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CRISTO, LUCE DEGLI SMARRITI DEL TERZO MILLENNIO |
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Il parroco e il comitato
degli ex allievi di don Emilio, tra cui principalmente
gli on.li Bersani Giovanni, Mengoli Paolo, Rubbi Emilio e
il dr. Antonio Rubbi, hanno organizzato l'incontro
commemorativo del 25°della morte di questo sacerdote
nella giornata del 15 marzo. |
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L'OMELIA DEL VESCOVO STAGNI |
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Mano a mano che la liturgia si avvicina alla Passione del Signore, emergono nelle letture i temi della persecuzione del giusto e della condanna dell'inviato del Padre. Sono realtà costanti nella storia della salvezza, al punto che Gesù stesso ha proclamato la beatitudine per i perseguitati a causa del suo nome, e ha detto: Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Il testo della Sapienza riporta la motivazione che gli empi danno del loro comportamento ostile: non vogliono ricevere rimproveri per i loro errori, e non vogliono che si rinfacciano loro "le mancanze contro l 'educazione ricevuta". Una motivazione abbastanza singolare, che ci dice tuttavia come il male possa essere voluto in modo consapevole, e come ci possa essere un rifiuto cosciente del bene nel quale si è cresciuti e che magari in passato è stato anche praticato. I malvagi pensano che basti far tacere colui che rimprovera loro il male, e tutto sarà più facile. Come si vede non c'è nulla di nuovo sotto il sole: anche oggi contro la Chiesa e i suoi ministri si cercano pretesti (che si possono chiamare: ingerenza indebita, arretratezza culturale, ecc.) per far tacere i profeti che parlano in nome di Dio. Il Signore Gesù nell'episodio del Vangelo che si riferisce alla festa delle capanne, mostra di padroneggiare gli eventi, non si lascia condizionare dai suoi nemici, predica nel tempio nonostante la proibizione. Il messaggio di questo episodio è la denuncia nella gente di una conoscenza presuntuosa che trascura il dato più importante: Gesù è l'inviato del Padre, che la gente non conosce, e non vuole conoscere nemmeno attraverso la rivelazione dei profeti antichi. Gesù non solo rimprovera l'incredulità nei suoi avversari, ma si sottrae loro perche "non era ancora giunta la sua ora": l'ora nella quale si sarebbe compiuto il mistero pasquale di morte e di risurrezione, quando i nemici di Cristo sembrano prevalere, ma vengono sconfitti proprio mediante la sua stessa morte. In questa liturgia noi facciamo memoria anche di Mons. Emilio Faggioli, a 25 anni dalla sua morte. Lo ricordiamo per pregare il Padre della misericordia che conceda la pace eterna al suo servo coraggioso e fedele, per ringraziare il Signore per il bene che egli ha fatto a questa parrocchia di San Giovanni in Monte e a molti dei presenti nella sua lunga vita di prete, ma anche per non lasciare che vada perduto il suo esempio di educatore e di parroco. Lui stesso aveva scritto poco prima di morire: "Ritrovandovi qui radunati per il mio funerale, a chi ve lo chiede dite che è morto un prete, è morto un parroco, è morto don Emilio". Tutto il suo ministero presbiterale è stato svolto qui a S.Giovanni in Monte; iniziò come Vicario Cooperatore per sette anni, poi come parroco per quasi 59, rimanendo poi in parrocchia anche per gli ultimi due anni, a compiere quel ministero che le forze gli avrebbero consentito. La sensibilità educativa di Mons. Faggioli si rivelò fin da quando conseguì il diploma di maestro elementare, e trovò modo di esprimersi in diverse opportunità pastorali, dal promuovere l'Azione Cattolica e la prima associazione di Scouts cattolici a Bologna, come pure la Pia Unione delle Madri Cristiane e la Congregazione della Beata Elena Duglioli Dall'Olio, fino all'insegnamento della religione cattolica al Liceo Galvani. Il suo animo di pastore lo spinse ad interessarsi non solo della sua parrocchia ma ad assumere vari incarichi a favore sia dei fedeli sia dei sacerdoti dell' Arcidiocesi e della Regione. Per dare