Il Libro dei Libri
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Tratto da : Il racconto della Bibbia di P. Bargellini
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Una Biblioteca
« La Bibbia, — scrisse
Giovanni Papini, — non è un libro, ma una biblioteca. Chi ha letto la Bibbia
ha letto il mondo, superiore e inferiore; chi ha compreso la Bibbia sa quello
che gli Angeli rammentano e i Santi indovinano. Dalle Tavole del Sinai alle
Beatitudini del Monte, quel tanto di sapienza celeste che poteva essere
tradotto in parole terrestri è consegnato e miracolosamente serbalo in questo
libro, che rappresenta, anche come opera visibile, una delle forme di Cristo;
l'unione di Dio e dell'Uomo; lo spirito che ispira e lo scriba che scrive ». Perciò, colui che fu
grande divoratore di libri, concludeva : « La lettura della Bibbia dovrebbe
far parte della nostra refezione spirituale quotidiana. Gli altri libri
possono essere anche più saporosi al primo gusto, ma la Bibbia è il pane, il
secondo pane, dopo quello che Cristo offre ogni giorno, alla nostra
languidezza ». Un pane di crosta dura,
di midolla forte, che potrebbe spezzare i denti e ferire le gengive ad un
malcauto divoratore. Da ciò le opportune cautele, i necessari commenti, per
evitare disgusti e addirittura avvelenamenti. Noi cercheremo di
sminuzzare questo pane, senza togliergli il suo originale sapore e soprattutto
senza diminuirlo di potere nutritivo. Il nostro non sarà un
commento erudito o un trattato dottrinale,ma un racconto spiegato secondo i
più recenti studi, senza nessuna pretesa d'originalità, pronti a correggere
dove si fosse caduti in errore. E cominciamo dal titolo
di Bibbia, derivato dal greco e che vuol dire « libri », al plurale, e
attraverso il latino, nelle lingue moderne, ha preso il senso di «libro» al
singolare: il libro per eccellenza Bibbia in italiano; Bible in
francese; Biblia in spagnolo; Bible in inglese; Bibel in
tedesco. Nome più proprio sarebbe quello di Scritture, sempre al
plurale, che per lo stesso procedimento è diventato Scrittura, al singolare. Scrittura, anche in
questo caso, per eccellenza, perché ispirata direttamente da Dio. Il termine poi di
Testamento traduce una parola greca corrispondente a un termine ebraico, che
significa patto o meglio alleanza: nel caso preciso, alleanza di Dio
con Abramo e col popolo eletto. « Non temere Abramo, — dice il Signore al padre di tutti i credenti,
— io sono il tuo protettore e la tua mercede sarà grandissima ». « In questo giorno, — è
scritto nella Genesi, — il Signore strinse alleanza con Abramo ». La storia di questo «
patto », di questa « alleanza » è narrata nell'Antico Testamento, che per
gl'Israeliti va dal libro della Genesi alle Cronache (in tutto
39 libri), e per i Cristiani dal libro della Genesi a quello di Malachia
(46 libri, cioè 7 in più, composti in lingua greca). Ma un « patto », dice
San Paolo, non può essere stretto che nel sangue. « Infatti, — egli aggiunge, — quando Mosè ebbe esposto
al popolo tutti i precetti della legge, prese del sangue di vitelli e di
capri. Con acqua, lana scarlatta e issopo asperse il libro stesso e tutto il
popolo, dicendo : " Questo è il sangue dell'alleanza,
che Iddio ha stretto con noi " ». Con la venuta del
Cristo, fu stretto un nuovo patto, e l'alleanza venne rinnovata nel sangue,
non più di vitelli e di capri, ma della Vittima divina. «Per questo, — dice
ancora San Paolo, — Gesù è mediatore d'un nuovo patto, affinché, avvenuta la
sua morte, per redimere i trascorsi commessi sotto l'antico patto, i chiamati
ricevano l'eredità eterna loro promessa ». San Paolo da al termine Testamento
il significato corrente di un libero lascito, col quale viene assegnata una «
eredità ». Egli aggiunge: « Un testamento è valido soltanto dopo la morte del
testatore, e non ha alcuna forza fino a che egli è in vita ». Il Nuovo Testamento ebbe
dunque valore dopo il sacrificio del Cristo, e nella scrittura comprende i
quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli, le Lettere di
San Paolo, di San Giacomo, di San Pietro, di San Giovanni e di San Giuda.
