La Parrocchia
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: adonaj.net
PRESENTAZIONE
C’è un luogo in cui il Regno di Dio diventa bene
pubblico: è la parrocchia con le sue infrastrutture (oratorio
e chiesa). Tutto può e deve far Chiesa di Dio. Tutto è chiesa del
mondo perché tutto è chiamato a scoprire in Cristo l’amore salvatore di Dio. Ma nella chiesa e nell’oratorio, dove i cristiani e gli
uomini di buona volontà si radunano in "nome di Dio", c’è qualcosa
di più: c’è l’esplicito impegno dello Spirito Santo, Amore che procede dal
Padre e dal Figlio. Sotto questa azione dello Spirito, la chiesa e l’oratorio
prendono l’aspetto del luogo del concepimento, della crescita del cristiano
fino all’età adulta nel Cristo progetto esistenziale dove la dottrina e la
morale sono al servizio dell’edificazione del Regno di Dio nelle coscienze
per essere testimoniato in famiglia, nella società. Quindi la chiesa e
l’oratorio si presentano come organismi visibili del mondo interiore
invisibile, impegnati a generare persone secondo la volontà di Dio. Bisogna
essere consapevoli di questo, altrimenti risulta tutto vano e inganneremmo
noi stessi. Anche perché in questa prospettiva Dio fa nuove tutte le creature
e le cose, basta avere fiducia in Lui. CIO' CHE NON BISOGNA MAI
DIMENTICARE "Dovete nascere dall’alto. Il vento soffia
dove vuole, ma non sai donde viene e donde va. Così
è per chiunque è nato dallo Spirito"(Gv.3,7-8). Quando si parla di chiesa e oratorio nel loro insieme
(cioè la Chiesa come popolo di Dio) sono tante le verità da non scordare.
Purtroppo si tratta di verità di natura spirituale e morale, quindi non
percepibili dagli occhi dei sensi, ma soltanto visibili agli occhi dello
spirito di fede. La chiesa e l’oratorio hanno una fisionomia
soprannaturale che occorre conoscere, amare e praticare se qualcuno vuol
farsi nuova creatura ed uscire dagli schemi proposti della società
materialistica. Non si possono considerare esclusivamente "gruppi di
contatto" col soprannaturale, ma gruppi che
devono nascere dall’alto, come Cristo ha proclamato a Nicodemo: "Dovete nascere
dall’alto". Preoccupiamoci, dunque, di riflettere insieme sulle
verità essenziali della chiesa e dell’oratorio considerandoli dal versante
soprannaturale come "luogo" di Dio Padre che, mediante Cristo
risorto e lo Spirito Santo, dimora con noi uomini, parla con noi, condivide e
fa comunione con la nostra travagliata avventura umana, con la nostra storia
individuale e sociale, con le nostre speranze e, soprattutto, con la nostra
debolezza, poiché la strada di Cristo è l’uomo (non certamente i formalismi,
gli efficientismi, le esteriorità, l’egoismo, la superbia del potere e del
mettersi in vista in una forma di religiosità che nasconde ben altri
problemi). Attraverso il Figlio la Trinità comunica con l’intera umanità e il
suo ambiente, essendo "Cristo centro del cosmo e della storia". La chiesa e l’oratorio sono la radice di Dio da cui
inizia il suo Regno, piccolo finché si vuole, radice di un piccolo stelo d’erba, ma radice di Dio. "Inoltre in verità vi dico: se due di voi
sulla terra si uniranno per domandare qualsiasi cosa, sarà loro concessa dal
Padre mio che è nei cieli. Perché là dove sono due o tre adunati nel nome
mio, io sono in mezzo a loro" (Mt.18,19-20). In sintesi la chiesa vera e l’oratorio vero (con tutte le
loro attività liturgiche ed educative, interiori, e
quelle giuridiche ed esteriori) nascono dall’alto. Incominciano ad essere quando l’amore che cementa i cristiani nel nome di
Dio, acconsente anche a Dio di essere in mezzo a noi. Quando la chiesa e
l’oratorio crescono vuol dire che è nato l’amore fraterno, perché essi
nascono dalla carità per generare carità tra i fratelli della stessa fede,
della stessa speranza, impegnati a realizzare con la grazia risorta di Cristo
e l’azione dello Spirito Santo l’uomo nuovo, l’umanità redenta; pertanto essi
sono luogo di conversione a Dio sul progetto di Cristo nella carità fraterna
dell’esempio e della reciproca comprensione. Non solo, dal cuore della comunità sgorga la vocazione
alla perfezione attuata insieme come popolo di Dio, nel reciproco aiuto
d’amore e di fiducia, sapendo che Cristo completa con la grazia e lo Spirito
vivifica con i suoi carismi coloro che in nome di Dio scelgono di vivere
secondo il Vangelo di Cristo. La chiesa e l’oratorio sono scuola dello
spirito, palestra della volontà, comune donazione degli uni verso gli altri
per adempiere alla legge di Cristo:"Amatevi gli uni
gli altri come io ho amato voi" (Gv.15,12). Così la chiesa
e l’oratorio attuano la loro ascesi tendendo alla imitazione di Cristo: "Gesù propone loro un’altra parabola: Avviene del
Regno dei cieli come di un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Mentre tutti
dormivano, venne il suo nemico, seminò la gramigna in mezzo al grano e se ne
andò. Quando il grano crebbe e mise la spiga, apparve anche la gramigna. I
servi del padrone vennero a dirgli: Signore, non era buon grano quello che
seminasti nel tuo campo? Di dove viene dunque la gramigna? Rispose: E’ un
nemico che ha fatto questo. I servi gli dicono: Allora vuoi che andiamo a
strapparla? No, dice il padrone, altrimenti sradicando la gramigna
sradichereste anche il grano. Lasciate che crescano insieme l’una e l’atra
fino al tempo della mietitura; allora dirò ai mietitori: Raccogliete prima la
gramigna e legatela in fasci per bruciarla, il grano invece riponetelo nel
mio granaio". (Mt.13,24-30). Il dialogo comunitario nell’amore, nella carità e nella
verità determina il contenuto dell’adunarsi insieme nel nome di Dio. Solo
allora Dio è in mezzo a noi. "La mia casa sarà chiamata casa della
preghiera, voi altri invece ce ne fate una spelonca di briganti" (Mt.21,13). Parlare di chiesa e oratorio potrebbe significare