un'idea della sua attività vasta e diversificata, ricordo solo che fu insegnante di liturgia e di pastorale nel Seminario Regionale, promosse una associazione di Mutua Carità tra il Clero, fu Vice Presidente del Comitato Organizzatore del Congresso Eucaristico Nazionale de1927; durante la prima guerra mondiale presiedette il Comitato per I'assistenza religiosa ai militari, e durante la seconda svolse il compito di assistente spirituale nelle carceri di S. Giovanni in Monte. Tutto questo fu segno di uno zelo pastorale che per altro verso non lo fermava di fronte a nessun ostacolo. Egli stesso era consapevole del suo metodo pastorale un po' robusto, che tendeva tuttavia a difendere la verità cattolica e nello stesso tempo a scuotere le coscienze. In una sua lettera con cui rispondeva ad una osservazione del suo superiore, preoccupato per una espressione un po' troppo forte nel suo famoso Bollettino parrocchiale, mons. Faggioli scriveva: "Lei si mette nei panni di chi non mi conosce. Ma il mio Bollettino è parrocchiale" cioè diretto a chi mi conosce (se sono vecchi!) da oltre sessanta anni. Le frasi incriminabili sono veramente mie e pesate nel loro significato. l parrocchiani sanno leggere ed interpretarle tranquillamente. Hanno la pelle dura come i cavalli od altri animali del genere. Mi vogliono bene; hanno un poco di soggezione, ma al momento opportuno vengono per infiniti motivi, perche sanno di trovare un cuore intero che batte per loro ed un poco di testa. L 'articolo di Quarta Pagina, viene letto da tutti col mio permesso di criticarlo e di non confessare il peccato, avendo essi già fatta la penitenza nel leggerlo. Cominciai nel periodo fascista per soddisfare il desiderio di chi desiderava trovarmi in fallo. Mangiavano con un senso di repulsione, ma intanto un poco di cibo a mie spese lo inghiottivano. l miei "nemici" mi hanno sempre stimato per la mia lealtà e sincerità." Come non apprezzare quell'intento di arrivare anche a coloro che lo avversavano, con un nutrimento che intanto inghiottivano a sue spese, ammirati della sua schiettezza, che invece di allontanare apriva il sentiero dell'incontro per infiniti motivi? Indubbiamente il suo carattere forte e squadrato ha fatto qualche vittima, ma come non vedere il coraggio di chi è pronto a pagare di persona, come quando accolse in canonica Mons. Ettore Lodi, allontanato dall'incarico di Rettore del Seminario, perche accusato di Modernismo? Penso che una ragione della linearità nella missione presbiterale di Mons. Faggioli stia nella coscienza del sua responsabilità di inviato nel nome del Signore. Aveva detto Gesù: "come il Padre ha mandato me, così io mando voi". E anche nel Vangelo di stassera: "lo non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero". La coscienza dell'inviato è quella di chi pone mano all'aratro e non si volta indietro, e non si ferma di fronte a nessuna difficoltà. Ne ha abbastanza di sapere che quello che fa gli viene chiesto dal suo Maestro, al quale ha donato l'unica sua vita. Anche la famosa frase incriminata: nella mia parrocchia sono parroco, vescovo e papa, intesa nel suo aspetto positivo dice una responsabilità consapevole che uno sa di avere in prima persona di fronte ai rischi e ai pericoli, e che non intende scaricare a nessuno, ne ai superiori, ne a qualche organismo collegiale dietro il quale nascondersi. E forse dalla conoscenza di questo piccolo grande prete, della sua schiettezza e della sua coerenza, della sua dedizione e della sua genialità, del suo coraggio e del suo rigore educativo viene il ricordo grato dei suoi ragazzi di allora, che sanno di essergli debitori di avere trovato in lui, in un tempo decisivo per la loro vita, un prete, un parroco, don Emilio. |
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Claudio Stagni Vescovo | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
COME LO RICORDA IL RETTORE DELLA NOSTRA UNIVERSITA' |
