemplazione oziosa, bensì sfocia nell’azione
concreta ed esigente (Lc.8,15). Se questo vale per ogni cristiano, tanto più
diventa essenziale per i religiosi che “lasciando ogni cosa per amore di
cristo, lo seguono come l’unica cosa necessaria (Lc.10,42, ascoltandone le
parole (lc.10,39), pieni di sollecitudine per le cose sue”. Amen,alleluia,amen. |
GESU' IN CAMMINO CON I DISCEPOLI DI EMMAUS
Lc.24,13-35 Il racconto, strutturato come parabola, relativo all’apparizione
di Gesù ai discepoli in cammino verso Emmaus, esercita sempre un certo
fascino anche in chi non sa cogliere le sfumature del linguaggio del Vangelo. Nel Vangelo di Luca, il viaggio storico di Gesù
diventa il cammino ideale, la “strada dei discepoli”, che seguono il loro
maestro. E rappresenta anche il cammino ideale per ogni credente, proprio
perché chi segue Gesù è una persona che ha fatto una scelta radicale, ben
ponderata. Tuttavia, può accadere che nell’arco del cammino
possono succedere fatti imprevisti o cose che ci lasciano perplessi, o che
nascano dubbi e amarezze. Nel volgere di una settimana a Gerusalemme è
avvenuto di tutto. Gesù è stato accolto in maniera trionfante, acclamato come
un re; ha trasmesso il comandamento dell’amore; durante la cena per
festeggiare la Pasqua ha rivelato il valore del servizio con la lavanda dei
piedi, ha garantito la sua presenza reale spezzando il pane e versando il
vino; è stato arrestato; ha sopportato tradimenti e rinnegamenti; processato,
ingiuriato, torturato, condannato a morte, trafitto su una croce,
sepolto…Tutto è finito: sogni, idee, bisogni, certezze, amicizie, progetti,
speranze e illusioni tessuti pazientemente durante l’arco di tre anni di
sequela fedele a attenta. Tutto è definitivamente sigillato e oscurato dietro
la gran pietra rotolata contro l’ingresso del sepolcro scavato nella roccia.
Tutta la struttura di quello stupefacente periodo vissuto accanto al Maestro
è crollata con la sua crocifissione. In quello stesso giorno, quello della scoperta
della tomba vuota, la domenica della resurrezione, due discepoli delusi e
tristi, si mettono in cammino verso Emmaus, un villaggio distante da
Gerusalemme una decina di chilometri, conversando di tutto quello che era
accaduto. La loro decisione è di abbandonare e scordare la vicenda di Gesù,
per dirigersi verso il definitivo ritorno alla realtà precedente, al
quotidiano di ogni giorno. Se non conoscessimo l’esito della vicenda è
facile intuire le reazioni con gli altri: “Fate come volete…pazienza, è stato
bello, è stato un sogno…andiamo…peggio per voi…siete adulti e
vaccinati…insomma, arrangiatevi!” Ma qualcuno non pensa così. Mentre conversano e
discutono insieme, Gesù in persona si affianca e cammina con loro facendosi
compagno di quella strada. Tuttavia i loro occhi sono incapaci di
riconoscerlo. E’ a quel punto che Gesù prende l’iniziativa e
chiede loro: “Che sono questi discorsi che state facendo tra voi durante il
cammino?” Mentre i discepoli parlano Gesù li ascolta
facendo in modo che esprimano le proprie ansie, le proprie amarezze e
angosce. L’iniziativa dell’incontro, dicevo, parte da Gesù. I discepoli non
solo non fanno nulla perché l’incontro possa accadere, quasi accettano il
viandante con indifferenza, a malincuore e frappongono l’ostacolo della
delusione, della rinuncia a credere e a sperare. Gesù però dà rilievo alla
libertà dei discepoli, che dapprima scoraggiata e rinunciataria, viene via
via rigenerata e aperta alla speranza, alla fiducia nel disegno di Dio sulla
storia dell’uomo. E dice loro: “Sciocchi e tardi di cuore nel
credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse
queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” E iniziando da Mosè e da
tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se
dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa
sera e il giorno volge già al declino”. Entrò per restare con loro. Nel momento
in cui fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e
lo diede loro. Allora fu come se si aprisse un sipario, lo riconobbero. Ma
Gesù sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva
forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando
ci spiegava le Scritture?” (Lc.24,13-22). Cari fratelli e sorelle in questo racconto
possiamo cogliere quattro esperienze umane fondamentali (come afferma
l’autorevole cardinale Carlo Maria Martini): il cammino, l’ospitalità, la
frazione del pane, l’apertura degli occhi. Il cammino: l’esperienza dell’itineranza,
dell’andare verso un luogo. Luca parla spesso di Gesù come “colui che fa
cammino”, cioè è in cammino. Anche il particolare quando Gesù pone la domanda,
i due si fermano e poi riprendono a camminare, rivela che è data molta
importanza a questa esperienza sotto la quale può essere vista la storia di
ogni uomo. La vita umana è un dinamismo, va avanti, è protesa verso una
direzione e Dio viene incontro all’uomo per accompagnarlo e per camminare con
lui. L’ospitalità: l’accoglienza è un altro simbolo
centrale e antichissimo dell’uomo che supera l’istintivo timore del viandante
che bussa alla porta. Nel racconto è espressa con parole meravigliose e amorevoli:
“Resta con noi”, dicono i due a Gesù, non andartene, vogliamo stare insieme.