Infine, il libro profetico dell’Apocalisse. Tutti e due insieme, l'Antico
e il Nuovo Testamento formano la Bibbia, cioè la biblioteca di
Dio e degli uomini; il deposito dei testi nei quali è fermato il patto ed è
narrata l'alleanza suprema di Dio, il testamento, che assicura all'uomo
l'eredità eterna dei cieli. |
I Settanta La Bibbia, il
libro per eccellenza, è stato anche definito « la lettera di Dio agli uomini
». Una lunga lettera ora narrativa e ora esortativa; ora lirica e ora
imperativa; ora idillica e ora drammatica; ora allusiva e ora esplicita, ma
sempre significativa e sublime. Una lettera, per venire
intesa, deve essere scritta in maniera leggibile, come un patto deve essere
redatto in termini precisi, e un testamento deve essere formulato in una
lingua ben nota. Non solo. Allorché viene
stretto un patto tra due persone di diversa condizione; quando viene
stipulata un'alleanza fra due potenze di varia misura; quando un mittente
verga una lettera per un corrispondente d'inferiore levatura, la lingua usata
è quella del minore e del più basso, il quale altrimenti non sarebbe in grado
né d'intendere né di valutare le parole del patto, del testamento o della
lettera. Poiché il patto
d'alleanza veniva stretto da Dio col popolo eletto d'Israele, e la lettera
testamento era diretta ai discendenti d'Abramo, la Bibbia, nella parte
dell'Antico Testamento (a eccezione, come vedremo, dei due libri dei Maccabei
e del libro della Sapienza) venne scritta in ebraico. Dio ispirò gli « scribi
», chiamati « agiografi » cioè scrittori sacri, i quali si servirono di mezzi
materiali, cuoio, papiro, calamo, inchiostro, i quali, essendo fragili e poco
durevoli, furono distrutti dal tempo. Come del resto tutte le
altre opere dell'antichità, nessun libro della Bibbia ci è pervenuto «
autografo », cioè scritto dalla mano dell'autore ispirato da Dio. Ci sono
invece pervenute le copie successive, le quali sono tante, di cosi diversa
provenienza, tanto antiche e così concordi da dare la sicurezza morale della
fedeltà al testo primitivo. Gli autori ispirati
dell’Antico Testamento, scrivendo in lingua ebraica, usarono i
cosiddetti caratteri fenici (alcuni frammenti di copie antichissime
presentano questi caratteri). Poi le copie dei testi
sacri vennero tratte nella scrittura ebraica, detta «quadrata » dalla forma
delle lettere. Alcuni libri furono
redatti in aramaico, cioè nella lingua « moderna » degli Israeliti, quando
l'ebraico antico non era più usato e veniva compreso soltanto dai sapienti e
dai sacerdoti. Poi fu la volta della
lingua greca, quando nel mondo ellenizzato si diffuse la cultura e il linguaggio
d'Atene. Furono gi Israeliti, che
numerosissimi vivevano nella nuova città d'Alessandria d'Egitto, nel III
secolo prima di Cristo, i quali, non essendo più in grado di capire i testi
della loro Legge, diedero incarico ad alcuni sapienti di tradurre in greco i
primi cinque libri della Bibbia. Attorno a questo fatto
nacque una specie di leggenda, che merita il conto di rievocare. Si disse che Tolomeo
Filadelfo. re dell'Egitto, desiderando avere nella famosissima biblioteca
d'Alessandria una copia della Bibbia tradotta nella lingua ufficiale
del suo regno, chiamò da Gerusalemme 72 dotti israeliti, i quali in 72 soli
giorni tradussero in greco tutto l’Antico Testamento. La leggenda ha veramente del fantastico specialmente riguardo
all'ordine di lavoro che avrebbero seguito i traduttori. Essi, infatti, secondo
la leggenda, non si sarebbero divisi il compito,traducendo ognuno una parte
del testo e ricomponendo poi in una specie di grandioso mosaico l'intera
opera redatta in greco, ma avrebbero tradotto, ognuno per proprio conto,
tutta l'opera intera, in 72 giorni. Nel confrontare poi le
72 traduzioni, quei 72 prodigiosi traduttori avrebbero avuto l'incredibile
sorpresa di vedere come tutti i 72 testi greci fossero perfettamente uguali,
costrutto per costruito,parola per parola, accento per accento. In realtà, la traduzione
greca dei primi cinque libri della Bibbia fu eseguita da vari autori,
diversamente dotati. Ebbe grande importanza e il nome di «Settanta » venne
poi esteso anche ai traduttori in greco degli altri libri. E col nome di Settanta è ancora indicato, nel suo complesso, il testo greco della Bibbia : la più gloriosa tra le antiche versioni, mediante la quale il libro dei libri, la lettera di Dio agli uomini, fino allora rivolta soltanto al popolo eletto degli Israeliti, veniva resa accessibile a tutti i popoli di cultura greca alessandrina. |
