Parabole |
IL FATTO DELLA VITA Giuseppe è il tipo
d’uomo che non perde tempo. Egli vede lontano. Ha un fiuto tutto speciale per
accorgersi delle cose. Sa e persino sente quando è il momento di agire. Non perde
mai un’occasione. Per questo se la passa bene. Il suo futuro è garantito. L’ora della fortuna
arriva per tutti, ma non tutti sanno accorgersi delle cose e valersi delle
circostanze, come Giuseppe. I più furbi dicono: I buoni sono babbei. Si
addormentano alla fermata del treno. E, quando si svegliano, il treno è già
passato. Per cui, continuano a vivere come prima e non fanno mai un passo
avanti. Tutto ciò succede oggi
e succedeva al tempo di Gesù. Egli ne parla nella parabola che ascolteremo
tra poco. NOTA: Non bisogna dormire, ma bisogna saper
approfittare delle occasioni, nel momento esatto in cui esse si presentano.
Era proprio questa la preoccupazione di molti, al tempo di Gesù. Al di là
della malizia e della cattiveria, che il più delle volte constatiamo
nell’accortezza degli uomini, Gesù vi ha colto qualcosa di positivo, che può
illuminarci sul come dobbiamo essere accorti, nel momento in cui nella nostra
vita ci si manifesta il momento opportuno di Dio. Ascoltiamo ciò che dice
Gesù. DAL VANGELO DI LUCA 16,1-8 leggiamo e meditiamo Commento La parabola del fattore
o amministratore scaltro ha sempre suscitato perplessità: com’è possibile che
il Vangelo presenti un uomo disonesto quale modello da cui imparare? Dobbiamo, innanzitutto,
tenere presente l’ambiente palestinese e i suoi costumi. I grandi proprietari
terrieri, per lo più stranieri, avevano alle proprie dipendenze degli
amministratori locali, ai quali lasciavano grande libertà e piena
responsabilità: loro compito era di realizzare per il padrone il profitto
pattuito, ma, una volta assicurato questo profitto, avevano anche la
possibilità (maggiorando il prezzo) di realizzare guadagni personali. Ed è in questa
situazione che il nostro latifondista riceve delle denunce a carico del
fattore al quale aveva affidato la contabilità dell’azienda. Di qui il
controllo dei conti e la minaccia del licenziamento per l’amministratore
truffaldino. Per comprendere il modo
di agire di costui si deve tenere conto del suo ruolo e delle sue condizioni
di lavoro. Generalmente, come già abbiamo detto, il fattore di un latifondo
godeva di una notevole libertà e responsabilità. Il compenso per la sua
prestazione era ricavato dai guadagni che egli riusciva a fare con prestiti
ad alto interesse. Così in un momento critico egli agisce con estrema
decisione e accortezza valendosi della sua posizione per assicurarsi un
avvenire e rifarsi una vita. Il racconto evangelico
riporta due soli esempi della manovra di copertura messa in atto
dall’amministratore: quella a favore del grossista che ha comperato 100
misure di olio e quella a favore del mercante che ha comperato 100 misure di
grano. In concreto
l’amministratore, che tiene tra le sue carte i contratti dei debitori,
condona o abbuona circa il 50% al primo e il 20% al secondo debitore. Così
facendo si procura amici che lo aiuteranno nella difficoltà, perché lui ha
rinunciato alla propria parte di profitto, senza danneggiare il padrone. Tuttavia è inutile
porre la questione in questi termini: ladro sì, ladro no! La parabola,
infatti, non attira l’attenzione sui mezzi a cui il fattore ricorre per farsi
degli amici. Gesù vuole lasciarci
impressionare dalla prontezza e dalla furbizia con cui il fattore cerca,
senza un attimo di esitazione, di mettere al sicuro il suo avvenire. Appena
si accorge che il suo futuro è in pericolo, il fattore si mostra astuto,
voltando a proprio vantaggio la difficile situazione in cui è venuto a
trovarsi. Ecco, il vero centro
della parabola è racchiuso nella constatazione che "i figli di questo
mondo sono più scaltri dei figli della luce". Ebbene, il cristiano
non dovrebbe essere altrettanto pronto, scaltro e risoluto nell’assicurarsi
nel tempo presente il Regno di Dio? E possiamo comprendere
perché il padrone dell’azienda abbia parole di elogio per l’abile manovra del
suo dipendente, il quale resta comunque un truffatore per il suo modo di
