GIACOBBE
Eb. YAAQOB ("il mio Dio protegge/Dio ha protetto
[lui]") |
Esaù
vende la primogenitura a Giacobbe ( arazzo fiammingo del XVI sec.) |
Astuto,
non sempre sincero e a volte pavido, il secondogenito di Isacco
poteva apparire una scelta improbabile per impersonare il compimento della
promessa di Dio alla nazione di Israele. In realtà, come dimostrano
chiaramente l'Antico Testamento e la tradizione rabbinica, fu proprio l'umana
debolezza del terzo patriarca che contribuì a provare che fu la volontà
divina, e non l'umana iniziativa o il merito individuale, a insediare gli
Israeliti nella loro Terra Promessa e in altri modi a forgiare il loro
destino nazionale. Oggi molti studiosi biblici ritengono che Giacobbe sia
vissuto tra il 2000 e il 1700 a.C. Come
suo padre Isacco, Giacobbe e il fratello gemello Esaù erano nati da
una madre che era stata sterile per lungo tempo. Isacco pregò con fervore
perché sua moglie Rebecca concepisse un figlio, una supplica che il
Signore ascoltò quando egli aveva ormai 59 anni ed ella non era riuscita a
concepire durante i 19 anni di matrimonio. I due gemelli lottavano
furiosamente tra loro mentre erano ancora nell'utero di Rebecca, fino a
spingere la madre, preoccupata, a esclamare: «Se è così, perché questo?» (Gen
25,22). La donna andò a consultare il Signore, la cui spiegazione fu per lei
come una profezia del tormentato futuro della sua famiglia: «Due nazioni sono
nel tuo seno e due popoli dal tuo grembo si disperderanno; un popolo sarà più
forte dell'altro e il maggiore servirà il più piccolo» (Gen 25,23). In
realtà, al momento del parto, Esaù uscì per primo, ma Giacobbe gli teneva
saldamente il calcagno. Fin
dal momento della nascita, le differenze tra i due fanciulli si rispecchiarono
nei rapporti con i genitori. Esaù, il maggiore, era considerato il vero
figlio di suo padre, attivo, spensierato e abile cacciatore. Giacobbe, che
preferiva rimanere a casa tra le tende del suo gruppo familiare e condurre la
vita di un pastore(ish tam, che significa "uomo semplice" o
"quieto", e l'espressione usata dalla Bibbia per descriverlo),
diventò il favorito della madre. Non
sappiamo nulla degli anni della fanciullezza di Giacobbe, ma il primo evento
biblico che riguarda i due fratelli e che avvenne quando erano giovani, mette
in luce i loro caratteri contrastanti e la reciproca ostilità. Un
giorno, tornando a casa dopo una battuta di caccia, affamato ed esausto, Esaù
trovò il fratello più giovane che stava preparando una minestra di piccole
lenticchie rosse. Quando gliene chiese un po', Giacobbe replicò senza
esitare: «Vendimi subito la tua primogenitura» (Gen 25,31); e così Esaù fu
ingannato e privato del suo diritto a vantaggio del fratello più giovane.
Giacobbe non solo approfittò della fame e dell'ingenuità del fratello, ma
arrivò anche al motivo profondo della loro gelosia, mercanteggiando per
diventare primogenito. Esaù non si rese conto della serietà dell'imbroglio e
avventatamente rispose: «Ecco, sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?»
(Gen 25,32). Ma l'astuto fratello, prima di cedergli la sua minestra, gli
chiese di giurare a conferma della cessione della primogenitura. Nella
successiva storia di Israele, diventò illegale trasferire la primogenitura
dal figlio più anziano a un'altra persona, ma evidentemente tale prassi era
largamente diffusa e accettata in Medio Oriente all'epoca dei patriarchi. Un
antico documento registra che un fratello più giovane aveva potuto comprare
la primogenitura dal fratello maggiore dandogli in pagamento tre pecore. In
un altro, il padre attesta di ripristinare la primogenitura di un figlio che
era stato diseredato. Nonostante la natura riprovevole dell'accordo
intervenuto tra Esaù e Giacobbe, la vendita della primogenitura compì la
profezia fatta da Dio a Rebecca. LA CONQUISTA DELLA BENEDIZIONE DEL PADRE
Al
rimorso per aver perso così avventatamente la sua primogenitura si aggiunse
un altro incidente tra i due fratelli che scatenò in Esaù una rabbia omicida.