La Volgata Settantadue sapienti, in
soli 72 giorni, avrebbero tradotto, secondo la leggenda, il testo della
Bibbia in lingua greca. Un Santo solo, in tutta
la sua aspra vita, tradusse il medesimo testo in lingua latina. Già prima della
traduzione dei Settanta si erano avute versioni in aramaico, cioè in ebraico
moderno, grazie alle quali anche gl'Israeliti men dotti potevano comprendere
la Sacra Scrittura. In seguito vennero fatte
versioni in lingua siriaca, in lingua copta, in lingua etiopica, in lingua
armena, in lingua georgiana ed anche in lingua araba. Ma la traduzione in
lingua greca rimase sempre la più importante nel mondo dominato dalla cultura
ellenistica. Per quanto compilata nel
III e II secolo avanti Cristo, essa fu considerata dalla Chiesa cristiana «versione
principe » del libro dell'antica alleanza. Molti studiosi cristiani si
dedicarono però a controllarne il testo e a correggerne gli eventuali errori,
confrontandolo con l'originale ebraico. Tra questi, Origene
d'Alessandria, grandissimo erudito e oceanico scrittore, compose un'opera
veramente poderosa, chiamata Esapla, cioè «sestupla»; perché
allineava, una accanto all'altra, sei colonne, contenenti il testo in lettere
ebraiche, lo stesso testo in lettere greche, e quattro delle migliori
versioni greche, in modo da potere confrontare rigo per rigo, parola per
parola, le diverse espressioni. Greca fu dunque la
versione della Bibbia, nell’Antico e nel Nuovo Testamento,
accettata e usata dai cristiani nei primi secoli della Chiesa. Il greco e non
il latino fu infatti, almeno fino al III secolo, la lingua ufficiale della
Chiesa e della liturgia, non soltanto in Oriente, ma anche a Roma. Ma, come era accaduto
agii Israeliti, giunse un momento nel quale i Cristiani dell'Impero romano,
appartenenti a un mondo completamente latinizzato, non comprendevano più la
lingua greca o la capivano a stento. Si sentì allora bisogno
d'una nuova traduzione della Bibbia, e questa volta in lingua latina. A partire dal II secolo
si ebbero così varie e parziali traduzioni in latino popolare, fino a che il
Papa Damaso non dette al grande erudito dalmata San Girolamo il compito di
una nuova traduzione, tratta direttamente dal testo ebraico. Nato a Stridone, tra il
340 e il 350, colui che venne poi chiamato « il leone della Dalmazia », si
nutrì, a Roma, di letteratura classica, tanto da sentirsi in sogno
rimproverare : « Tu non sei cristiano, ma ciceroniano ». Si gettò allora con
bramosia sulle pagine dei Profeti, sui salmi di David, nutrendosi unicamente
col midollo delle Sacre Scritture. Aspro di carattere,
impulsivo e polemico (la iconografia lo rappresenta penitente tra rocce
spigolose, nell'atto di percuotersi il magro petto con una pietra, in
riparazione dei suoi peccati di presunzione) alla morte del Papa Damaso fu
costretto ad allontanarsi da Roma, trasferendo il suo studio di grande
erudito e di scrittore polemico presso la grotta di Betlem. « In questa piccola
grotta, — egli scriveva, — nacque il creatore del cielo. Qui egli fu avvolto
nei panni; qui veduto dai pastori; qui mostrato dalle stelle; qui adorato dai
Magi ». Un suo discepolo lo
descrisse così; « Sprofondato nell'esame dei libri sacri, non si dette riposo
né giorno né notte, continuamente occupato nel leggere e nello scrivere ». Amava la Scrittura come
lo stesso Gesù, annunziato e prefigurato dai Patriarchi e dai Profeti, e il
suo amore cocente, geloso, intransigente e quasi esclusivista lo sostenne
nell'immane lavoro, condotto fino alla morte, che lo fece stramazzare sulle
pagine della Scrittura nel 420. Dalla grotta di Betlem,
o meglio, dalla spelonca del leone di Dalmazia uscì la traduzione della
Bibbia, detta Volgata, cioè d'uso comune. Via via che il testo di
San Girolamo veniva « divulgato », suscitava, com'era prevedibile, critiche,
alle quali il santo battagliero e indomabile rispondeva violentemente. Molti preferivano la versione dei Settanta; altri, le volgarizzazioni latine precedenti. San Girolamo difendeva
la sua Volgata, cosciente della serietà del suo lavoro, che gli valse,
nei secoli successivi, il titolo di « Dottore massimo dell'Esegesi biblica ». E 1200 anni dopo la sua
morte, la sua grande opera di traduttore veniva consacrata dal Concilio di
Trento, dove la Volgata, dichiarata « autentica », era posta
sull'altare come il testo sicuro della verità rivelata. « Autentica » in quanto,
