IL GIUBILEO: DALLE ORIGINI AL SIGNIFICATO CRISTIANO

Giubileo…

I giubilei commemorano il mistero dell'incarnazione al compiersi dei cento, dei cinquanta, dei venticinque anni di un secolo; altri ancora, al trentatreesimo anno, ricordano l'evento della Redenzione. Finora se ne sono svolti 27. Il prossimo giubileo del Duemila (il 28°) avrà un particolare significato, perché ci lasciamo alle spalle non solo un secolo, ma un millennio.
Il giubileo cristiano ritrova però le sue radici nella Bibbia: un anno che si svolgeva con particolari modalità, celebrato in onore di Dio.

Il giubileo nella tradizione biblica

Presso il popolo ebraico, il Giubileo era un periodo consacrato a Dio.

Ricorreva allo scadere di sette settimane di anni (7x7=49), quindi ogni 50° anno. In quell’anno, oltre a lasciar riposare la terra, come si faceva ogni sette anni (nel cosiddetto anno sabbatico), gli schiavi erano liberati, le terre erano restituite ai proprietari e i debiti venivano condonati. L'annuncio del giubileo era dato con un suono caratteristico ottenuto soffiando dentro un corno vuoto di montone, detto jobel da cui deriverebbe il nome Giubileo. La trascrizione latina cristiana (jubilaeus) lo ha avvicinato anche al termine latino jubilum = gioia.

Leggiamo nel libro del Levitico 25,10-12: «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti gli abitanti. Sarà per voi un giubileo: ognuno di voi tornerà alla sua proprietà e alla sua famiglia (...) Non farete né semina né mietitura. Potrete mangiare i prodotti che daranno i campi».

Quale era il valore e il significato di queste norme?

a) Con il rispetto della terra l'uomo riconosceva che tutto viene da Dio e gli uomini sono solo gli amministratori dei beni che Dio ha loro donato: la varietà e le ricchezze della creazione sono un possesso comune dell'intera umanità, conservando un certo equilibrio ed evitando eccessive sperequazioni.
b) Con la liberazione degli schiavi si restituiva la dignità ad ogni persona umana, facendo capire che ciascuno aveva diritto alla libertà personale: si trattava di un ideale di giustizia e di uguaglianza tra gli uomini da ristabilire e di offrire nuove possibilità di vita alle famiglie impoverite e indebitate.
c) Con il giubileo dunque si evidenziavano i diritti di Dio come creatore, e allo stesso tempo si sollecitava la sensibilità degli uomini per un cammino di fraternità e solidarietà.
Il giubileo, radicato nell'Antico Testamento, trova la sua continuità nella storia della Chiesa ed acquista un significato eminentemente religioso e spirituale. Per la Chiesa sarà un anno di grazia, di misericordia, di gioia.

Il primo giubileo nella storia della Chiesa (nel 1300)

Il primo giubileo cristiano storicamente registrato è quello del 1300. L'avvicinarsi dell'inizio del nuovo secolo aveva acuito la speranza di un periodo di pace, che ponesse fine ad un'epoca di lotte fratricide e di odio. Spontaneamente verso sera e per tutta la notte di Natale (in quel tempo l'anno civile decorreva appunto dal 25 dicembre, a ricordo della nascita di Gesù), una grande folla si era radunata dentro e fuori la Basilica di S. Pietro e implorava un segno di grazia, di misericordia ed era stimolata dal desiderio di acquistare l'indulgenza, il perdono di tutti i peccati, per iniziare purificati il nuovo secolo che si apriva. Era un moto collettivo, spontaneo, di speranza. Queste manifestazioni religiose e l'entusiasmo generale colsero un po' alla sprovvista il Papa di allora, Bonifacio VIII, e la curia romana.

Il Papa, interpretando nel senso migliore il movimento popolare, decise di venire incontro alle attese della gente e il 22 febbraio 1300 (festa della cattedra di S. Pietro) promulgò un documento ufficiale, la Bolla Antiquorum habet fida relatio con cui indisse il primo giubileo dell'Anno Centesimo, concesse l'indulgenza plenaria (il «pienissimo perdono» dei peccati, scriveva il Papa), stabilì le condizioni per ottenere il giubileo: confessione e pentimento dei propri peccati, la visita alle basiliche dei santi apostoli Pietro e Paolo per 30 giorni dai romani e per 15 dai pellegrini. Ne stabiliva poi la periodicità: ogni cento anni.

In fondo alla bolla furono aggiunti tre versi in latino, che saranno anche cantati dai numerosi pellegrini che si recavano a Roma per ottenere la «perdonanza». In una traduzione a ritmo ottonario, molto libera ed ampliata e che sarà poi inserita nelle laudi, suonavano così:

dei peccati e dei malanni / si perdonano ed i danni,

se nel cuore e nel pensiero / tu ti penti per davvero.