approfittarsi. In definitiva Gesù
invita i discepoli a impegnarsi nel mondo sociale ed economico, ma con
criteri diametralmente opposti a quelli del sistema del peccato, al quale si
ispira l’amministratore truffaldino. Essi devono servirsi del
"capitale", mammona, che è comunque e sempre iniquo, in quanto
frutto di accumulo e fonte di falsa fiducia, per creare una solidarietà che
va oltre la sfera e gli interessi mondani. In altre parole devono aiutare i
poveri, i quali così diventano loro amici e clienti presso Dio. E’ questa la decisione
saggia e coraggiosa che deve distinguere i discepoli: garantirsi il futuro
vero finché ne hanno la possibilità, ma con criteri alternativi rispetto a
quelli del sistema mondano. Amen,alleluia,amen. |
Il fatto della vita Era l’alba di una mattina
quando il sacerdote sentì che qualcuno batteva alla porta della canonica. Si
trattava di un uomo, ebbro a prima vista: "Padre, ieri sera ho fatto
festa con gli amici. Abbiamo bevuto molto e,sa com’è, abbiamo finito la
serata con alcune donnine simpatiche. Con loro ho perduto la grazia di Dio.
Non posso assolutamente andare a casa senza la grazia di Dio. Perciò sono
venuto a confessarmi". Il prete gli rispose:
"Amico, se hai perso la grazia di Dio con quelle donne, solo da loro
puoi ritrovarla, chiedendo perdono alla donna che hai disonorato".
Quindi chiuse la porta in faccia all’uomo, che s’incamminò verso casa. Un fatto della Bibbia. Gesù con i peccatori e
i pubblicani, "usurai"diremmo noi (Mt.9,10-13; Lc.15,2) si fermava
nelle loro case (Lc.19,7), si faceva lavare i piedi da una prostituta
(LC.7,37-38) e proponeva al dottore della legge come esempio un samaritano,
considerato eretico (Lc.10,25-27), ascoltava le richieste dei pagani
(Mt.15,28) e preferiva la gente semplice, maledetta e disprezzata dai farisei
(Gv.7,49). Per cui i "bigotti" si sentirono molto scandalizzati.
Gesù era accusato di fare queste cose "sbagliate", ma rispondeva:
"Non sono quelli che godono di buona salute ad avere bisogno del medico,
bensì i malati (Mt.9,12). Gesù arriva perfino a
raccontare una parabola, in cui dimostra che il peccatore può essere migliore
dei fariseo, che tutti giudicano un uomo devoto (Lc.18,9-14). I più acerrimi
nemici dei farisei devoti sembravano buoni amici di Gesù. Perciò Gesù era una
persona scomoda per i "bigotti". Ascoltiamo cosa dice Gesù alla gente del suo tempo su questo
problema. E’ facile dire:
"Questo qui è buono. Quello là è cattivo". Ma, così dicendo, forse
non stiamo condannando noi stessi? LETTURA VANGELO MATTEO 21,28-32 Commento La parabola dei due
fratelli dà una spiegazione al fatto che coloro che avrebbero dovuto essere i
primi ad accogliere il Vangelo, in realtà l’hanno rifiutato. Come spiegarlo? Sullo sfondo di questa
parabola sta lo sconcerto generato da un duplice rifiuto. Gesù è stato
rifiutato dai Giudei praticanti e dai rappresentanti della legge, mentre è
stato accolto dal popolo, dai pubblicani e dai peccatori; la predicazione del
Vangelo è stata rifiutata dai Giudei e accolta favorevolmente dai pagani. Le due situazioni (la
prima del tempo di Gesù e la seconda del tempo della Chiesa) si
sovrappongono, come spesso succede nelle parabole. E’ una sovrapposizione
corretta, perché la logica che sottostà ad ambedue le situazioni è la
medesima. Il discorso di Gesù è
ben costruito: egli racconta la parabola, poi provoca il giudizio dei suoi
ascoltatori, infine ritorce contro di loro un giudizio che essi stessi hanno
formulato. La parabola è
strutturata secondo due quadri in perfetto contrasto, descritti allo stesso
modo, quasi parola per parola: un no che diventa un sì; un sì che diventa un
no. Quando Gesù racconta la
parabola, i suoi ascoltatori sono gli alti sacerdoti e gli anziani che lo
interrogano sulla sua autorità. Ma si tratta di una domanda fittizia, senza
impegno. Essi hanno già una ferma opinione su di lui. La parabola ha due
facce: su quale di esse si deve porre l’accento? Se rivolta ai giusti, li
avverte che il loro sì può sempre diventare un no. Se rivolta ai peccatori,
li assicura che le loro possibilità sono intatte: il no può diventare sì.
