La SofferenzaPensieri di Fra Cecilio MariaA cura di Fra Giulio Savoldi Cappuccino |
Presentazione Una sera dell'inverno 1981
- 1982 l'ultra novantacinquenne fra Cecilio esce dal refettorio, ha toccato quasi
nulla della cena fratesca. Si regge a malapena. Curvo, si appoggia con la
destra a un bastone, con la sinistra alla parete del corridoio. E' stanco e
non sta bene. Egli, come il solito non dice mai nulla anzi cerca di
mascherare certi suoi acciacchi. Mentre lo voglio accompagnare in cella gli
dico: " Ma
fra Cecilio, non vede che non si regge in piedi, perché non sta a riposo
qualche giorno, come mai è così prostrato?" Non mi risponde dicendo che sta male, che la giornata
che sta concludendosi è stata particolarmente pesante e dolorosa. |
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Si appoggia con la schiena alla parete del corridoio
ed esclama tutto gioioso: «Si fa vicino l'incontro con il Signore, sono tutto contento per
questo. Il mondo non mi ha intaccato, sono libero e felice». Il mattino seguente,
verso le cinque, lo sento trascinarsi, come il solito, verso il coro. Gli vado incontro e con un
atteggiamento di amoroso rimprovero" lo affronto" dicendo: "Fra Cecilio, perché si
è alzato così presto, ieri sera non stava in piedi, ha paura di non salvarsi,
dopo tutto chi ci salva è il Signore, non è lui che ha dato la vita per la
nostra salvezza?... ". Senza perdere la sua serenità fra Cecilio
risponde: «E'
vero, è vero quello che mi dite, è lui che ci salva però noi dobbiamo
metterci su la pelle». Accostandoci a leggere i
pensieri di fra Cecilio sulla sofferenza, per attingere i tesori di luce e di
grazia che contengono, dobbiamo avere la sua visione del dolore come appare
dall'episodio appena narrato. Chi visse con fra Cecilio sa che egli
impersonava la gioia. La tristezza non gli era di casa, perché non scese mai
a compromesso con il peccato, sempre era ripieno della pace e della gioia del
"suo" Signore. Per conservare la libertà
dal male visse una vita austera secondo le esigenze della sua vocazione di
frate cappuccino. Veglie, digiuni,
penitenze, lunghi tempi di preghiera e un servizio continuo, paziente e
gioioso verso i confratelli e i poveri, scandirono il ritmo di tutta la sua
vita. Non curante di se stesso,
sempre era proteso alle necessità degli altri. Il segreto della sua
totale consacrazione a Dio e, in Dio, al bene dei fratelli, va individuato in
Cristo crocifisso di cui è stato un discepolo fedele. Alla sua scuola ha
imparato ad amare la sofferenza, gli incomodi della vita fin dalla
fanciullezza quando la mamma lo invogliava a far sacrifici «come preparazione alla
Santa Comunione, in unione alla vita crocifissa che Gesù ha vissuto per noi». L'amore al Crocifisso è cresciuto
in lui facendosi frate. La meditazione quotidiana sia comunitaria sia
personale sulla passione e morte di Gesù, l'esercizio della "Via
Crucis" che ripeteva più volte al giorno, le ore diurne e notturne
trascorse in adorazione presso il Tabernacolo o partecipando a numerose Messe
quotidiane, lo hanno reso consapevole che «non vi può essere al
mondo ricchezza maggiore di quella della croce» vissuta con e per Gesù.
Fra Cecilio non ama la sofferenza per la sofferenza. Non ha un animo stoico.
Egli la desidera e la vive per un ideale: per Gesù, per immedesimarsi in lui.
Vuole che la sua vita sia impegnata a rivivere, per quanto possibile, la
passione e la morte di Cristo. E' questo per lui un motivo di santo orgoglio:
«Andare in
Paradiso senza le mani forate non sarebbe neanche dignitoso». Inoltre vuol partecipare
alla passione di Cristo per essere poi glorificato nella sua risurrezione.
