Introduzione
Il Concilio Vaticano II, con la Costituzione dogmatica "Lumen gentium" e con i Decreti sull'Ecumenismo (Unitatis redintegratio) e sulle
Chiese orientali (Orientalium Ecclesiarum),
ha contribuito in modo determinante ad una comprensione più profonda
dell'ecclesiologia cattolica. Al riguardo anche i Sommi Pontefici hanno
voluto offrire approfondimenti e orientamenti per la prassi: Paolo VI nella
Lettera Enciclica "Ecclesiam suam" (1964) e Giovanni Paolo II nella Lettera
Enciclica "Ut unum sint" (1995).
Il conseguente impegno dei teologi, volto ad illustrare sempre meglio i
diversi aspetti dell'ecclesiologia, ha dato luogo al fiorire di un'ampia
letteratura in proposito. La tematica si è infatti
rivelata di grande fecondità, ma talvolta ha anche avuto bisogno di
puntualizzazioni e di richiami, come la Dichiarazione "Mysterium Ecclesiae"
(1973), la Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica "Communionis notio" (1992)
e la Dichiarazione "Dominus Iesus" (2000), tutte pubblicate dalla Congregazione
per la Dottrina della Fede.
La vastità dell'argomento e la novità di molti temi continuano a provocare la
riflessione teologica, offrendo sempre nuovi contributi non sempre immuni da
interpretazioni errate che suscitano perplessità e dubbi, alcuni dei quali
sono stati sottoposti all'attenzione della Congregazione per la Dottrina
della Fede. Essa, presupponendo l'insegnamento globale della dottrina
cattolica sulla Chiesa, intende rispondervi precisando il significato
autentico di talune espressioni ecclesiologiche magisteriali, che nel dibattito teologico rischiano di
essere fraintese.
RISPOSTE AI QUESITI
Primo quesito: Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha forse cambiato la precedente
dottrina sulla Chiesa?
Risposta: Il Concilio Ecumenico Vaticano II né ha voluto cambiare né di fatto ha cambiato tale dottrina, ma ha voluto solo
svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente.
Proprio questo affermò con estrema chiarezza Giovanni XXIII all’inizio del
Concilio (1). Paolo VI lo ribadì (2) e così si
espresse nell’atto di promulgazione della Costituzione "Lumen gentium": "E migliore commento sembra non
potersi fare che dicendo che questa promulgazione nulla veramente cambia della
dottrina tradizionale. Ciò che Cristo volle, vogliamo noi pure. Ciò che era,
resta. Ciò che la Chiesa per secoli insegnò, noi insegniamo parimenti.
Soltanto ciò che era semplicemente vissuto, ora è
espresso; ciò che era incerto, è chiarito; ciò che era meditato, discusso, e
in parte controverso, ora giunge a serena formulazione" (3). I Vescovi
ripetutamente manifestarono e vollero attuare questa intenzione (4).
Secondo quesito: Come deve essere intesa l’affermazione secondo cui la Chiesa
di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica?
Risposta: Cristo "ha costituito sulla terra" un’unica Chiesa e l’ha
istituita come "comunità visibile e spirituale" (5), che fin dalla
sua origine e nel corso della storia sempre esiste ed esisterà, e nella quale
soltanto sono rimasti e rimarranno tutti gli elementi da Cristo stesso
istituiti (6). "Questa è l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo
professiamo una, santa, cattolica e apostolica […].
Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste
nella Chiesa cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in
comunione con lui" (7).
Nella Costituzione dogmatica "Lumen gentium"
(8) la sussistenza è questa perenne continuità storica e la permanenza di
tutti gli elementi istituiti da Cristo nella Chiesa cattolica8, nella quale
concretamente si trova la Chiesa di Cristo su questa terra.
