STORIA DELLA PARROCCHIA

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I)    Alcamo nel XVII secolo

II)   La figura e l'opera di Adamo Morfino e dei suoi successori

III) Mons. Marco La Cava e l'erezione a parrocchia della cappella di S. Paolo

       in conversione

IV)  Aggregazione della parrocchia della SS. Trinità alla parrocchia dei

        SS. Paolo e Bartolomeo

V)   Demolizione della vecchia chiesa e costruzione del nuovo tempio parrocchiale

 


I)    Alcamo nel XVII secolo    

Dagli atti dei notai alcamesi del XVII secolo si ricava la visione di una fiorente attività commerciale di un popolo interessato a una intensa vita quotidiana e in cerca del proprio benessere sociale attraverso l'agricoltura, il commercio, l'artigianato. Gli atti ci attestano anche la primitiva topografia di Alcamo, allora divisa in quartieri, che prendevano talvolta il nome del Santo a cui era dedicata la Chiesa principale: ad esempio, i quartieri "Sancti Francisci", "Sancti Iuliani", "Sancti Iacobi", ricadenti nell'ambito della circoscrizione della Chiesa Madre ed i quartieri "Sanctae Olivae", "Sanctae Mariae de Itria", Sancti Augustini", Sancti Crucifixi" (della neoparrocchia dei SS. Apostoli Paolo e Bartolomeo).
Questi ultimi quartieri istituiti fuori le mura della città, nella periferia denominata "borgo", erano in continua espansione, come dimostrano le statistiche dei censimenti della Parrocchia dei SS. Apostoli Paolo e Bartolomeo.
Nell'anno 1672 i quartieri di S. Paolo, di Santa Maria dell'Itria e del Crocifisso contavano 2356 anime, il quartiere di S. Agostino 1043 anime per raggiungere nel 1700 3000 anime (di cui 1500 il quartiere S. Agostino).
E' difficile dare una delimitazione esatta dell'estensione territoriale di Alcamo nel secolo XVII; tuttavia l'esame degli atti ci ha fatto conoscere molte denominazioni di contrade e feudi tuttora appartenenti al territorio alcamese. Molti sono i contratti riferentisi a compravendita o enfiteusi di terre concesse dai proprietari dietro pagamento annuale di un determinato censo e con determinate clausole.
A questi contratti sono da aggiungersi quelli pertinenti le molte donazioni e le concessioni di gabelle e censi terrieri da parte di numerosi benefattori, a varie chiese locali, e principalmente alla neoparrocchia dei SS. Apostoli Paolo e Bartolomeo, per celebrazioni di Messe, per solennizzare il trasporto del S. Viatico, per la recita del divino ufficio, per un maggior decoro della Chiesa, come si legge nei libri dei Conti e degli Assenti. Si nota così che le donazioni e i censi riguardavano "clausurae", "terrae vacuae", "vineae", "semineri" e piantagioni di sommacco, nonchè cave di pietra, magazzini, case e "beverature". Nel XVII secolo la coltivazione dei vigneti si estendeva dalle pendici del Monte Bonifato fino al litorale.
Il primo storico di Alcamo, Ignazio De Blasi (del XVIII secolo), nella sua opera "Discorso storico della opulenta città di Alcamo" scrive: "Il territorio di Alcamo è fertile e ripieno di vigneti, giardini, oliveti, casine, molini d'acqua; esso interamente appartiene alla università che fa il suo patrimonio dipendente e soggetto al tribunale del Real Patrimonio della Capitale di Palermo".
