La Filocalia |
La Filocalia rappresentò, quando uscì nel XVIII secolo, un evento importantissimo per la vita cristiana. Dinanzi al trionfare dell'illuminismo, segnò la scelta di tutta una Chiesa per la Rivelazione e la Tradizione autentica contro una visione di fede troppo intellettualistica e filosofica. Dio non è astratto; Egli si rivela e conversa con gli uomini nella nostra carne (Bar 3, 37); una realissima conoscenza e comunione con Lui è possibile. |
Come? Attraverso la
preghiera, e in special modo quel pregnante tipo di preghiera che è la preghiera di Gesù;
tale la tesi di fondo di questa ricca, sostanziosa e luminosa raccolta di
testi che vanno dal IV al XV secolo. Ma la « preghiera di Gesù » non è
qualcosa di a sé stante. Essa si basa sul mistero inconfondibilmente e
unicamente cristiano della incarnazione, che stabilisce nella persona del
Cristo - l'unione ineffabile fra Dio e la creatura. Gesù, cioè, in quanto
«consanguineo » con il credente, prega in lui, compiendo l'opera della
redenzione. Per questo La Filocalia inquadra
la « preghiera di Gesù » in un'ottica ampia, articolata e di grande
profondità, dominata da un costante richiamo alla sobrietà e all'ascesi:
tema, quest'ultimo, particolarmente attuale in un'epoca di spiritualità molte
volte epidermica. Riproposta oggi - epoca di confusione ideologica e
religiosa, e di paralisi della ragione - La
Filocalia può favorire quel fortissimo recupero di fede rigeneratrice da
tutti auspicato. |
La Preghiera di Gesù |
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La formula La preghiera di Gesù si
dice in questo modo: Signore Gesù Cristo, Figlio di
Dio abbi pietà di me, peccatore. In origine, la si diceva senza la parola peccatore; questa è stata aggiunta più tardi
alle altre parole della preghiera. Tale parola esprime la coscienza e la
confessione della caduta, che bene si applica a noi, come fa notare Nil Sorskij,
e piace a Dio, che ci ha comandato di rivolgergli preghiere con la coscienza
e la confessione del nostro stato di peccato Tenendo conto della
debolezza dei principianti, i Padri li autorizzano a dividere la preghiera in
due parti e dire talora: Signore Gesù Cristo, abbi pietà
di me, peccatore,
e talaltra: Figlio di Dio, abbi pietà di me
peccatore.
E’ solo un permesso, una concessione, e non è per nulla un
ordine o una prescrizione che si deve assolutamente osservare. E' molto
meglio infatti utilizzare costantemente la stessa formula per intero, senza
preoccuparsi di cambiarla, rischiando di distrarsi. Anche chi, a motivo della
propria debolezza, prova il bisogno di alternare le formule non deve
permettersi di farlo troppo spesso. Si può, per esempio, utilizzare una metà
della preghiera fino al pasto di mezzogiorno e l'altra metà nel seguito della
giornata. Gregorio Sinaita sconsiglia i
cambiamenti frequenti: "le piante continuamente trapiantate non mettono
radici". Istituita da Cristo Pregare facendo uso del Nome di Gesù è
un'istituzione divina: è stata introdotta non tramite un
profeta o un apostolo o un angelo, bensì dal Figlio stesso di Dio. Dopo
l'ultima cena, il Signore Gesù Cristo diede ai suoi discepoli dei
comandamenti e dei precetti sublimi e definitivi; fra questi, la preghiera nel suo Nome. Egli ha presentato
questo tipo di preghiera come un dono nuovo e straordinario, d'inestimabile
valore. Gli apostoli conoscevano già in parte la potenza del Nome di Gesù:
per suo mezzo guarivano le malattie incurabili, sottomettevano i demoni, li
dominavano, li legavano e li cacciavano. E' questo Nome potente e meraviglioso che il Signore comanda di utilizzare
nelle preghiere, promettendo che agirà con particolare efficacia. "Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio Nome",
dice ai suoi apostoli, "la farò, perché il
Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio Nome,
io la farò" (Gv 14.13-14). "In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa
al Padre nel mio Nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel
mio Nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena"
(Gv 16.23-24). Il Nome divino Che dono meraviglioso!
