Joseph Ratzinger -
Cardinale dal 1977, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede
dal 1981, Decano del Collegio Cardinalizio dal 2002 - è nato in Marktl am Inn,
nel territorio della Diocesi di Passau (Germania),
il 16 aprile dell'anno 1927.
Suo padre era un commissario di gendarmeria e proveniva da una famiglia di
agricoltori della bassa Baviera, le cui condizioni economiche erano piuttosto
modeste. La madre era figlia di artigiani di Rimsting,
sul lago di Chiem, e prima di sposarsi aveva fatto
la cuoca in diversi alberghi.
Egli ha trascorso la sua infanzia e la sua adolescenza a Traunstein,
una piccola città vicino alla frontiera con l'Austria, a circa trenta
chilometri da Salisburgo. Ha ricevuto in questo contesto, che egli stesso ha
definito "mozartiano", la sua formazione
cristiana, umana e culturale.
Il tempo della sua giovinezza non è stato facile. La fede e l'educazione
della sua famiglia lo ha preparato alla dura esperienza dei problemi connessi
al regime nazista: egli ha ricordato di aver visto il suo parroco
bastonato dai nazisti prima della celebrazione della Santa Messa e di aver
conosciuto il clima di forte ostilità nei confronti della Chiesa cattolica in
Germania.
Ma proprio in questa complessa situazione, egli ha scoperto la bellezza e la
verità della fede in Cristo e fondamentale è stato il ruolo della sua
famiglia che ha sempre continuato a vivere una cristallina testimonianza di
bontà e di speranza radicata nell'appartenenza consapevole alla Chiesa.
Verso la conclusione di quella tragedia che è stata la Seconda Guerra
Mondiale egli venne anche arruolato nei servizi ausiliari antiaerei.
Dal 1946 al 1951 ha studiato filosofia e teologia presso la Scuola superiore
di filosofia e teologia di Frisinga e presso
l'Università di Monaco.
Il 29 giugno dell'anno 1951 è stato ordinato sacerdote.
Appena un anno dopo, don Joseph ha iniziato la sua
attività didattica nella medesima Scuola di Frisinga
dove era stato studente.
Nel 1953 si è laureato in teologia con una dissertazione sul tema:
"Popolo e Casa di Dio nella Dottrina della Chiesa di sant'Agostino".
Nel 1957 ha fatto la libera docenza col noto professore di teologia
fondamentale di Monaco, Gottlieb Söhngen, con un lavoro su: "La teologia della
storia di san Bonaventura".
Dopo un incarico di dogmatica e di teologia fondamentale presso la Scuola
superiore di Frisinga, egli ha continuato la sua
attività di insegnamento a Bonn (1959-1969), a Münster
(1963-1966) e a Tubinga (1966-1969). Dal 1969 è
professore di dogmatica e di storia dei dogmi presso l'Università di Ratisbona dove ha ricoperto anche l'incarico di Vice
Preside dell'Università.
La sua intensa attività scientifica lo ha portato a svolgere importanti
incarichi in seno alla Conferenza Episcopale Tedesca, nella Commissione
Teologica Internazionale.
Tra le sue pubblicazioni, numerose e qualificate, particolare eco ha avuto
"Introduzione al cristianesimo" (1968), una raccolta di lezioni
universitarie sulla "professione di fede apostolica".
Nel 1973, poi, è stato pubblicato il volume: "Dogma e Predicazione"
che raccoglie i saggi, le meditazioni e le omelie dedicate alla pastorale.
Una vastissima risonanza ha poi avuto la sua arringa pronunciata dinanzi
all'Accademia cattolica bavarese sul tema: "Perché io sono ancora nella
Chiesa?". Ebbe a dichiarare con la sua consueta
chiarezza: "Solo nella Chiesa è possibile essere cristiani e non
accanto alla Chiesa".
La serie delle sue incalzanti pubblicazioni è proseguita copiosa e puntuale
nel corso degli anni, costituendo un punto di riferimento per tante persone e
certamente per quanti sono impegnati nello studio approfondito della
teologia. Si pensi, ad esempio, al volume "Rapporto sulla fede" del
1985 e a "Il sale della terra" del 1996. Va ricordato anche il
libro "Alla scuola della Verità" dato alle stampe in occasione del
suo settantesimo compleanno.
Di grande valore, centrale nella vita del Pastore Ratzinger,
è stata l'alta e proficua esperienza della sua partecipazione al Concilio
Vaticano II con la qualifica di "esperto" che egli ha vissuto anche
come conferma della propria vocazione da lui definita "teologica".
Il 25 marzo 1977 Papa Paolo VI lo ha nominato Arcivescovo di München und Freising.
Ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 28 maggio dello stesso anno:
primo sacerdote diocesano ad assumere, dopo ottant'anni,
il governo pastorale della grande Diocesi bavarese. Egli ha scelto come motto
episcopale: "Collaboratori della Verità".