Di questo territorio facevano parte alcuni feudi, come ad esempio, quelli di Costa, di circa 600 salme, di Modica di 280 salme circa, di Scalilla di 800 salme circa, dello Stretto di 550 salme circa: feudi che insieme ad altri, erano ripartiti in varie masserie che pagavano censi annui alla Chiesa Parrocchiale.
Sempre attraverso l'esame degli atti notarili siamo venuti a conoscenza di alcune particolarità relative alla popolazione residente e trafficante in Alcamo nel sec. XVII.
Gli atti di compravendita e quelli riguardanti la prestazione di mano d'opera, di solito venivano stipulati con i rappresentanti delle famiglie più ricche e più importanti o con gli esponenti della borghesia terriera, come i De Ballis, i La Rocca, i Gramazza, che finanziavano imponenti costruzioni in Alcamo. Il sac. Mariano de Ballis, ad es., nel 1707 donò alla parrocchia di S. Paolo 5000 scudi per la costruzione e l'ornamento degli stucchi, e 300 onze per gli affreschi del pittore Antonino Lo Grano.
Alcamo, nel XVII secolo, grazie alla prosperità economica, era una città di notevoli immigrazioni.
La vita economica principalmente si basava sulle derrate agricole ed in particolare sul vino e sul frumento, ma anche sui prodotti artigianali. Gli atti notarili del tempo infatti ci testimoniano la vitalità e l'operosità di numerosi gruppi di artigiani, fra cui ad esempio i "fabri legnarii", "fabri murarii", i "cunsarioti di pelli". La presenza di un ceto medio, di proprietari di terre, di operai, di artigiani, ci dà di Alcamo l'idea di un piccolo centro avviato verso una certa agiatezza e prosperità.
L'intensa attività (nel campo dell'agricoltura e del commercio) degli Alcamesi di oggi, trova le sue radici lontane nella piccola Alcamo del tardo Medio Evo.
Nello stesso secolo XVII avvenivano sempre più raramente in Alcamo compravendite di schiavi che presumibilmente venivano adibiti a lavori agricoli, come la zappatura dei terreni o la raccolta dei tralci delle viti durante la potatura, come domestici e come manovali nelle costruzioni edilizie.
Nei registri di battesimo della Chiesa Madre e della Chiesa Parrocchiale dei SS. Apostoli Paolo e Bartolomeo si constata come nel sec. XVII molti schiavi musulmani in servizio presso famiglie alcamesi venissero catechizzati alla fede cristiana, battezzati ed emancipati dalla schiavitù.
Gli scambi commerciali, le compravendite avvenivano in moneta come l'oncia. Essa equivaleva a trenta tari, cioè seicento grana (in quanto un tarì equivaleva venti grana).
Il secolo XVII, oltre che prospero per le varie attività economico-commerciali già accennate, lo fu per la diffusione della cultura con le scuole pubbliche, tenute da insegnanti qualificati, e con quelle private.
Se Alcamo aveva un'alta percentuale - rispetto ai suoi abitanti - di professionisti, è accertato che questi in massima parte uscirono dalle famiglie della borghesia terriera.
La riprova di un notevole interesse dei benestanti alcamesi per la cultura, si ha da parte dei vari borghesi, i quali disponevano di provvedere "in perpetuum" a favore dei giovani che volessero attendere agli studi.
E' quindi la molteplicità di fattori sociali economici, culturali e religiosi a spiegarci il sorgere nel borgo di Alcamo di una nuova Chiesa Parrocchiale dedicata ai SS. Apostoli Paolo e Bartolomeo.