La loro diffidenza iniziale verso lo sconosciuto si scioglie lentamente sino
a diventare fraternità: vieni a casa mia, tu che sei mio ospite. Come abbiamo
potuto cogliere dalla “Storia del popolo ebraico”, l’ospitalità è uno dei
pilastri del costume, è il modo di essere uomini veri: saper accogliere
chiunque, a qualunque ora, in qualunque tempo, senza mai irritarsi,
preparando subito tutto con gioia, è un preciso dovere tramandatoci dalla
Bibbia. Ed è un simbolo che ci interpella, che interpella gli abitanti delle
nostre città che, vivendo magari nello stesso condominio, con gli
appartamenti sulle stesse scale, si ignorano per anni senza avvertire il
bisogno di salutarsi, di frequentarsi, di conoscersi, di accogliersi. La frazione del pane: il gesto ha
una sua simbologia umana e storica: “Mentre si sedevano con lui, prese del
pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro”. La partecipazione del
medesimo pane è più dell’ospitalità, è la condivisione della mensa che rende
veramente fratelli, è come una cerimonia di alleanza, di amicizia: cioè metto
in comune il pane che è un mio bene. Luca, con la frase, “spezzò il pane” ha
in mente l’Eucaristia, vuole rilevare che Gesù, ormai Risorto e vivo, si dona
ai due manifestandosi nella carità perfetta dell’Eucaristia. Ma la
condivisione è, di fatto, un simbolo umano e per questo Gesù l’ha scelto come
simbolo eucaristico, come segno del dono della sua vita all’uomo. L’apertura degli occhi: siamo in
opposizione al tema della chiusura degli occhi: “i loro occhi erano incapaci
di riconoscerlo”, cioè erano come accecati. Anche Maria di Magdala, in un
primo momento, aveva scambiato Gesù per i custode del giardino. Come mai pur
conoscendo bene il suo volto, pur essendo suoi fedeli discepoli, non capivano
che era Gesù? Gli occhi di Maria erano chiusi dalle lacrime, dal dolore,
dalla ricerca sbagliata; i due di Emmaus sono accecati dall’aver perso ogni
speranza, dal non aver compreso le parole di Dio contenute nella Scrittura. A
un tratto “si aprirono i loro occhi e lo riconobbero”. Noi umani, immersi nell’ordinaria quotidianità,
non vediamo le meraviglie dell’amore di Dio che ci circondano, non sappiamo
leggere la Scrittura nella maniera giusta, temiamo che il Dio di Gesù, di cui
sentiamo parlare, ci impedisca di essere felice, di vivere come intendiamo
vivere limitandoci la libertà. Quando invece, nel nostro cammino di ricerca
faticosa, apriamo gli occhi, per la grazia del Signore Risorto, è in quel momento
che scopriamo con stupore e con gioia che Dio ci ama, ci è amico, ci è Padre,
che Gesù ci è fratello, che la fede è la chiave della vita veramente umana. I due discepoli conoscevano le Scritture, ma non
ne avevano colto il significato più profondo. Gesù gliele spiega, spiega il
mistero dell’uomo, della storia, degli avvenimenti, delle vicende ed ecco che
il loro cuore arde: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto…quando ci
spiegava le Scritture?”. Il fuoco che brucia produce scuotimento, sconvolgimento
interno, emozione forte, inquietudine e tormento; è l’esperienza che nasce
dall’ascolto vero della Parola di Dio. Ora hanno compreso che ogni pagina
della Bibbia, dal primo all’ultimo Libro, contiene quella Parola vivente che
è Gesù morto e risorto. Ne consegue un insegnamento prezioso: è basilare
conoscere la Scrittura per scoprire l’amore di Dio per l’uomo e la sua lunga
storia d’amore per noi tutti che si è dispiegata nella storia della salvezza. Conclusione: nell’insieme, l’apparizione di
Gesù ai due discepoli ci rammenta che noi umani siamo esseri in cammino e
bisognosi di significati; che in questo cammino siamo chiamati a riconoscere
la Parola di Dio che ci incalza, ci interpella continuamente sulla direzione