Sempre Papa Montini lo ha creato e pubblicato
Cardinale, del Titolo di Santa Maria Consolatrice al Tiburtino,
nel Concistoro del 27 giugno 1977.
È stato Relatore alla Quinta Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi (1980)
sul tema della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo. In quell'occasione, nella sua prima Relazione, ha svolto
un'ampia e puntuale analisi sulla situazione della famiglia nel mondo,
sottolineando in proposito la crisi della cultura tradizionale di fronte alla
mentalità tecnicistica e meramente razionale.
Accanto agli aspetti negativi, non ha mancato di evidenziare la riscoperta
del vero personalismo cristiano come lievito che feconda l'esperienza
coniugale di molte coppie di sposi, ed ha rivolto anche un invito ad una
retta valutazione del ruolo della donna, che va annoverata tra le questioni fondamentali
nella riflessione sul matrimonio e sulla famiglia. Nella seconda parte della
relazione, dedicata al disegno di Dio sulle famiglie di oggi, ha ricordato
soprattutto che la mascolinità e la femminilità sono espressione della
comunione delle persone come segno originale del dono d'amore del Creatore.
Ne consegue - ha sottolineato - che l'amore dell'uomo e della donna non è
cosa privata, né profana, né meramente biologica, ma qualcosa di sacro che
introduce ad uno "stato", ad una nuova forma di vita, permanente e
responsabile. Il matrimonio e la famiglia - ha ricordato con forza -
precedono in qualche modo la cosa pubblica, e quest'ultima
deve rispettare il diritto proprio del matrimonio e della famiglia e il suo
intimo mistero. Nella terza parte il Porporato ha affrontato i problemi
pastorali legati alla famiglia: da quello della costruzione di una
comunità di persone a quello della generazione della vita, dal ruolo
educativo dei genitori alla necessità della preparazione dei giovani al
matrimonio e alla vita familiare, dai compiti sociali a quelli culturali e
morali. La famiglia, ha concluso, può testimoniare dinanzi al mondo una nuova
umanità di fronte al dominio del materialismo, dell'edonismo e della
permissività.
È stato anche Presidente Delegato della Sesta Assemblea (1983) che ha avuto
per tema la riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa. Nel
suo intervento ai lavori ha ribadito le norme pastorali promulgate dalla
Congregazione per la Dottrina della Fede riguardanti il Sacramento della
Riconciliazione ed ha approfondito, in particolare, le questioni legate a due
interrogativi emersi più volte durante i lavori assembleari: quello
riguardante l'obbligo di confessare i peccati gravi già assolti durante
l'assoluzione generale e quello concernente la confessione personale come
elemento essenziale del Sacramento.
La sua parola ha offerto un contributo fondamentale di riflessione e di
confronto nello svolgimento di tutti i Sinodi dei Vescovi.
Il 25 novembre 1981 Giovanni Paolo II lo ha nominato
Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. È divenuto anche
Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica
Internazionale. Il 15 febbraio 1982 ha quindi rinunciato al governo pastorale
dell'Arcidiocesi di München und Freising.
Il suo servizio come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede
è stato instancabile ed è impresa impossibile elencare questo lavoro nello
spazio di una biografia. La sua opera, come Collaboratore di
Giovanni Paolo II, è stata continua e preziosa.
Tra i tantissimi punti-fermi della sua opera, va segnalato il suo ruolo di
Presidente della Commissione per la Preparazione del Catechismo della Chiesa
Cattolica.
Il 5 aprile 1993 è stato chiamato a far parte dell'Ordine dei Vescovi e ha
preso possesso del Titolo della Chiesa Suburbicaria di Velletri-Segni.
Il 6 novembre 1998 è stato nominato Vice-Decano del Collegio Cardinalizio e
il 30 novembre 2002 è divenuto Decano: ha preso possesso del Titolo
della Chiesa Suburbicaria di Ostia.
Sino all'elezione alla Cattedra di Pietro egli è stato Membro del Consiglio
della II Sezione della Segreteria di Stato; delle Congregazioni per le Chiese
Orientali, per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, per i Vescovi,
per l'Evangelizzazione dei Popoli, per l'Educazione Cattolica; del Pontificio
Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani; della Pontificia
Commissione per l'America Latina e della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei".
In occasione del suo cinquantesimo di ordinazione sacerdotale, Giovanni Paolo
II gli ha inviato un messaggio nel quale, riferendosi alla coincidenza del
suo giubileo con la solennità liturgica dei Santi Pietro e Paolo, con parole
in qualche modo "profetiche" gli ha ricordato che "in Pietro
risalta il principio di unità, fondato sulla fede salda come roccia del
Principe degli Apostoli; in Paolo l'esigenza intrinseca del Vangelo di
chiamare ogni uomo ed ogni popolo all'obbedienza della fede.