Isacco, ormai anziano e praticamente cieco, cominciò a rendersi conto che la
morte si stava avvicinando e decise di trasmettere la sua benedizione
patriarcale al primogenito. Gli Israeliti, come altri popoli antichi,
credevano che la benedizione data sul letto di morte influisse sia sul destino
sia sul carattere di chi la riceveva: nel caso concreto, rappresentava anche
la designazione irrevocabile del capo del clan. Prima di assolvere quel rito
importante, Isacco chiese al prediletto Esaù di cacciargli qualche preda
novella e preparargli un saporito piatto di carne. Rebecca, udito il
discorso, ordinò a Giacobbe di macellare due giovani capretti del gregge
familiare perché lei potesse preparare una buona pietanza e ingannare il
marito facendogli impartire la benedizione al figlio più giovane. Giacobbe,
prudente come al solito, esitava perché vedeva un ostacolo: «Sai che mio
fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle liscia. Forse mio padre mi
palperà e si accorgerà che mi prendo gioco di lui e attirerò sopra di me una
maledizione invece di una benedizione» (Gen 27,11-12). Sua
madre non si lasciò scoraggiare. Dopo aver preparato uno stufato di capretto
e cotto pane fresco, fece indossare a Giacobbe i vestiti migliori di suo
fratello e gli coprì il collo e le mani lisce con la pelle dei capretti
uccisi. Così travestito dalla madre, il giovane portò l'appetitosa pietanza
calda al padre, facendosi passare per Esaù. Quando Isacco, insospettito,
chiese come avesse potuto uccidere e cucinare la selvaggina in un tempo tanto
breve, Giacobbe rispose: «Il Signore me l'ha fatta capitare davanti» (Gen
27,20). Ancora
incerto, l'anziano padre gli chiese di avvicinarsi. Con un'espressione
rimasta famosa, Isacco mormorò: «La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia
sono le braccia di Esaù» (Gen 27,22). Anche dopo aver mangiato la carne e
bevuto il vino, Isacco forse aveva qualche dubbio. Ma quando chiese al figlio
di baciarlo prima di ricevere la benedizione, fu convinto dall'odore degli
abiti di Esaù, che erano impregnati delle fragranze naturali dei campi e dei
boschi. E così, involontariamente, Isacco diede la sua benedizione
patriarcale al figlio minore. Secondo le credenze del tempo, la benedizione,
una volta pronunciata, non poteva più essere ritirata o trasferita. Per la
seconda volta, Giacobbe era riuscito a sottrarre a Esaù la maggior parte
dell'eredità naturale che gli spettava in quanto figlio maggiore. Nel
caso specifico di quella importante famiglia, la benedizione aveva un
significato enorme. Non solo essa includeva il diritto di ereditare la terra
di Canaan, ma trasmetteva anche la promessa divina di diventare il patriarca
dell'intera nazione di Israele, la promessa fatta inizialmente ad Abramo
e riaffermata a Isacco. L'inganno stesso di Giacobbe fu il compimento del
piano divino; le manchevolezze del suo carattere non costituirono un ostacolo
al disegno a lungo termine che Dio aveva formulato per il suo popolo
eletto. Saputo
l'accaduto, Esaù, furioso, minacciò di uccidere il fratello subito dopo che
il padre fosse morto. Allora Rebecca decise di mandare Giacobbe lontano dal
pericolo. Con il pretesto che il suo secondogenito non doveva sposare una
ragazza cananea, come aveva già fatto Esaù, esortò Isacco a mandare il
giovane presso suo fratello Labano, in Paddan-Aram, la regione a nord
della Mesopotamia dove ella aveva vissuto da giovane. Il marito acconsentì,
concedendo questa volta volontariamente la sua benedizione a Giacobbe. Durante
il viaggio, Giacobbe ebbe una visione celeste straordinaria. Mentre una notte
riposava esausto nella regione desertica, una ventina di chilometri a nord
del sito della futura Gerusalemme, con la testa appoggiata su una pietra,
sognò di vedere angeli che salivano e scendevano lungo una scala sospesa tra
il cielo e la terra.
Alla
sommità della scala stava Dio stesso che gli riconfermò la promessa fatta a
suo nonno Abramo e al padre Isacco: «La terra sulla quale tu sei coricato la
darò a tè e alla tua discendenza. La tua discendenza sarà come la polvere
della terra» (Gen 28,13-14). Giacobbe si svegliò spaventato e il mattino
seguente unse con olio la pietra che gli era servita da cuscino,
consacrandola così al servizio di Dio, e chiamò il luogo Betel, che significa
"casa di Dio". Inoltre promise al Signore una casa e la decima
parte di tutti i suoi averi se lo avesse fatto tornare sano e salvo in
Canaan. Mentre
si avvicinava a Paddan-Aram, Giacobbe incontrò la sua bella cugina Rachele
che badava al gregge di suo padre Labano e se ne innamorò immediatamente.
Labano acconsentì a dargliela in moglie, ma soltanto dopo che avesse lavorato
7 anni per lui. Quando giunse il giorno del matrimonio, ci fu la tradizionale
festa nuziale con la sposa velata, che tenne il velo per tutta la notte di
nozze. Solo la mattina dopo Giacobbe, sconcertato, scoprì che era stato
ingannato e aveva sposato la sorella maggiore di Rachele, Lia, che era
meno attraente. Quando Giacobbe protestò, Labano argutamente gli spiegò che
le usanze locali esigevano che la sorella maggiore si sposasse per prima.
Quanto a Rachele, per sposarla legalmente Giacobbe avrebbe dovuto lavorare
altri 7 anni pascendo le greggi dello zio, pur potendola prendere in moglie
allo scadere di una settimana dalle prime nozze. Ancora una volta, l'inganno
diventò strumento del piano di Dio su Giacobbe e i suoi discendenti. Lia, la
moglie meno amata, si dimostrò feconda, mentre la prediletta Rachele non
concepì per diversi anni. Tra i figli di Lia furono Levi, antenato
della classe sacerdotale di Israele che conservò le tradizioni religiose, e Giuda,
il cui discendente Davide divenne simbolo della monarchia che
rappresentava il potere temporale. |
||