Secondo la dottrina cattolica, mentre si può rettamente affermare che la
Chiesa di Cristo è presente e operante nelle Chiese e nelle Comunità ecclesiali
non ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica grazie agli elementi di
santificazione e di verità che sono presenti in esse
(9), la parola "sussiste", invece, può essere attribuita
esclusivamente alla sola Chiesa cattolica, poiché si riferisce appunto alla
nota dell’unità professata nei simboli della fede (Credo…la Chiesa
"una"); e questa Chiesa "una" sussiste nella Chiesa
cattolica (10).
Terzo quesito: Perché viene adoperata l’espressione
"sussiste nella" e non semplicemente la forma verbale "è"?
Risposta: L’uso di questa espressione, che indica la piena identità della
Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica, non cambia la dottrina sulla
Chiesa; trova, tuttavia, la sua vera motivazione nel fatto che esprime più
chiaramente come al di fuori della sua compagine si trovino "numerosi
elementi di santificazione e di verità", "che in quanto doni propri
della Chiesa di Cristo spingono all’unità cattolica" (11).
"Perciò le stesse Chiese e Comunità separate, quantunque crediamo che
hanno delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di
significato e di peso. Infatti lo Spirito di Cristo
non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, il cui valore
deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata
affidata alla Chiesa cattolica" (12).
Quarto quesito: Perché il Concilio Ecumenico Vaticano II attribuisce il nome
di "Chiese" alle Chiese orientali separate dalla piena comunione
con la Chiesa cattolica?
Risposta: Il Concilio ha voluto accettare l’uso tradizionale del nome.
"Siccome poi quelle Chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti e
soprattutto, in forza della successione apostolica, il Sacerdozio e
l’Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora uniti con noi da
strettissimi vincoli" (13), meritano il titolo di "Chiese
particolari o locali" (14), e sono chiamate Chiese sorelle delle Chiese
particolari cattoliche (15).
"Perciò per la celebrazione dell’Eucaristia del Signore in queste
singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce" (16). Siccome,
però, la comunione con la Chiesa cattolica, il cui Capo visibile è il Vescovo
di Roma e Successore di Pietro, non è un qualche complemento esterno alla
Chiesa particolare, ma uno dei suoi principi costitutivi interni, la
condizione di Chiesa particolare, di cui godono quelle venerabili Comunità
cristiane, risente tuttavia di una carenza (17).
D’altra parte l’universalità propria della Chiesa, governata dal Successore
di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui, a causa della divisione dei
cristiani, trova un ostacolo per la sua piena realizzazione nella storia
(18).
Quinto quesito: Perché i testi del Concilio e del Magistero successivo non
attribuiscono il titolo di "Chiesa" alle Comunità cristiane nate
dalla Riforma del 16° secolo?
Risposta: Perché, secondo la dottrina cattolica, queste Comunità non hanno la
successione apostolica nel sacramento dell’Ordine, e perciò sono prive di un
elemento costitutivo essenziale dell’essere Chiesa. Le suddette Comunità
ecclesiali, che, specialmente a causa della mancanza del sacerdozio
ministeriale, non hanno conservato la genuina e integra sostanza del Mistero
eucaristico (19), non possono, secondo la dottrina cattolica, essere chiamate
"Chiese" in senso proprio (20).
Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell’Udienza concessa al sottoscritto
Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha
approvato e confermato queste Risposte, decise nella sessione ordinaria di
questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 29 giugno
2007, nella solennità dei Ss. Pietro e Paolo,
Apostoli.
William Cardinale Levada
Prefetto
Angelo Amato, S.D.B.,
Arcivescovo tit. di Sila
Segretario
__________
(1) GIOVANNI XXIII, Allocuzione dell’11 ottobre 1962: "…il
Concilio…vuole trasmettere pura e integra la dottrina cattolica, senza
attenuazioni o travisamenti…Ma nelle circostanze attuali il nostro dovere è
che la dottrina cristiana nella sua interezza sia accolta da tutti con
rinnovata, serena e tranquilla adesione…E’ necessario che lo spirito
cristiano, cattolico e apostolico del mondo intero compia un balzo in avanti,
che la medesima dottrina sia conosciuta in modo più ampio e
approfondito…Bisogna che questa dottrina certa e immutabile, alla quale è
dovuto ossequio fedele, sia esplorata ed esposta nella maniera che l’epoca
nostra richiede. Altra è la sostanza del depositum fidei, o le verità che sono contenute nella nostra
veneranda dottrina, ed altro è il modo in cui vengono
enunciate, sempre tuttavia con lo stesso senso e significato" : AAS 54
[1962] 791; 792.