Infatti è convinto che quanto più soffre con Cristo in questa vita, tanto più
parteciperà alla sua gloria. Sembra che rifiorisca
sulle labbra di fra Cecilio la ben nota frase pronunciata da San Francesco: "E'
tanto il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto". Tenendo presente l'impegno vitale di fra Cecilio nel
seguire Cristo povero e crocifisso per essere poi da Lui glorificato,
possiamo individuare la chiave che ci dia la spiegazione di certe frasi che a
noi poveri mortali, alieni da qualsiasi sofferenza, sembrano incomprensibili
come: «Se
non avessimo croci bisognerebbe chiederle al Signore con insistenza», «sono contento
di patire», «tutta la vita dovrebbe essere una continua, serena penitenza». Qui troviamo il segreto
che ci spiega l'atteggiamento paziente e sereno di fra Cecilio nelle
ingratitudini e negli insulti, di cui viene fatto oggetto alle volte nel
servizio degli emarginati alla portineria all' "Opera San Francesco"
da lui fondata. Di fronte a tali atteggiamenti non risponde per le rime,
cerca di aumentare la sua carità verso il bisognoso, non perde la pace e la
serenità dell'anima, ma ne gode: si è guadagnato una nuova pena per il
Paradiso assimilandosi di più a Cristo crocifisso. «Quando mi accadrà di
ricevere insulti e brutte parole da coloro ai quali uso carità, ne godrò in
cuor mio, nel vedermi meno lontano da Gesù... » Leggiamo pure le
espressioni di fra Cecilio sulla sofferenza, però teniamo bene presente che
non le ha scritte con l'animo di un dilettante, ma che rispecchiano la sua
vita di frate che ha fatto di Gesù crocifisso il centro della sua esistenza.
Allora serviranno come luce e via della nostra vita cristiana. |
Pensieri di
Fra Cecilio Maria sulla Sofferenza L'amore di Dio... per amare veramente si devono percorrere strette
valli, sentieri difficili, dare la scalata ad alti monti, sino a raggiungere
la più alta vetta: il Crocifisso. Se abbracciamo con rassegnazione o meglio ancora con entusiasmo la
nostra via dolorosa in compagnia di Gesù, Lui stesso ce la rende soave e ci
aiuta a capire che solo questa è la via che conduce sicuramente al paradiso. Aveva ragione la mamma di invogliarci, sin da piccoli, a vivere la
vita faticosa dei nostri monti, nella mancanza di ogni necessaria comodità,
nella sofferenza del freddo, della fame e della sete, nel lavoro intenso,
offrendo tutto al Signore, come preparazione alla santa Comunione, in unione
alla vita crocifissa che Gesù ha vissuto per noi. Sono contento di patire poiché, alla luce della grazia, ho tante
volte sperimentato che il patire con Gesù Crocifisso è la più grande fortuna
che a questo mondo si possa avere. Meditando la vita di Gesù e contemplando la sua passione e morte, la
nostra anima capisce sempre più la preziosità del dolore, abbraccia con
entusiasmo le sofferenze che incontra sulla via della redenzione e benedice
il Signore. Sia il mio martirio il sopportare me stesso nelle mie infedeltà
all'amore, nel soffrire tutti i travagli di spirito che il Signore nella sua
bontà mi vorrà mandare. Tutta la vita dovrebbe essere una continuata, serena penitenza in
unione alla infinita penitenza del monte Calvario. Le giornate, le annate di continua rinnegazione sono, sotto lo
sguardo di Gesù Eucaristico, cose da nulla. Mio martirio sia: - combattere
in me le mie passioni... - negare
al pensiero tutto ciò che non serve al disimpegno dei miei doveri... - negare
alle mie orecchie tutto ciò che non è carità e non porta al cuore di Dio... - negare
agli occhi miei ciò che non è necessario che io veda e mortificarli
volentieri per amore di Dio... - imporre
alla lingua di limitarsi allo stretto necessario, secondo i luoghi e le circostanze,
per intrattenermi il più possibile con Dio... L'uomo del terrestre Paradiso peccò. Si salverà se sulla terra saprà santificare il dolore che ogni giorno
lo segue. Quando mi
accadrà di ricevere insulti e brutte parole da coloro ai quali uso carità, ne
godrò in cuor mio, nel vedermi il meno lontano da Gesù che si è lasciato
crocifiggere da chi aveva beneficiato. Leggiamo il Vangelo: Gesù con la sua
dottrina e con i suoi esempi, dalla culla alla croce, ci ha insegnato come si
deve santificare il dolore. Non comprendiamo la sublimità della sofferenza, perciò siamo
inclinati a scansarla... ma è proprio per le sofferenze del Cristo che
risplenderemo nella luce e nella gloria dell'eternità. Le contrarietà continuate e vissute con l'aiuto divino sono la