Sembra, dunque, di trovarci di fronte a una specie di parabola
"girevole". Ma questo si può dire
unicamente se si legge la parabola in se stessa, strappandola dal suo
contesto. Invece, alla luce del contesto in cui Gesù l’ha detta, la direzione
è una sola. La parabola è rivolta ai giusti, ma per parlare loro dei
peccatori: sono migliori di voi! Che la parabola sia
rivolta ai giusti, mettendo però l’accento sui peccatori, è segnalato anche
dal fatto che nel primo quadro c’è un importante dato in più: "Ma più
tardi, pentitosi, andò". Dal contrasto tra gli
atteggiamenti dei due fratelli si potrebbe ricavare un primo insegnamento:
non è il dire che conta, ma il fare. Tuttavia, si tratta di
una lettura incompleta, perché trascura le parole con le quali Gesù conclude
la parabola: "In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi
precedono nel Regno di Dio". Sono parole forti e sconvolgenti che
portano l’impronta dello stesso Gesù. Naturalmente, queste
parole non significano che tutti i peccatori entreranno nel Regno di Dio e
che nessun Fariseo vi potrà entrare. Non esprimono un principio, una verità
generale, ma fotografano una situazione di fatto, un’esperienza precisa
vissuta dal Battista e da Gesù stesso. Un’esperienza singola, dunque, che
tuttavia non è limitata a un solo luogo e a un solo tempo: può ripetersi. Dopo la parabola e la
sua applicazione Gesù racconta ciò che è accaduto a Giovanni Battista:
"Infatti è venuto da voi Giovanni sulla via della giustizia e non gli
avete creduto. I pubblicani e le prostitute gli hanno creduto". Stiamo attenti.
Parlando del Battista, Gesù parla di se stesso. Il Battista gli serve da
esempio. Ha incontrato uomini giusti e praticanti, ufficialmente credenti,
che lo hanno rifiutato. Ha incontrato uomini ritenuti peccatori, che lo hanno
accolto. Gli esempi evangelici sono numerosi al punto da formare una linea
costante: da una parte, il pubblicani Levi, Zaccheo, la donna peccatrice, il
buon ladrone; dall’altra, i farisei, i sacerdoti, il giovane ricco. Dicevamo che Gesù parla
di sé parlando del Battista. Ma, più profondamente, intende parlare di Dio.