(2) Cf. PAOLO VI,
Allocuzione del 29 settembre 1963: AAS 55 [1963] 847-852.
(3) PAOLO VI, Allocuzione del 21 novembre 1964: AAS
56 [1964] 1009-1010 (trad. it. in:
L’Osservatore Romano, 22 novembre 1964, 3).
(4) Il Concilio ha voluto esprimere l’identità della
Chiesa di Cristo con la Chiesa Cattolica. Ciò si trova nelle discussioni sul
Decreto Unitatis redintegratio.
Lo Schema del Decreto fu proposto in Aula il 23. 9. 1964 con una Relatio (Act Syn III/II 296-344). Ai modi inviati dai vescovi nei mesi
seguenti il Segretariato per l’Unità dei Cristiani risponde il 10.11.1964 (Act Syn III/VII 11-49). Da questa Expensio
modorum si riportano quattro testi concernenti la
prima risposta.
A) [In Nr. 1 (Prooemium)
Schema Decreti: Act Syn
III/II 296, 3-6]
"Pag. 5, lin. 3-6: Videtur etiam Ecclesiam catholicam inter illas Communiones comprehendi, quod falsum esset.
R(espondetur): Hic tantum factum, prout ab omnibus conspicitur, describendum est. Postea clare affirmatur solam Ecclesiam catholicam esse veram Ecclesiam
Christi" (Act Syn III/VII 12).
B) [In Caput I in genere: Act Syn
III/II 297-301]
"4 - Expressius dicatur
unam solam esse veram Ecclesiam
Christi; hanc esse Catholicam Apostolicam Romanam; omnes debere inquirere, ut eam cognoscant
et ingrediantur ad salutem
obtinendam...
R(espondetur): In toto textu sufficienter
effertur, quod postulatur. Ex altera parte non est tacendum etiam in aliis communitatibus christianis inveniri veritates revelatas et elementa ecclesialia"( Act Syn III/VII 15). Cf. anche ibidem punto 5.
C) [In Caput I in genere: Act Syn III/II 296s]
"5 - Clarius dicendum
esset veram Ecclesiam esse solam Ecclesiam catholicam romanam...
R(espondetur):
Textus supponit doctrinam in constitutione ‘De
Ecclesia’ expositam, ut pag. 5, lin. 24-25 affirmatur" (Act Syn III/VII 15). Quindi la commissione che doveva valutare gli emendamenti al
Decreto Unitatis redintegratio
esprime con chiarezza l’identità della Chiesa di Cristo e della Chiesa
cattolica e la sua unicità, e vede questa dottrina fondata nella Costituzione
dogmatica Lumen gentium.
D) [In Nr. 2 Schema Decreti:
Act Syn III/II 297s]
"Pag. 6, lin. 1- 24:
Clarius exprimatur unicitas Ecclesiae. Non sufficit
inculcare, ut in textu fit, unitatem Ecclesiae.
R(espondetur): a) Ex toto textu clare
apparet identificatio
Ecclesiae Christi cum Ecclesia catholica, quamvis, ut oportet,
efferantur elementa ecclesialia aliarum communitatum".
"Pag. 7, lin. 5: Ecclesia a successoribus Apostolorum cum Petri successore capite gubernata
(cf. novum
textum ad pag. 6, lin.33-34)
explicite dicitur ‘unicus Dei grex’ et lin. 13 ‘una
et unica Dei Ecclesia’
" (Act Syn III/VII).
Le due espressioni citate sono quelle di Unitatis redintegratio 2.5 e 3.1.
(5) Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, 8.1.