II)    La figura e l'opera di Adamo Morfino e dei suoi successori    

Alcamo nel XVI secolo contava circa 8 mila abitanti ed essi si distinguevano in "habitatores" (o "habitatrices") e forestieri. Questi ultimi, residenti occasionali nella città di Alcamo, negli atti del Not. Pietro Antonio Balduccio sono indicati singolarmente col termine "civis", seguito dalla città d'origine.
Inoltre il nome dei membri di famiglie del luogo poco note o immigrate è accompagnato dall'appellativo "habitator" mentre il nome di appartenenti di famiglie note in Alcamo, non è accompagnato da alcuna indicazione.
Spesso il nome è preceduto da attributi, quali "magnificus", "honorabilis", "nobi1is", "venerabilis", "magister", "dominus", "patronus".
Il continuo rinnovo della presenza in Alcamo dì forestieri (o immigrati da altre nazioni o paesi), per motivi di lavoro, causò il dilagare di infermità infettive, e spesso incurabili.
Quindi sempre più urgente ed incalzante si faceva l'istituzione di un ente sociale che aiutasse e curasse gli affetti da tali infermità.
A questa nobile e tanto utile opera si dedicò nel 1533 Don Adamo Morfino. Questi, esponente di una nobile e ricca famiglia alcamese, laureatosi in sacra teologia e ordinato sacerdote, fece voto di fondare un ospedale universale degli infermi, o degli incurabili.
In un prezioso volume manoscritto conservato nell'archivio della Chiesa Parrocchiale dei SS. Apostoli Paolo e Bartolomeo, il parroco Dr. D. Antonino Alfano De Ferro dei baroni di S. Georgio e il Dott. Ignazio De Blasi, a proposito della fondazione del suddetto ospedale, scrivono: <(Come Adamo nostro protoparente diè origine al peccato e lasciò i suoi posteri in una valle di miseria, assoggettandoli pure ad innumerevoli infermità, così altro Adamo, uno d'essi posteri, naturale di questa città d'Alcamo, per rimediare l'Infermità cagionate dall'originale peccato del primo Adamo, compassionatosi di taluni dei suoi concittadini nel vederli privi delle opere di misericordia, fè voto sovvenire quelli poveri ammalati, che privi del quotidiano mantenimento e dei medicamenti se (ne) morivano di pura necessità".
Il suddetto fondatore, per effettuare la promessa fatta, diede origine all'ospedale con sua Cappella sotto il titolo di S. Paolo in Conversione il 10 ottobre 1533, come si legge in una delle obbligazioni muratorie per la erezione del pio istituto negli atti del not. Pietro Scannariato.
Il pio istituto sorse nel borgo sul finite del corso, nelle case fabbricate con giardino, che erano abitate dal Morfino e che saranno da lui lasciate insieme ai suoi averi all'erigendo Ospedale (come si legge nel testamento del 12 giugno 1549, stipulato dal notaio Pietro Antonio Balduccio).
Che la fabbrica si trovasse sul finire del corso - cioè dove si trova attualmente la Chiesa Parrocchiale dei SS. Apostoli Paolo e Bartolomeo con attigua canonica, Orfanotrofio e parte del rimanente palazzo - lo dimostrano i confini del tempo.
Nel manoscritto (già citato) del Rev.mo parroco Alfano così si legge " La situazione di questo spedale fu nel borgo di questa anzidetta città accanto le case di M.ro Angelo Lo Cascio, della erede di Paolo Massaria e nella strada pubblica di oriente, accanto la vigna di Filippo Incodiglia e nella strada da settentrione, accanto la chiusa di Pietro di Vaira da occidente, strada però mediante, ed accanto la strada Imperiale per mezzogiorno".
Ciò dimostra che nel 1533-'49 attorno alla fabbrica del Morfino, sua dimora d'origine, e all'istituendo Ospedale degli incurabili, vi era ancora un'area di scarso insediamento urbano, se ad oriente confinava con "la vigna di Filippo Incodiglia" e ad occidente con "la chiusa di Pietro di Vaira".
Solo dopo il 1615, con l'erezione a parrocchia della Cappella di S. Paolo in Conversione e l'espandersi delle costruzioni oltre la città murata, si ha l'estendersi del borgo lungo il "corso Imperiale".
I1 suddetto fabbricato del Morfino, che doveva fungere da ospedale, dal 1533 al 1550, anno della sua morte, subì diverse vicende, tanto da restare non ultimato.
Nel testamento del Morfino, del 12 giugno 1549, il not. Pietro Antonio Balduccio così descrive la struttura interna dell'edificando ospedale: "Consisteva poi questo ospedale in più corpi di case, quali lasciò disposti nominatamente come sieguono: vi era l'entrata dammusata in cui s'entrava per la porta nella succennata strada imperiale da mezzogiorno. In essa entrata vi erano tre altre porte, una dalla parte d'occidente, altra d'oriente e la terza da tramontana. Per la detta porta d'occidente s'entrava in tutte le seguenti principiate stanze, una dentro l'altra, situate ad andare sempre all'occidente; la prima in cui si entrava era il corpo di detto ospedale, di lunghezza canne 15 circa, nel quale doveano stare li letti degli ammalati; la seconda nella quale dovea conservarsi la credenza ed altre cose necessarie appartenenti per detti ammalati; la terza era la stanza nominata la cucina; la quarta era altra stanza In cui vi doveva abitare la spedaliera; la quinta dovea servire per la stanza di legna colla sua porta nella detta strada Imperiale e l'ultima da detta parte d'occidente. Una casa grande in circa canne 6 di lunghezza per abitazioni degli ammalati incurabili, colla porta anche in detta strada Imperiale. Per la seconda porta, poi, che era in detta entrata dammusata, dalla parte d'oriente s'entrava in più stanze, una dentro l'altra. La prima era la casa in cui dovea abitate il Cappellano; la seconda dovea servire per libreria e vi si doveano conservate i libri di detto Reverendo Morfino, dove lui allora abitava e la terza seguitava la Cappella della Conversione di S. Paolo. Per ultimo la terza porta che in detta entrata dammusata era dalla parte di tramontana dava l'ingresso nel giardino fatto e piantato per consolazione ed utile degli ammalati>.