del nostro viaggio per spiegarcene il senso; che la libertà e la felicità di
noi umani consiste nell’accogliere questa Parola, nel non rifiutarla,
nell’aprire gli occhi e il cuore al disegno di Dio rivelatoci pienamente nel
mistero del suo Figlio Gesù morto e risorto per noi, vivo e operante in mezzo
a noi. Amen,alleluia,amen. |
GESU' E L'ADULTERA
Giovanni 8,3-11 Gli Scribi e i
farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero nel mezzo, bene
in vista, e gli dissero: Maestro, questa donna è stata colta in flagrante
adulterio. Ora Mosè ci ha ordinato nella legge che tali donne siano lapidate:
Tu che ne pensi? Parlarono così
per tendergli un'insidia e aver poi un pretesto per accusarlo. Ma Gesù si
chinò e col dito si mise a scrivere in terra. E poiché quelli insistevano,
egli alzò il capo e rispose: Chi di voi è senza peccato scagli per primo la
pietra contro di lei. Poi si chinò di nuovo e continuò a scrivere in terra. Udite queste
parole, se ne andarono tutti, uno dopo l'altro, cominciando dai più vecchi. Rimasero
soltanto Gesù e la donna che continuava a stare lì, in piedi. Allora Gesù,
alzatosi, le chiese: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? COMMENTO Per
comprendere appieno il senso di questi episodio, non scordiamo ciò che è
scritto in Lv.20,10 e Dt. 22,22. Si precisava che l'adulterio fosse punito
con la morte per lapidazione. Questo offre agli Scribi un'occasione per
mettere Gesù alla prova. Il brano è molto limpido e non esige una lunga
analisi. Basta stare attenti ad alcuni aspetti che emergono dal racconto,
suscettibili, di qualche applicazione anche per noi. Si tratta di
una donna che vive una sua storia fatta di bisogni e d'attese ( proprio come
oggi). Non le basta quello che ha. Una storia forse che non ha neppure scelto
né voluto. Una cosa in ogni caso è certa: non ha trovato quello che cercava
con tanta insistenza all'interno di un legame familiare e nell'intimità di
uno sposo. Non è riuscita a saziare la sua sete d'amore ricevuto e dato. Ha
cercato un incontro. Solo umano. Fatto di sotterfugi. Si accontenta. Si
lascia andare in una ricerca di soddisfazione che forse sa già si rivelerà
un'altra volta deludente e umiliante. Un incontro che non modificherà la sua
esistenza, non la colmerà nella sua sete d'amore. Tuttavia
accade l'imprevisto. E' un fatto molto drammatico. Ancora una volta essa
prende coscienza di essere stata solo un oggetto. Strumento di piacere di un
uomo che, in effetti, ha approfittato di lei per poi abbandonarla al suo
destino, senza cercare di difenderla. Strumento nelle mani di coloro che
vogliono usarla per scopi reconditi che neppure lontanamente immagina. In
pratica lei è la vittima di una violenza, che le toglie l'intimità,
l'identità, la dignità, scoprendo l'amarezza e il disgusto. E' a questo
punto e con questo stato d'animo che incontra Gesù. Certamente un incontro
altamente drammatico poiché ne va della sua vita. Lei è sola, posta al centro
degli sguardi perfidi e perversi dei suoi accusatori: certi nei loro
sotterfugi meschini di agire secondo la legge di Dio. Gli Scribi non
ricorrono a Gesù con sincerità di cuore ma per metterlo alla prova. Lo sanno
amico di peccatori e di pubblicani, pronto al perdono: perdonerà anche
all'adultera, rifiutandosi di applicare la legge mosaica? In tal caso si
potrà fare contro di lui una denuncia precisa e procedere di conseguenza.
Costoro dunque non cercano la verità. Hanno già condannato Gesù e la donna a
priori: cercano soltanto un pretesto giuridico, una copertura legale nei
confronti di Gesù...e per la donna la legge mosaica parla chiaro. I sassi
della folla battono ritmicamente nelle loro mani pronti per essere scagliati.