(6) Cf. CONCILIO ECUMENICO
VATICANO II, Decr. Unitatis
redintegratio, 3.2; 3.4; 3.5; 4.6.
(7) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, 8.2.
(8) Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Mysterium Ecclesiae, 1.1: AAS 65 [1973] 397; Dich.
Dominus Iesus, 16.3: AAS 92 [2000-II] 757-758; Notificazione sul
libro di P. Leonardo Boff, OFM, "Chiesa:
carisma e potere": AAS 77 [1985] 758-759.
(9) Cf. GIOVANNI PAOLO II,
Lett. Enc. Ut unum sint, 11.3: AAS 87 [1995-II] 928.
(10) Cf. CONCILIO
ECUMENICO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, 8.2.
(11) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 8.2.
(12) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decr. Unitatis redintegratio, 3.4.
(13) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decr. Unitatis redintegratio, 15.3; cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lett. Communionis notio, 17.2: AAS, 85 [1993-II] 848.
(14) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decr. Unitatis redintegratio, 14.1.
(15) Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decr. Unitatis redintegratio, 14.1; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, 56 s : AAS 87 [1995-II]
954 s.
(16) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decr. Unitatis redintegratio, 15.1.
(17) Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lett. Communionis notio, 17.3: AAS 85 [1993-II] 849.
(18) Cf. ibid.
(19) Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decr. Unitatis redintegratio, 22.3.
(20) Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, 17.2: AAS 92 [2000-II] 758.
Articolo di commento ai "Responsa ad quaestiones de aliquibus sententiis ad doctrinam de Ecclesia pertinentibus"
Le diverse questioni alle quali la Congregazione per la Dottrina della Fede
intende rispondere vertono sulla visione generale della Chiesa quale emerge
dai documenti di carattere dogmatico ed ecumenico del Concilio Vaticano II,
il concilio “della Chiesa sulla Chiesa”, che secondo le parole di Paolo VI ha
segnato una «nuova epoca per la Chiesa» in quanto ha avuto il merito di aver
«meglio tratteggiato e svelato il volto genuino della Sposa di Cristo» [1].
Non mancano inoltre richiami ai principali documenti dei Pontefici Paolo VI e
Giovanni Paolo II e agli interventi della Congregazione per la Dottrina della
Fede, tutti ispirati ad una sempre più approfondita visione della Chiesa
stessa, spesso finalizzati ad apportare chiarimenti alla notevole produzione
teologica postconciliare, non sempre immune da deviazioni e inesattezze.
La stessa finalità è rispecchiata nel presente documento con il quale la
Congregazione intende richiamare il significato autentico di alcuni
interventi del Magistero in materia di ecclesiologia perché la sana ricerca
teologica non venga intaccata da errori o da
ambiguità. A questo riguardo va tenuto presente il genere letterario dei “Responsa ad quaestiones”,
che di natura sua non comportano argomentazioni addotte a comprovare la
dottrina esposta, ma si limitano a richiami del precedente Magistero e
pertanto intendono dire una parola certa e sicura in materia.
Il primo quesito chiede se il Vaticano II abbia mutato la precedente dottrina
sulla Chiesa.
L’interrogativo riguarda il significato di quel “nuovo volto” della Chiesa
che, secondo le citate parole di Paolo VI, il Vaticano II ha offerto.
La risposta, fondata sull’insegnamento di Giovanni XXIII e di Paolo VI, è
molto esplicita: il Vaticano II non ha inteso mutare, e di
fatto non ha mutato, la precedente dottrina sulla Chiesa, ma piuttosto
l’ha approfondita ed esposta in maniera più organica. In tal senso vengono riprese le parole di Paolo VI nel suo discorso di
promulgazione della Costituzione dogmatica conciliare "Lumen gentium", nelle quali si afferma che la dottrina
tradizionale non è stata affatto mutata, ma «ciò che era semplicemente
vissuto, ora è espresso; ciò che era incerto, è chiarito; ciò che era
meditato, discusso, e in parte controverso, ora giunge a serena
formulazione».[2]
Allo stesso modo c’è continuità tra la dottrina esposta dal Concilio e quella
richiamata nei successivi interventi magisteriali
che hanno ripreso e approfondito la stessa dottrina, costituendone nel
contempo uno sviluppo. In questo senso, ad esempio la Dichiarazione della
Congregazione per la Dottrina della Fede "Dominus
Iesus" ha solo ripreso i testi conciliari e i
documenti post-conciliari, senza aggiungere o togliere nulla.