«Sempre a Roma, ogni cent'anni / c'è la gioia senza affanni:

Bonifacio dichiarò / questo e poi lo confermò».

L'afflusso di pellegrini fu straordinario per una città che allora contava solo ventimila abitanti! Un cronista del tempo, Giovanni Villani, calcolava che ogni giorno entrassero e uscissero circa 30.000 persone dalle varie porte della città; che vi fossero in permanenza a Roma, pur alternandosi, circa 200.000 pellegrini e che alla fine fossero venuti per il giubileo in tutto circa due milioni di persone.
I Romani ne ebbero anche un notevole vantaggio economico. Il denaro raccolto (oltre centomila fiorini, una somma enorme per quei tempi!) fu destinato a realizzare opere pubbliche, a restaurare chiese e ad acquistare un vasto terreno sulla via Salaria, ove fu costruito un castello, detto Castel Giubileo a ricordo dell'anno giubilare. Tra i vari pellegrini fu presente anche Dante, che nella "Divina Commedia" ricorda l'impressione avuta nel vedere l'incessante scorrere della gente «a doppio senso di marcia», - necessario per l'incessante folla dei pellegrini - sul ponte Sant'Angelo.

Il giubileo si chiuse alla vigilia di Natale del 1300 (considerata la fine dell'anno civile in quel tempo) ed ebbe un enorme successo: Roma era stata al centro del mondo e quel giubileo fu il grande avvenimento d'inizio secolo, rimase una pietra miliare nella storia della Chiesa. Fu immortalato nell'affresco attribuito a Giotto nella loggia esterna della basilica di S. Giovanni in Laterano (il dipinto raffigura Bonifacio VIII, che, attorniato da altri personaggi, legge la bolla d'indizione del giubileo); il testo della bolla fu inciso sul marmo nell'atrio della Basilica Vaticana (in alto a sinistra presso la "Porta Santa").

Nel giubileo riscopriamo il perdono di Dio

 

La “confessione” , o meglio la “penitenza”, è uno dei sette sacramenti, cioè di quei sette segni che il Signore Gesù Cristo ha “inventato”, per restare in mezzo ai suoi fedeli fino alla fine dei tempi e per donare la salvezza ad ogni uomo che crede in Lui.

La penitenza è il sacramento del perdono: in esso Dio Padre, per i meriti di Gesù crocifisso, perdona i nostri peccati, ci riconcilia con sé e con i nostri fratelli.

La penitenza, come tutti i sacramenti, è stata affidata da Gesù alla Chiesa; nella Chiesa i vescovi e i sacerdoti, poiché sono i successori degli Apostoli, esercitano il potere di perdonare i peccati in nome di Cristo. Infatti Gesù risorto, la sera stessa di Pasqua, donando lo Spirito Santo, diede ai suoi Apostoli questo potere. Leggiamo nel Vangelo di Giovanni queste parole, dette da Gesù agli Apostoli: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Gv 20,21-23).

Questo sacramento storicamente è stato chiamato con diversi nomi, a seconda che se ne volesse sottolineare un aspetto piuttosto che un altro:

Confessione: quando si voleva mettere in risalto l’accusa dei propri peccati.

Penitenza: quando si voleva mettere in risalto il pentimento, che deve accompagnare l’accusa dei peccati.

Riconciliazione: quando si voleva mettere in risalto l’effetto del sacramento, che è la pace con Dio.

Il sacramento della confessione penitenza-riconciliazione rimette i peccati commessi dopo il battesimo, di cui il credente si è pentito ed ha chiesto perdono a Dio, attraverso il sacerdote.

È importante allora ricordare che cosa è il peccato, perché senza la coscienza del peccato non riusciamo a comprendere neppure la grandezza del sacramento che ci riconcilia con Dio, donandoci il perdono dei peccati.

Con il termine “peccato” si indica tutto ciò che ci separa dall’amore di Dio: i pensieri, le parole, i fatti, le mancanze, che noi liberamente compiamo contro la volontà di Dio, la sua legge santissima, gli insegnamenti del Vangelo, gli esempi di Gesù, le indicazioni della Chiesa.

Il peccato si pone come un muro di separazione tra noi e Dio, fatto di sfiducia in Lui, di indifferenza verso il suo amore, di rifiuto delle sue leggi di giustizia e di amore e, nei casi più gravi, di vera e propria malvagità e odio verso Dio e verso l’uomo creato da Dio.

Il peccato deforma l’immagine di Dio che è in noi, ci allontana dal suo amore, ci porta a rifiutare il progetto del Padre, che vuole gli uomini suoi figli in Cristo.

Il rifiuto di Dio coincide con il rifiuto della luce e della vita, con la scelta delle tenebre e della morte, con una vita triste sulla Terra e con l’inferno nell’eternità.