E’ il pegno dei beni eterni e infiniti. Esso proviene dalle labbra del Dio
che, pur trascendendo ogni imitazione, ha rivestito un'umanità limitata e ha
preso un nome umano: Salvatore. Quanto alla sua forma esterna, questo Nome è limitato; ma,
poiché rappresenta una realtà illimitata - Dio - riceve da lui un valore
illimitato e divino, le proprietà e la potenza di Dio stesso. "Generoso
donatore di un dono prezioso e incorruttibile! Come possiamo noi, miserabili
peccatori quali siamo, ricevere questo dono? Non le nostre mani, né la nostra
mente e neppure il nostro cuore ne sono capaci. Insegnaci tu stesso a
conoscere, nella misura delle nostre possibilità, la grandezza di questo
dono, il suo significato, e come bisogna riceverlo e farne uso, affinché non
ci avviciniamo a esso in modo indegno e subiamo un castigo a motivo della
nostra folle temerarietà, ma, grazie alla comprensione e all'uso corretto che
ne facciamo, possiamo ricevere da te gli altri doni che hai promesso e che tu
solo conosci. La pratica degli apostoli Negli Evangeli, negli
Atti e nelle Lettere noi vediamo la fiducia senza limiti che gli apostoli
avevano nel Nome del Signore Gesù e la loro infinita venerazione nei suoi
confronti. E' per suo mezzo che essi compivano i segni più straordinari. Certamente non troviamo nessun esempio
che ci dica in che modo essi pregassero facendo uso del Nome del Signore, ma
è certo che lo facevano. E come avrebbero potuto agire diversamente, dal
momento che tale preghiera era stata loro consegnata e comandata dal Signore
stesso, dal momento che questo comando era stato loro dato e confermato a due
riprese? Se la Scrittura tace a questo
proposito, è unicamente perché questa preghiera era di uso comune: non
v'era dunque nessuna necessità di menzionarla espressamente, dato che era ben
nota e che la sua pratica era generale. Un'antica regola Che la preghiera di
Gesù sia stata largamente conosciuta e praticata risulta chiaramente da una
disposizione della chiesa che raccomanda agli analfabeti di sostituire tutte
le preghiere scritte con la preghiera di Gesù. L'antichità di tale
disposizione non lascia spazio a dubbi. In seguito, essa fu completata per
tener conto della comparsa all'interno della chiesa di nuove preghiere
scritte. Basilio il Grande ha
steso quella regola di preghiera per i suoi fedeli; così, certuni gliene
attribuiscono la paternità. Senz'altro, però, essa non è stata né creata né
istituita da lui: egli si è limitato a mettere per iscritto la tradizione
orale, esattamente come ha fatto per la stesura delle preghiere della
liturgia. Quelle preghiere, che esistevano a Cesarea già fin dai tempi
apostolici, non erano scritte, ma si trasmettevano in forma orale, allo scopo
di proteggere quel grande atto liturgico dai sacrilegi dei pagani. I primi monaci La regola di preghiera
del monaco consiste essenzialmente nell'assiduità
alla preghiera di Gesù. E' sotto questa forma che tale regola viene data,
in maniera generale, a tutti i monaci; è sotto questa forma che è stata
trasmessa da un angelo a Pacomio il
Grande, vissuto nel IV secolo, per i suoi monaci cenobiti. In questa regola si parla
della preghiera di Gesù allo stesso modo in cui si parla della preghiera
domenicale, del salmo 50 e del simbolo della fede, cioè come di cose
universalmente conosciute e accettate. Quando Antonio il Grande, che visse fra il III e il IV secolo, esorta i
discepoli ad esercitarsi con il più grande zelo nella preghiera di Gesù, ne
parla come di qualcosa che non ha bisogno del minimo chiarimento. Le