parecchie cose. Per qualcuno potrebbe voler dire ricerca di originalità, per
altri forse, luogo in cui si portano tutti i sentimenti e tutte le idee di
chi compone l’assemblea, in modo disordinato e caotico, così da acconsentire
a ciascuno di esprimere se stessi, magari in contraddizione con gli altri
come appare nella descrizione che ne traccia Gesù dei due saliti al Tempio a
pregare. Nel contesto di questa riflessione, voglio sottolineare
che è Dio l’autore, l’iniziatore di ciò che avviene nella comunità, mediante
Cristo Redentore e mediante lo Spirito Santo quando qualcuno si riunisce nel
suo nome. Vale a dire che nella chiesa e nell’oratorio nasce il cristiano
dall’alto, non dal basso, per opera o per intervento umano, ma nel battesimo
di Gesù e nella infusione della grazia dello Spirito; perciò
"Santo" sarà chiamato colui che viene
generato, tempio vivo dello Spirito Santo, templi della Trinità, templi di
Dio, pietre vive, gente santa, regale sacerdozio, piccolo gregge, cui Dio
Padre si è degnato di dare il Regno e di rivelare i misteri nascosti da
secoli. "Allora egli ci fece salvi, non per merito
di opere giuste fatte da noi, ma in virtù della sua misericordia" (Tit.3,5). "Il vento soffia dove vuole e tu ne odi il
suono, ma non sai donde viene e dove và. Così è di chiunque è nato dallo
Spirito" (Gv.3,8). Ed ecco che nei due luoghi, ovvero la chiesa e
l’oratorio, il cristiano nasce "per opera" dello Spirito Santo e
per la grazia del Signore. La sua vocazione spirituale, unica e irrepetibile,
è della Trinità elevata alla sopranatura in modo permanente e con segno indelebile
per cui è riconosciuto figlio adottivo del Padre,
fratello di Cristo e coerede della gloria della Trinità. Luogo di preghiera,
che vuol dire luogo di riscoperta dell’amicizia di Dio elevante. In questi
due luoghi la comunità proclama la totale dipendenza da Dio adorandolo come
Creatore, Redentore e Santificatore del cosmo visibile e della storia umana. La preghiera assume il segno di elevazione a Dio e alla
sua signoria di paternità buona e misericordiosa verso i figli, è una ricerca
di condividere insieme il proprio tempo nel santificare la realtà propria e
sociale secondo la volontà di Dio. "Sia fatta la tua volontà come in cielo
così in terra" (Mt.6,10), è riprendere consapevolezza
della riconciliazione soprannaturale con Lui mediante Cristo dopo il peccato e
un rinnovare tale unione per ogni istante della vita così che vivere sia un
"fare la volontà del Padre", secondo lo Spirito di Cristo. "Il mio cibo è fare la volontà di Colui
che mi ha mandato a compiere l’opera sua" (Gv.4,34), è un ringraziare l’Amore di Dio
che ha elevato la piccolezza della creatura a luogo del suo amore, a
tabernacolo della sua azione fra gli uomini di oggi, a messaggio dell’amore,
a voce dello Spirito Santo, a testimonianza dell’amicizia di Dio aperta a
chiunque abbia la volontà di fargli posto sulla strada della vita, come hanno
fatto i discepoli di Emmaus. Con la preghiera la chiesa e l’oratorio stabiliscono il
contatto con Dio, ricevono e comunicano il dialogo della corrispondenza fra
l’anima e la grazia, perché nulla possa avvenire senza che vi sia
l’intervento di Dio e il concorso libero ed amorevole dell’uomo. La grazia della preghiera è l’anima di questi due luoghi,
è il fondamento delle opere e del servizio al Vangelo, mediante il Vangelo da
cui attingono le energie morali e soprannaturali per predisporsi nel mondo,
attraverso la propria vocazione, al piano di Dio: "Signore, cosa
vuoi che io faccia?" (San Francesco). E’ un fare la radiografia del proprio essere e del
proprio agire, un applicare la terapia affinché ciò che non è Lui, o di Lui,
passi a Lui, diventi Lui, agisca e operi secondo la sua volontà. Allora la comunità che prega è dinamica, in stato di
incessante conversione al messaggio evangelico, è un dilatare nella
provvidenza e nella previdenza le problematiche esistenziali, senza tuttavia,
perdere la speranza e la certezza di fede che nulla e niente accade che non
porti a Dio e alla scoperta del suo amore e della sua volontà. La comunità
che prega scopre la consapevolezza della propria miseria e debolezza; perciò
ricorre a considerare il bisogno della comunione con Lui per levare e
sublimare le pochezze umane. L’accoglienza libera a tutti (buoni e cattivi, facendo
sempre riferimento all’insegnamento di Gesù porta a radunarsi in nome di Dio
e ci fortifica per far fronte alle suadenti proposte dello spirito del mondo
la cui funzione è quella di paralizzare con la propria efficienza atea ogni
invocazione a Dio come partner dell’anima nel difficile sforzo di dominare il
male e di fare il bene che veramente vogliamo compiere. La preghiera rende possibile la scoperta della propria
statura morale, la grandezza di Dio e il destino a cui
Egli ci ha destinati in Cristo. Dal sacrificio della Santa Messa alla recita
delle Ore, alla catechesi, alla lectio divina, ai
momenti di svago,m la chiesa e l’oratorio si muovono
sulla linea di Cristo prefissata per chiunque voglia farsi figlio di Dio:"Senza di me non
potete far nulla" (Gv.15,5). "Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma
che li preservi dal male. Essi non sono del mondo come io
non sono del mondo. Santificali nella verità: la tua parola è verità" (Gv.17,15-17). La chiesa e l’oratorio non stanno in piedi a parole, ma
sono radicati sulla Parola della Bibbia. Le nostre parole di poveri
parrocchiani possiamo offrirle come fondamento per le
sabbia malsicure del dire senza fare. La chiesa e l’oratorio non si
costruiscono sulle tante parole del parroco o dei parrocchiani, anche se
pronunciate con amore smisurato, ma si edificano su Cristo e sul Vangelo.
Egli disse:"Voi siete di quaggiù, io sono di lassù.
Voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo"(Gv.8,23). C’è sempre il volto di Cristo, il primo parrocchiano. Non
dobbiamo fermarci soltanto ai nostri volti. A volte parliamo del volto di
Cristo come se fosse il nostro, ed affermiamo che la chiesa e l’oratorio sono
in sfacelo mentre in rovina è soltanto la nostra
testimonianza. Cristo è sempre al di là della nostra carità. Per questo la
sua carità non si esaurisce mai, soprattutto quando
la nostra svanisce per qualunque causa. Avvertiamo tutti il logorio
delle parole. Nessuna ormai ci sembra solida, capace di edificare nella
verità obiettiva, ma ognuna porta inganno, convenienza, utilità, imbroglio,
dominio, potere, sfruttamento. Tutte parole, purtroppo, dirette ad irretire
la persona, come fa il ragno con gli insetti, nella ragnatela dell’egoismo
altrui. Gradualmente ne siamo divorati e distrutti. Larva diventa la nostra
esistenza, non persone, larve umane, maschere, non realtà. Il fatto è che quando ci si raduna (per la liturgia, per
pregare, per la catechesi, per lo svago, per qualsiasi opera evangelica)
"in nome di Dio" tutti i luoghi diventano
"luoghi della Parola di Dio". Ecco che allora le relazioni
interpersonali sono assai diverse. Dio non inganna, Dio non illude, Dio non è
un ciarlatano, Dio non è un clown; Dio è vero nella parola annunciata da
Cristo allo stesso modo che Cristo Gesù è vero Dio pur incominciando ad
essere, nel tempo, anche vero uomo. Lo strumento di cui si serve oggi non ostacola, non
impedisce alla "Parola di Dio" di essere se stessa. Poiché Dio sa
quel che fa. Conosce i limiti e i pregi degli apostoli e dei laici. Non posso
pensare che Egli non sappia scegliere e guidare con lo Spirito Santo coloro
che ha incaricato "come messaggeri del suo amore". Bisogna, dunque, tenere fede a
Dio, qualunque cosa possa accadere, che passa nella voce e nella persona di
fratelli che forse suscitano antipatia, o addirittura non meritano la nostra
fiducia, come uomini simili a noi, in quanto peccatori come noi, e forse più
di noi, e che attraverso il "Magistero della Chiesa", attraverso
uomini appositamente scelti per vie a lui note, parla alle coscienze, alle
menti e ai cuori come Padre. "Fate dunque tutte le cose che vi dicono,
ma non imitate le loro opere"(Mt.23,3). Così Gesù consigliò agli
apostoli che gli avevano domandato se conveniva ancora seguire i dettami
della classe dirigente ebraica. E questo consiglio è ancora valido oggi, forse più di
ieri. E’ valido per gli apostoli incaricati di rivolgere la Parola di Dio ad
uomini buoni e cattivi, rapaci, odiosi, malvagi, lupi in veste d’agnello, a
uomini intriganti, a uomini travolti dalla concupiscenza della carne, degli
occhi e della superbia, a uomini la cui risposta sarà la persecuzione,
l’indifferenza, la morte, la crocifissione, la derisione, il disprezzo; è
valido anche per il popolo di Dio quando si raduna nella chiesa e
nell’oratorio e può essere assalito dal dubbio se convenga o
meno prestar fede a ciò che viene annunciato da persone discutibili. Coloro che si radunano "in nome di Dio" devono
sapere che in mezzo a loro c’è Dio. La garanzia sia per chi annuncia sia per
chi ascolta, è la Parola di Cristo. "Chi riceve voi, ascolta me; e chi riceve
me, riceve colui che mi ha mandato"(Mt.10,40).
"Chi ascolta voi ascolta me; e chi respinge voi respinge me; e chi
respinge me respinge colui che mi ha mandato"(Lc.10,16). E’ ovvia allora la conclusione a livello di risposta
personale e comunitaria, affinché la fede non muoia o inselvatichisca
in una sorta di misticismo inconcludente:"Chi dunque ascolta queste mie parole e le
mette in pratica è simile ad un uomo saggio il quale edificò la sua casa
sopra la roccia. Cadde la pioggia, e vennero i fiumi, e soffiarono i venti e
irruppero su quella casa, ma essa non crollò perché era fondata sulla roccia.
Ma chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica è simile ad
un uomo stolto il quale edificò la sua casa sopra la sabbia. Cadde la pioggia
e vennero i fiumi e soffiarono i venti e irruppero su quella casa, e crollò,
e la sua rovina fu grande"(Mt.7,24-27). Saldati a questa obbedienza di fede alla Parola vi è
l’adesione obbedienzale al magistero apostolico il
cui compito è quello di "riconfermare nella fede" il popolo di Dio
dinanzi alle moderne problematiche religiose, ideologiche, morali e
dottrinali. Occorre che in questo confronto ogni cristiano sappia superare i
problemi del proprio io, in modo che credere voglia dire fare la volontà di
Dio e non la propria che è totalmente diversa. Il dramma dell’orgoglio si rovescia, in questo delicato
momento della crescita della fede mediante la conoscenza della Parola, negli
incubi della alienazione o della supina sottomissione religiosa. C’è chi teme
di cancellare la propria autonomia di credente (a qualsiasi livello o a
qualsiasi incarico) seguendo docilmente in libertà, in carità, in fraternità
intelligente e critica, informata dall’amore, gli indirizzi pastorali della
Chiesa. "Nessuno può avere Dio come Padre, se non ha la
Chiesa come Madre". LUOGO DELL' EUCARISTIA "Io sono il pane vivo disceso dal cielo.
Chi mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia
carne per la vita del mondo"(Gv.6,15). Dalla Parola di Dio alla presenza di Dio. Tutto questo è
nella chiesa e nell’oratorio, cioè l’anima di ogni atto liturgico e di ogni
assemblea che si costituisce in nome di Dio. Questa "realtà dinamica soprannaturale",
proviene dall’alto verso il basso, ossia dall’amore creativo di Dio all’uomo
peccatore, corrisponde alla sete di assoluto di cui "ogni singolo
uomo" soffre l’arsura. Il mare, con la sua distesa oceanica, a noi che ci immergiamo, dà la sensazione dell’infinito. Grande è il
desiderio di tuffarsi nell’infinitamente grande da parte del nostro essere
infinitamente piccolo. Cristo ha colto questa sete interiore e grida a gran
voce:
"Chi ha sete venga a me e beva" (Gv.7,37). La grazia di Dio scorre nel sacramento della presenza e
del sacrificio, in continuità. Giorno e notte, nella sede in cui i cristiani
si radunano "in nome di Dio", un tabernacolo ospita l’Eucaristia.
Una fioca lampada ne indica la realtà. La chiesa e l’oratorio sono nell’Eucaristia come
l’Eucaristia sono nella chiesa e nell’oratorio. Si tratta di una reciproca
custodia d’amore. La chiesa e l’oratorio, moralmente presenti nel quotidiano,
custodiscono Cristo eucaristico; Cristo realmente e moralmente custodisce la
chiesa e l’oratorio, sedi dell’incontro e simboli reali della continuità
cristiana. Il sacerdote ne esprime l’incessante preghiera ed unione come
pastore e il perenne sacrificio del popolo in costante conversione mediante
il lavoro, l’educazione familiare, i buoni rapporti, l’impegno
socio-politico, il duro e continuo sacrificio della fedeltà all’amore, a Dio,
alla grazia, a Cristo, alla Chiesa, all’oratorio, ai fratelli e sorelle della
comunità con misericordia e pazienza accogliendo tutti. Risulta ovvio che occorrono energie spirituali fresche e
cariche di divino nel riprendere ogni giorno il viaggio del divenire con la
storia del nostro tempo "luce del mondo e sale della terra".