Gesù, il Figlio di Dio, si è fatto uomo per salvarci dal peccato e dalla morte. Egli è l’Agnello di Dio che prende su di sé i peccati del mondo e li distrugge, morendo sulla croce e risorgendo.

Nel sacramento della penitenza incontriamo Gesù crocifisso e risorto, ci uniamo a Lui come i tralci alla vite, e la potenza della sua morte e risurrezione entra in noi distruggendo i nostri peccati.

Nel sacramento della penitenza riceviamo in dono la remissione dei nostri peccati, il perdono di Dio, la piena riconciliazione con il Padre, la possibilità di una vita nuova, il paradiso.

Il sangue di Gesù, Agnello immolato, lava le nostre colpe: questo non una volta sola, ma infinite volte. Ogni volta che chiediamo questo dono al Signore, attraverso il pentimento, Egli ce lo concede volentieri e con abbondanza, perché ci ama.

Nella confessione noi riceviamo un dono gratuito e immeritato: non sono le nostre opere che ci meritano il perdono, ma è la bontà di Dio che ce lo dona gratuitamente.

Quindi il nostro impegno non è tanto quello di cercare di meritarci il perdono di Dio (nessun uomo davanti a Dio può dire: “merito di essere perdonato”; questa pretesa è un gravissimo peccato di presunzione), ma è quello di prepararci a riceverlo in modo serio.

Per ricevere il perdono di Dio nel sacramento della penitenza sono necessarie alcune cose:

Il pentimento, cioè il dispiacere di esserci allontanati da Dio, che ci ama immensamente, continuamente, fedelmente, nonostante i nostri tradimenti.

L’esame di coscienza, per scoprire i peccati commessi, cioè i modi concreti con cui ci siamo allontanati da Dio nei pensieri, nelle parole, nei giudizi, nelle opere, nei doveri mancati, nelle offese recate a Dio stesso, a noi, agli altri.

L’accusa dei peccati, cioè la confessione delle proprie colpe al sacerdote, ministro del perdono di Dio. Questo gesto, oltre ad essere un atto di umiltà e di fede, è anche il modo concreto con cui noi diciamo il nostro dispiacere e rifiutiamo, chiamandoli per nome, i peccati che ci hanno separato da Dio.

²     Il proposito, cioè il desiderio che diventa impegno per un futuro migliore, in cui faremo di tutto per evitare il peccato.

²     La penitenza, cioè un gesto di riparazione, con il quale vogliamo sottolineare la nostra buona volontà di conversione. La penitenza, stabilita dal sacerdote che ci assolve, non è la “multa” per i peccati (il prezzo dei nostri peccati lo ha pagato Cristo sulla croce), ma è il “segno” della nostra volontà di cambiamento e di conversione. Infatti ogni confessione deve farci compiere un passo in avanti verso Dio sulla via della santità, deve cambiare qualcosa in noi. L’amore di Dio, che ci raggiunge nella forma del perdono, non ci può lasciare insensibili e indifferenti.

Nel giubileo riscopriamo il volto materno della Chiesa  (L’INDULGENZA)

Il giubileo offre al cristiano la possibilità di ottenere l'indulgenza plenaria, cioè la remissione della pena temporale dovuta per i propri peccati: è un dono della misericordia di Dio, che viene incontro agli uomini con la sua bontà, è una manifestazione della materna bontà della Chiesa, che desidera la santità dei suoi figli sopra ogni cosa.

La dottrina delle indulgenze è uno dei punti della nostra fede, su cui purtroppo sussistono molti pregiudizi e interpretazioni devianti, a motivo anche dei ripetuti abusi dei secoli passati.

Per comprendere rettamente e vivere autenticamente questa verità meravigliosa e consolante della nostra fede occorre fare un’appropriata riflessione.

Ogni peccato esprime la sua malvagità essenzialmente in due dimensioni.

la prima è l’offesa all’amore di Dio; la seconda è invece il danno che il peccato provoca, rovinando l’armonia del creato, perché allontana da Dio, crea divisione, alimenta il male, prepara nuovi peccati, contribuisce a costruire un mondo lontano da Dio.

L’offesa all’amore di Dio costituisce una colpa, che è perdonata al peccatore pentito attraverso il sacramento della confessione; il danno, arrecato dal peccato, a colui che lo compie e a tutta la creazione, va riparato attraverso le opere buone e le penitenze che, operando da vere medicine dell’anima, estirpano il male dal cuore dell’uomo e ricostruiscono la bellezza del mondo, deturpata dal peccato.

A volte però la vita dell’uomo, anche a motivo della negligenza con cui ci dedichiamo al bene, non è sufficiente a riparare i peccati.

La Chiesa insegna, fedele a Cristo, che al di là della morte, in quella condizione che la teologia ha chiamato il purgatorio, le anime ripareranno il male commesso in vita, prima di entrare nella gioia del paradiso.