L'angoscia e il terrore assalgono la donna. L'uomo dal quale l'hanno condotta
non la guarda neppure al momento. Addirittura
pare che Gesù non abbia intenzione di rispondere. Si comporta come se gli
Scribi e la folla, i tentatori, non esistessero: scrive con un dito per
terra. Il fatto è che non sono persone da ascoltare, non sono in cerca della
verità, ma di un capo d'accusa. Ma ecco che alla loro perdurante insistenza
Gesù risponde ponendo la questione in termini completamente capovolti,
insospettati: li coinvolge. Adulterio o
no, siamo tutti peccatori e bisognosi di conversione, di perdono, di
misericordia. Inoltre Gesù vuole che il giudizio di Dio provenga da Dio, non
degli uomini. Soltanto Dio può giudicare (vedere nel sito, sezione
meditazioni, "Non giudicare"): come possono farlo gli uomini se
sono essi stessi peccatori? Infine Gesù esprime
il giudizio. Il suo atteggiamento di fronte alla donna non esclude il
problema, non è un disimpegno. Gesù è il Figlio di Dio e non è peccatore,
quindi pronuncia il giudizio, ma è un giudizio fatto di perdono e di invito
alla conversione. E' a questo
punto che Gesù scacciato il sofferente silenzio, dietro le loro insistenze,
alza lo sguardo verso la donna, un sussulto di infinita tenerezza e dolcezza.
Egli sente di doverla riconsegnare a se stessa, liberarla dalla mano degli
assassini. Con una frase
terribile Gesù la isola, la libera. Si abbassa e scrive: i nomi dei peccatori
sono scritti nella polvere: "Chi è senza peccato, scagli per primo la
pietra contro di lei". Se ne vanno
tutti. Finalmente sono soli lui e la donna. Avviene l'incontro nella dignità,
nella libertà, nasce il desiderio dell'incontro salvifico.
Una sola
parola le dice ancora Gesù: Va e non peccare più". CONCLUSIONE La legge fu data
da Mosè, ma la grazia e la verità da Gesù Cristo. In pratica due ere e due
concezioni diverse della giustizia, che dominano l'episodio che abbiamo
meditato. Cristo non nega la legge ma ne supera gli inevitabili limiti. La
legge giudica soltanto gli atti, non le persone: Gesù invece giudica le
persone e sa che al di là dello stato di giustizia legale o di peccato si può
inserire in loro un dialogo con Dio nella pura fede. In tutt'altra posizione
sono gli accusatori: dalla loro interrogazione emerge la mentalità legalista,
priva di pietà e di umanità, ed è evidente l'intenzione di accusare Gesù. Ma
egli non si cura di loro: scrive per terra, avrebbe potuto apostrofarli, ma
cerca il bene anche dei suoi nemici; pressato perché si pronunci risponde:
"Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di
lei" Gli incensurati eccoli sul banco degli accusati. La donna rimasta
merita la grande parola: "Neanch'io ti condanno; va e d0ra in poi non
peccare più" Amen, alleluia, amen! |
GESU' E ZACCHEO
Incontro e
salvificio di un peccatore Luca 19,1-10 Entrato in
Gerico, Gesù attraversava la città. Ed ecco un uomo, chiamato Zaccheo, che
era sovrintendente degli esattori del fisco e ricco, cercava di vedere chi
era Gesù, ma non ci riusciva a causa della folla perché era piccolo di
statura. Corse dunque avanti e per poterlo vedere salì sopra un sicomoro,
perché doveva passare di là. Quando Gesù
arrivò sul posto, alzò lo sguardo, e gli disse: Zaccheo, presto, vieni giù
perché oggi debbo fermarmi a casa tua. Egli discese in fretta e lo accolse
con gioia in casa. E tutti, vedendo ciò, incominciarono a mormorare dicendo:
E' andato ad alloggiare in casa di un peccatore. Ma Zaccheo, fattosi avanti,
disse al Signore: Ecco, Signore, la metà dei miei beni la dono ai poveri, e a
quelli che ho frodato restituisco il quadruplo. Disse allora Gesù a lui: Oggi
in questa casa è entrata la salvezza, perché anche lui è figlio di Abramo. Il
Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. Non ci fa
meraviglia che il tema della misericordia ritorni con tanta frequenza nella
Liturgia perché Dio è misericordia infinita, inesauribile e perché noi uomini
siamo massimamente bisognosi di misericordia. Dio che ci ha creati in un atto
d'amore, ci ricrea giorno per giorno in un incessante atto di misericordia
col quale ripara la nostra debolezza, perdona le nostre colpe, ci redime dal