Questa chiara e particolareggiata descrizione del Not. Pietro Antonio Balduccio basta a dimostrare quanto sia stato studiato sin nei minimi particolari la possibile funzionalità ed efficienza dell'Istituto che comprendeva: il dormitorio con i letti per gli ammalati, la farmacia con le apposite credenze per i medicinali, la dispensa con cucina, un magazzino per la legna, una stanza per la Ospedaliera, una piccola casa per il Cappellano beneficiale, la Cappella della Conversione di S. Paolo ed una libreria.
Tutti questi erano elementi ancora oggi validi e necessari per qualsivoglia istituto, non tralasciandosi nemmeno la libreria o biblioteca per l'aggiornamento spirituale e scientifico del Cappellano e degli ospedalieri ed il giardino per la salubrità ed utilità degli ammalati.
Inoltre nel giù menzionato testamento il Morfino legò anche una annuale per la celebrazione di una S. Messa domenicale all'altare di S Paolo in Conversione e di un'altra S. Messa ogni sabato all'altare di S. Maria della Neve. Lasciò poi responsabili di detto Ospedale "li spettabili Giurati di questa Città", con l'incarico di eleggere il Cappellano, da preferirsi se consanguineo di detto Reverendo fondatore.
Il 12 luglio 1550, avvenuta la morte del testatore Don Adamo Morfino, i giurati della città Giovan Ant. Castrone, Vincenzo Bazzicalupo, Pietro Mollica e Cataldo Vasco, come responsabili di detto ospedale per adempiere la di lui volontà, elessero cappellano di quel nosocomio - per atto, nello stesso Notaio Pietro Antonio Balduccio, del 12 luglio 1550 - il Sac. D. Pietro di Gregorio quale consanguineo più stretto del defunto testatore. Quanto alla destinazione di detto ospedale a luogo di cura degli incurabili, alla morte del fondatore esso non funzionava se in un atto rogato presso il Not. Bernardino Aversa il 16 luglio 1550 si legge che i Giurati eleggendo a medico condotto del Comune il dott. Pietro de Ruggero, gli davano l'obbligo di curare gratuitamente gli ammalati dell'ospedale dei SS. Spirito e Vito "et ospitalis noviter forte costruendi ut dicitur di li incurabili sub vocabulo sancti Pauli".
Venuto a mancate il 26 ottobre 1552 lo stesso D. Pietro di Gregorio, dopo due soli anni di governo, succedette suo nipote D. Giuseppe Virdi il 15 dicembre 1552, sotto il governo del Vescovo di Mazzara Mons. D. Girolamo de Terminis.
Don Giuseppe Virdi, lungo i suoi 38 anni di reggenza che vanno dal 15 dicembre 1552 al 16 gennaio 1590, cercò di eseguite le volontà testamentarie del reverendo fondatore; ma fino a che punto sia stato frequentato e funzionale l'Ospedale è difficile stabilirlo, data la mancanza di documenti.
Il 23 marzo 1590, in seguito alla morte di D. Giuseppe Virdi viene eletto, come beneficiale della Cappella di S. Paolo in Conversione con attiguo Ospedale, un altro consanguineo del Morfino, cioè D. Giuseppe Patti. Questi fu costretto a chiudere l'ospedale per deficienza di rendite annuali.
I beni mobili ed immobili del suddetto ospedale, chiuso per decreto dei giurati e per volontà del Cappellano D. Giuseppe Patti - com'è scritto nelle volontà testamentarie del Reverendo D. Giuseppe Virdi che li considerava come cosa propria, eccetto la cappella di S. Paolo in conversione - furono venduti al magnifico Francesco Lombardo del fu Simone. Il ricavato fu destinato per una quarta parte ai poveri della città, da spendersi subito, mentre il resto, pagabile dal magnifico Francesco Lombardo in tre uguali porzioni annuali, era assegnato per un terzo all'ospedale di S. Spirito di fronte alla Chiesa Madre, per un altro terzo alla Chiesa di S. Paolo per la fabbrica di essa e per l'ultimo terzo all'ospedale di S. Antonio della Città di Trapani).
Nel 1604 il suddetto tenimento di case con l'annesso giardino venne venduto al Sac. D. Vincenzo Trisca; e da questi nel 1607 fu donato al Not. Lorenzo Lombardo, il quale a sua volta nel 1629 lo vendette a un D. Salvatore Rocca che nello stcsso anno vi iniziò sopra la fabbrica di un palazzo di superbo aspetto, recata poco dopo a compimento dal suo erede universale Dott. Vincenzo Rocca. Nell'atto di erezione a Parrocchia della cappella di S. Paolo nessun cenno si trova relativamente all'ospedale. Anzi da un contratto stipulato al tempo di quella erezione, si rileva che, per ingrandire la cappella, fu necessario comprare una casa e la parte d'un cortile, possedute dal Not. Lorenzo Lombardo, proprietario del casamento già adibito dal Morfino per uso ospedale.