nonostante le fatali imperfezioni, si era dimostrata sostanzialmente fedele
alla Scrittura, offrendo alla Chiesa un testo sicuro di fede e di morale. |
La Maestra di lingue Quando San Girolamo,
chiuso nella grotta di Betlem, in compagnia di un fulvo leone (com'è
raffigurato dagli artisti) compiva la sua traduzione della Bibbia, il latino
era ormai la lingua ufficiale di tutto il mondo civile. Si poteva andare dalla
Scozia all'Egitto, dal Portogallo alla Persia, dal Mar Nero al Marocco senza
bisogno né dì un passaporto né di conoscere le varie lingue dei paesi
attraversati. Così, come nei confini del vasto Impero ogni nato libero era
cittadino romano, la lingua ufficiale di tutti i popoli soggetti all'autorità
di Roma era sempre e soltanto il latino. Senza passaporto, senza
bisogno di traduzioni o di spiegazioni, la versione latina della Bibbia,
o Volgata, si diffuse perciò rapidissima in tutte le province
dell'Impero. Tra i numerosissimi codici della Volgata che risalgono
agli ultimi secoli dell'Impero, ci sono quelli ritrovati tra le sabbie
dell'Africa e quelli conservati tra le nebbie della Scozia, identici nelle
caratteristiche linguistiche del testo. Ma si sa come, nel dissolversi
dell'Impero e nell'incontro tra la lingua latina con gli idiomi dei popoli
barbarici, sorgessero nel Medioevo i diversi «volgari» europei, cioè le
lingue neolatine del provenzale, del francese, del castigliano, del
portoghese e infine dell'italiano, il volgare più vicino alla lingua madre. Ancor prima che ciò
avvenisse, nei secoli più oscuri del primo millennio, altre lingue
indipendenti dal latino si divisero la supremazia in varie parti dell'antico
Impero: il goto, l'anglosassone, l’arabo, il germanico, lo slavo. Si capisce dunque come
si sentisse il bisogno di tradurre la Bibbia, quasi sempre dalla Volgata
di San Girolamo, nelle nuove lingue barbariche e in quelle neolatine. Si
ebbero così versioni arabe, germaniche, georgiane. Quella gotica, antichissima,
fu opera del Vescovo Ulfila; quella slava, dei Santi Evangelizzatori della
Russia e inventori dell'alfabeto slavo, i fratelli Cirillo e Metodio. La
traduzione in anglosassone venne compiuta da Caedmon, padre della poesia
religiosa inglese. Ovunque sorgesse una
nuova lingua, ovunque si profilasse una nuova letteratura, si trovava anche
una Bibbia, o in forma di traduzione, o di riduzione, o di adattamento. Ogni
popolo moderno ha avuto la Bibbia come propria murice linguistica; ogni
storia letteraria ha il libro sacro come capostipite e ispiratore. Avveniva
anzi che il dialetto giudicato degno di dar forma ad una nuova versione della
Bibbia assumesse per questo stesso fatto dignità di lingua. Il libro dei
libri, insomma, diffondeva la lingua, insegnando a scrivere e a parlare. Dopo il Mille,
cominciarono ad apparire versioni o riduzioni della Bibbia nelle lingue «
volgari » neolatine : in francese, in provenzale, in castigliano, in
catalano, in portoghese. In Italia, le più antiche
che si conoscano risalgono al Duecento, cioè, anche in questo caso, agli
albori della nostra letteratura. Prima ancora che Dante Alighieri nobilitasse
il volgare toscano con la sua poesia, cominciarono a circolare parziali
versioni della Bibbia, in volgare toscano o veneziano. Si trattava più che
altro di parafrasi dei Vangeli, per uso dei fedeli e dei maestri di
catechismo. Ma furono poi i frati
degli ordini mendicanti, Francescani e Domenicani, i quali, nel Trecento,
diventati maestri del popolo minuto, diffusero la Bibbia tra coloro che non
sapevano più leggere il latino. Ed ecco i nomi, noti in
tutte le storie non tanto religiose quanto letterarie, di fra Domenico
Cavalca, di fra Iacopo Passivanti, di fra Iacopo da Varigine: deliziosi
volgarizzatori, non sistematici, ma occasionali, dei vari libri della Bibbia,
nella lingua cosiddetta del « buon secolo », fresca e colorita, spontanea e
gustosa. Era una lingua che aveva
movenze popolaresche e schietta forza d'invenzione, con un vocabolario colto
dal vivo linguaggio del tempo, sulla bocca stessa del popolo al quale i
religiosi si rivolgevano. Oggi, quei
volgarizzamenti fanno parte del patrimonio letterario italiano come testi di
lingua purissima al pari di acqua sorgiva. E per quanto non abbiano più valore scritturale, non bisogna dimenticare che fu proprio su quelle pagine che i nostri antichi progenitori impararono, oltre che a scrivere e parlare, ad amare la Sacra Scrittura e ad osservarne gli insegnamenti, nella vita privata e nel costume civile. |
