MIETITURA DEL GRANO, VENDEMMIA, RACCOLTA DELLA OLIVE

Giugno: falce in pugno.
È un vecchio proverbio che, per gli altiliesi, significava andare a chiedere ~ vicino di casa, al proprietario del fondo finitimo, al parente, al compare, aiuto per poter effettuare la mietitura del grano nel proprio fondo.
A turno ed in maniera reciproca iniziavano a falciare il grano maturo di tutte le contrade di Altilia di modo che il proprio lavoro veniva compensato in natura dal lavoro degli altri.
Con questo sistema, anche coloro che avevano delle proprietà più cospicue, riuscivano a farsi aiutare e non dimenticavano di distribuire fra la popolazione, a titolo di regalia per l'aiuto ricevuto, prodotti delle loro terre.
In ogni podere si ammucchiavano in un solo punto i covoni di grano edificando la
timugna.
Poi il grano veniva trasportato nella più vicina aia dove con una coppia di buoi si effettuava la trebbiatura secondo l'uso antico. Ai buoi veniva applicato il giogo ed al centro veniva legata una robusta corda che a sua volta era legata a debita distanza ad una pietra rettangolare piuttosto pesante, una dura arenaria con un buco in prossimità di un lato dentro cui si faceva passare la corda con un nodo scorsoio di modo che i buoi, girando in tondo per l'aia, trascinavano la pietra che per attrito radente faceva sbriciolare la spiga di grano dai covoni.
Quando la lenta operazione terminava, con il ventilabro si tentava di separare la pula dal grano, aiutati dal vento.
Questa operazione veniva effettuata di notte, allume della luna, di modo che, il mattino seguente, ognuno potesse raccogliere sull'aia il frutto del proprio lavoro, ponendo il grano nei sacchi di canovaccio. Certamente questa era la parte più dura del lavoro ma era anche,
per i giovani che partecipavano, l'occasione d'intessere relazioni d'amore e di effettuare le stornellate a lassa e piglia.
Con l'avvento della trebbia, tutte queste usanze progressivamente cessarono, così come molte attività di solidarietà umana, e naturalmente finirono anche le stornellate. Non cessò invece la collaborazione a casa di chi aveva raccolto il grano, perché per trasformarlo in farina occorreva separarlo dal loglio e dai chicchi di vizza che erano stati falciati insieme ad esso perché le prime trebbiatrici non procedevano meccanicamente alla loro separazione.
Iniziava così un nuovo processo che vedeva molte donne, ragazzi e ragazze intorno ai tavoli di casa per effettuare questa operazione a mano, separando il grano dalla semenza delle piante infestanti.
Oggi le trebbiatrici moderne effettuano meccanicamente questa operazione, per cui non è più necessario mobilitare intere famiglie per pulire il grano.
La vendemmia rappresentava un'altra occasione di collaborazione fra gli abitanti del paese. Il proprietario della vigna avvisava i suoi parenti, amici e vicini di casa che avrebbe vendemmiato, per cui bisognava prepararsi a tale lavoro che iniziava all'alba del giorno concordato.
Nelle ultime ore antelucane del giorno d'inizio della vendemmia, a piedi si raggiungeva il podere con ceste, panieri, ronchetti, fiscini, asini, muli e cavalli. Contemporaneamente si avvisava il proprietario del palmento, che avrebbe ricevuto l'uva per trasformarla in mosto e quindi in vino, di rendere utilizzabile il torchio ed i barili che avrebbero contenuto il mosto.
Nel palmento venivano lasciati alcuni giovani incaricati di aiutare i trasportatori dell'uva al loro arrivo e di pestare l'uva in grappoli con
i piedi sul ripiano in legno del palmento, secondo l'antica pratica. Anche in queste occasioni nascevano amori fra i partecipanti che solevano alternare il lavoro a canti di odio, di gelosia, di sdegno.
L'uva in grappoli veniva raccolta prima in panieri, poi in ceste, quindi collocata nei fiscini e trasportata dai muli, dai cavalli, dagli asini fino al palmento che si trovava in paese.
L'uva giunta al palmento di proprietà di Giuseppe Folino in Corso Garibaldi (ora di proprietà Alessio) veniva pestata dai giovani su di un assito vicino al bordo superiore della vasca di fermentazione per poi farla cadere nella medesima fino a riempirla, togliendo a tratti alcune tavole dell'assito medesimo.