Nonostante queste chiare attestazioni, nel periodo postconciliare la dottrina
del Vaticano II è stata oggetto, e continua ad esserlo, di interpretazioni
fuorvianti e in discontinuità con la dottrina cattolica tradizionale sulla
natura della Chiesa: se, da una parte, si vedeva in essa
una “svolta copernicana”, dall’altra, ci si è concentrati su taluni aspetti
considerati quasi in contrapposizione con altri. In realtà l’intenzione
profonda del ConcilioVaticano II era chiaramente di
inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso di Dio,
proponendo una ecclesiologia nel senso propriamente
teo-logico, ma la recezione del Concilio ha spesso
trascurato questa caratteristica qualificante in favore di singole
affermazioni ecclesiologiche, si è concentrata su
singole parole di facile richiamo, favorendo letture unilaterali e parziali
della stessa dottrina conciliare.
Per quanto concerne l'ecclesiologia di "Lumen gentium",
sono restate nella coscienza ecclesiale alcune parole chiave: l'idea di
popolo di Dio, la collegialità dei Vescovi come rivalutazione del ministero
dei vescovi insieme con il primato del Papa, la rivalutazione delle Chiese
particolari all’interno della Chiesa universale, l'apertura ecumenica del
concetto di Chiesa e l'apertura alle altre religioni; infine, la questione
dello statuto specifico della Chiesa cattolica, che si esprime nella formula
secondo cui la Chiesa una, santa, cattolica ed
apostolica, di cui parla il Credo, "subsistit
in Ecclesia catholica".
Alcune di queste affermazioni, specialmente quella sullo statuto specifico
della Chiesa cattolica con i suoi riflessi in campo ecumenico, costituiscono
le principali tematiche affrontate dal documento nei successivi quesiti.
Il secondo quesito chiede come si debba intendere che la Chiesa di Cristo
sussiste nella Chiesa cattolica.
Quando G. Philips scrisse che l’espressione “subsistit in” avrebbe fatto«scorrere fiumi d’inchiostro»
[3], probabilmente non aveva previsto che la discussione sarebbe continuata
così a lungo e con tale intensità da spingere la Congregazione per la
Dottrina della Fede a pubblicare il presente documento.
Tanta insistenza, d’altronde fondata sui testi conciliari e del Magistero
successivo citati, riflette la preoccupazione di salvaguardare l’unità e
l’unicità della Chiesa, che verrebbero meno se si ammettesse che vi possano
essere più sussistenze della Chiesa fondata da Cristo. Infatti, come si dice
nella Dichiarazione "Mysterium Ecclesiae", se così fosse
si giungerebbe ad immaginare «la Chiesa di Cristo come la somma -
differenziata e in qualche modo unitaria insieme - delle Chiese e Comunità
ecclesiali»o a«pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esista più in alcun
luogo e che, perciò, debba essere soltanto oggetto di ricerca da parte di
tutte le Chiese e comunità» [4]. L'unica Chiesa di Cristo non esisterebbe più
come ‘una’ nella storia o esisterebbe solo in modo ideale ossia in fieri in
una futura convergenza o riunificazione delle diverse Chiese sorelle,
auspicata e promossa dal dialogo.