Nessuno può resistere a lungo con le sole forze morali di cui dispone se non
attinge nuove risorse nella comunità, per la propria completezza, e alla
grazia soprannaturale. Noi cristiani abbiamo bisogno del nutrimento
eucaristico, allo stesso modo che necessitiamo ogni giorno di nuove energie
fisiche che attingiamo dai cibi e dalle vivande. Spesso però la chiesa e l’oratorio sono un banchetto
senza invitati. "C’è chi ha preso moglie, e non può
venire. C’è chi ha acquistato un podere, e deve andarlo a visitare. C’è chi
ha comprato un paio di buoi, e deve provarli"(Lc.14,18-20). Il fatto è che ci lasciamo trascinare dall’ingranaggio
spietato della struttura tecnologica della società consumistica con lo
strapotere fascinoso dei suoi beni a imprigionare lo spirito e a sfamarlo con
cibi e bevande che non tolgono né la fame dell’assoluto né la sete della
verità, pur distribuendo la sazietà a piene mani. "Io sono il pane della vita. Chi viene a
me non avrà più fame; e chi crede in me non avrà più sete. Ma io ve l’ho
detto: voi mi avete veduto, eppure non credete"(Gv.6,35-36). Tuttavia , sorge un grido di
dolore dentro chi cerca di avvicinarsi a Cristo, soprattutto quando è deserta
la mensa eucaristica, oppure quando vi è ribellione nei giovani perché
mancanti di un progetto. La grazia è un mistero insondabile, ma la sua forza di
convincimento di cui non sappiamo misurare l’efficacia è forza
soprannaturale. E’ certo che con l’Eucaristia nell’anima non è possibile
resistere a lungo a Cristo. "Il Pane di Dio è quello che discende dal
cielo e dà la vita al mondo"(Gv.6,33). La chiesa e l’oratorio sono mensa e sacrificio, sono
luoghi quotidiani del rinnovamento incruento della passione, morte e
resurrezione.In essi si
celebra "la memoria" di Cristo redentore, sacrificatosi al Padre
per la riconciliazione di tutti gli uomini. Chi mangia l’Eucaristia compie
"la memoria" del Cristo pasquale e si riconcilia con Dio Padre, e
riconosce in questo il pegno dell’eterna comunione in Dio Padre, in Dio
Figlio, in Dio Spirito santo, che si realizzerà dopo la morte, se questa
avverrà nella grazia della sua amicizia divina. Non solo, ma è anche
partecipazione alla redenzione nel quotidiano sforzo di pensare, amare,
servire, soffrire il suo Vangelo nelle scelte di fondo, imitandone le virtù,
la donazione ai fratelli, facendo in tutto al volontà di Dio. "Andate dunque, ammaestrate tutte le
genti, battezzandole in nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo,
insegnando loro a osservare tutto quello che vi ho comandato. Ed ecco: io
sono con voi per sempre, sino alla fine del mondo"(Mt.28,19-20). La chiesa e l’oratorio si possono considerare da tanti
punti di vista: si possono guardare con occhi stupiti per la loro capacità di
essere nel tempo e fuori dal tempo, di essere
"diversi"dal mondo che cambia e il loro cambiamento cammina in
senso contrario allo spirito del mondo. Essi sono considerati
"comunità" anacronistiche a causa dei valori morali che propugnano
e a causa della loro teologia che li fa essere realtà del mondo ma non nel
mondo. Se li consideriamo sotto il profilo sociologico, essi
appaiono come realtà monolitiche nei loro contenuti evangelici, i loro
mutamenti concernono il modo di viverli e di realizzarli, non certo l’essenza
del cristianesimo che in esso vive intatto nella
dottrina e nella morale. La crisi di questi luoghi non esiste,non
esisterà mai; o meglio,esiste ed esisterà sempre la crisi dei cristiani che
fanno i luoghi e che possono attribuire loro le difficoltà. Questi luoghi devono essere Cristo. I mezzi per
realizzarlo, nel tempo e nella fisionomia dei cristiani, fanno parte della
chiesa e dell’oratorio, i quali, appunto, risentono dei metodi pastorali di
coloro che in essi operano. Conviene,dunque,inquadrare
"il capitale soprannaturale"di questi due luoghi per comprendere
anche le problematiche che in essi portiamo noi cristiani.Essi
sono luoghi della grazia e dei mezzi istituiti da Cristo stesso per
comunicarla. Dall’Eucaristia lo sguardo passa al Battesimo in cui gli uomini,battezzati in Cristo e in lui morti e sepolti al
peccato,risorgono rigenerati nella grazia pasquale.Ma
sono anche luoghi di svago e di attività sportive,luoghi
dove si incontrano le difficoltà del vivere come i rapporti interpersonali,la
socialità per le persone sole,per quelle ammalate,per quelle che sono nella
miseria,per quelle che non si sentono amate ecc.. Possiamo affermare:ciò che
Cristo è per natura,i cristiani lo sono per grazia soprattutto per la grazia
battesimale,la quale promuove l’edificazione del Cristo in loro fino all’età
adulta,con i sacramenti della Cresima e dell’Ordine sacerdotale,destinati
alle mansioni vocazionali dei singoli. L’azione della grazia,gestita
nella chiesa e nell’oratorio, non persegue un piano o una strategia umana.Nessuno può farla da padrone sulle coscienze.Rendiamoci conto che siamo "umili
servitori"del Cristo verso i fratelli e sorelle ai quali siamo saldati
dall’amore. Se ciò per debolezza non accade, la Chiesa stessa deve
preoccuparsi di superare l’umano eretto a metro del divino. Nessuno deve
sentirsi escluso dalla ricerca della grazia. Non possiamo dire la parola fine
per nessuno. Questi ed altri volti del Vangelo sono chiesa e oratorio
di ieri,di oggi e di sempre. "Abbiate fede in Dio. In Verità vi dico, che
se qualcuno dirà a questa montagna:"togliti di
lì e gettati nel mare" se non dubita in cuor suo, ma crede che quel che
dice avverrà, gli sarà concesso"(Mc.11,22-23). La chiesa e l’oratorio devono essere ricercati dai
parrocchiani sotto la spinta di innumerevoli istanze morali e in momenti di
gioia comunitaria. A volte si ha la sensazione di intravedere una crescita di
fede tra noi. Poi, però, alla prima prova, ci accorgiamo che si trattava di