III) Mons. Marco La Cava e l'erezione a parrocchia della cappella di S. Paolo in conversione    

Nel 1613 il Vescovo di Mazara, Mons. Marco La Cava, recatosi in Alcamo per la Sacra Visita pastorale istituita dal Concilio di Trento, accortosi della vastità della nostra città e del numero delle anime, sempre in crescente aumento (allora circa 10.000 anime per l'estendersi delle istituzioni oltre la cinta muraria nel luogo denominato "borgo"), istituì altre due chiese parrocchiali, oltre la già esistente Chiesa Madre. Le nuove due Chiese parrocchiali furono quella di S. Paolo in Conversione lungo il Corso e la chiesa della SS. Trinità fuori la Porta Castello.
L'atto di riconoscimento giuridico delle due nuove parrocchie fu stipulato il. 22 ottobre 1615 presso il Not. Sac. Francesco Lazio. La prima parrocchia denominata di "San Paolo in Conversione", cappella del soppresso ospedale, venne ingrandita da oriente ad occidente (cioè dal luogo dove sorge l'attuale altare di S. Bartolomeo a quello dei Sette Angeli per volere dello stesso Vescovo fondatore.
La seconda parrocchia sotto il titolo della SS. Trinità sorgeva di fronte al piano nominato di S. Maria di Gesù
Le due parrocchie furono inaugurate dallo stesso Mons. La Cava, che vi portò in solenne processione il Divinissimo Sacramento, essendo allora signore di questa città D. Pietro Balsamo, Principe di Roccafiorita.
Il Vescovo assegnò all'arciprete pro tempore il diritto di presentare e nominare i parroci delle due parrocchie e il giurepatronato delle medesime. Pertanto ciascun parroco doveva pagare all'arciprete tarì 6 annui (come si legge in un atto del 22 maggio 1617, presso il Not. Giuseppe Testagrossa di Trapani).
Mentre il parroco D. Vincenzo Mancino ratificò l'ordinanza per gli atti del Not. Antonino Vaccaro di Alcamo il 24 luglio 1617, il parroco di S. Paolo D. Vincenzo Puglisi non volle ratificare l'ordinanza perchè la riteneva non legale. E la questione si trascinerà fino al 7 aprile del 1781, allorchè la parrocchia di S. Paolo finalmente fu dichiarata indipendente dalla Chiesa Madre. Quella specie di convenzione (che rendeva le due nuove parrocchie quasi filiali della Madrice Chiesa, lasciando all'arciprete pro tempore persino la facoltà di eleggere i parroci) venne nuovamente attaccata dallo stesso clero alcamese, specialmente quando nel 1751 fu eletto parroco il Dr. D. Antonino Alfano, nativo di Palermo ed abitante in Alcamo.
Nell'archivio parrocchiale si conservano ancora oggi diversi esposti dell'arciprete di quel tempo diretti alla S. Congregazione per regolare l'elezione del neo parroco D. Antonino Alfano, difendendola da un ricorso mandato dal Clero della città alla stessa Congregazione. A margine di uno di questi esposti si trova la seguente postilla: "La di contro allegazione non ha più vigore poiché resta fermo che la Parrocchia non è punto filiale e che il Rev. Arciprete non ha né può avere il diritto di presentazione.
Primo, perché nella fondazione non se ne fa menzione e riserba, anzi si stabilisce che siano tutte e tre chiese parrocchiali l'una dall'altra indipendente; secondo, perché la transazione dell'Arciprete Guarnotta fu surrettizia; terzo, che le presentazioni seguenti non furono secondo le leggi del S. Concilio di Trento, spettanti al Patronato Ecclesiastico, che suppone il concorso e l'approvazione e indi la presentazione dell'approvato; quarto, che resta deciso con Real Diploma non essere punto filiale; e quinto, che in veduta di tali ragioni l'anno 1785 fu fatto Parroco a concorso il rev. D. Vincenzo Lazio da Monsignor Papè e l'anno 1809 fu fatto parroco a concorso il Can. D. Giacomo Domina da Monsignor La Torre".
Il provvedimento di indipendenza venne registrato dalla corte foranea di Alcamo il 22 aprile 1781.
Per provvedere alle necessità delle due singole parrocchie e dei parroci, lo stesso Vescovo le dotò di molti benefici, altari, chiese e rendite annuali.
Alla chiesa parrocchiale di S. Paolo furono assegnate, onze venti rendali, di cui dieci per il mantenimento del parroco e dieci per olio, cera e tutto ciò che era necessario per il culto del SS. Sacramento.
Le venti onze venivano pagate dalla Congregazione dei maestri conciatori di pelle, intitolata a San Bartolomeo, che vi aveva un proprio altare. Un altare di San Bartolomeo, con annessa confraternita esisteva già nella Chiesa di S. Oliva, nel luogo oggi tenuto dall'altare di S. Giuseppe, ed era stato fondato nel 1570 da Antonio e Pino Lombardo, entrambi fratelli e nativi di Alcamo, come afferma il Not. Lorenzo Lombardo, figlio del citato Antonio. Egli nel 1589 concedette l'altare in S. Oliva al chierico coniugato Maestro Giov. Filippo Mangione, conciarioto e console di essa confraternita, e ai confrati Maestro Domenico Mannina, M.o Tommaso Grasso, M.o Vito Triolo, M.o Vito Mangione, M.o Vincenzo Oliveri, M.o Leonardo Grasso, M.o Stefano di Gaetano, con l'obbligo di festeggiare la solennità del santo titolare.
Il 15 ottobre del 1615 il Rev. Vicario generale della diocesi di Mazara, D. Bartolomeo Ficani, coadiutore di Mons. Marco La Cava, aggregò il beneficio dell'altare alla parrocchia di S. Paolo, assegnandole venti onze annuali con la condizione di erigersi un altare e con l'obbligo che detta parrocchia fosse dedicata in perpetuo ai SS. Apostoli Paolo e Bartolomeo, per atto del Not. Antonino Vaccaro del 15ottobre 1615.
Vennero inoltre aggregate alla neoparrocchia la Chiesa e Confraternita di S. Giuliano di cui il parroco pro tempore era beneficiale e le rendite dell'antica Chiesa e Confraternita di S. Vito, soppressa nel 1608.
Ma nonostante l'apporto di tali benefici, ben presto la situazione economica della parrocchia di S. Paolo divenne insostenibile. Tanto che il Vescovo di Mazara credette opportuna la soppressione della parrocchia della SS. Trinità, aggregandone le rendite alla chiesa di S. Paolo.