Ancora più esplicita è la Notificazione della Congregazione per la Dottrina
della Fede nei confronti di uno scritto di Leonardo Boff,
secondo il quale l'unica Chiesa di Cristo «può pure sussistere in altre
Chiese cristiane»; al contrario, - precisa la Notificazione - «il Concilio
aveva invece scelto la parola “subsistit” proprio
per chiarire che esiste una sola “sussistenza” della vera Chiesa, mentre
fuori della sua compagine visibile esistono solo “elementa
Ecclesiae”, che – essendo elementi della stessa
Chiesa – tendono e conducono verso la Chiesa cattolica» [5].
Il terzo quesito chiede perché sia stata usata l’espressione “subsistit in” e non il verbo “est”.
É stato precisamente questo cambiamento di terminologia nel descrivere il
rapporto tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica che ha dato adito alle
più svariate illazioni, soprattutto in campo ecumenico. In realtà i Padri conciliari
hanno semplicemente inteso riconoscere la presenza, nelle Comunità cristiane
non cattoliche in quanto tali, di elementi ecclesiali propri della Chiesa di
Cristo. Ne consegue che l’identificazione della Chiesa di Cristo con la
Chiesa cattolica non è da intendersi come se al di fuori della Chiesa
cattolica ci fosse un “vuoto ecclesiale”. Allo stesso tempo essa significa
che, se si considera il contesto in cui è situata l'espressione subsistit in, cioè il riferimento all'unica Chiesa di
Cristo «in questo mondo costituita e organizzata come una società...
governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui», il
passaggio da est a subsistit in non riveste un
particolare significato teologico di discontinuità con la dottrina cattolica
precedente.
Infatti, poiché la Chiesa così voluta da Cristo di fatto continua ad esistere
(subsistit in) nella Chiesa cattolica, la
continuità di sussistenza comporta una sostanziale identità di essenza tra
Chiesa di Cristo e Chiesa cattolica. Il Concilio ha voluto insegnare che la
Chiesa di Gesù Cristo come soggetto concreto in questo mondo può essere
incontrata nella Chiesa cattolica. Ciò può avvenire una sola volta e la
concezione secondo cui il “subsistit” sarebbe da
moltiplicare non coglie proprio ciò che si intendeva dire. Con la parola “subsistit” il Concilio voleva esprimere la singolarità e
la non moltiplicabilità della Chiesa di Cristo: esiste la Chiesa come unico
soggetto nella realtà storica.
Pertanto la sostituzione di “est” con “subsistit
in”, contrariamente a tante interpretazioni infondate, non significa che la
Chiesa cattolica desista dalla convinzione di essere
l'unica vera Chiesa di Cristo, ma semplicemente significa una sua maggiore
apertura alla particolare richiesta dell'ecumenismo di riconoscere carattere
e dimensione realmente ecclesiali alle Comunità cristiane non in piena
comunione con la Chiesa cattolica, a motivo dei “plura
elementa sanctificationis
et veritatis” presenti in
esse. Di conseguenza, benché la Chiesa sia soltanto una e “sussista” in un
unico soggetto storico, anche al di fuori di questo soggetto visibile
esistono vere realtà ecclesiali.
Il quarto quesito chiede perché il Concilio Vaticano II abbia attribuito il
nome di “Chiese” alle Chiese orientali non in piena comunione con la Chiesa
cattolica.
Nonostante l’esplicita affermazione che la Chiesa di Cristo “sussiste” nella
Chiesa Cattolica, il riconoscimento che, anche al di fuori del suo organismo
visibile, si trovano “parecchi elementi di santificazione e di verità” [6],
comporta un carattere ecclesiale, anche se diversificato, delle Chiese o
Comunità ecclesiali non cattoliche. Anch’esse infatti
«non sono affatto spoglie di significato e di peso» nel senso che «lo Spirito
di Cristo non ricusa di servirsi di esse come strumenti di salvezza» [7].
Il testo prende in considerazione anzitutto la realtà delle Chiese orientali
non in piena comunione con la Chiesa cattolica e, richiamandosi a vari testi
conciliari, riconosce loro il titolo di “Chiese particolari o locali” e le
chiama Chiese sorelle delle Chiese particolari cattoliche, perché restano
unite alla Chiesa cattolica per mezzo della successione apostolica e della
valida eucaristia, «per cui in esse la Chiesa di Dio
è edificata e cresce» [8]. Anzi la Dichiarazione "Dominus
Iesus" le chiama espressamente «vere Chiese
particolari» [9].