una fede provvisoria, abitudinaria, almeno in molti. C’è una bella differenza tra la fede che trasporta le
montagne e la fede, invece, che sale sulle montagne. Chi si avvicina alla
chiesa e all’oratorio, in essi vivono da sempre, a
quale fede è stato educato? Lo so, non è facile riesaminare le tappe della
educazione alla fede poiché la memoria del passato
si rifugia in luoghi comuni dove istituzioni e persone sono associate
all’idea della tradizione cristiana. Forse converrebbe distinguere la chiesa
e l’oratorio come luoghi della fede in Dio per mezzo di Cristo da luoghi
della fede espressa dai parrocchiani, che potremmo definire più propriamente:"luoghi delle fedi". Ciò che Gesù annuncia alla gente è una cosa, ciò che la
gente comprende o professa è un’altra cosa. La fede in Cristo è diversa nel
modo di essere posseduta, ma identica nel suo oggetto:Cristo
Gesù uomo e Dio! All’insaputa di chi frequenta questi luoghi, di chi vi
prende parte, di chi comunica e condivide il "farsi cristiano"come
scelta di esistenza, la chiesa e l’oratorio possono essere anche "luoghi
di ambiguità". Infatti le ragioni immediate
prossime e remote, per cui noi cristiani, o noi cristiani formanti
l’assemblea ci raduniamo, possono essere soggettive, personali,
circostanziali, per cui ci raduniamo in nome di moventi propri, che ci
inducono a rivolgerci a Dio, ma non ci raduniamo in nome di Dio. Chi si porta
a far assemblea in nome delle proprie necessità si trova schiavo di esse; chi invece si raduna nell’assemblea e fa
assemblea"in nome di Dio",perché così ha detto Cristo, è nella
benevolenza di Dio. Le proprie necessità, di qualsiasi ordine, sono allora
viste da Dio; ma è l’amore di Dio la causa formale della preghiera, non tutto
ciò che può indurre a Dio Onnipotente pere la liberazione delle impotenze.
Proprio San Paolo si accorse di questa difficoltà e raccomandava ai cristiani:"Quando mangiate o
bevete o quando fate qualsiasi altra cosa, fate
tutto per la gloria di Dio" (1^ Cor.10,31). La fede teologica è centralizzata nella volontà di Dio,
manifestata in Cristo, Figlio suo. Tutto il resto non sviluppa la fede in
Dio, ma l’attenzione alla straordinarietà di Dio, considerata come un bene
conveniente dalle nostre indigenze morali e temporali. Se mai sono una
conseguenza della fede. Lo specifico della fede è Dio accettato in tutto con la
conseguente rinuncia di noi stessi sull’esempio di Cristo, il quale per
compiere la volontà del Padre ha annientato se stesso sulla Croce. Ma Dio l’ha risuscitato dai morti. "Padre mio, se non è possibile che questo
calice passi senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà"(Mt.26,42). La fede è la scelta di questo "sia fatta la tua
volontà".E’ adesione, pertanto, di tutto
l’essere alla volontà di Dio e al disegno che Egli ha riservato a ciascuno di
noi come singolo e a ciascuno di noi come membro del Corpo Mistico di Cristo.
Non è adesione morale, o soltanto intellettuale, alla rivelazione dei suoi
misteri d’amore. Guai se così fosse vista e soprattutto vissuta. "Non chiunque mi dice:"Signore,Signore!
Entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei
cieli"(Mt.7,21). La volontà del Padre qual è? La nostra santificazione. La
porta che introduce alla salvezza è stretta, quella che conduce alla
perdizione è larga. L’azione della fede è conversione e riconciliazione
permanente fino a costruire in noi gli stessi sentimenti e a compiere le
stesse opere di Cristo di fronte ai problemi concreti del vivere quotidiano.
Rettificare le intenzioni, quindi, dei cristiani che si radunano nella chiesa
e nell’oratorio "in nome di Dio" è un impegno catechetico,
pastorale, pedagogico ed evangelico di primaria importanza. Certo, la fede è un dono che deve essere
continuamente messo a fuoco in tre direzioni:nella direzione della conoscenza
di Dio rivelatosi in Cristo; nella direzione della conversione alla sua volontà
mediante la grazia dei sacramenti; nella direzione della riconciliazione con
Dio e con i fratelli, ossia nell’amore. I luoghi della fede, così concepita e
vissuta, si trasformano in"luoghi dello Spirito Santo",in una Pentecoste in cui i carismi di ciascuno e i
carismi ecclesiali muovono noi cristiani alla donazione della mente, del
cuore e della coscienza a Dio per Cristo, e diventiamo portatori del vangelo,
con la nostra condotta dottrinale e morale, a tutti i fratelli quando con
essi ci troviamo per il lavoro, il divertimento, la vacanza, lo studio, la
scuola, la politica, la scienza, la tecnica, l’economia, i diritti umani,
l’accoglienza di coloro che magari contestano, o si comportano male ma che
hanno più bisogno di noi e del nostro amore, la giustizia, della pace fra
tutti gli, esseri viventi. Ecco che allora diventiamo "luce del mondo e sale della
terra"(Mt.5,14). Perché
la credibilità dei cristiani non sta nelle parole o negli scritti, nella
cultura o nei trattati, nelle cattedrali di pietra, nei monumenti, nelle
folle oceaniche dei raduni, ma nell’amore, nelle testimonianze di vita, nei
Santi. La nostra fede ha il potere di trasportare le montagne, ma soprattutto
ha la forza di vincere nel mondo il peccato e il demonio suo ispiratore. La chiesa e l’oratorio sono "luoghi della fede",perché essi generano cristiani per cui credere diventa
scelta di vita. "Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi
animo: io ho vinto il mondo"(Gv.16,33). "..chi crede in
me farà anch’egli le opere che faccio io, e ne farà di ancora più
grandi"(Gv.14,12). "Non vi lascerò orfani:ritornerò
a voi"(Gv.14,18). Alla chiesa e all’oratorio convergono anime colpite dalla
sfiducia (mancanza d’amore il più delle volte). I senza speranza oggi sono
molti, anche fra i cosiddetti cristiani. Anche fra i sacerdoti e i vescovi.