IV)  Aggregazione della parrocchia della SS. Trinità alla parrocchia dei SS. Paolo e Bartolomeo

La chiesa della SS. Trinità ebbe origine nel 1560, anno in cui il chierico Angelo di Foto, per testamento del 14 gennaio, contribuì a farla edificare nei piano dove essa sorge attualmente, disponendo che ivi fosse sepolto il suo corpo.
Nel 1571 vi fu fondata la Confraternita sotto lo stesso titolo, con l'obbligo che i suoi componenti cantassero tre volte l'anno l'ufficio divino nelle feste del S. Natale, della S. Pasqua e della Pentecoste (come riferiscono le Bolle date in Alcamo il 13 ottobre del 1571 dal Rev. Don Antonio Mannella, Vicario generale della Diocesi di Mazara del Vallo).
La Confraternita durò fino al 1615, anno di erezione a parrocchia di quella chiesa sotto il beneficiale D. Vincenzo Mancino, che ne divenne il primo parroco.
Eretta parrocchia insieme alla chiesa di S. Paolo in Conversione nel 1615, le vennero aggregati, come alla precedente, alcuni benefici e rendite, al fine di avere una certa autonomia economica. Venuto in Alcamo, il 19 giugno 1619, il Vicario generale della Diocesi di Mazara D. Bartolomeo Ficani aggregò alla neoparrocchia le chiese di S. Michele Arcangelo, di S. Caterina, di S. Maria della Catena, con l'obbligo che il parroco ed i suoi successori ne avessero la cura e ne esigessero i vari introiti e benefici per il miglioramento della parrocchia e delle suddette chiese.
La chiesa di S. Michele Arcangelo sorgeva dentro la città murata lungo la strada tra Porta Saccari e il Castello, presumibilmente quasi dirimpetto al Monastero SS. Salvatore, confinante con le case un tempo della nobile Scrigno.
Essa fu aggregata alla parrocchia della SS. Trinità nel 1619 e poi a quella di S. Paolo nel 1639.
La chiesa di S. Caterina fu la prima volta edificata vicino la chiesa Madre dalla parte occidentale nell'anno 1518, a spese della Compagnia del Santo Monte di Pietà.
La seconda volta fu costruita lungo il Corso, all'angolo con l'attuale Via Barone S. Giuseppe, dirimpetto il Conservatorio delle Donne Riparate (sorto nel 1684).
La chiesa di S. Maria della Catena sorgeva anticamente fuori le mura della città, a circa mille passi dalla parte d'oriente. Si ignora la sua origine, ma esisteva già nel 1545.
Nel 1633 vi fu fondata una omonima Congregazione di boccieri (ossia macellai). Questi, per il disagio della notevole lontananza dall'abitato, si indussero a fondare una nuova chiesa dentro la cinta muraria urbana nel 1661.
Il 13 ottobre del 1639, venuto in Alcamo per la Sacra Visita pastorale il nuovo Vescovo di Mazara (l'Eminentissimo D. Giovanni Domenico Spinola, Cardinale di S. Cecilia) e notato che le due nuove parrocchie si trovavano in una insostenibile povertà di rendite, di sacri arredi e di culto, convocati i giurati della città, l'arciprete D. Lorenzo Lazio, il parroco dei SS. Apostoli Paolo e Bartolomeo D. Vincenzo Cammarata e il parroco della SS. Trinità D. Diego Cassia, decise di sopprimere la seconda chiesa parrocchiale, cioè quella della SS. Trinità.
La decisione fu motivata dal fatto che l'espansione del borgo avveniva lungo il Corso, nel senso est-ovest, con il conformarsi dei nuovi quartieri (come quello di S. Paolo, S. Maria dell'Itria, di S. Agostino, di S. Francesco di Paola, dei Cappuccini).
Per migliorare la situazione economica della parrocchia di S. Paolo, le venne aggregata quella della SS. Trinità con tutti i suoi benefici e rendite che possedeva sino al momento della soppressione e con l'obbligo che il parroco pro tempore e suoi successori avessero sia il beneficio e la cura della ex-parrocchia sia i benefici delle altre chiese aggregate.
Nella Chiesa della SS. Trinità restò solo la Congregazione notturna sotto lo stesso titolo, che era stata fondata nella chiesa di S. Maria Annunziata dal Rev. Gaspare Paraninfo della Compagnia di Gesù il 3 settembre 1597.
Essa, più tardi trasferita in detta chiesa parrocchiale, ebbe i capitoli rinnovati dallo stesso Mons. Domenico Spinola nella Sacra Visita pastorale del 24 agosto 1639.
Il parroco di essa, D. Diego Cassia, passò al governo della chiesa parrocchiale dei SS. Apostoli Paolo e Bartolomeo insieme a D. Vincenzo Cammarata, fino alla morte di quest'ultimo avvenuta il 28 ottobre 1645.
Morto D. Vincenzo Cammarata, come parroco di S. Paolo succedette D. Diego Cassia, già parroco della soppressa chiesa parrocchiale della SS. Trinità.
Col passare del tempo, i Congregati della Trinità, vedendo la loro chiesa deteriorarsi, decisero di abbandonarla e costruirne un'altra nel piano antistante e ne iniziarono la fabbrica nel 1746.
Con atto dell'8-9-1744 in Not. Giuseppe De Blasi, il Parroco di S. Paolo, D. Marco Caruso, aveva rinunziato ad ogni diritto sulla chiesa della Trinità "colla condizione però di dovere gli Uff.li e Rettori della d.a Ven.le Chiesa della SS. Trinità fra il termine di anni dodeci riformare, e ristorare la d.a loro Chiesa ( . . . ) nel medesimo sito e luogo dove ritrovasi".
Perciò in una sua petizione (di data non precisabile) il successore parroco D. Antonino Alfano definisce "stravagante capriccio" il "dar principio alla costruzione di una nuova chiesa nel mezzo del piano della d.a antica Chiesa", che risulta "più scomoda ed angusta dell'antica Chiesa". L'Alfano chiede che "non venga la d.a Chiesa antica a profanarsi né patire la menoma alterazione, dovendo in tutto e per tutto adempiersi la forma della d.a convenzione stipulata dai Congregati della Trinità col Parroco Caruso".
Ma l'Alfano non fu esaudito. La nuova chiesa della Trinità poté nel 1757 essere benedetta dallo stesso parroco Alfano e nel 1771 fu abbellita di pregevoli stucchi.