necessaria crocifissione con Cristo che ci rende partecipi della sua passione
e morte. Non vi può essere al mondo ricchezza maggiore di quella della Croce
vissuta con Lui e per Lui: ecco perché il Signore la regala in maggior
abbondanza a coloro che più gli si avvicinano. Mi è dolce questo pensiero: sopportare per amore di Dio di essere
insultato mentre si cerca di compiere la carità. Il desiderio di partecipare alla Croce di Cristo, in noi aumenta
nella preghiera. Con la preghiera riusciamo a salire sempre più, sino
all'amoroso abbraccio con lo sposo nostro Crocifisso. Gesù dopo la trasfigurazione sul monte Tabor, ci parla della sua
passione e morte insegnandoci che non potremo trasfigurarci e godere della
sua gloria, se non santifichiamo il dolore, vivendo anche noi la nostra
passione e morte, in unione alla sua. Se non avessimo croci bisognerebbe
chiederle al Signore con insistenza, anche perché la gloria immortale che
Gesù ci ha preparato è tanto alta che è giusto che ci costi sacrificio. Non vi è via di mezzo a questo mondo. La via dei veri trionfi è la
via del Calvario. Più l' abbraccerò e più ne comprenderò la preziosità. Tutto accetterò volentieri dalla vostra mano, o mio Dio. Se penso al
male che ho fatto, tutte le tribolazioni di questo mondo mi sembrano rose e
fiori... E' necessario che io abbia a patire, non solo per evitare gli eterni
tormenti dell'inferno, per diminuire quelli del purgatorio, ma soprattutto
per assomigliare a Gesù che patisce, spasima e muore in croce per me. Gesù datemi parte dei vostri dolori... la natura si ribella a questa
richiesta, non vorrebbe sentire parlare di patire, ma la ragione e l'amore lo
vogliono. Accompagnatemi però con la vostra grazia. Affido i miei propositi a voi Maria Immacolata. Datemi grazia di
seguire Gesù al Calvario, tra le umiliazioni, i disprezzi, le beffe, tra i
flagelli, la coronazione di spine, i chiodi, la croce, tra le agonie, gli
spasimi e la morte. Mi guarderò
dallo scusarmi anche quando sarò incolpato e castigato ingiustamente. Tutto
soffrirò per amore di Dio, pensando che davanti a Dio sono colpevole di una
infinità di peccati. Quando ho la grazia di soffrire fisicamente o moralmente, godo immensamente
perché mi sento più vicino a Gesù crocifisso. Sono una candela offerta e consacrata per il vostro Tabernacolo. Che
la candela venga consumata in tanto tempo, oppure in una sola ora, nulla
importa; mi basta avere la grazia di essere tutto consumato per voi e a
vostra gloria. Vorrei che la mia vita diventasse un solo continuo martirio. Quello che al momento presente più mi interessa, è il trovare in Lui
grande coraggio per rinnegare me stesso quanto più mi è possibile e seguirlo
al calvario con sempre rinnovato trasporto di amore. Alla fine dell'anno gettai tutta l'anima mia nel sangue di Cristo per
purificarla dalla polvere nel cammino di questa vita. Con Gesù ho pianto, con Gesù ho pregato ogni giorno, con Gesù ogni
giorno ho cercato di scegliere la parte migliore che è quella di patire per
Lui... in unione al sacrificio della croce. Il patire con Gesù Crocifisso è la più grande fortuna che a questo
mondo si possa avere. Cercherò di recarmi al refettorio non solo per soddisfare alle
necessità che reclama l'appetito che sento, ma anche per la lettura spirituale.
Se prima di potervi arrivare sarò richiamato alla porta dalla volontà di Dio anche cinque
o sei volte, sia per amor di Dio! Quando vi sarò giunto e non avrò ancora
incominciato a mangiare e sarò chiamato altre volte, sia per amor di Dio!
Sopportare pazientemente tutte queste cose del mio ufficio per amor di Dio,
sarà la più bella mortificazione. Se mi concedete questo spirito di mortificazione, accompagnato da
retta intenzione, io penso o mio Gesù che la mia vita diventerà di continuo
martirio che da tanto tempo ricerco e continuerò a cercarvi fino a quando il
mio cuore avrà un battito. Andare in Paradiso senza le mani forate non sarebbe neanche
dignitoso. Quando verrà l'amore proprio a dirmi, questa notte potresti riposarti
in tempo del mattutino perché hai dovuto correre tutto il giorno nel tuo
ufficio di portinaio e in più sei andato a letto tardi ancora per lo stesso
scopo, io risponderò francamente al mio amor proprio: appunto perché oggi ho
avuto molto da affaticarmi e da distrarmi nel mio ufficio, appunto per
questo, ho maggior bisogno di preghiera, quindi devo e voglio pregare anche
se sono stanco. |