Sperare in un tempo crepuscolare come il nostro è impresa ardua, soprattutto quando credere a Cristo è un atteggiamento
provvisorio e non scelta di vita vera. La speranza è una virtù teologale che trae la sua
dimensione dalla fede. Se la fede in Dio genera la scelta di vita sul
progetto di Cristo, la speranza sarà sicura nelle radici e nelle fondamenta.
La chiesa e l’oratorio devono essere i luoghi in cui si generano cristiani
capaci di sperare, e di credere contro ogni motivo di speranza perché
l’azione della storia è nelle mani di Cristo "Centro del cosmo e della
storia". Il crederci entro il tempo e la vita del cosmo non può
offuscare e non deve scordare colui nelle cui mani sono gli uomini e i tempi.
Perché Egli li dirige nel Cristo risorto con previdenza, con provvidenza e
con giustizia infinita verso il loro fine, sia le creature libere sia quelle
razionali. Il riconoscersi parte di una avventura
dell’eterno Essere significa disporsi nelle scelte e nelle svolte impreviste
del proprio itinerario esistenziale, con la saggezza evangelica espressa
nella Parola di Cristo: "Non si turbi il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate
fede in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore;se
così non fosse, ve l’avrei detto perché io vado a preparare un posto per
voi"(Gv.14,1-2). Radunarsi allora "in nome di Dio" importa un
grande gesto: il gesto di ascoltare e seguire la Parola di Cristo senza
metterla in discussione, senza compromessi, senza allucinazioni, senza
condizionamenti di sorta. Significa adesione totale al Regno di Cristo al
nostro modo di vedere, di guardare, di giudicare, di analizzare, di considerare
questa realtà della condizione umana, divenuta oggi un dedalo impenetrabile
perché si è smarrito Cristo come chiave di interpretazione storica e come
umanesimo della ricomprensione dell’essere e
dell’agire, del perdersi per una causa giusta come è quella del Regno di Dio
sulla terra. Proclamare la propria speranza oggi vuol dire soltanto
una cosa: prendere la Parola di Cristo ed attuarla in sé con generosa
accoglienza fino ad affermare con Paolo di Tarso:"Non sono più io
che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal.2,20). Chi nella chiesa e nell’oratorio non incontra la scuola
della speranza esistenziale secondo la sequela di Cristo non ha la grazia
della perseveranza. Nel Vangelo si parla della perseveranza come speranza. E
questo è veramente bello. Chi spera persevera, chi non spera presto o tardi
prevarica da Cristo "Via Verità e Vita"(Gv.14,6). Il popolo di Dio deve essere compreso: vivendo
l’esperienza umana intessuta di impegni e di affetti concreti , può essere indotto a pensare che sperare in ciò che non
produce effetti immediati è da stolti. Al contrario la fede ci assicura che
credere e sperare significa donarsi all’evento di Cristo in terra con totale
servizio al Vangelo, nella certezza che a suo tempo, forse al di là del
nostro tempo, Egli compirà ciò che noi vorremmo ora, più per confondere chi
ci osteggia che per amore del Regno di Dio. I Santi sono stati scoperti non durante la loro santità,
ma dopo il loro essere stati santi. Dio mi può chiedere tutto come la notte
porta nel buio ogni cosa; anzi sembra che tutto sia vanificato, ma domani, al
sorgere del primo raggio di sole, tutto mi sarà restituito nella novità di
vita. Tutto ciò che dono a Dio mi sarà restituito centuplicato,
in più la vita eterna. Su queste tracce la comunità è chiamata ad educare alla
speranza coloro che in Cristo credono, e che per Cristo, in Cristo, con
Cristo intendono perdersi nella certezza della Pasqua. Il clima odierno è pervaso dalla disperazione del male
(basta leggere i giornali o ascoltare qualche telegiornale). Ogni cosa, come
ogni creatura, sembra condannata alla decomposizione, al rifiuto del bene,
del vero, dell’onesto, della bellezza, dell’amore, del galantuomo, dal mostro
della perversione infernale, divenuto l’artefice del farsi quotidiano. Il percorso della speranza non ha più abitanti
(apparentemente). Come,del resto, il percorso della
fede, che al di là delle affermazioni, si dimostra privo di testimoni. La
strada più seguita è quella di Emmaus, seguita
nell’andare alla chiesa e all’oratorio, seguita, purtroppo, nell’uscire dalla
chiesa e dall’oratorio. La chiesa e l’oratorio devono essere luoghi del
Risorto, perché sappiano infondere nei cristiani la forza della Pasqua. E’
così che il radunarsi (sotto ogni aspetto della vita) "in nome di
Dio"provocherà la volontà della resurrezione perché Dio è il vivente e
il viandante. La speranza teologica nasce da Cristo risorto.Guai se nascesse dall’euforia del momento e dal successo
trionfalistico,qualche volta possibile anche nelle
aride spiagge della religione professata.Essa è e
deve essere saldata all’evento del mistero cristiano.Non
può essere riducibile all’energia richiesta pere resistere alle situazioni
difficili,ma deve estendersi al segno dell’evento
finale di cui è strada. LUOGO DELL' AMORE "Questo è il mio comandamento:che
vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. La moda del giorno d’oggi nelle relazioni umane è la
disunione. Professare la discordia, l’inconciliabilità, l’incomunicabilità,
celebrare la contraddizione, il contrasto, la lotta fra individuo e
individuo, fra fratello e sorella, la lotta armata fra le classi sociali, fra
comunità politiche "superpotenze", giocare con i mostri del
terrorismo, degli arcipelaghi dei campi di concentramento e delle razze,
delle atomiche, della fame, del petrolio, dell’oro, delle multinazionali,
della globalizzazione, delle religioni, sembra
diventata l’arte di tutti i cervelli umani e di tutti "gli emisferi
terrestri"(a tal proposito pensiamo a tutte le trasmissioni televisive
impostate in merito:persino l’intimità è diventata
spettacolo). Ogni giorno assistiamo al tutti contro
tutti, tanto che sembra rovesciato anche il comando evangelico del Signore:
non amatevi gli uni gli altri. Entro questa atmosfera la chiesa e l’oratorio vivono il
rischio dell’amore. Essi si pronunciano come luoghi dell’amore sopportandone
la fatica e promovendone la realizzazione tra fratelli e sorelle che, per svariate
circostanze, si radunano "in nome di Dio "ma spesso senza
l’amorevole carità del Signore. Non bisogna mai scordare che la premessa di ogni
assemblea cristiana è la riconciliazione. Se chi presiede non s’avvede delle
discordie, dei rancori, delle invidie, delle incomunicabilità umane, non è
"buon pastore,ma mercenario". E al
mercenario non importa niente che i lupi rapaci divorino dentro i carismi
della grazia, le qualità buone,ma al sopraggiungere
del lupo si mette in salvo nelle norme liturgiche,nel formalismo farisaico,
perché non ha l’animo di Cristo. Cristo infatti dà
la vita per le pecore, ossia per le anime affidate alla sua cura. La prima cura è quella interiore:perché
ciò che esce dall’uomo, non ciò che entra, che contamina l’uomo. L’educazione
all’amore è un dovere del pastore d’anime e del laico cristiano che precede
l’annuncio della Parola di Dio e dell’amore. L’amore ha più volti: ha il volto della tolleranza,del perdono, dell’amicizia, della riconciliazione, della generosità,
del servizio, della dedizione a tutti, soprattutto ai nemici e a chi
maggiormente ci perseguita per qualsiasi causa. Non vale la pena neanche
sapere. E’ sufficiente che riconosciamo al fratello lo spazio della
persecuzione cinto dallo spazio dell’amore, perché l’amore redime morendo non
crocifiggendo. Ecco che allora quando al comunità
si raduna in "nome di Dio"va portata alla scoperta della
riconciliazione, perché in mezzo ad essa Dio non viene se manca la volontà
della comunione e della condivisione nella fraternità dell’essere peccatori.