V)   Demolizione della vecchia chiesa e costruzione del nuovo tempio parrocchiale

La chiesa parrocchiale dei SS. Apostoli Paolo e Bartolomeo era, al momento dell'aggregazione della chiesa della SS. Trinità, di lunghezza pari a quanto è oggi di larghezza e si stendeva all'incirca dall'attuale altare di S. Bartolomeo a quello dei Sette Angeli, con la porta laterale a mezzogiorno lungo la strada imperiale denominata della corsa. Tali dimensioni risalivano al 1615, anno dell'erezione a parrocchia.
Lo stato di miseria e di abbandono era tale (come ci tramanda un manoscritto della contabilità) che "aveva più somiglianze di un magazzino di frumento che non di luogo sacrato e, a maggior ragione, di una chiesa parrocchiale".
Divenuto parroco D. Lorenzo La Rocca ed accortosi dello stato di abbandono in cui versava la sua chiesa, nel 1689, spinto da santo zelo e coraggio, incitò i fedeli tutti a contribuire, ognuno nell'ambito delle proprie possibilità, alla demolizione e ricostruzione della chiesa.
Le elemosine e la generosità dei fedeli, dello stesso parroco, di alcuni sacerdoti e dei giurati della città furono tali che, demolita la vecchia chiesa, il 22 luglio del 1689 venne iniziata quella nuova, come si leggeva in un'iscrizione lapidale (oggi non più esistente):

Anno salutis 1689, Innocentio XI P.P. Maximo,
Romanorum Imperatore Leopoldo I, Hyspaniarum et
Siciliae Rege Caro/o lI, pro Instauratione huius Parochialis
Ecclesiae SS. Apostolorum Pauli et Bartholomei primarium
Iapidem solemni ritu posuit Rev. Frater Aloysius Graffeo
Ill. Episcopi Mazariensis fratris Franc. Mariae Graffeo
ex fratre Nepos Visitator Generalis, die 22 Julii.
Dr.D. Laurentio Rocca Parocho.