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La prima cosa che mi viene in mente era il suo modo di predicare. L'esordio era lento, la voce bassa, al limite dell'udibilità, le braccia distese e le mani ad impugnare l'ottone scintillante della balaustra, la pianeta splendida (l'unica civetteria di una vita vissuta poveramente), spesso lievemente di sghimbescio, sovrabbondante per un corpo così minuto, i chierichetti impalati ai lati. Era la Messa delle 11 di Mons. Faggioli: o meglio, delle 10 e 60, come ebbe modo di ricordare al Card. Lercaro lievemente in ritardo nella sua visita pastorale: "a San Giovanni in Monte la Messa non esce alle 11 ma alle 10 e 60". Dapprima la voce usciva esile, come se dovesse vincere un doloroso ostacolo interno. Si alzava via via seguendo il fuoco dei concetti. Allora vibrava con intensità inaudita, soprattutto nella citazione del prediletto San Paolo, assumeva i toni della perorazione alta, trasmetteva il fascino del mistero di una fede servita con la totalità delle forze e delle fibre, incarnava in quei brevi istanti, visivamente, teatralmente, la radicalità di una scelta. Le sue omelie erano una ribollente rappresentazione della necessità di una scelta continua, del bivio che continuamente si apre nel cammino dell'uomo ed erano la rappresentazione della parola come via principale alla verità, a condizione che non scenda a negoziati o compromessi col mondo. Parlava in modo ruvido e deciso, inseguendo l'ispirazione di una fede paziente e vittoriosa, una fede concepita come misura di tutte le cose. Sapeva vivere con animo festivo la sua fede nella Chiesa; un dono di fiducia e di speranza offerto ad una generazione che non avrebbe trovato nella società ne modelli ne maestri. Aveva il sentimento forte della fede come sfida continua, a se stessi alle istituzioni del mondo, ai poteri invadenti della società, a quella che San Paolo chiamava "la sapienza dei sapienti" di quei sapienti che non fidandosi di Dio sono divenuti stolti "sostituendo Dio con una copia" (mutaverunt gloriam incorructibili Dei in similitudinem imagini corruptibilis Hominis, Romani, l, 23). Ci insegnò l'abbandono fiducioso alla misericordia di Dio, I'immanenza della colpa e l'infinita disponibilità a cancellarla. "Oggi c'è in cielo un nuovo angelo", disse ai suoi ragazzi, rientrando dopo avere assistito fino agli ultimi istanti il feroce Tartarotti, disumano torturatore fucilato dopo la Liberazione. Me lo ha ricordato l'amico Tonino Rubbi, qualche giorno fa. Ci insegnò che solo l'ipocrisia suscita l'ira dell'Altissimo e che, in modo diretto, senza appello o esitazione, solo i banchi dei mercanti del Tempio verranno rovesciati, con tutti i loro idoli, sacri o secolari. L'insofferenza per l'ipocrisia arrivava fino alla provocazione, fino al punto di segnalare su grandi cartelli appesi davanti al suo studio che "il parroco può raccomandare soltanto i suoi parrocchiani". Trasmetteva ai giovani un senso di freschezza interiore, come se avesse conservato dentro di se la fede ingenua della fanciullezza. Risaltava questa sua caratteristica nel confronto con altre figure di preti, più frequenti allora che oggi, quasi rassegnati al monotono ruolo di funzionari del Verbo. Aveva accettato, come avrebbe detto George Bernanos, "nella propria vita la costante presenza del divino". Ci insegnò la fierezza, la dignità intrepida: la sua storia, che noi conoscevamo solo per brani e notizie incerte, lo accompagnava dovunque e gli conferiva immediatamente una statura morale che contrastava così singolarmente con quella fisica che il Buon Dio gli aveva conferito. Forse qui c'è ancora qualcuno che assistette alle sue roventi omelie contro il nazismo ateo alla presenza, nei primi banchi, del comando tedesco. E sappiamo ancora poco dell'aiuto agli ebrei, del suo contributo alla fuga dei partigiani da San Giovanni in Monte: sappiamo solo della rabbia di SS e dei problemi che ebbe con i gerarchi, come Franz Pagliani, in quel cupo periodo. Non ci propose quella fede trepida, carezzevole, seducente, un poco languorosa se si vuole, che oggigiorno tenta di conquistare giovani smarriti e carenti d'affetto: ma nemmeno eroica, pur essendo, lui, uomo dai sentimenti forti e, direi, intensamente tridentini. Ci