Queste due dimensioni si congiungono alla comune testimonianza di santità,
che ha cementato la generosa dedizione dei due apostoli al servizio della
immacolata Sposa di Dio. Come non scorgere in queste due componenti - si è
chiesto Giovanni Paolo II - anche le coordinate fondamentali del cammino che
la Provvidenza ha disposto per Lei, Signor
Cardinale, chiamandola al Sacerdozio?".
Al Cardinale Ratzinger sono state affidate le
meditazioni della Via Crucis 2005 celebrata al Colosseo.
In quell'indimenticabile Venerdì Santo, Giovanni
Paolo II, stretto, quasi aggrappato al Crocifisso, in una struggente
"icona" di sofferenza, ha ascoltato in silenzioso raccoglimento le
parole di colui che sarebbe divenuto il suo Successore sulla Cattedra di
Pietro. Significativamente, il leitmotiv della Via Crucis è stata la parola
pronunciata da Gesù la Domenica delle Palme, con la quale - immediatamente
dopo il suo ingresso a Gerusalemme - risponde alla domanda di alcuni greci
che lo volevano vedere: "Se il chicco di grano caduto in terra non
muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12, 24). Con queste parole il Signore ha offerto una
interpretazione "eucaristica" e "sacramentale" della sua
Passione. Ci mostra - è stata la riflessione del Porporato - che la Via
Crucis non è semplicemente una catena di dolore, di cose nefaste, ma è un
mistero: è proprio questo processo nel quale il chicco di grano cade in
terra e porta frutto. Con altre parole, ci mostra che la Passione è
un'offerta di se stesso e questo sacrificio porta frutto e diventa quindi un dono
per tutti.
Le sue riflessioni risuonate la sera del Venerdì Santo nel suggestivo
scenario del Colosseo sono rimaste impresse nelle
coscienze degli uomini. "Non dobbiamo pensare anche - è stato il suo
vibrante invito nella meditazione della nona stazione - a quanto Cristo debba
soffrire per la sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo
sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso
egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza renderci conto
di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede
c'è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c'è nella Chiesa,
e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere
completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!".
"Signore - è stata la preghiera scaturita dal suo cuore -, spesso la tua
Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da
tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano.
La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi
stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le
nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa...
Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la
tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi".
Appena ventiquattr'ore prima della morte di
Giovanni Paolo II, ricevendo a Subiaco il
"Premio San Benedetto" promosso dalla Fondazione sublacense "Vita e famiglia", aveva ribadito
con parole oggi particolarmente eloquenti: "Abbiamo bisogno di uomini
come Benedetto da Norcia, che in un tempo di dissipazione e di decadenza, si
sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le
purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce. Ritornò e fondò Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine,
mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo. Così Benedetto,
come Abramo, diventò padre di molti popoli".
Venerdì 8 aprile egli - come Decano del Collegio Cardinalizio - ha presieduto
la Santa Messa esequiale di Giovanni Paolo II in
Piazza San Pietro. La sua omelia, si può dire, ha espresso la grande fedeltà
al Papa e la sua stessa missione. ""Seguimi"
dice il Signore risorto a Pietro, come sua ultima parola a questo discepolo,
scelto per pascere le sue pecore. "Seguimi"
- questa parola lapidaria di Cristo può essere considerata la chiave per
comprendere il messaggio che viene dalla vita del nostro compianto ed amato
Papa Giovanni Paolo II, le cui spoglie deponiamo oggi nella terra come seme
di immortalità - il cuore pieno di tristezza, ma anche di gioiosa speranza e
di profonda gratitudine".
"Seguimi!" è stata la parola-chiave, il
filo-conduttore dell'omelia che il Cardinale Ratzinger
ha rivolto al mondo intero durante le esequie del Santo Padre. Una parola che
racconta la missione di Giovanni Paolo II ed è allo stesso tempo una
esortazione che raggiunge ogni persona.
""Seguimi!" Insieme al mandato di
pascere il suo gregge, Cristo annunciò a Pietro il suo martirio - sono le
incalzanti parole del Cardinale Ratzinger nella sua
vibrante e commossa omelia esequiale -. Con questa
parola conclusiva e riassuntiva del dialogo sull'amore e sul mandato di
pastore universale, il Signore richiama un altro dialogo, tenuto nel contesto
dell'ultima cena. Qui Gesù aveva detto: "Dove vado io voi non
potete venire". Disse Pietro: "Signore, dove vai?". Gli
rispose Gesù: "Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai
più tardi" (Gv 13, 33.36). Gesù dalla cena va
alla croce, va alla risurrezione - entra nel mistero pasquale; Pietro ancora
non lo può seguire.