Dio non ci perdona, se non siamo disposti a perdonare i nostri fratelli.
Infatti: la misura con la quale misureremo sarà la stessa impiegata per
misurare noi. Dio non privilegia chi non sa essere fratello anche nella
comune miseria. Celebrare l'amore è un festeggiare la misericordia di Dio
che in Cristo opera il miracolo della riconciliazione soprannaturale col
padre e lo Spirito Santo. Ed è un compiere, di conseguenza, il comando di
Cristo:"Amatevi gli uni gli altri come io ho
amato voi". Questa situazione ecclesiale,promossa
quando l’assemblea si raduna,favorisce anche l’incontro d’amore in tre
direzioni spirituali decisamente indispensabili alla edificazione della
Chiesa di Cristo. Dall’amore e nell’amore parte il dialogo comunitario,nell’ascolto e nell’incontro con la Parola,per poi
utilizzare il vissuto della cristianità nel proprio tempo, in umiltà, in
correzione fraterna, nella conversione alla verità. Dall’amore e nell’amore segue la rettifica dei sentimenti
del cuore che non sono conformi alla imitazione di Cristo, così che i
cristiani siano portatori di un umanesimo evangelico in un contesto storico
dominato dal dissenso sistematico fra le componenti sociali. Dall’amore e nell’amore deve partire il cambiamento della
coscienza in due settori: nel settore individuale e nel settore ecclesiale,
in quanto la testimonianza individuale a Cristo si completa nella linea dei
principi cristiani qualificanti al chiesa e
l’oratorio in luoghi ben determinati secondo la fede apostolica. Noi siamo chiesa e oratorio del Cristo storico e tutti ne
facciamo parte "come luce del mondo e sale della terra". L’amore si confronta con la
verità della giustizia sociale, della economia, della informazione, del
rispetto per la vita, del farsi storico in cui noi siamo presenti come
seguaci di Cristo. LUOGO DELL' INCONTRO DEL POPOLO DI DIO "Se il mondo vi odia, pensate che ha
odiato me prima di voi. Cristo risorto fissa come luogo di incontro con gli
apostoli il Cenacolo. Noi abbiamo la chiesa e l’oratorio per constatare, per
celebrare, per parlare con il Risorto. Infatti i
luoghi della comunità hanno come centro il mistero della Pasqua che celebra
ogni volta che essa si riunisce "in nome di Dio", perché è la
resurrezione il fondamento della fede:"Ma se Cristo non è risorto,allora la
nostra predicazione è vana, vana anche la nostra fede" (1^Cor.15,14). Il Cenacolo,da luogo della
comune diserzione dell'amore di Cristo, riprende il significato per i
quaranta giorni che precedono l’Ascensione, nei momenti più confidenziali del
Risorto con gli apostoli. Inoltre prepara l’avvento della Pentecoste,
custodendo il primo collegio apostolico radunato in preghiera e in attesa dello Spirito Santo. Il luogo del cambiamento
totale dove coloro che aveva rivestito del suo sacerdozio, del potere della
Parola,del perdono e del governo della Chiesa. Tra
queste mura riconsacrate dal Risorto, dalla conversione dei suoi e dallo
Spirito Santo, nasce la prima Chiesa;e davanti alle
porte spalancate la folla attende il battesimo di acqua e di Spirito, allargando
il luogo dell’incontro alle dimensioni cardinali del mondo e della storia. Da
quell’istante la terra diventa la cattedrale dello
Spirito Santo perché egli riempie ogni uomo,donna,
politica, stato, società, cultura, classe, civiltà e ogni cosa in esse
contenute. Nella chiesa e nell’oratorio,luoghi
in cui i cristiani convergono intorno al Risorto "in nome di Dio"si
ricompone l’area del Cenacolo, in cui lo Spirito suggerisce cose nuove per la
novità della vita del mondo. Il legame fra i luoghi e coloro che si radunano salda
Cristo e lo Spirito alla contemporaneità dell’uomo e della sua storia.