Il padre della parabola è senz’altro la figura di Dio. Il Battista, Gesù, il
Padre: il comportamento verso il Battista si è ripetuto nel comportamento nei
confronti di Gesù; e nel comportamento verso Gesù si trova lo specchio
(visibile, senza l’inganno delle parole) del proprio comportamento verso Dio. Il no a Gesù è un no a
Dio. Le ultime parole di
Gesù passano al "voi", interpellando direttamente i suoi
ascoltatori: "Voi, al contrario, pur avendo visto, nemmeno alla fine vi
siete pentiti, così da credere in lui". A questo punto il
contrasto non è più fra i due fratelli, ma tra il primo fratello che
"alla fine si pentì" e gli interlocutori di Gesù che invece neppure
"alla fine" si sono "pentiti". Con una sottolineatura,
però, che aggrava ulteriormente la posizione degli ascoltatori: "avendo
visto". Che cosa hanno visto e tuttavia non hanno creduto? Esplicitamente non è detto, ma certo si tratta della predicazione e della vita di Gesù che ora sta davanti ai loro occhi, con la massima chiarezza. Ci sono, dunque, tutte le premesse per valutarla in modo nuovo, per ripensarci. Ma questo non avviene. Ecco perché ciò che è
accaduto allora può riprodursi oggi (anzi è già avvenuto), questo è il
messaggio; e il rifiuto di allora può diventare anche il nostro e per gli
stessi motivi. Amen,alleluia,amen. |
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IL FATTO DELLA VITA Ci sono certe cose
nella vita che nascono e crescono, senza che ce ne rendiamo conto. Il contadino va nel
campo e lancia il seme, lo consegna alla terra e poi, aspetta; passano i
giorni, passano le settimane e i mesi interi, uno dopo l’altro. Non si stanca
di aspettare, perché sa che deve essere così. In casa, la donna prende la
pianta, la mette in un vaso, poi, aspetta: giorni, settimane, mesi interi.
Non si stanca di aspettare. Da lì nasce una vita nuova: il seme germoglia, il
granoturco nasce, la piantina fiorisce, la spiga matura, il fiore sboccia.
Possiamo partire, possiamo restare lì a guardarli, possiamo anche dormire. E’
lo stesso. Gli alberi, le piante, i fiori crescono, in virtù di una forza che
hanno dentro e che non dipende da noi. Quando arriva l’ora, si fa la
mietitura, si raccoglie la frutta, si taglia la canna da zucchero, si sgrana
il granoturco, si colgono i fiori. E tutto ciò si ripete sempre, un anno dopo
l’altro. E’ così naturale che non ce ne accorgiamo più, perché l’abbiamo
sempre sotto gli occhi. NOTA: In Gesù c’è una
forza invisibile, la forza di Dio. La stessa forza sta pure nella Chiesa, nei
cristiani, in ognuno di noi che abbiamo ricevuto l’effusione dello Spirito Santo,
nel quartiere, nell’umanità intera. C’è gente che neppure se ne accorge. Ha
occhi per vedere ma non vede. Gesù vuole che l’uomo scopra questa forza amica
di Dio, che sta dentro la nostra vita, in continua crescita. Per aiutarci a
scoprirla, ci invita a confrontarla con la forza invisibile, che genera la
crescita della natura. Ascoltiamo ciò che egli
ci dice. DAL VANGELO DI MARCO 4,26-29 LEGGIAMO LA PARABOLA. Commento La realtà del Regno di
Dio è confrontata con ciò che avviene quando un contadino ha gettato il seme
e poi continua la sua vita ordinaria fino alla mietitura. E’ un piccolo
quadro della vita agricola che serve a chiarire un aspetto della situazione
dell’uomo di fronte al Regno di Dio. Il punto di confronto è suggerito dal
contrasto tra la vita tranquilla del contadino e il misterioso germogliare,
crescere e maturare del seme; dal contrasto tra l’intervento iniziale del
seminatore e la forza misteriosa della terra che porta il seme a maturazione.
In ogni modo il punto culminante è l’arrivo della mietitura che corona
l’attesa e il processo di crescita. Così avviene per il Regno di Dio! Avviato
il processo con l’annuncio, esso giungerà sicuramente al compimento per la
forza irresistibile e misteriosa che lo sostiene. Analizziamolo ora in dettaglio La breve similitudine
descrive la storia in tre tempi: la semina, la crescita e la raccolta. Il primo è il momento
dell’azione del contadino, come un fatto concluso. E la sua funzione è
soltanto di porre la premessa per il prosieguo della narrazione. Nel secondo momento si
diffonde la descrizione. Gesù vi indugia, desiderando che l’ascoltatore
faccia altrettanto. E’ il tempo del seme e della terra, non del contadino.
