Le origini della Chiesa fiorentina

Le fonti letterarie e i
documenti archeologia non permettono di stabilire con assoluta precisione la
data di fondazione di Florentia; è
però certo che la colonia fu dedotta in età precristiana, probabilmente nell'anno
59. E pertanto, la religione dei suoi primi abitanti
fu quella pagana, con le divinità, i templi, i culti, i sacerdoti della
tradizione romana, come dimostrano i molti reperti restituiti dagli scavi.
Questa situazione religiosa durò per tutto il primo e il secondo secolo
dell'era volgare, e nessuna traccia di penetrazione dei
cristianesimo in Firenze è riscontrabile durante questi due secoli.
Giovanni Villani, il maggior
cronista fiorentino, riecheggiando tradizioni che circolavano già da alcuni secoli,
scrive che la Buona Novella fu portata a Firenze da S. Frontino, che fu il
primo vescovo della città, mandato in Etruria al tempo di Nerone dallo stesso
apostolo Pietro insieme a S. Paolino, che sarebbe stato il primo vescovo di
Lucca. Ecco le parole del Villani: "Ben troviamo noi per più antiche
croniche, che al tempo di Nerone imperatore nella nostra città di Firenze e
nella contrada ( = regione) prima fu recata da Roma
la verace fede di Cristo per Frontino e Paolino, discepoli di S. Pietro, ma
ciò fu tacitamente e in pochi fedeli, per paura de' vicari e proposti degli imperadori ch'erano idolatri e perseguivano i cristiani
dovunque gli trovavano, e così dimoraro infino al tempo di Costantino imperadore
e di santo Silvestro papa" (G. Villani, Cronica, 1,58).
Si tratta di una notizia
leggendaria, che non ha riscontri né in testimonianze letterarie né in
documenti archeologia contemporanei o prossimi a questa presunta
evangelizzazione di Firenze già in età apostolica. Va però detto che questo
di vantare origine apostolica è un santo orgoglio
che si ritrova in altre città italiane, oltre che in Firenze; santo orgoglio
che allo storico non fa meraviglia e che si spiega con la situazione
religiosa e culturale del tempo (dal IX secolo in poi) in cui queste notizie
leggendarie si svilupparono.
Il primo a mettere in dubbio la
tradizione riferita dal Villani, fu nel Cinquecento Vincenzo Borghini, il
dotto monaco della Badia Fiorentina, grande studioso della storia religiosa
di Firenze, il quale scrive che non si possono "mettere nell'istoria cose accattate e senza riscontro" (V. Borghini,
Discorsi a cura di D. M. Manni, Firenze. 1809,
IV, p. 170).
In seguito ad ulteriori
studi e ricerche, le tesi di una evangelizzazione più tarda rispetto a quanto
scrive il Villani, probabilmente agli inizi del III secolo.
La fede cristiana penetrò
dapprima in Toscana attraverso la Via Cassia che da Roma conduceva a Firenze.
La prima città toscana a ricevere il cristianesimo fu Chiusi nella seconda
metà del II secolo, a cui seguì di poco Firenze, che
della regione era il centro principale. Che Chiusi, oggi un centro di poca
importanza, sia stata la prima città toscana a ricevere il Vangelo, si spiega
facilmente. Anzitutto per la posizione geografica, in
quanto si trovava quasi al centro di quell'importante arteria di
comunicazione che era la Via Cassia. E poi, perché Chiusi a
quel tempo ancora città di notevole importanza, essendo stata nei secoli
precedenti uno dei maggiori centri etruschi. Dopo Chiusi, la fede
cristiana, sempre per il tramite della Cassia, approdò anche nella nostra
città.