L’evento della redenzione cresce in questo modo nella edificazione della
Chiesa nel mondo e del mondo. Un gesto che ha la funzione soprannaturale di
aprire il discorso della salvezza a tutte le genti, contrariamente ad ogni
tentativo di incapsulare la redenzione a stregua di bene di consumo,come purtroppo l’area borghese vorrebbe esaurire "lo
Spirito di Dio"che, simile "al vento che non sai donde venga e dove
vada", incarica
i testimoni del Cristo di percorrere le strade del mondo. Luogo di missionarietà, non di
parcheggio, quindi è la Chiesa in cui i Cristiani si radunano per attingere
con la preghiera, con la grazia e con la parola, con l’amore fraterno,
l’anima dell’evangelizzatore, senza della quale la vocazione del cristiano
perde la specificità del suo essere e del suo agire nel tempo. Dal Cenacolo gli apostoli escono infiammati dallo Spirito
Santo. La loro forza soprannaturale li spinge a testimoniare Cristo con la
parola, le opere e il martirio "fino all’estremo confine della
terra"(At.8). Quando le problematiche della fede esplodono ad
indebolire i vincoli della dottrina, della morale, dell’amore, il richiamo del
Cenacolo si trasforma in concilio di Gerusalemme. Tutti di nuovo insieme,per un riesame delle reciproche situazioni esistenziali e
per la ricerca della "Parola dello Spirito", unificatrice e
propiziatrice di verità, di fede, di speranza, di amore vicendevole. Allora le riunioni,"in nome
di Dio",compiute insieme,davanti al Vangelo,suggeriscono la correzione
fraterna nella linea dell’imitazione di Cristo. Ne esce il"piccolo
gregge", al quale Dio ha dato di conoscere i segreti del Regno,tenendoli nascosti ai sapienti e agli illuminati secondo
gli uomini,ma non secondo Dio. Ecco che la Chiesa del cenacolo libera da ogni
temporalismo clericale, anzi,ridona
al tempo lo spazio dell’incarnazione e per l’uomo da evangelizzare diventa
soltanto la strada della Chiesa, come lo è stato per Cristo. Nei luoghi dell’incontro si rimettono a fuoco il vangelo,liberandolo da ogni manipolazione non voluta dallo
Spirito; si scopre il volto di Gesù di Nazareth, rivelazione del padre e
dello Spirito santo a tutti gli uomini nel gesto della donazione:"Dio ha tanto
amato il mondo da dare il Figlio suo, l’Unigenito"(Gv.3,16); si rinsalda l’impegno verso
Cristo, progetto d’esistenza storica, si coglie nella strada dell’imitazione
di Cristo l’unica via della reale rivoluzione cristiana come opzione
permanente della vocazione del cristiano "in quel tempo, nel nostro
tempo". Noi popolo di Dio viviamo di Dio mediante Cristo. Senza
Cristo tutto ciò che ci ostiniamo a considerare cristiano perisce. Cioè
diventiamo come un gregge senza pastore. Nessuna passione politica,
culturale, ideologica, nessun male sociale o morale, nessuna disgrazia umana
possono attribuire all’impegno del popolo di Dio una motivazione globalmente
esaustiva della scelta esistenziale, se viene meno la Parola e la persona di
Cristo affidate allo Spirito santo che fa nascere dall’alto il perdersi per
l’umanità e il suo progresso spirituale, morale e civile nel tempo. LUOGO DELL' EVANGELIZZAZIONE "Venite a me voi tutti che siete stanchi e
oppressi,e io vi darò sollievo. Prendete su voi il
mio giogo ed imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete
riposo alle anime vostre; perché il mio giogo è lieve, e il mio peso è
leggero"(Mt.11,28-30). Il Vangelo è per il cristiano ciò che l’anima è per il
corpo. L’integralità del vangelo è custodita ed insegnata dalla Chiesa di
Cristo,dal Papa ai Vescovi uniti a lui,fino
all’ultimo parroco di campagna,di montagna,fino all’ultimo fratello e sorella
nella fede. La sede naturale del Vangelo quindi è là dove i cristiani si
radunano "in nome di Dio". Ecco riapparire il volto, forse non
sufficientemente contemplato, della chiesa e dell’oratorio (la parrocchia). La chiesa e l’oratorio luoghi
dell’evangelizzazione permanente promuovono la conoscenza del Cristo come
progetto di vita. Non si tratta di una conoscenza teorica o culturale,
scolare o professionale, ma di conoscenza esistenziale secondo la parola
stessa del divino Maestro:"Sono venuto
perché abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza"(Gv.10,10). Conoscere per essere,essere per
agire,in coerenza e in grazia con Cristo affinché Egli ci "cristifichi". Il Vangelo è edificazione in sé del
modo di pensare, di amare e di volere di Cristo che "...e non sono più
io vivo, ma Cristo vive in me". Farsi cristiano vuol dire farsi simili in tutto a Cristo.
Nessun aspetto o spazio dell’essere uomo può rimanere ad uso privato,
collocato tra parentesi, con divieto d’accesso,perché
Cristo prende tutto l’essere, non qualcosa del suo esistere, come se fosse
possibile scandire l’unità inscindibile dell’io spirituale, in "io in
Cristo", e in"io di me stesso"; la strada dell’incarnazione e
della redenzione è tutto l’uomo, anima e corpo, spirito e materia,presente e
futuro,vocazione umana e vocazione soprannaturale, l’ambiente terreno e
l’ambiente ultraterreno. Cristo non è fatto per le staccionate,le suddivisioni:"Chi non è con me, è contro di me"(Lc.11,23). L’evangelizzazione, dunque, mette a fuoco due grossi
problemi: il problema della conoscenza del Cristo come progetto d’esistenza
integrale e totale e il problema della coerenza. Un cristianesimo e una
cristianità provvisori e abitudinari sono simili all’edificio costruito sulla
sabbia: "al sorgere del vento,della pioggia e dello straripamento
dei fiumi cadrà perché no ha radici"(Mt.7,27). Verità da gridare sui tetti: Cristo è il nostro
Redentore. La chiesa e l’oratorio sono attrezzate da Cristo per operare la
trasformazione e la conversione della mente, del cuore e della coscienza. Dobbiamo mantenerci coerenti al messaggio e alla amicizia
di Gesù; dobbiamo vivere in grazia, rimanendo nel suo amore, mettendo in
pratica la sua legge. La società ha bisogno di testimoni convinti e intrepidi.
Non basta discutere, bisogna agire. La nostra coerenza deve trasformarsi in
testimonianza e la prima forma di tale impegno deve essere la disponibilità.
Dobbiamo sentirci come il buon samaritano, sempre disponibili ad amare, a
soccorrere, ad aiutare, in famiglia, sul lavoro, nel divertimento, con i
vicini e con i lontani. I luoghi dell’evangelizzazione sono anche sede del
ristoro dell’anima, della ripresa, della fiducia, dell’abbandono a Dio dopo
il percorso della settimana, in cui i problemi del vivere hanno generato
impegno morale e coerenza dottrinale e, forse, qualche incertezza di
coscienza si è fatta presente sull’orizzonte nel faticoso confronto
quotidiano con maniere di realizzare l’uomo secolarizzate ed atee.
L’efficienza atea promossa dalla struttura tecnologica della società e dei singoli,
sembra più suadente del Cristo, a causa della sua tendenza a considerare
lecito ogni istanza dell’uomo senza badare all’eredità del peccato originale,
da cui il cristiano, invece, attinge l’orientamento selettivo delle proprie
scelte ideali e morali. S’impone, quindi,come
necessario, direi assolutamente indispensabile, il radunarsi dei cristiani
nei luoghi dell’evangelizzazione "in nome di Dio", per rimettere a
fuoco il Vangelo e per attingere dalla grazia e dall’amicizia del Cristo quell’amore coraggioso e coerente a sostegno del
camminare con Cristo, senza cedere alle lusinghe dello spirito del mondo e
della cultura "secondo il giudizio degli uomini. |