La Bibbia dei poveri Per quanto i nuovi
Ordini religiosi, mendicanti e predicatori, cercassero di diffondere in mezzo
al popolo i loro « volgarizzamenti », non tutti, anzi pochissimi, erano in grado
di leggere direttamente quei testi manoscritti e quindi di limitata
circolazione. Inoltre i fedeli, ai
quali i nuovi Ordini « fratescamente », cioè fraternamente, si rivolgevano,
contadini, artigiani, mercanti, « popolo minuto », si dicevano ed erano
normalmente « idioti ». Ma il titolo d'idiota
non aveva nulla di dispregiativo, nel senso che noi oggi diamo a questa
parola. Significava « uomo privato », non appartenente a un ordine o ad una
casta elevata, e quindi « profano », privo di particolare istruzione
intellettuale, dedito alla vita pratica e non contemplativa. Per questi « idioti »,
ma non sciocchi, anzi intelligentissimi; per questi « profani», ma non indifferenti, anzi desiderosi
d'istruirsi; per questi «analfabeti», non per malavoglia, ma per condizione
sociale, i Francescani e i Domenicani ricorsero al linguaggio figurativo
dell'arte. Chiamarono nei loro
conventi e nelle loro chiese numerosissimi artisti, in prevalenza pittori, ai
quali affidarono il compito di tradurre la Bibbia in immagini, come in tanti
fumetti, cioè in tante scene successive, dalla Creazione del mondo al Giudizio
Universale. I traduttori di questa Bibbia,
detta « dei poveri », perché ad uso degli idioti e degli analfabeti, portano
il nome di Giotto, di Taddeo Gaddi, di Andrea Orcagna, di Duccio di
Buoninsegna e di tanti altri che ricoprirono di splendidi affreschi le mura
dei conventi e delle chiese, con l'intento di offrire al popolo dei fedeli
una traduzione figurata della Bibbia, di facilissima e appassionarne lettura.
Essi avevano la
coscienza del loro meritevole lavoro, tanto è vero che nel Brieve
dell'arte dei pittori senesi, datato nel 1355, potevano scrivere: «Noi
siamo, per la grazia di Dio, manifestatori agli uomini grossi, che non sanno
lectere, de le cose mirabili operate per virtù de la santa fede ». Tutta la gloriosa
tradizione pittorica dell'arte moderna occidentale nacque perciò dalla
Bibbia, anzi non fu che la traduzione figurativa della Bibbia, nei suoi
momenti salienti e nei personaggi più imponenti, Patriarchi e Profeti,
Giudici e Re, Apostoli e Santi, senza parlare del Cristo e della Vergine,
figure centrali verso le quali tutta la Sacra Scrittura convergeva. Ma quando nelle nostre
chiese e nelle nostre gallerie ammiriamo le opere d'arte suscitate dalla Bibbia
e della Bibbia diretta raffigurazione, dobbiamo pensare a un maestro,
cioè al monaco e più specialmente al frate, esperto di Sacre Scritture, che
guidò il pennello dell'artista umile e obbediente, il quale dipingeva, non
secondo la propria fantasia, ma seguendo le indicazioni e gli insegnamenti
del maestro dotto. Accadeva anche che i
fedeli, in ammirazione stupita e curiosa delle pitture murali, leggessero per
proprio conto le dipinte figurazioni. Essi, non conoscendo la storia sacra,
erano incapaci di interpretare quegli artistici fumetti. Ci voleva un
interprete addottrinato, che facesse loro capire ciò che gli episodi dipinti
o scolpiti rappresentavano, illustrando autorevolmente le figurazioni
bibliche. Fino da allora, dunque,
anche per quelle volgarizzazioni dipinte, per quelle « Bibbie dei poveri », cosi semplici,
immediate ed esplicite, era necessaria un'interpretazione che soltanto i non
profani, cioè i non idioti commentatori potevano fare. Ed erano i monaci e i
frati, maestri nella dottrina, e quindi guide sicure nell'arte per il popolo
minuto. |
I Testi stampati Tutti sanno come l'invenzione
dei caratteri mobili provocasse grandi effetti nel campo della cultura. Fino a! Quattrocento i
libri venivano copiati da pazienti e abili amanuensi, cioè copisti a mano,
che scrivevano in bellissimi caratteri, impreziosendo le pagine con iniziali
ornate ed anche con squisite miniature. I signori erano
orgogliosi di possedere codici scritti a mano, e uno degli ultimi « cartolari » ci fa sapere come Federico
di Montefeltro, Signore d'Urbino, sì vantasse d'avere nella propria
biblioteca soltanto libri scritti a mano, già nel tempo in cui circolavano le
prime edizioni a stampa, che però i bibliofili consideravano cose vili,
indegne di figurare in una libreria di qualche valore. Il merito
dell'invenzione della stampa, o meglio dell'adozione del caratteri mobili per