Tre cose le scoperte
archeologiche. di cui diremo sotto, hanno messo in
luce a proposito della prima comunità cristiana di Firenze. Anzitutto questi
primi cristiani non furono dei convertiti in seguito ad un'
azione missionaria svolta da uomini di Chiesa, ma dei già credenti
veri svolgere i loro commerci in una città che era ormai divenuta il centro
della Tuscia. È poi documentato che i nostri primi
cristiani, correndo tempi difficili per i seguaci della nuova fede, non
andarono a stabilirsi all'interno delle mura cittadine, ma si fermarono
prudente in località periferica, sulla riva sinistra dell'Arno, nell'area
della chiesa di Santa Felicita, cioè vicino a dove la Via Cassia Nova
giungeva alla testata meridionale del ponte romano. Il terzo dato è che coloro che portarono il primo seme del Vangelo nella
nostra città erano degli orientali che parlavano greco, provenienti dal
bacino orientale del Mediterraneo, con prevalenza dell'elemento siriaco.
Quanto abbiamo detto, è
testimoniato dai reperti venuti alla luce nell'unica area di Firenze che ha
restituito importanti resti archeologici cristiani: l'area dell'attuale
chiesa di Santa Felicita e delle sue adiacenze. Gli scavi condotti a più
riprese al di sotto dell'attuale chiesa, nella
piazza antistante e nell'attigua piazza de' Rossi, hanno documentato
esistenza di una vasta basilica paleocristiana, di carattere cimiteriale, a
tre navate, lunga 38 metri e larga 26, databile fra IV e V
secolo, la sepoltura più antica è dell'anno 405 (G. Maetzke,
Notizie e resti archeologici della basilica cimiteriale paleocristiana, in
La chiesa di Felicita in Firenze, Firenze, 1986, pp. 17 sgg.).
Le prime scoperte nell'area di
S. Felicita risalgono al 1580; altre ne seguirono in epoche successive (1588,
1733, 1740, 1767), fino all' importante scavo
effettuato a cura della Soprintendenza alle Antichità d'Etruria nel 1948,
quando nella zona, a causa delle distruzioni belliche e per l'inizio
dell'opera di ricostruzione, si offrì la possibilità accurate ricerche
archeologiche. Dopo queste ricerche, la conoscenza l'edificio
paleocristiano è dagli archeologi considerata come definitiva. Il pavimento
della basilica, posto a 2,50 metri sotto il livello dell'attuale
chiesa, era formato dalla copertura delle tombe, su cui poggiavano
lapidi sepolcrali con le iscrizioni. Complessivamente le epigrafi fu rinvenute sono 75, di cui 31 venute alla luce nello
scavo del 1948: 20 sono scritte in greco (e sono le più antiche), il resto è
in latino; quanto al tempo, le epigrafi vanno dal 405 al 547 (per il testo
delle epigrafi, vedi: M. Lopes Pegna,
Firenze dalle origini... cit ., pp - 358 sgg.). Speciale interesse hanno
alcune iscrizioni greche che riportano nomi di persona e toponomi
siriaci e che costituiscono una chiara testimonianza della presenza di
orientali fra i membri della prima comunità cristiana fiorentina. Senza
indulgere alla fantasia, anzi in piena aderenza con quanto tramandatoci per
altre città dagli scrittori ecclesiastici dei primi secoli, si può affermare
che anche a Firenze, in quest'area a sud dell'Arno, ci sia stata dapprima una
domus ecclesiae,
cioè una chiesa domestica per i servizi di culto e specialmente per la
celebrazione dell'Eucaristia, e poi, cessato il pericolo delle persecuzioni,
sia stata costruita una vera e propria chiesa, sempre nel luogo dove da gran
tempo si erano stabiliti questi cristiani orientali di lingua greca.
Il nome chiaramente orientale
attesta che alla comunità di coloro che portarono la
fede cristiana in Firenze, apparteneva anche Miniato, che secondo il
Martirologio Romano, testimoniò la fede col martirio il 25 ottobre del 250,
durante la persecuzione di Decio. Dopo la morte, i fratelli di fede
seppellirono S. Miniato sul colle di là d'Arno, che allora aveva il nome di Mons Florentinus; sulla
tomba del martire fu poi eretta una piccola chiesa, in data che non si può
precisare, ma sicuramente prima dell'VIII
secolo.