Adesso - dopo la risurrezione - è venuto questo momento, questo "più
tardi". Pascendo il gregge di Cristo, Pietro entra nel mistero pasquale,
va verso la croce e la risurrezione. Il Signore lo dice con queste parole,
"...quando eri più giovane... andavi dove volevi, ma quando sarai
vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà
dove tu non vuoi" (Gv 21, 18). Nel primo
periodo del suo Pontificato il Santo Padre, ancora giovane e pieno di forze,
sotto la guida di Cristo andava fino ai confini del mondo. Ma poi sempre più
è entrato nella comunione delle sofferenze di Cristo, sempre più ha compreso
la verità delle parole: "Un altro ti cingerà...". E proprio
in questa comunione col Signore sofferente ha instancabilmente e con
rinnovata intensità annunciato il Vangelo, il mistero dell'amore che va fino
alla fine (cfr Gv 13,
1)".
"Egli - ha affermato il Cardinale Ratzinger -
ha interpretato per noi il mistero pasquale come mistero della divina
misericordia... Il Papa ha sofferto ed amato in comunione con Cristo e perciò
il messaggio della sua sofferenza e del suo silenzio è stato così eloquente e
fecondo". E ha così concluso, con parole che costituiscono una
"sintesi", si può dire, del Pontificato di Giovanni Paolo II ma
anche della sua stessa missione di fedele, diretto e stretto Collaboratore
del Papa dal 1981 come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della
Fede: "Divina Misericordia: Il Santo Padre ha trovato il
riflesso più puro della misericordia di Dio nella Madre di Dio. Lui, che
aveva perso in tenera età la mamma, tanto più ha amato la Madre divina. Ha
sentito le parole del Signore crocifisso come dette proprio a lui personalmente:
"Ecco tua madre!". Ed ha fatto come il discepolo prediletto:
l'ha accolta nell'intimo del suo essere - Totus tuus. E dalla madre ha imparato a conformarsi a Cristo.
Per tutti noi rimane indimenticabile come in questa ultima domenica di Pasqua
della sua vita, il Santo Padre, segnato dalla sofferenza, si è affacciato
ancora una volta alla finestra del Palazzo Apostolico ed un'ultima volta ha
dato la benedizione "Urbi et
orbi". Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla
finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice. Sì, ci
benedica, Santo Padre. Noi affidiamo la tua cara anima alla Madre di Dio, tua
Madre, che ti ha guidato ogni giorno e ti guiderà adesso alla gloria eterna
del Suo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore".
Alla vigilia della sua elezione al Soglio Pontificio, nella mattina di lunedì
18 aprile, nella Basilica Vaticana, ha celebrato la Santa Messa "pro eligendo Romano Pontifice"
insieme con i 115 Cardinali, a poche ore dall'inizio del Conclave che lo
avrebbe eletto. "In quest'ora di grande
responsabilità - ha esortato all'omelia -, ascoltiamo con particolare
attenzione quanto il Signore ci dice". Riferendosi alle letture della
Liturgia, ha ricordato che "la misericordia divina pone un limite al
male. Gesù Cristo è la misericordia divina in persona: incontrare
Cristo significa incontrare la misericordia di Dio. Il mandato di Cristo è
divenuto mandato nostro attraverso l'unzione sacerdotale; siamo chiamati a
promulgare - non solo a parole ma con la vita, e con i segni efficaci dei
sacramenti, "l'anno di misericordia del Signore"". "La
misericordia di Cristo - ha sottolineato - non è una grazia a buon mercato,
non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo e sulla
sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia
e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore
sofferente". "Quanto più siamo toccati dalla misericordia del
Signore - ha aggiunto -, tanto più entriamo in solidarietà con la sua
sofferenza - diveniamo disponibili a completare nella nostra carne
"quello che manca ai patimenti di Cristo"".
"Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede, in stato di minorità - ha
poi esortato -. Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi
decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola
barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste
onde - gettata da un estremo all'altro: dal marxismo al liberalismo,
fino al libertinismo; dal collettivismo
all'individualismo radicale; dall'ateismo ad un vago misticismo religioso;
dall'agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette
e si realizza quanto dice san Paolo sull'inganno degli uomini, sull'astuzia
che tende a trarre nell'errore (cfr Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della
Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo.
Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare "qua e là da qualsiasi
vento di dottrina", appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei
tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non
riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il
proprio io e le sue voglie.
Noi, invece, abbiamo un'altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui
la misura del vero umanesimo. "Adulta" non è una fede che segue le
onde della moda e l'ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente
radicata nell'amicizia con Cristo. È quest'amicizia
che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra
vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a
questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo". "Il nostro
ministero - ha ricordato in conclusione - è un dono di Cristo agli uomini,
per costruire il suo corpo - il mondo nuovo. Viviamo il nostro ministero
così, come dono di Cristo agli uomini! Ma in questa ora, soprattutto,
preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa
Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un
pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera
gioia".
|