Per quest’ultimo è solo il tempo che passa (dorme e veglia, notte e giorno),
durante il quale ignora ciò che sta accadendo (come,egli stesso non sa): Per
il seme, invece, è il tempo importante della crescita (germina e si allunga).
E per la terra è il tempo in cui essa opera straordinarie trasformazioni: lo
stelo, la spiga, il grano nella spiga. Nel terzo momento
ricompare il contadino, che però non viene nominato: manda la falce. Proprio
così: non i falciatori, ma la falce. Ma l’azione del contadino è inquadrata
da due altre, di cui egli non è il protagonista: "Appena il frutto lo
consente", e: "Il tempo della mietitura è sopraggiunto". Sono
due espressioni da analizzare con cura. Non si dice: "Appena il
contadino vede che il frutto è maturo", bensì: "Appena il frutto si
concede". L’immagine è
bellissima: è il frutto stesso che si dona all’uomo: L’uomo non fa, ma
accoglie. E’ il seme che in realtà fa tutto: germina, cresce, matura, so
offre all’uomo per la raccolta. Il tempo in attesa della mietitura è un tempo
lungo e tuttavia è anche un tempo da afferrare. Le azioni che vi si svolgono
richiedono rapidità: appena..subito..Tempo che permane e che è urgente: il
tempo compiuto. Fin qui abbiamo
rinarrato la similitudine, componendola nelle sue sequenze, nei protagonisti,
nelle immagini soprattutto nei tempi. Un risultato è certo: l’attenzione cade
sul tempo intermedio, fra la semina e la mietitura. Tuttavia, gli angoli di
osservazione sono diversi. La similitudine sembra
anzitutto sottolineare un contrasto fra i due tempi: quello del contadino, un
tempo brevissimo, sia per la semina sia per la mietitura; e il tempo della
crescita del seme, un tempo lungo in cui tutto si svolge nel segreto della
terra. La similitudine indugia su questo tempo, tanto lungo da costituire per
molti un problema: PERCHE’, DOPO CHE E’ CADUTO NELLA TERRA, IL SEME TARDA A
MANIFESTARSI? Che significato ha questo tempo che tanto si protrae e in cui
tutto pare inerte, nulla si vede e Dio sembra tacere? La similitudine
risponde che questo tempo intermedio è il più importante: tempo di crescita e
di impensabili trasformazioni, tempo decisivo, tempo dell’azione di Dio, non
della sua assenza. E’ inattivo il contadino, non il seme: Che tutto avvenga
invisibilmente, misteriosamente, non è segno del silenzio di Dio, ma del suo
modo diverso di parlare. Non delusione, dunque,
né turbamento né inutili impazienze, bensì attesa fiduciosa: questa è la
lezione. Ma è una fiducia non facile, perché i credenti hanno sempre la
pretesa di segni per vedere, per non perdersi d’animo. Oltre al contrasto tra
il tempo lungo del seme e il tempo breve dell’uomo, tra il tempo dell’azione
visibile e dell’azione nascosta, ce n’è un secondo sul quale Gesù si
sofferma: da una parte l’inerzia del contadino, dall’altra l’incessante
lavoro del seme e della terra. Dei due lati il più importante è il secondo: la
forza del seme. Che il contadino non possa far nulla è il presupposto su cui
si fonda la narrazione, non direttamente il suo messaggio. La terra fruttifica
automaticamente, cioè da sé e senza causa visibile. Qui si allude non alla
forza della natura, bensì al miracolo di Dio. La terra dà frutti a causa
dell’azione miracolosa di Dio: questo sembra essere il senso della
similitudine: Così è il Regno: un’azione di Dio incessante e prodigiosa, ma
nascosta e autonoma. E’ il Regno stesso, già
deposto nella storia come un seme, che viene, non sono gli uomini a farlo
venire. In tal modo il discepolo viene liberato da un affanno inutile, Non
sta a lui garantire il successo del Regno, perché egli deve semplicemente