La prima menzione di S. Miniato e
del culto a lui attribuito è del 782 (più di cinque secoli dopo il martirio),
ed è contenuta in un diploma coi quale il re Carlo
Magno, in memoria della defunta moglie Ildegarde,
dona alcuni possedimenti alla "chiesa di S. Miniato, martire di Cristo,
posta in Firenze, dove riposa il suo venerabile corpo". E quanto alle
notizie sul nostro martire, ci sono pervenute, come per altri martiri, solo
attraverso le "Passioni", narrazioni molto tarde (di S. Miniato ne
abbiamo sei, che vanno dal IX al XIV secolo) e con racconti assolutamente
fantastici sul processo, sui supplizi e sulla morte. Per queste ragioni,
qualche studioso di storia ecclesiastica antica (come F. Lanzoni
in Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del secolo VII, Faenza,
1927, I, pp. 573-581) e qualche recente agiografo hanno
sollevato dubbi sulla storicità di S. Miniato. Ma
tutti gli storici di Firenze, di ieri e di oggi, sono concordi nell'ammettere
l'esistenza di un Miniato, di origine orientale, martirizzato a Firenze
durante la persecuzione di Decio. E in verità, spogliato di
tutte le aggiunte leggendarie, il fatto che S. Miniato testimoniò la fede con
il sacrificio della vita, più che nei documenti scarsi e tardi è fermamente
scritto nella vetusta tradizione devozione millenaria e non dà luogo a dubbi
veramente fondati (su S. Miniato, vedi: P. Lugano, San Miniato a Firenze -
Storia e Firenze, 1902; P. Santoni, I martiri di Firenze sotto la
persecuzione di Decio e il loro culto, Firenze, 1963, pp. 69-99; M. Lopes Pegna, Le più antiche chiese
fiorentine, Firenze, 1972, pp. 20-25; C. Leonardi
Miniato: il martire e il suo culto sul Monte di Firenze, in La
Basilica di San Miniato al Monte a Firenze a cura di F. Guerrieri, L.
Berti, C. Leonardi, Firenze, 1988, pp. 279-284).
La tradizione relativa
a S. Miniato è importante per stabilire una cosa a cui si è già
accennato, che cioè la fede è arrivata nella nostra ci inizi del III secolo.
Avvenuto nel 250 durante la persecuzione di Decio il
martirio di S. Miniato ci parla di una presenza cristiana a Firenze, a metà
del III secolo, non insignificante quanto al numero e ormai radicata, se
provocò l'intervento dei funzionari pagani e la condanna a morte di un
rappresentante qualificato della nuova fede; una presenza, è giustificato
dire, che risaliva ad alcuni decenni prima.
A conforto di questa datazione
c'è anche il documento archeologico costituito dai tre sarcofagi
paleocristiani conservati nella nostra città antico
si conserva nella chiesa di S. Trinita e dagli
archeologi è attibuito alla prima metà del III
secolo; un altro si trova nel giardino di Boboli e
viene assegnato a circa la metà del III secolo; il terzo si trova in San
Lorenzo ed è considerato degli inizi del IV secolo (per i tre sarcofagi,
vedi: G. Bovini, Monumenti figurati paleociistiani
conservati a Firenze, Città del Vaticano, 1950, pp. 1-7). Al tre insigni
documenti paleocristiani non possiamo far dire più
di quello che essi realmente significano circa la determinazione del tempo in
cui la fede cristiana penetrò nostra città. Non sapendo quando e come i
sarcofagi sono giuri a Firenze, non possiamo attribuire un grande peso alla
loro testimonianza presa da sola, essendo chiaro che simili monumenti sono
suscettibili spostamenti e quindi non possono costituire un dato sicuro sullo
stato religioso della città all'epoca a cui i
monumenti stessi appartengo. Ma se non una prova, un indizio almeno essi lo
contengono, un indizio che si lega coerentemente alla tradizione relativa a S. Miniato.