la stampa, viene attribuito a Giovanni di Gutenberg, da Magonza, per quanto
il suo nome non si trovi scritto in nessuno dei primi « incunaboli ». Il nome d'incunabolo
deriva da « cuna » o « culla », perché fu in quei primi volumi che la stampa
quasi vagì in culla, come una giovane creatura. Ma quali furono i primi
libri stampati con i caratteri mobili? Che cosa portarono impresso i primi
incunaboli? Non deve meravigliare il fatto che il primo incunabolo sia stato
quello de! « libro dei libri », cioè della Bibbia. L'unica maniera per dare alla nuova invenzione il crisma
della nobiltà e addirittura della santità, consisteva nello stampare, non le
parole degli uomini, ma le parole di Dio, Abbiamo già visto come i
pittori del Trecento non avessero che un compito: quello di raffigurare la
Bibbia. Ora vediamo come i primi stampatori del Quattrocento si prefiggessero
come primo scopo della loro attività quello di stampare la Bibbia. Si crede perciò che il
primo libro stampato coi caratteri mobili, a Magonza, tra il 1450 e il 1455,
fosse la Bibbia detta di Mazzarino, perché ritrovata nella biblioteca
di quel celebre Cardinale, ministro di Francia. Anche in Italia, dove
due tedeschi avevano impiantato una stamperia nell'antico e glorioso
monastero di Subiaco, il primo libro stampato, nel 1463, fu la Bibbia
latina. E due edizioni della Bibbia in volgare furono fatte a
Venezia, nel 1471. La riforma luterana
approfittò della stampa per diffondere edizioni della Bibbia con
interpretazioni non accettate dalla Chiesa. Sorse allora più urgente
che mai la necessità di sottoporre la pubblicazione della Bibbia ad
una revisione ecclesiastica, che ne garantisse una interpretazione
dottrinalmente ponderata. La questione della retta
interpretazione del testo biblico non era nuova. Già a suo tempo, San
Girolamo si sdegnava che i libri della Rivelazione venissero abbandonati alla
lettura e al commento di gente non sufficientemente preparata. « I contadini, i
muratori, i fabbri, i falegnami, i tessitori, - scriveva il grande erudito
penitente, — senza un insegnante non possono riuscire ad imparare il loro
mestiere. La sola arte della Scrittura sembra non avere bisogno di maestri». « La nonnetta
chiacchierona, il vecchio rimbambito, il cavillatore parolaio, e tutti
quanti, l'insegnano senza prima averla imparata, lacerandola miseramente. Con
una certa facilità di parola e con audacia, essi spiegano agli altri ciò che
non hanno capito ». Per evitare che
cadessero nelle mani dei fedeli traduzioni e commenti settari o semplicemente
tendenziosi, nel 1550 un decreto della Congregazione dell'Indice stabiliva
che per la lettura della Bibbia volgare occorreva un particolare
permesso scritto. Nel 1757, il Papa
Benedetto XIV modificava quella norma e permetteva a tutti la lettura della
Bibbia tradotta, a condizione che le versioni in volgare fossero approvate
dalla Santa Sede o pubblicate sotto la sorveglianza dei Vescovi. La Bibbia poteva così entrare in ogni casa, portando a tutti gli uomini, senza pericolo di errate interpretazioni, la parola di Dio espressa nella lingua più cara e familiare. |
I veicoli della parola Con un gesto
semplicissimo, quello di aprire un libro, noi possiamo leggere in qualsiasi
momento un testo che risale, per l’ Antico Testamento, dai 30ai 20
secoli fa, e per il Nuovo a circa 19 secoli or sono. Chi ci assicura che
questo testo sia restato lo stesso attraverso tale abisso di secoli? Chi ci
garantisce, non diciamo l'originalità, ma almeno l'esattezza e la precisione
del testo biblico, da come e stato redatto a come noi oggi lo leggiamo? Il problema dei
documenti per mezzo dei quali il testo biblico e giunto fino a noi, e quello
della loro fedeltà, è dunque importantissimo, anche se non unico ed esclusivo
della Sacra Scrittura. Si sa infatti che nessun’opera antica e giunta fino a
noi nel testo originale. C'è sempre una lacuna,
più o meno vasta, tra l’opera come fu scritta dall'autore e quella che noi
oggi conosciamo. Il libro è un oggetto materialmente
fragilissimo. Tutta la sapienza e la letteratura dell'antichità classica non
sarebbe giunta fino a noi, attraverso la crisi della civiltà latina e la
dissoluzione dell'Impero romano, se i libri che la contenevano, o almeno
molti di essi, non ancora andati definitivamente perduti, non fossero stati
pazientemente ricopiati in nuovi e più resistenti volumi, quasi sempre ad
opera dei monaci cristiani del Medioevo, e conservati nelle biblioteche