spiegazioni relative a questa preghiera apparvero più tardi, a mano a mano
che se ne perdeva la conoscenza viva. Così, un insegnamento dettagliato sulla
preghiera di Gesù fu dato dai Padri del XIV e XV secolo, allorché la sua
pratica prese a scomparire anche fra i monaci. Testimonianze indirette Nei documenti dei primi
secoli del cristianesimo pervenuti fino a noi, la preghiera nel Nome di Gesù
non è trattata a parte, ma solo in connessione con altri temi. Nella Vita di Ignazio Teoforo, vescovo di Antiochia, che ricevette la corona
del martirio a Roma sotto l'imperatore Traiano, leggiamo quanto segue:
“Mentre lo si conduceva per essere consegnato alle bestie feroci, egli aveva incessantemente il
Nome di Gesù Cristo sulle labbra; allora i pagani gli
chiesero per quale motivo pronunciasse continuamente quel Nome. Il santo rispose che
aveva il Nome
di Gesù Cristo impresso nel cuore e che non faceva altro che
confessare con la bocca colui che sempre portava nel cuore.
Più tardi, dopo che fu divorato dalle belve, avvenne per volontà di Dio che
il suo cuore restasse intatto fra le ossa. Gli infedeli che lo trovarono si
ricordarono allora della sua risposta; tagliarono quindi il cuore in due
parti per verificare l’esattezza delle parole del santo. All'interno, sulle
due metà, trovarono un'iscrizione a caratteri d'oro: Gesù Cristo.
Così il santo martire Ignazio fu davvero, sia nel nome che
nella vita, un 'Teoforo' (nome che in greco significa 'Portatore di Dio'),
perché portava sempre nel cuore il Cristo-Dio, impresso dalla meditazione
continua del suo spirito, come se fosse stato inciso dalla penna d'uno
scriba”. Ignazio fu discepolo del santo apostolo ed evangelista Giovanni
Teologo ed ebbe nella sua infanzia il privilegio di vedere il Signore Gesù
Cristo. E’ lui il bambino di cui si parla nell'evangelo: il Signore lo pose
in mezzo agli apostoli che avevano discusso per sapere chi fosse il più
grande fra loro; dopo averlo abbracciato, Gesù disse loro: "In verità,
vi dico:se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non
entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo
bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli" (Mt l8.3-4) Non v'è dubbio che
l'evangelista Giovanni insegnò la preghiera di Gesù a Ignazio e che questi,
in quel periodo fiorente del cristianesimo, la praticava al pari di tutti gli
altri cristiani. In quel tempo tutti i
cristiani imparavano a praticare la preghiera di Gesù: anzitutto per la
grande importanza di questa preghiera, quindi per la rarità e il costo
elevato dei libri sacri ricopiati a mano e per il numero ridotto di quanti
sapevano leggere e scrivere (gran parte degli apostoli erano analfabeti),
infine perché questa preghiera è di facile uso e ha una potenza e degli
effetti assolutamente straordinari. Il pastore di Erma "Il Nome del Figlio di Dio",
disse un angelo a Erma, discepolo immediato degli apostoli, «è grande, infinito e regge tutto il mondo.
Se ogni creatura è sorretta dal Figlio di Dio, che ti pare di quelli che sono
chiamati da lui e portano il suo Nome e camminano nella via dei suoi
comandamenti? Vedi, dunque, chi sostiene? Quelli che con tutto il cuore
portano il suo Nome. Egli è divenuto il loro fondamento e li regge con amore,
poiché non si vergognano di portare il suo Nome. CallistratoNella storia della
chiesa troviamo questo racconto: "Un soldato di nome Neocoro, originario
di Cartagine, faceva parte della guarnigione romana che presidiava
Gerusalemme al tempo in cui il Signore nostro Gesù Cristo patì
volontariamente le sofferenze e la morte per la redenzione del genere umano.