Pur con questo esplicito riconoscimento del loro “essere Chiesa particolare”
e del valore salvifico incluso, il documento non poteva non sottolineare la
carenza (defectus), di cui risentono,
proprio nel loro essere Chiesa particolare. Infatti, per la loro visione
eucaristica della Chiesa, che pone l'accento sulla realtà della Chiesa
particolare riunita nel nome di Cristo nella celebrazione dell'Eucaristia e
sotto la guida del vescovo, esse considerano le Chiese particolari complete
nella loro particolarità [10]. Ne consegue che, stante la fondamentale
uguaglianza fra tutte le Chiese particolari e fra tutti i vescovi che le
presiedono, esse hanno ciascuna una propria autonomia interna, con evidenti
riflessi sulla dottrina del primato, che secondo la fede cattolica è un
“principio costitutivo interno” per l’esistenza stessa di una Chiesa
particolare [11]. Naturalmente sarà sempre necessario sottolineare che il
primato del Successore di Pietro, Vescovo di Roma, non deve essere inteso in
modo estraneo o concorrente nei confronti dei Vescovi delle Chiese
particolari. Esso deve esercitarsi come servizio all’unità della fede e della
comunione, entro i limiti che procedono dalla legge divina e dall’inviolabile
costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione [12].
Il quinto quesito chiede perché non venga
riconosciuto il titolo di "Chiese" alle Comunità ecclesiali nate
dalla Riforma.
Al riguardo si deve dire che«la ferita è ancora molto più profonda nelle
comunità ecclesiali che non hanno conservato la successione apostolica e
l’eucaristia valida» [13];pertanto esse«non sono
Chiese in senso proprio» [14], ma “Comunità ecclesiali”, come attesta
l’insegnamento conciliare e post-conciliare [15].
Nonostante queste chiare affermazioni abbiano creato disagio nelle Comunità
interessate e anche in campo cattolico, non si vede, d’altra parte, come a
tali Comunità possa essere attribuito il titolo di “Chiesa”, dal momento che
non accettano il concetto teologico di Chiesa in senso cattolico e mancano di
elementi considerati essenziali dalla Chiesa cattolica.
Occorre, comunque, ricordare che dette Comunità, come tali, per i diversi
elementi di santificazione e di verità in esse
realmente presenti, hanno indubbiamente un carattere ecclesiale e un
conseguente valore salvifico.
Riprendendo sostanzialmente l’insegnamento conciliare e il Magistero
post-conciliare, il nuovo documento, promulgato dalla Congregazione per la
Dottrina della Fede, costituisce un chiaro richiamo alla dottrina cattolica
sulla Chiesa. Oltre a fugare visioni inaccettabili, tuttora diffuse nello
stesso ambito cattolico, esso offre preziose indicazioni anche per il
proseguimento del dialogo ecumenico, che resta sempre una delle priorità
della Chiesa cattolica, come ha confermato anche Benedetto XVI già nel suo
primo messaggio alla Chiesa (20 aprile 2005) e in tante altre occasioni,
specie nel suo viaggio apostolico in Turchia (28 novembre – 1 dicembre 2006).
Ma perché il dialogo possa veramente essere costruttivo, oltre all’apertura
agli interlocutori, è necessaria la fedeltà alla identità della fede
cattolica. Solo in tal modo si potrà giungere all’unità di tutti i cristiani
in “un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10, 16) e
sanare così quella ferita che tuttora impedisce alla Chiesa cattolica la
realizzazione piena della sua universalità nella storia.