propose una fede vigorosa e umana. Era quello il momento in cui più forti e sistematiche si alzavano dovunque le voci sulla morte di Dio. Era il momento in cui l'uomo sembrava di saperne abbastanza per assumere su di se il proprio destino e per archiviare il bisogno di Dio. Era il momento dei teologi della secolarizzazione, dei nuovi interpreti della coscienza secolare moderna che sottraevano al sacro i destini dell 'uomo per consegnarli interamente al profano. L'esperienza dei giovani che si affacciavano allora alla scena della cultura e del mondo ne risultava traumatizzata, divisa, turbata, disorientata, lo ricordo questa esperienza e ricordo la lacerazione interiore tra l'attrazione dello sfarzo scintillante di una cultura che poteva archiviare il Buon Dio e la testimonianza palpitante, inquietante, di questo piccolo uomo che scombinava le carte. La cultura contemporanea archiviava il Buon Dio, ma restava tuttavia, inconprensibile, l'esperienza del dolore, che gli studi ci anticipavano nella figura di Giacomo Leopardi; un'esperienza così propria e unica dell'uomo, e tuttavia così insensata, così inaccettabile, così assurda. Ricordo quando ci parlava di un Dio sofferente, schernito, messo a morte e quindi risorto nella gloria, con parole che evocavano non la certezza trionfante di un dogma ma l'emozione di una possibilità, il turbamento di un'opzione risolutiva, capace di conferire, finalmente, senso e prospettiva al problema del dolore. Questo accadeva nel corso di alcuni straordinari quaresimali che Mons. Faggioli teneva dopo cena, nella penombra quieta, protettiva, del suo San Giovanni in Monte. Il dramma del dolore e della morte veniva rappresentato di fronte a coscienze ancora inconsapevoli e ricordo il sentimento di appagamento e di liberazione di fronte all'ipotesi di un Dio che si offre ostaggio alle sue creature e che risorge. Qualcuno ha detto che di un Dio risorto è difficile poterne fare a meno, dirne di non averne più bisogno. Un Dio risorto non può più essere messo a morte. Ci trasmise il senso di questa possibilità inquietante e contagiosa, ma senza tracotanti certezze. Aveva fama di uomo dal carattere ruvido e dai tratti sbrigativi, ma ebbe un rapporto speciale con i giovani. Questi lo sentirono prima come fratello maggiore e poi come educatore. In modo unico e singolare dedicava a questa predilezione riserve insospettabili di dolcezza e di tenerezza. Solo oggi mi par di comprendere l'origine di questo rapporto speciale con le giovani generazioni, che dà luce a tutta la vigorosa personalità di Mons. Faggioli: era la manifestazione di una naturale disposizione alla speranza. Egli sapeva, come Papa Giovanni, che una Chiesa capace di speranza non cede al timore perche si affida totalmente alla promessa. l giovani, la speranza e l'impegno, come concreto servizio alla speranza. Parlava raramente di se, ma menava vanto che il sacro servizio non fosse mai stato interrotto, nemmeno per un momento, nella sua chiesa sventrata dai bombardamenti in quel sabato 29 gennaio '44. Tra le macerie ancora fumanti organizzò i ragazzi alla ricerca dei più minuti frammenti in cui era esplosa l'aquila di Nicolò dell'Arca, che oggi può continuare a distendere le sue ali protettive sul protiro di San Giovanni; e le ragazze a ripulire la parte agibile della chiesa. Il giorno successivo una messa solenne si levava a ringraziamento per i vivi e compianto dei morti. Debbo concludere. Quella di Mons. Faggioli fu una figura complessa: un raffinato intellettuale che prediligeva i modi semplici, un uomo influente ma ironico coi potenti, un temperamento burbero ma pronto alle più delicate indulgenze con i piccoli e i bisognosi. Un uomo dal fascino unico, indimenticabile. Potremmo continuare, ma egli ci anticipò, con la consueta ruvida essenzialità: "quando mi ricorderete, dite semplicemente che ricordate un prete e un parroco". E basta. |
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Prof. Pier Ugo Calzolari | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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