Alla vista dei miracoli che si compirono al momento della morte e della
risurrezione del Signore, Neocoro credette nel Signore e fu battezzato dagli
apostoli. Finito il periodo di servizio, Neocoro ritornò a Cartagine e
comunicò il tesoro della fede a tutta la sua famiglia. Fra coloro che
accolsero il cristianesimo si trovava un nipote di Neocoro, Callistrato.
Quando raggiunse l'età richiesta, Callistrato entrò a far parte
dell'esercito. La guarnigione nella quale fu incorporato era composta di
idolatri che si misero a sorvegliare Callistrato, perché avevano notato che
non venerava gli idoli ma che, durante
le notti, faceva lunghe preghiere in un luogo solitario. Un giorno che
tendevano l'orecchio per cercar di afferrare quel che diceva, lo udirono ripetere
incessantemente il Nome del Signore Gesù Cristo
e lo denunciarono al comandante. Callistrato, che aveva confessato Gesù nella
solitudine e nell'oscurità della notte, lo confessò anche in pieno giorno,
pubblicamente, e suggellò la confessione versando il proprio sangue Uno scrittore del V
secolo, Esichio di Gerusalemme, si
lamenta già che la pratica di questa preghiera è andata fortemente in declino
fra i monaci. Col tempo, tale declino si accentuerà ulteriormente; così, i
santi Padri con i loro scritti si sforzarono di incoraggiare questa pratica.
L'ultimo in ordine di tempo a scrivere su questa preghiera fu il beato starec
Serafim di
Sarov. Lo starec non redasse lui stesso le Istruzioni, che apparvero sotto il suo nome, ma
esse furono messe per iscritto, a partire dal suo insegnamento orale, da uno
dei monaci che stavano sotto la sua direzione; esse portano chiaramente il
segno di un'ispirazione divina. Ai nostri giorni, la pratica della preghiera
di Gesù è quasi abbandonata da coloro che fanno vita monastica. Esichio cita
la negligenza come causa di tale abbandono; bisogna proprio riconoscere che
quest'accusa è giustificata. Il potere del Nome La forza spirituale
della preghiera di Gesù risiede nel Nome del Dio-Uomo, il nostro Signore Gesù
Cristo. Benché siano molti i passi
della sacra Scrittura che proclamano la grandezza del Nome divino,
tuttavia il suo significato fu spiegato con grande chiarezza dall'apostolo
Pietro dinanzi al sinedrio che lo interrogava per sapere "con quale
potere o in nome di chi" egli avesse procurato la guarigione a un uomo
storpio fin a a nascita. "Allora Pietro, pieno di Spirito santo, disse
loro: 'Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul
beneficio recato a un uomo infermo e in qual modo egli abbia ottenuto la
salute, la cosa sia nota a voi tutti e a tutto il popolo d'Israele: nel Nome di Gesù Cristo il Nazareno,
che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta
innanzi sano e salvo. Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi,
costruttori, è diventata testata d'angolo. In nessun
altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il
cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati"'
(At 4.7-12) Una tale testimonianza viene dallo Spirito santo: le labbra, la
lingua, la voce dell'apostolo non erano che strumenti dello Spirito. Un altro strumento
dello Spirito santo, l'apostolo dei gentili, fa una dichiarazione simile.
Egli dice: "Infatti, chiunque invocherà il Nome
del Signore sarà salvato" (Rm 10.13). "Gesù Cristo umiliò se
stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo
Dio l'ha esaltato e gli ha dato il Nome che è al
di sopra di ogni altro nome; perché nel Nome di
Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra"
(Fil 2.8-10). (estratto
dal libro di I. Brjancaninov: Preghiera e lotta spirituale, ed
Gribaudi). |