male. Prima di
entrare in Gerico, Gesù aveva incontrato un cieco che si protendeva in mezzo
alla folla e gridava verso di lui invocando il dono della vista. La
conversione di Zaccheo a Gerico è l'ultimo episodio del viaggio di Gesù a
Gerusalemme. Dobbiamo sapere che Gerico era la sosta obbligata per i
pellegrini che provenivano dal nord attraversando la Perea. Vale a dire una
cittadina di frontiera e di collegamento per il commercio con i paesi
sud-orientali. E' in questa
realtà che prosperavano i funzionari della dogana e del dazio. Zaccheo è
appunto un esattore capo e di conseguenza ricco. Le due qualifiche,
funzionario del fisco e ricco, fanno di Zaccheo un caso disperato. Non solo
egli appartiene alla categoria dei peccatori, ma è anche ricco. E sappiamo
dall'episodio del notabile ricco che è impossibile che un ricco si salvi
(Lc.18,24-25). Tuttavia nell'incontro con Gesù capita l'imprevedibile. Pare
quasi che San Luca si sia divertito un poco e con una certa simpatia
l'espediente cui ricorre Zaccheo per vedere Gesù. E' curiosità quella che lo
spinge o interesse indefinito? Qui dobbiamo
fare subito una prima breve riflessione. San Luca non fa la psicologia della
conversione, ma descrive le grandi tappe del cammino salvifico secondo un
modello ideale. Ecco Zaccheo, piccolo di statura, che sfida la calca della
folla e si arrampica su un albero (sicomoro) desideroso anche lui di vedere:
vuol conoscere il Maestro di cui ha sentito parlare e forse anche descrivere
la bontà proprio verso i pubblicani. Era una cosa inaudita, infatti, che un
maestro di Israele si occupasse di questi uomini sfuggiti e odiati da tutti
per la loro professione di impiegati dell'impero romano e ritenuti nemici del
popolo. Zaccheo è il loro capo e quindi più malvisto degli altri; e poiché è
ben conosciuto non può passare inosservato. Ma lui non si preoccupa della
gente né teme di esporsi al ridicolo, alle beffe, vince ogni complesso di
dignità e di prestigio; gli preme soltanto di vedere il Signore e attende il
suo passaggio spiando dall'alto dell'albero. "Or
quando giunse sul luogo, Gesù guardò in alto e gli disse: "Zaccheo,
scendi in fretta perché oggi devo fermarmi a casa tua". Gesù sa molto
bene chi è Zaccheo: un pubblicano arricchito con soldi estorti al popolo;
tuttavia non lo disprezza e neppure lo rimprovera, anzi si rivolge a lui con
un simpatico gesto di amicizia: vuole andare a casa sua. A questo punto
s'innesca la seconda parte della scena nella quale Gesù prende l'iniziativa.
Gesù entra di prepotenza nella vita di quest'uomo, solidarizzando con lui
senza mezze misure, sfidando le critiche dei benpensanti. Da parte sua
Zaccheo non avrebbe mai sognato una simile proposta, scende in fretta dall'albero
e lo accoglie pieno di gioia. Ovviamente, la gente mormora scandalizzata; lui
lascia dire; ha cose ben più importanti da trattare col Maestro che ormai gli
ha toccato il cuore. Davanti a Gesù Zaccheo decide un cambiamento
radicale. Conversione per un ricco significa dire nuovo modo di usare i beni
e nuovi rapporti di giustizia sociale. "Ecco, Signore, la metà dei miei
beni la dono ai poveri; e se ho commesso frodi ai danni di qualcuno
restituisco il quadruplo". E' il segno di
una conversione coraggiosa, piena, totale; è bastata la presenza e la bontà
misericordiosa del Signore per illuminare la coscienza di un uomo senza
scrupoli, impelagato nei soldi, avvezzo ai guadagni ingiusti.Ma da parte di
Zaccheo c'è stata una buona disponibilità che lo ha aperto alla grazia: il
desiderio sincero di vedere, di incontrare Gesù. Ed ora si sente dire:
"Oggi la salvezza è giunta in questa casa...; il Figlio dell'uomo è
venuto infatti a cercare e salvare quello che era perduto". Cari fratelli
e sorelle, se anche noi non saliamo sopra un sicomoro, non significa
sottrarsi al rischio che questo momento di grazia, questa possibilità, passi
inutilmente accanto a noi? Dobbiamo correre avanti, appostarci per rendere
possibile l'incontro. Lui rispetta moltissimo la nostra libertà: se non vede
il nostro desiderio di incontrarlo passa oltre: ne soffrirebbe troppo ma
passerebbe oltre, lasciandoci così come siamo. Amen, alleluia, amen! |