monastiche. Sono i cosiddetti «
codici » manoscritti, che formano il prezioso veicolo, grazie al quale gli
antichi volumi sono giunti fino a noi, non in originale, ma in copia più o
meno conforme. Di alcune opere antiche
esiste un solo codice. Nella celebre Biblioteca Laurenziana di Firenze, si
conserva per esempio l'unico codice degli Annali dello storico latino
Tacito e l'unico codice dei Tragici greci. Sono codici che risalgono
ad un'epoca abbastanza tarda, al IX o X secolo. Nonostante ciò, nessuno
studioso dubita dell'attendibilità o della storicità di quei testi. Molte altre opere
contano diversi codici, e alcune ne vantano un numero elevatissimo. Nella
letteratura greca, la più fortunata è l’Iliade, con 190 codici; in
quella latina, l'Eneide, con 100 codici. Il più antico di questi
ultimi dista diversi secoli da Virgilio; il più antico dell’Iliade,
quasi mill'anni dal tempo in cui sarebbe vissuto Omero. Nonostante ciò, non e
possibile alcun dubbio sull'esattezza e sulla fedeltà del lesto di queste
opere famosissime. Chi volesse avanzare
dubbi — come in passato è avvenuto — sulla fedeltà del testo della Bibbia,
e in particolare del Vangelo, come noi oggi lo conosciamo, si troverebbe in
un serio imbarazzo. I codici della Bibbia sono infatti parecchie
migliaia. Quelli del Nuovo Testamento soltanto superano la cifra
incredibile di 4000! E’ un vero e proprio oceano di antichi documenti, più
vasto di quello che potrebbero formare, tutte insieme, le altre opere della
letteratura antica. E’ vero che per l’Antico
Testamento i codici più antichi restano a molti secoli di distanza
dall'epoca della presumibile stesura. Ma confrontandoli fra loro, si vede
come le differenze e le varianti siano praticamente inesistenti. Si può
dedurre che questa fedeltà alla parola divina, documentata per i secoli più
vicini a noi, si estenda anche ai secoli da noi più lontani, durante i quali
generazioni di scribi trasmisero scrupolosamente e fedelmente il testo del
libro Sacro. Per il Nuovo
Testamento, anche l'antichità dei codici ha del miracoloso. Alcuni di
essi, bellissimi, chiarissimi, completissimi, giungono all'inizio del IV
secolo dopo Cristo, cioè a meno di tre secoli dall'epoca evangelica, un salto
più breve che per qualsiasi altra opera ! E dove non giungono i
codici, giungono le citazioni degli antichi scrittori, con la somma delle
quali si potrebbe facilmente ricostruire l'intero testo evangelico. Oricene,
per esempio, morto nel 248, lo cita 18.000 volte, e Clemente Romano lo cita
già nell'anno 94, quando ancora, cioè, era probabilmente vivo l'Evangelista
Giovanni. E più in la delle
citazioni, giungono le scoperte archeologiche, specialmente di papiri
egiziani, il più antico dei quali è del II secolo, e riporta un brano del
Vangelo di San Giovanni che, scritto per ultimo, si porrebbe dire fresco
d'inchiostro al tempo in cui fu copiato sul papiro. Tutti i codici, tutte le
citazioni, tutti i frammenti archeologici, dimostrano che il testo biblico,
nonostante innumerevoli varianti di minima importanza, è restato
sostanzialmente invariato attraverso l'abisso dei secoli. Noi possiamo esser certi
che la parola di Dio, la parola di Gesù, quale oggi l'ascoltiamo, e restata
quella stessa dettata ai nostri antichissimi padri, in terre lontane, in
millenni tramontati. |
L’ archeologia biblica Da poco più di un
secolo, una nuova scienza si è aggiunta alle altre scienze: quella
dell'archeologia biblica, che si propone il reperimento e lo studio di tutto
il materiale storico avente attinenza col racconto biblico. Gli archeologi hanno
perciò affondato il loro piccone nel terreno nel quale visse il popolo
d'Israele, o nei paesi limitrofi coi quali Israele ebbe relazioni. Si sono
rimesse alla luce le mura d'antiche città scomparse e si è frugato negli
strati più profondi di quelle ancora esistenti. Si sono interrogate le
pietre, decifrate le iscrizioni, dissotterrati i documenti. Dopo che tanti
interpreti avevano vagliato, studiato e discusso sulle parole della Bibbia,
gli archeologi han cercato di far parlare le cose inanimate : un tratto di
lastricato, un coccio, una colonna, un mattone. C'era bisogno di tanta
fatica? « Perché affannarsi tanto in quelle lontane, inospitali e pericolose
contrade? — si chiedeva il professore Federico Delitzsch, di
Berlino —. Perché questo costoso frugare in macerie millenarie, scavando fin
nell'acqua sotterranea, in luoghi dove non c'è da trovare ne oro ne argento?