Dopo quello
che abbiamo cercato di illustrare, sulla comunità cristiana di Firenze
durante il III secolo non c'è altro da registrare. È però lecito pensare che
nel corso di un secolo la comunità sia cresciuta, pur rimanendo sempre una
piccola minoranza, limitata all'ambito della città. L'aumentato numero dei
cristiani, ma soprattutto le mutate condizioni
politiche spiegano perché Firenze, all'inizio del IV secolo, ha il suo primo
vescovo o almeno il primo di cui si abbia notizia certa. Di nome Felice, egli
viene ricordato come vescovo di Firenze nell'anno 313.
La notizia sul protovescovo Felice è contenuta nel De schismate Donatistarum del vescovo africano Optato di Milevi. Nell'ottobre del 313 papa Milziade convocò a Roma un Sinodo di diciannove
vescovi, per discutere dello scisma donatista, che stava lacerando la chiesa
africana; fra i firmatari delle decisioni del Sinodo c'è "Felix a Florentia Tuscorum" (Optatus Milevitanus, De schismate Donatistarum, I, 23, in G. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum
nova collectio, Firenze, 1759, II, 436). Si
notino le date. Il Sinodo romano ebbe luogo otto mesi dopo l'editto di
Milano, promulgato nel febbraio del 313, col quale Costantino dava alla
Chiesa piena libertà di esercizio della sua missione, a cominciare
dall'organizzazione interna. Probabilmente, in questo lasso
di tempo, Firenze ebbe il suo primo vescovo.
Dopo questa notizia isolata
riguardante il protovescovo Felice, c'è un periodo
di silenzio, che va sino alla fine del secolo, nelle testimonianze
documentarie relative alla Chiesa fiorentina: ci manca il nome di almeno
qualche vescovo, che nel corso del IV secolo dovette esserci, anche se non in
successione continuata, e ci mancano notizie sul progresso dell'opera di
evangelizzazione.
Alla fine del IV secolo ci sono
due fatti che segnano l'inizio di una stagione nuova: nel 394 viene consacrata, da Ambrogio vescovo di Milano, la prima
chiesa di Firenze ufficialmente documentata: San Lorenzo, che per un certo
tempo sarà anche cattedrale; pochi anni dopo, viene eletto vescovo Zanobi, che rimarrà nella tradizione come l'infaticabile
evangelizzatore della diocesi fiorentina. Di ambedue i fatti abbiamo notizia da un documento di incontestabile
autenticità, la Vita Ambrosii, scritta verso
il 422 da Paolino, diacono della chiesa milanese, che di S. Ambrogio era
stato segretario e diligente stenografo nell'ultimo periodo della vita. Del
vescovo Zanobi diciamo subito, mentre per tutte le
notizie su San Lorenzo si rimanda alla nota di questo stesso volume che
illustra questa insigne chiesa, quasi certamente la prima costruita in Firenze,
e quindi primo segno visibile della presenza cristiana nell'antica colonia
romana.
Al tempo della consacrazione di
San Lorenzo, la Chiesa fiorentina era sicuramente vacante, come si deduce da
Paolino, il quale non fa parola di alcun vescovo nel descrivere la venuta e
il soggiorno di Ambrogio a Firenze, e dal discorso, pervenutoci, tenuto dallo
stesso Ambrogio durante la consacrazione della chiesa, nel
quale non fa alcuna menzione del presule fiorentino: non si può
ammettere che il vescovo di Milano, esercitando un atto dei più solenni della
giurisdizione episcopale in altra Chiesa, abbia tralasciato di rammentare il
vescovo, se questi ci fosse stato.