Molte furono le elemosine raccolte, ma tra queste degne di particolar ricordo sono quelle di alcuni ricchi possidenti del tempo come D. Giacomo Beltrano, D. Pietro Maria Balli, il Sac. D. Francesco Gramazza, futuro parroco di essa, gli spettabili giurati presieduti dal procuratore generale D. Francesco Caro de Montenero, il Sacerdote D. Francesco la Grutta, D. Vincenzo La Rocca, D. Mariano Balli, D. Giuseppe La Rocca, D. Giacomo Domina e tanti altri.
La costruzione, dal parroco D. Lorenzo La Rocca e dai giurati di questa città, venne affidata al capomastro Giovanni Fica e fratelli Francesco e Cristoforo, esperti muratori di Trapani (1).
Il 7 aprile del 1692 la costruzione in parte era già ultimata ed il Parroco D. Lorenzo La Rocca la benedisse in mezzo al clamore festante dei fedeli.
Succeduto al parroco D. Lorenzo La Rocca D. Francesco Gramazza, questi, visto che le elemosine per la ultimazione della Chiesa continuavano ad essere elargite e lo stesso D. Mariano Balli era disposto a prodigare altre somme, proseguì la costruzione che venne portata a termine nel 1702 (la cupola fu ultimata nel 1705).
Il costo della costruzione della nuova Chiesa si desume da quanto è scritto nel Libro I dei Conti, esistente nell'archivio della stessa chiesa parrocchiale "A d.o (30 aprile 1702), onze cento per finire la fabrica rustica del . . . Cappellone in materiale e maestria pagati dal,... parroco Gramazza a m.ro Francesco Fica trapanese in maggior somma con altro denaro per la fabbrica della chiesa come per apoa in not. Terruso . . . onze 100". "A 23 giugno 1705: onze 7 pagati a m.ro Cristoforo Fica per fare il mezzo arancio della cubula cioè per sua maestria e manuali, calcina, gesso, rina, canne, legname ed altri così d'accordio. . . onze 7; e più onze 2 e tt 15 pagati al sud.o Fica per mettere tutti li canali in calcina per difesa della pittura . . . onze 2.15".
Il 4 ottobre 1702 essendo in Alcamo per la Sacra Visita pastorale Mons. Bartolomeo Castelli, la chiesa, anche se ancora rustica, venne consacrata. La nuova chiesa ampliata aveva le seguenti dimensioni: lunghezza, compreso il cappellone (lungo in. 7,30 e largo a 6,50) m 25,20; larghezza m 13,10 (nel transetto m 13,30).
Durante il parrocato di D. Vincenzo Lazio de Quiros (1775-1809) si ampliò la piccola chiesa parrocchiale col costruire ai lati destro e sinistro del cappellone, altre due cappelle, una del SS. Sacramento in fondo all'ala destra e un'altra della Madonna dei Miracoli, Patrona della città, in fondo all'ala sinistra. Oltre all'ingrandimento di essa, si ultimò il prospetto. Per ordine del Vescovo D. Ugo Papè si costruì una grande antesagrestia (dove fu eretto e benedetto un altare dedicato a S. Giuseppe) per ascoltarvi le confessioni degli uomini.
Le dimensioni della chiesa, ben presto, con l'accrescersi del numero dei parrocchiani e con il popolarsi dei quartieri di S. Paolo, S. Maria dell'Itria, S. Agostino, S. Francesco di Paola e Cappuccini, apparvero anguste.
Nel 1920 - prima ancora che venissero istituite le parrocchie di S. Francesco di Paola, dei Cappuccini, di S. Domenico, di S. Oliva -il parroco Can. Vincenzo D'Angelo aveva presentato all'Ufficio Tecnico di Alcamo un progetto d'ingrandimento, preparato dall'ingegnere comunale Prof. Gaetano Buttafarri, che venne archiviato per la notevole difficoltà che l'ampliamento della chiesa, per la sua ricchezza di stucchi, comportava.
Nel primo cinquantennio del nostro secolo il Vescovo Mons. Salvatore Ballo Guercio, venuto in Sacra Visita ed accortosi delle limitate dimensioni della chiesa parrocchiale di frotte al sempre crescente numero di fedeli da servire, risolse il problema, erigendo altre quattro chiese parrocchiali: quelle di S. Francesco di Paola, S. Oliva, Maria SS. del Rosario, S. Anna, esponenti di antichi quartieri del borgo che dipendevano dalla chiesa parrocchiale di S. Paolo.




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