Dopo 24-36-48 ore veniva prelevato il mosto che si era formato travasandolo nei barili, indi si torchiavano le vinacce rimaste nel fondo della vasca di fermentazione.
Successivamente le vinacce torchiate venivano adoperate per estrarne la grappa, operazione, questa, allora proibita per ragioni fiscali, che veniva effettuata nella maniera più segreta possibile.
I partecipanti alla vendemmia non venivano compensati in denaro ma con un mursieddu, una colazione offerta verso le IO del mattino e una cena e con qualche paniere di uva scelta.
La raccolta delle olive era preceduta da alcuni lavori campestri: la diserbatura e la pulitura del terreno vicino ad ogni albero, la battitura dell'olivo con una lunga pertica (abbacchiatura).
La raccolta veniva effettuata a mano, al piede dell'albero e le olive insaccate subito in sacchi di canovaccio, pratica che doveva essere evitata, ma che veniva usata da tutti. I sacchi venivano poi trasportati a dorso di mulo, di asino o di cavallo fino al frantoio che era costituito da un locale di ricevimento, frantumazione e spremitura dell'olio (oliva io e frantoio), dal locale di deposito degli oli (coppaio), dai sottoservizi in cui aveva preminenza il cosiddetto inferno dove finivano le acque di vegetazione ed il localetto a pie' di torchio a vite e madrevite occupato in parte da un tinozzo (sottino) dal quale si prelevava, dopo riposo, l'olio vergine e l'olio di seconda raccolta. Il sansaio era un locale a parte, dove finivano le sanse, ossia il residuo della spremitura che veniva venduto per estrarne l'olio di sansa, di qualità inferiore. Ad Altilia esistevano, ed esistono, due frantoi, rispettivamente di proprietà degli eredi di Scipione Ferrari e di Stanislao Misasi, ormai in disuso.
La raccolta delle olive era un'occasione di lavoro per diversi altiliesi che ricevevano dal padrone la terza parte, poi aumentata alla metà dell'olio ricavato. Le località in cui le olive si raccoglievano erano Contrada Monti, Ogliara, Saverone, ed altre di minore importanza.
Il titolare del frantoio, per ogni litro di olio prodotto, ne tratteneva una certa quantità a titolo di remunerazione per il servizio reso.
La frantumazione delle olive avveniva nel frantoio a due macine, costituite da un fondo di granito rotondo con bordo ad altezza di garrese di asino e da due molazze di proporzioni considerevoli di granito sarizzo che venivano fatte ruotare intorno ad un asse al quale erano collegate. dalla forza viva di un asino mansueto che girava costantemente intorno al frantoio a mezzo di un maneggio collegato all'asse orizzontale che unitamente a quello verticale, permetteva di far girare le molazze che rendevano le olive in poltiglia oleosa (pasta) che veniva prelevata alla fine dell'operazione da alcuni addetti, per sistemarla nei fiscoli per spremerne l'olio sotto il torchio che colava nel canaletto di base e da esso in un tinozzo a quota più bassa nascosto sotto il pavimento da un assito che periodicamente veniva tolto quando bisognava svuotare lo stesso dell'olio di prima raccolta, chiamato vergine.
L'olio di seconda raccolta veniva prodotto bagnando i fiscoli con acqua caldissima imbibita dalla poltiglia spremuta in precedenza che veniva tolta, riportata nel frantoio mista ad altra nuova al fine di ottenere l'olio di seconda raccolta per nuova spremitura.
La sansa veniva utilizzata pure per alimentare il fuoco della caldaia che produceva l'acqua calda necessaria per produrre l'olio di seconda raccolta o messa da parte per essere venduta a ditte specializzate che vi ricavavano l'olio di sansa di oliva. Il raccoglitore dell'olio scendeva nel localetto a pie' di torchio saltuariamente per raccogliere
l'olio di prima spremitura con un piatto conico di lamiera zincata (nappo) dal sottino o tinello e da esso lo travasava nella cosiddetta cannata costituita da un recipiente pure in lamiera zincata dalla capacità di litri ,23.
Dalla cannata l'olio raccolto veniva travasato o in giare di lamiera zincata, o in damigiane di vetro la cui capacità era di 22 cannate (quattro quartare) ma con le necessarie cautele per evitare inutili dispersioni di olio.
Questo processo impegnava diverse persone, per cui la raccolta delle olive era ben accetta cadendo in un periodo dell'anno in cui c era poco lavoro, soprattutto nei campi.
"Un tuffo nel passato ovvero le tradizioni di Altilia" di Tullio Ferrari