Secondo la tradizione, Ambrogio,
alla sua partenza da Firenze dopo un soggiorno di circa cinque mesi, avrebbe
suggerito alla comunità fiorentina di eleggere nuovo vescovo della città Zanobi, già ascritto al clero, che si distingueva per
scienza e virtù; poco tempo dopo egli sarebbe stato acclamato vescovo dai
concittadini. Sempre la tradizione parla di un episcopato lungo, trentennale,
all'incirca dal 398 al 429.
Dicendo tradizione, si indicano le narrazioni trasmesse per lungo tempo
oralmente e poi confluite nelle diverse vite di S. Zanobi:
la prima e più importante, scritta nell'XI secolo
dal vescovo Lorenzo di Amalfi, poi quella del falso Simpliciano
del XIII secolo e le successive (per una raccolta delle vite, vedi La vita
di S. Zanobi scriitta da'
più antichi quattro diversti autori, Firenze,
1863). Come in tutte le narrazioni medievali, molti elementi di queste vite
sono leggendari e per le notizie bisogna fare opera di discernimento. La
parte sicuramente attendibile della tradizione ci presenta Zanobi come uomo di preghiera, operatore di miracoli,
largo soccorritore dei poveri, ma soprattutto lo accredita come
l'evangelizzatore di Firenze, in un tempo in cui la città era ancora in
maggioranza pagana e interamente pagano era il territorio fiorentino; al di
fuori della città, le memorie della sua opera di evangelizzazione vanno dalla
Valdipesa e dalla Valdelsa
fino alle zone impervie del Mugello e del Firenzuolino.
Sicuramente S. Zanobi non sconfisse il paganesimo, che sopravvisse
ancora per molto tempo, specialmente nelle campagne. Il senso del suo
episcopato sta in altro: nell'avere egli, con instancabile azione
evangelizzatrice, impiantato la Chiesa nel vasto territorio che poi divenne
la diocesi fiorentina. Con lui, dunque, termina la fase antica della storia
della nostra Chiesa.
Dopo la morte, il corpo di S. Zanobi fu sepolto in San Lorenzo. Da lì le sue spoglie
furono trasferite in Santa Reparata, mentre era
vescovo S. Andrea (869-876). La leggenda riferita da Lorenzo di Amalfi narra
che nel trasporto del corpo di S. Zanobi da San
Lorenzo a Santa Reparata, il feretro avrebbe urtato
nel tronco di un albero secco, il quale immediatamente, benché si fosse nel
cuore dell'inverno, germogliò fronde e fiori; ma questo preteso miracolo non è che uno dei tanti abbellimenti di cui sono
ricche le leggende medievali.
Dopo la costruzione di Santa
Maria del Fiore le reliquie di S. Zanobi furono
poste in un'urna di bronzo, con scene della vita del Santo in bassorilievo,
opera di Lorenzo Ghiberti, sotto l'altare della
tribuna centrale, detta perciò di S. Zanobi.
Purtroppo, per mancanza di
testimonianze, non possiamo dir nulla sugli sviluppi dell'azione
evangelizzatrice di S. Zanobi. A parte un vescovo
Maurizio che la tradizione fededegna dice vittima di Totila,
re dei Goti, nell'anno 550, e un vescovo anonimo destinatario di una lettera
del papa Pelagio I nell'anno 556, dopo S. Zanobi, per due secoli e mezzo, non abbiamo
nomi di vescovi, un po' per lacuna documentaria, un po' per temporanea
vacanza della sede. Da questo silenzio documentale,
la Chiesa fiorentina antica esce nel 680 col nome del vescovo Reparato, in età ormai altomedievale.
Estratto da:
Ufficio Diocesano di Documentazione e di Ricerca, "La Chiesa
Fiorentina", Libreria Editrice Fiorentina 1993 (a Cura di Giulio Villani
e Vittorio Cirri)
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