Siccome la Chiesa è fondata sulla legge dell’amore e della carità, è possibile che un fedele ripari, con le sue buone opere, al male commesso da altri: questa è la comunione dei santi, cioè la comunione dei beni spirituali di tutti i membri della Chiesa.

In questo modo i meriti infiniti di Cristo, capo della Chiesa, della Beata Vergine Maria, dei Santi e di tutti i fedeli, che costituiscono il tesoro della Chiesa, possono essere distribuiti tra tutti i credenti, in modo che ognuno ne tragga il necessario beneficio spirituale.

Il dono dell’indulgenza è proprio questa distribuzione di beni spirituali, di meriti provenienti dalle opere buone dei Santi, che donati ai peccatori, li aiutano a riparare in tutto o in parte il male commesso.

Per accedere alle indulgenze la Chiesa, e in essa il Santo Padre che esercita il potere delle chiavi dato da Gesù a san Pietro, stabilisce delle condizioni.

Queste condizioni vogliono essere segni della buona volontà del peccatore a convertirsi e ad unirsi più intimamente a Cristo, per una vita santa; non devono mai essere considerate nella logica dello scambio o peggio della compravendita. Infatti non è, ad esempio, il pellegrinaggio in se stesso ad acquistarci l’indulgenza del giubileo, ma le disposizioni d’animo del pellegrino che, mettendosi in cammino, esprime il desiderio interiore di avvicinarsi a Cristo.

Sempre a motivo della comunione dei Santi, le indulgenze, acquistate dai fedeli durante il giubileo, possono essere donate ai defunti per abbreviare il loro purgatorio.

Il termine latino indulgentia significa originariamente condiscendenza: nel tempo antico e medioevale essa consisteva in concessioni (come condoni di tributi, amnistie, …) che i sovrani accordavano in particolari circostanze: era dunque collegata ad un atto di bontà da parte del monarca o del padrone.

L’anno del giubileo si presenta a noi come il tempo della grande condiscendenza di Dio-Trinità e della Chiesa, sposa del Verbo, verso gli uomini peccatori.

Norme per l'acquisto dell'indulgenza plenaria durante il giubileo. Sono contenute nel decreto annesso alla Bolla di indizione per il giubileo dell'anno Duemila Incarnationis Mysterium. Occorre premettere che l'indulgenza plenaria si può acquistare una sola volta al giorno e che il punto culminante del giubileo è l'incontro con Dio Padre, per mezzo di Cristo, presente nella sua Chiesa, in modo speciale nei Sacramenti: quelli che ci aprono al dono dell'indulgenza, per noi e per i defunti, sono la Penitenza e l'Eucaristia. Questi due sacramenti devono essere poi accompagnati da preghiere ed esercizi di carità e di mortificazione, che esprimano la conversione del cuore.

(a)    Condizioni: confessione (non è necessario ripeterla ogni giorno, ma si raccomanda che sia frequente, e sia fatta non oltre i quindici giorni dal giorno, in cui si è deciso di compiere le opere prescritte per acquistare l’indulgenza) e comunione ( fatto ogni volta che si vuole acquistare un’indulgenza e nello stesso giorno). Visita ad una Chiesa giubilare (recitando il Credo e il Padre Nostro, pregando secondo le intenzioni del Santo Padre)

(b)   Modalità:  Pellegrinaggi (nei luoghi stabiliti dall'autorità ecclesiastica) , con preghiere, raccoglimento, lettura della Parola di Dio, partecipazione alle celebrazioni liturgiche.

Atti di carità: visite a infermi, carcerati, anziani in solitudine, handicappati, bisognosi «quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo, presente in loro».
Gesti penitenziali che esprimano la volontà di convertirsi, di rinnovare la propria vita, di aiutare il prossimo, offrendo qualcosa che ci appartiene (tempo, denaro,…) o astenendosi almeno durante un giorno da consumi superflui (per esempio dal fumo, da bevande alcoliche, digiunando o praticando l'astinenza, secondo le norme generali della Chiesa) e devolvendo una proporzionata somma in denaro ai poveri; sostenendo con un significativo contributo opere di carattere religioso ( specialmente a favore dell'infanzia abbandonata, degli anziani bisognosi, delle missioni, del seminario); dedicare parte del proprio tempo libero ad attività della parrocchia o della diocesi o di un istituto religioso.

Sono Chiese Giubilari, nelle quali cioè si può acquistare l’indulgenza del giubileo ogni giorno dal 25 dicembre del 1999 al 6 gennaio del 2001:

-      Le Basiliche Patriarcali di Roma (S. Pietro, S. Maria Maggiore, S. Giovanni Laterano, ecc…)

-      I Santuari della Terra Santa.

-      Alcune chiese diocesane (prima tra tutte la cattedrale)