L’ecumenismo cattolico può presentarsi a prima vista paradossale. Con
l’espressione “subsistit in”, il Concilio Vaticano
II volle armonizzare due affermazioni dottrinali: da un lato, che la Chiesa
di Cristo, malgrado le divisioni dei cristiani,
continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa cattolica, e,
dall’altro lato, l’esistenza di numerosi elementi di santificazione e di
verità al di fuori della sua compagine, ovvero nelle Chiese e Comunità
ecclesiali che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica. Al
riguardo lo stesso Decreto del Concilio Vaticano II
sull’ecumenismo "Unitatis redintegratio"
aveva introdotto il termine plenitudo (unitatis/catholicitatis)
proprio per aiutare a comprendere meglio questa situazione in certo qual modo
paradossale. Benché la Chiesa cattolica abbia la pienezza dei mezzi di
salvezza, «tuttavia le divisioni dei cristiani impediscono che la Chiesa
stessa attui la pienezza della cattolicità ad essa
propria in quei figli, che le sono bensì uniti col battesimo, ma sono
separati dalla sua piena comunione» [16]. Si tratta dunque della pienezza
della Chiesa cattolica, che è già attuale e che deve crescere nei fratelli
non in piena comunione con essa, ma anche nei propri
figli che sono peccatori «fino a che il popolo di Dio pervenga nella gioia a
tutta la pienezza della gloria eterna nelle celeste Gerusalemme» [17]. Il
progresso nella pienezza è radicato nel dinamismo dell’unione con Cristo:
«L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali
Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli
soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi.
La comunione mi tira fuori da me stesso verso di
Lui, e così anche verso l’unità con tutti i cristiani» [18].
__________
[1] PAOLO VI, Discorso a chiusura del III periodo del Concilio (21 novembre
1964): EV 1, 290*.
[2] Ibid., 283*.
[3] G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero nel
Concilio Vaticano II (Milano 1975), I, 111.
[4] CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Mysterium Ecclesiae, 1: EV 4, 2566.
[5] CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Notificazione
in merito allo scritto di p. Leonardo Boff: Chiesa.
carisma e potere: EV 9, 1426. Il passo della
Notificazione, pur non essendo formalmente citato nel “Responsum”,
si trova riportato integralmente nella Dichiarazione Dominus Iesus, nella nota 56
del n. 16.
[6] CONC. ECUMEN. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 8.
[7] CONC. ECUMEN. VATICANO II, Decr.
Unitatis redintegratio,
n. 3.4.
[8] CONC. ECUMEN. VATICANO II, Decr.
Unitatis redintegratio,
n. 15.1.
[9]CONGR.PER LA DOTTRINA
DELLA FEDE, Dich. Dominus
Iesus, n. 17: EV 19, 1183.
[10] Cf. COMITATO MISTO
CATTOLICO-ORTODOSSO IN FRANCIA, Il primato romano nella comunione delle
Chiese, Conclusioni: in “Enchiridion oecumenicum” (1991), vol. 4, n. 956.
[11] Cf. CONGR. PER LA
DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera Communionis notio, n. 17: EV 13, 1805.
[12] Cf. CONGR. PER LA
DOTTRINA DELLA FEDE, Considerazioni su Il primato del Successore di Pietro
nel mistero della Chiesa, n. 7 e n.10, in: Il
primato del Successore di Pietro nel mistero della Chiesa, Documenti e Studi,
Libreria Editrice Vaticana, 2002, 16 e 18.
[13] CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera Communionis notio, n. 17: EV
13, 1805.
[14] CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE,
Dichiarazione Dominus Iesus,
n. 17: EV 19, 1184.
[15] Cf. CONC. ECUMEN.
VATICANO II, Decreto Unitatis Redintegratio,
n. 4; GIOVANNI PAOLO II, Lettera apost. Novo
millennio ineunte (2001), n. 48: EV 20, 99.
[16] CONC. ECUMEN. VATICANO II, Decreto Unitatis redintegratio, n. 4.
[17] CONC. ECUMEN. VATICANO II, Decreto, Unitatis redintegratio, n. 3.
[18] BENEDETTO XVI, Lettera Enc. Deus caritas est, n.14: AAS 98
(2006) 228-229.
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