Perché questa lotta tra le nazioni per contendersi queste squallide colline da
destinare agli scavi? » Non certo per la fede,
perché la parola della Bibbia, ritenuta ispirata dalla Chiesa, non ha
bisogno, per chi crede, di conferme archeologiche, e la scienza ha soltanto
un valore relativo dinanzi alla religione, che ha valore assoluto. Nonostante ciò, è
confortante notare come cento e più anni di archeologia biblica non abbiano
fatto che confermare il racconto del libro dei libri, il quale ha dimostrato
d'essere, anche in senso scientifico, il libro della verità. Ai nostri tempi ha avuto
largo successo un libro, tradotto in sedici lingue e venduto a milioni di
copie, dove lo scrittore Werner Keller ha riassunto in maniera accessibile a
tutti i risultati dell'archeologia biblica, Nato nel 1909, Werner
Keller studiò a Zurigo, Ginevra e Jena, prima di dedicarsi al giornalismo. «
Nel 1950, — egli scrive, — mi capitarono tra le mani i rapporti della
spedizione dell'archeologo francese professor Parrot e del suo connazionale
professor Schaeffer, sugli scavi di Mari e di Ugarit... Quelle notizie, che
mi sia lecito chiamare sensazionali data l'importanza culturale delle
scoperte, uscitarono in me il desiderio di occuparmi più a fondo
dell'archeologia biblica, il più recente eppure così poco conosciuto campo
d'indagine dell'antichità », Le porte d'accesso al
mondo storico dell’ Antico Testamento erano state aperte soltanto nel
1843 dall'archeologo Paolo Emilio Botta, il quale, scavando in Mesopotamia,
si era trovato ad un tratto dinanzi ai rilievi del Re Sargon II, ricordato
dalla Bibbia come uno dei più implacabili nemici de! popolo d'Israele. Da quel tempo, studiosi
di tutto il mondo, in Mesopotamia, in Palestina, in Egittp, in Medio Oriente,
riportarono alla luce documenti archeologici importantissimi, che
direttamente o indirettamente si riferivano al racconto biblico. Fino allora, come scrive
il Keller, « la Bibbia era stata considerata esclusivamente come la
storia della salvazione, il pegno della fede per i cristiani di tutto il
mondo ». Era stata cioè studiata e interpretata soltanto dal lato religioso e
teologico, che è e rimane il lato più importante e preponderante. Ora però anche dal lato
scientifico la Bibbia si rivelava un libro di avvenimenti storici,
annotati con precisione addirittura sbalorditiva e che il piccone
dell'archeologo e l'esame dell'erudito confermavano puntualmente. Era cosi possibile,
raccogliendo il materiale studiato in libri scientifici, dare un panorama
quasi completo dei risultati conseguiti in un secolo di scoperte e di studi,
come infatti ha potuto fare Werner Keller. « Durante la raccolta e
l'elaborazione del materiale, — egli scrisse, —- mi venne l'idea che fosse
ormai tempo di rendere partecipi sia i lettori della Bibbia che i suoi
detrattori, sia credenti che scettici, delle emozionanti scoperte effettuate
dalle diverse discipline scientifiche. E dinanzi all'enorme abbondanza di
risultati autentici e sicuri, sempre in me s'approfondì il convincimento
espresso in queste semplici parole: eppure la Bibbia aveva ragione!» Aveva ragione non
soltanto sotto il profilo della verità rivelata, ma anche sotto quello della
verità storica, confermata e convalidata con le moltissime prove
dell'archeologia e della ricerca erudita. |