assicurare l’annuncio e la raccolta. A decidere il tempo della mietitura è il
frutto, non il contadino. L’atteggiamento
prioritario del cristiano nel mondo è l’attesa fiduciosa e non l’impazienza
degli zelati o i calcoli degli apocalittici. Ma attenzione, la parabola non è
un invito al quietismo o alla pigrizia, ma è una proposta di speranza che si
fonda sulla promessa efficace di Dio. Se il seme è gettato, è garantito il
raccolto. Ma è anche vero che la realtà del Regno non matura sopra o accanto
o al di fuori della libertà e responsabilità dell’uomo e delle sue scelte
storiche. Vale a dire che il regno di Dio non è questione di organizzazione
oppure di efficienza, ma semplicemente di accoglienza. Amen,alleluia,amen. |
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VIGILANZA E RESPONSABILITA'Luca 12,35-48 Restate in tenuta da lavoro e con le vostre
lucerne accese come uomini che attendono il loro signore al suo ritorno dalle
nozze, per essere pronti ad aprirgli appena arriva e bussa alla porta. Commento Cari fratelli e sorelle direttissime, la vita di
noi credenti è caratterizzata da due atteggiamenti: la vigilanza e la
responsabilità. Tutti noi discepoli di Gesù Cristo siamo persone rivolte al
futuro dal quale attendere la salvezza. Per questo stiamo all'erta, sempre
pronti come per un viaggio e in tenuta da lavoro, perché sappiamo che il
futuro salvifico non è una chimera anonima, ma un nome e un volto preciso: è
il Signore nostro Gesù Cristo. Da quanto sopra ne consegue che il periodo
dell'attesa è il tempo della responsabilità, della vigilanza e della fedeltà. Questa parabola è costituita da un quadro
positivo (il maggiordomo fedele) e da uno negativo ( il maggiordomo che si
atteggia a padrone). Vi devo confessare che stabilire a quale dei due quadri
vada attribuito il peso maggiore non è facile. Gesù sembra indugiare su
entrambi. Il tema è sempre, come nelle parabole precedenti, l'arrivo
improvviso del Signore, ma non è più richiesto "lo stare svegli",
bensì il compimento fedele degli incarichi ricevuti. In tal modo la vigilanza
è arricchita di un'ulteriore sfumatura: l'impegno nello svolgimento del
proprio lavoro, l'assunzione delle proprie responsabilità. Ovviamente, la
parabola è per tutti i fedeli, tuttavia, la figura del maggiordomo si applica
in particolare a coloro che svolgono funzioni di servizio come dirigere,
insegnare, profetare, guarire, benedire, discernere, ecc... Ma c'è un'altra cosa importante che emerge dalla
Parola, nulla si dice dei loro diritti e dei loro poteri: semplicemente sono
richiamati allo svolgimento corretto del loro compito. Non è certamente un
caso che l'esempio scelto da Gesù fra i molti possibili riguardi la
distribuzione del cibo agli altri servitori. Preoccuparsi degli altri è il
compito fondamentale che il padrone affida al suo maggiordomo. L'applicazione di questa parabola alla vita della
comunità cristiana, se in origine era forse una critica severa di Gesù ai
capi giudei, è stata favorita dall'immagine della Chiesa come "casa di
Dio" e dalle sentenze di Gesù sul comportamento dei capi. Poiché la vera
comunità cristiana ha un solo capo e Signore, mentre tutti gli altri sono
servi e fratelli. Noi tutti siamo esseri umani aperti al futuro,
nell'attesa vigile del nostro Signore Gesù Cristo e per questo seriamente
impegnati ad essere servi fra i servi, senza rivendicare per noi stessi
dinastie, caste di potere, perché uno solo è il Signore, cui noi siamo
preposti temporaneamente con una responsabilità e fedeltà più obbliganti che
non per gli altri. Amen,alleluia, amen! |